Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29642 del 16/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29642 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CADEDDU MARCO N. IL 05/12/1980
avverso l’ordinanza n. 196/2015 TRIB. LIBERTA’ di CAGLIARI, del
30/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA
SAVINO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Petat

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Data Udienza: 16/02/2016

Ritenuto in fatto
Cadeddu Marco ha proposto, per il tramite del difensore, ricorso per Cassazione avverso
l’ordinanza emessa in data 30.11.2015 dal Tribunale di Cagliari con la quale è stata respinta la
richiesta di riesame dell’ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere emessa dal
GIP del Tribunale di Cagliari in data 3.11.2015 nell’ambito di procedimento penale a carico del
ricorrente e di altri coindagati per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di

stupefacente di tipo hashish e cocaina, deducendo violazione della legge con riferimento all’art. 297
co 3 c.p.p. e connesso vizio di motivazione.
Assume la difesa che, con ordinanza in data 3.8.2013, fu applicata al Cadeddu la misura della
custodia in carcere a seguito di arresto in flagranza per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90
eseguito dalle forze dell’ordine nell’ambito di una più ampia inchiesta avente ad oggetto la
sussistenza di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati in materia di
stupefacenti e che il relativo procedimento fu definito con sentenza in data 27.6.014 di applicazione
della pena di anni quattro mesi due di reclusione ed euro 6.000 di multa.
Con successiva ordinanza in data 3.11.2015 il ricorrente, durante l’esecuzione della pena in regime
di affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 ordinamento penitenziario, fu nuovamente
sottoposto alla misura custodiale in relazione all’ipotizzato reato ex art. 74 d.p.r. 309/90 ed ai reatifine ad esso collegati. L’ordinanza fu impugnata davanti al tribunale del riesame per violazione del
disposto dell’art. 297 co 3 c.p.p. e i giudici del riesame hanno rigettato l’istanza confermando
l’ordinanza, sul rilievo che difettasse il requisito della “desumibilità dagli atti”.
Con unico motivo di ricorso, la difesa del ricorrente si duole della ritenuta insussistenza di tale
requisito rilevando che, al momento della emissione della prima ordinanza custodiale, in data
3.8.013, sussistevano già gli elementi indiziari in ordine alla partecipazione del Cadeddu al
sodalizio criminoso ed ai reati-fine commessi in esecuzione del programma delittuoso

stupefacenti e per diversi reati fine di illecita detenzione e cessione di ingenti quantitativi di

dell’associazione; a tale riguardo osserva che già dalla C.N.R relativa all’arresto in flagranza del
Cadeddu del 30.7.013, emergeva chiaramente, in quanto espressamente esplicitato, che l’arresto
fu eseguito nell’ambito di una più ampia e complessa indagine finalizzata all’accertamento di una
associazione criminosa dedita alla commissione di reati in materia di stupefacenti, che il decreto
del GIP di convalida dell’intercettazione disposta in via di urgenza dal P.M. il 6.2.013 e i decreti
successivi fanno riferimento all’ipotesi di reato ex art. 74 d.p.r. 309/90 e richiamano tutti
l’informativa 630/ 1 del 1.2.2013, nella quale già si delinea in maniera inequivoca l’ operatività, sin
da quel momento, del sodalizio criminoso cui il Cadeddu è stata sospettato appartenere.
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La difesa censura l’assunto dei giudici del riesame secondo cui solo con l’informativa conclusiva
contenente il compendio dell’attività di indagine svolta, matura la piena conoscenza degli elementi
indiziari da parte del giudice, occorrente ai fini dell’operatività del disposto dell’art. 297 co 3 c.p.p;
rileva in proposito che tale tesi condurrebbe alla sistematica elusione dell’istituto della
retrodatazione posto che generalmente l’arresto in flagranza, stante l’evidenza della prova, non
richiede che il PM porti a conoscenza del Giudice l’intero compendio indiziario raccolto fino a quel

