Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29646 del 26/05/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29646 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: MENICHETTI CARLA

Data Udienza: 26/05/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO NICOLO’ N. IL 20/03/1974
avverso l’ordinanza n. 5785/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
03/03/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI;
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lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 9 febbraio 2016 il Tribunale di Napoli rigettava l’appello
proposto nell’interesse di D’Amico Nicolò avverso l’ordinanza di rigetto della sostituzione
della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

2. A motivo della pronuncia rilevava che con sentenza del 29 aprile 2014 – pur se
parzialmente annullata dalla Corte di Cassazione che aveva dichiarato due reati estinti per

n.309/90, l’aggravante di cui all’art.80 – la Corte d’Appello di Napoli aveva condannato il
D’Amico alla pena di dodici anni di reclusione per il reato associativo di cui all’art.74 e per
plurime condotte di cui all’art.73, commi 1 e 6, una delle quali rimasta aggravata dall’art.80
del T.U. sugli stupefacenti, in ordine ai quali era ormai definitivo l’accertamento della
penale responsabilità. Rilevava ancora che l’imputato aveva riportato una precedente
condanna ad otto anni di reclusione per traffico illecito di sostanze stupefacenti e, subito
dopo aver ottenuto nel marzo 2003 l’estinzione della pena per esito positivo della messa
alla prova, aveva reiterato analoghe gravi condotte criminose intrattenendo un rapporto
privilegiato con Gallo Giuseppe, esponente di spicco della consorteria camorristica “GalloLimelli-Vangone”. In tale contesto riteneva operativa la presunzione dettata dall’art.275,
comma 3, c.p.p., potendo le esigenze cautelari essere efficacemente tutelate solo con la
misura di massimo rigore, ed irrilevante il lasso temporale decorso rispetto all’epoca dei
fatti contestati, poiché la biografia criminale del prevenuto dimostrava il suo attuale
inserimento in ampi contesti delinquenziali dediti al traffico di stupefacenti, a cui avrebbe
potuto contribuire anche dalla sua abitazione avvalendosi dell’opera di terzi e mediante
strumenti di comunicazione difficilmente controllabili.

3. Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo dei difensori di fiducia, per difetto di
motivazione e/o violazione di legge dell’ordinanza in relazione all’applicazione degli
artt.27Ze 275, comma 3, c.p.p. Deduce che le situazioni di concreto e attuale pericolo non
possono essere desunte dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, che tale
preclusione valutativa opera anche in relazione alla personalità dell’imputato, secondo le
disposizioni dell’art.274 lett. b) e c) c.p.p., ed ancora che il Tribunale aveva omesso di
indicare gli elementi concreti di fatto da cui desumere il paventato ed asserito pericolo di
reiterazione; rileva poi che l’art.4 della Legge 16 aprile 2015 n.47 ha completamente
rivisitato le disposizioni contenute nella seconda parte del terzo comma dell’art.275,
dedicata all’individuazione dei titoli di reato per il quali è possibile applicare solo la misura
della custodia in carcere, abbandonando il riferimento all’elenco di fattispecie incriminatrici
contenuto nell’art.51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p.

1

prescrizione ed esclusa, quanto ad una condotta rientrante nell’art.73, commi 1 e 6, DPR

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.
Questa Corte si è più volte pronunciata nel senso che, in tema di impugnazione delle
misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la
violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando

valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez.3, 2 dicembre 2014,
Castorina), e ciò anche quando venga dedotta la inattualità ed assenza delle esigenze
cautelari (Sez. 2, 16 gennaio 2014, Kazarian).

2.

Ciò posto, appare immune dal denunciato vizio di motivazione la ritenuta

sussistenza dei presupposti della concretezza e dell’attualità delle esigenze cautelari,
secondo la nuova formulazione dell’art.274 lett.c) c.p.p. introdotta dalla legge n. 47 del
2015.
Come è noto, “attualità” e “concretezza” dell’esigenza cautelare sono concetti distinti,
legati l’uno (la concretezza) alla capacità a delinquere del reo, l’altro (l’attualità) alla
presenza di occasioni prossime al reato, la cui sussistenza, anche se desumibile dai
medesimi indici rivelatori (specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità
dell’indagato o imputato), deve essere autonomamente e separatamente valutata, non
risolvendosi il giudizio di concretezza in quella di attualità e viceversa (Sez.3, 18 dicembre
2015, Gattuso).
Il giudice del riesame, nel respingere l’appello, ha rispettato questo principio
mettendo in evidenza la spiccata capacità a delinquere e la pericolosità sociale del
prevenuto.
Ha considerato infatti la grave condanna, ormai definitiva, riportata dal D’Amico in
questo processo per il reato associativo di cui all’art.74 DPR n.309/90 e per plurime
condotte di spaccio di sostanze stupefacenti, anche in rilevanti quantità, ed ha valorizzato
il fatto che tali delitti siano stati commessi decorso solo un breve periodo dalla espiazione
di altra precedente grave condanna per analoghe condotte criminose, perpetrate in un
contesto territoriale diverso da quello di appartenenza, in virtù di un rapporto di vicinanza
con personaggi di spicco del clan camorristico “Gallo-Limelli-Vangone”, indice di
un’allarmante pericolosità sociale, che può essere fronteggiata solo con la misura di
massimo rigore.
L’impugnata ordinanza, nel dare atto di tali collegamenti, contiene quindi una
motivazione articolata ed esaustiva in ordine sia alla capacità a delinquere dell’imputato,
sia al suo inserimento in ampi contesti delinquenziali dediti al traffico di sostanze

2

propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa

o

stupefacenti, da cui la detenzione sofferta in forza della precedente richiamata condanna
non lo aveva evidentemente distaccato.
In tale ottica, è del tutto corretta e congrua la considerazione dei giudici di merito
circa la inidoneità della misura domiciliare, sollecitata dalla difesa, a recidere il
comprovato collegamento dell’imputato con lo specifico settore illecito e a salvaguardare
le esigenze cautelari, potendo questi continuare, benché ristretto nell’abitazione, ad
offrire il proprio contributo alla reiterazione di analoghe condotte criminose, avvalendosi

controllabili.

3. Non si ravvisa, infine, alcuna violazione di legge poiché, contrariamente a quanto
asserisce il ricorrente, per un verso la nuova formulazione dell’art.275, comma 3, c.p.p.
contiene tuttora il richiamo all’art.51, commi 3 bis e 3 quater del codice di rito e, per
altro verso, non sono stati acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze
cautelari o che, in relazione al caso concreto, dette esigenze possono essere soddisfatte
con altre misure, in particolare con quella degli arresti domiciliari, invocata dalla difesa ed
in ordine alla quale – come si è detto – il Tribunale si è soffermato ritenendola
inaccoglibile.

4. Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese
processuali.
Copia del presente provvedimento va trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario
competente perché provveda a quanto stabilito dall’art.94 comma 1 ter disp.att.c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al
direttore dell’istituto penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito
dall’art.94 comma 1 ter disp.att.c.p.p.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26 maggio 2016

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