Ritenuto in diritto

Il ricorso è infondato.
L’istituto della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ispirato
all’esigenza di evitare un ingiustificato prolungamento dei termini di custodia cautelare attraverso
una arbitraria contestazione frazionata delle ipotesi di reato, è stato oggetto di plurimi interventi di
questa Corte che ne hanno ridisegnato i contorni e definito l’ambito di applicazione individuando
all’interno di esso tre distinte ipotesi di retrodatazione ed enunciandone per ognuna di essa i
presupposti di operatività.
Le prime due, previste dalla prima parte dell’art.297 co 3 c.p.p., contemplano rispettivamente, la
prima, l’ipotesi di applicazione, nell’ambito del medesimo procedimento penale, di due distinte
ordinanze custodiali per lo stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato, la
seconda, l’ipotesi di applicazione, sempre nello stesso procedimento, di più ordinanze custodiali
per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza per i quali sussiste
connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 co 1 lett b) e c), (casi di concorso formale di reati,
continuazione o connessione teleologica).
La prima parte dell’art. 297 co 3 cod. proc. pen., aggruppa dunque le due ipotesi di emissione di più
ordinanze di custodia cautelare nell’ambito del “medesimo procedimento, con riferimento allo
stesso fatto o a fatti diversi connessi, ovvero legati da concorso formale, da continuazione o da
connessione teleologia. In tal caso la retrodatazione opera in modo automatico, nel senso che essa
prescinde dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione della prima
ordinanza, l’esistenza dei fatti oggetto della ordinanza successiva.
A tal riguardo, le Sezioni Unite hanno affermato, che nel caso di emissione nei confronti di un
imputato di più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare per fatti diversi, commessi
anteriormente all’emissione della prima ordinanza, legati da concorso formale, da continuazione o
da connessione teleologia, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con

momento.

le ordinanze successive opera indipendentemente dalla possibilità, al momento dell’emissione della
prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive e, a
maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli
elementi idonei a giustificare le relative misure”.
“Nel caso di emissione nei confronti di un imputato di più ordinanze che dispongono la medesima
misura cautelare per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza,

decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive, prevista dall’art. 297,
comma terzo, cod. proc. pen., opera indipendentemente dalla possibilità, al momento dell’emissione
della prima ordinanza, di desumere dagli atti l’esistenza dei fatti oggetto delle ordinanze successive,
e, a maggior ragione, indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti l’esistenza degli
elementi idonei a giustificare le relative misure”.
(Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005 Cc. (dep. 10/06/2005 ) Rv. 231057
La seconda parte dell’art 297 co 3 c.p.p. contempla invece l’ipotesi di più ordinanze custodiali
emesse in procedimenti diversi per fatti legati da connessione qualificata nei termini sopra precisati
ed esclude il meccanismo della retrodatazione per quelle ordinanze aventi ad oggetto “fatti che non
erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto col quale sussiste
connessione ai sensi del presente comma”.
Secondo l’interpretazione data alla norma, quando le ordinanze cautelari per fatti connessi ai sensi
dell’art. 12 comma 1 lett b) e c), vengono emesse nell’ambito di distinti procedimenti, pur in
presenza di connessione cd. qualificata, la retrodatazione della decorrenza del termine custodiale
non è automatica, ma è subordinata alla possibilità di desumere dagli atti, prima del rinvio a
giudizio disposto per il fatto oggetto della prima ordinanza, i fatti oggetto della seconda.
In tali casi la retrodatazione non opera automaticamente ma occorre la condizione della desumibilità
del fatto oggetto della successiva ordinanza dagli atti del procedimento nell’ambito del quale è
stata emessa la prima ordinanza.
In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza

n. 21957 del 22/03/2005

Rv. 231058. “Quando nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze cautelari per fatti
diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, opera la retrodatazione prevista
dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. anche rispetto ai fatti oggetto di un “diverso”
procedimento, se questi erano desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio per il fatto o i fatti
oggetto della prima ordinanza (nell’affermare tale principio, la Corte ha precisato che quello
previsto dalla citata norma è l’unico caso in cui opera la regola della retrodatazione per fatti oggetto
di procedimenti diversi. (v.. anche Sez. 6, n. 50128 del 21/11/2013 Rv. 258500)
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legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologica, la retrodatazione della

Conclusivamente, secondo l’elaborazione giurisprudenziale dell’ art. 297 co 3 c.p.p, possono
essere enucleate tre distinte ipotesi di retrodatazione dei termini di custodia cautelare.
1) quella delle ordinanze cautelari emesse nello “stesso procedimento” per lo stesso fatto
(diversamente circostanziato o qualificato) o per fatti legati da “connessione qualificata” (nei
termini sopra evidenziati), fattispecie – questa – in cui la retrodatazione opera “automaticamente”,
ossia senza necessità di verificare la possibilità di desumere dagli atti, al momento della emissione

ordinanza successiva (art. 297 c.p.p., comma 3 prima parte) delle ordinanze cautelari emesse in
“procedimenti diversi” per fatti legati da “connessione qualificata”, in cui la retrodatazione opera
solo per i fatti “desumibili dagli atti” prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata
emessa la prima ordinanza cautelare (art. 297 c.p.p., comma 3, seconda parte);
3) Vi è poi una terza ipotesi non prevista espressamente dall’art. 297 co 3 c.p.p ma frutto
dell’esegesi giurisprudenziale, che ricorre allorchè vengano emesse più ordinanze cautelari nello
stesso procedimento ma per fatti non connessi ai sensi dell’art. 12 co 1 lett a) e ); in tal caso la
retrodatazione opera solo se, al momento dell’emissione della prima ordinanza, esistevano elementi
idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza.
In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite “nel caso di emissione nello stesso procedimento di
più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura cautelare per lo
stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale,
da continuazione o da connessione teleologica, commessi anteriormente all’emissione della prima
ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze
successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti,
al momento dell’emissione della prima ordinanza, l’esistenza degli elementi idonei a giustificare le
successive misure (art. 297, comma terzo, prima parte cod. proc. pen.). Nel caso in cui le ordinanze
cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la
connessione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen., la retrodatazione opera solo se al
momento dell’emissione della prima esistevano elementi idonei a giustificare le misure applicate
con le ordinanze successive.
(sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006 Cc. rv. 235911).
Requisito comune alla seconda e alla terza delle ipotesi appena esaminate è il carattere “non
automatico” della retrodatazione e la necessità, per il giudice dinanzi al quale essa è invocata, di
verificare la “desumibilità”, dagli atti del procedimento precedente, dei fatti posti ad oggetto della
ordinanza custodiale successiva.

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della precedente ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare la misura adottata con la

Ai fini della individuazione dell’ipotesi, fra quelle contemplate dall’art. 297 co terzo c.p.p., nella
quale è sussumibile il caso di specie, si rileva che nei confronti del Cadeddu, nell’ambito di attività
di indagine che lo vedeva coinvolto in un rilevante traffico di stupefacenti importati dalla Spagna,
sono state emesse due ordinanze cautelari; la prima in data 2.8.013 in conseguenza dell’arresto in
flagranza effettuato il 30.7.013 per concorso nella detenzione di kg 111 di hashish importati dalla
Spagna, reato per il quale è stato giudicato con sentenza di applicazione della pena emessa passata

stupefacenti e per diversi reati fine.
Le due ordinanze, pur traendo origine dalla stessa attività investigativa, sono state emesse dunque
in procedimenti penali distinti: il primo, già definito con sentenza passata in giudicato, avente ad
oggetto il solo episodio di trasporto e detenzione di kg 111 di hashish, il secondo avente ad oggetto
il reato associativo di cui all’art. 74 d.p.r. 309/90, ovvero la partecipazione del Cadeddu ad un
sodalizio criminoso, di cui egli era il promotore ed organizzatore, finalizzato alla commissione di
reati in materia di stupefacenti e la commissione dei reati di detenzione e spaccio di sostanze
stupefacenti.
Come correttamente osservato dai giudici del riesame, ricorre quindi l’ipotesi, prevista dalla
seconda parte dell’art. 297 co 3 c.p.p.„ di ordinanze custodiali emesse nell’ambito di procedimenti
diversi e per fatti diversi.
Secondo la previsione dell’art. 297 co 3 seconda parte c.p.p.„ nella quale è sussumibile la
fattispecie, la retrodatazione dei termini di custodia cautelare opera in presenza di due condizioni:
1) la sussistenza di una connessione qualificata fra i diversi fatti oggetto delle due distinte
ordinanze restrittive, 2) la “desumibili dagli atti” prima del rinvio a giudizio nel procedimento in
cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare del fatto oggetto dell’ordinanza successiva.
Quanto al primo requisito, ad avviso di questo Collegio fra il reato di detenzione illecita di gr. 111
di hashish cui si riferisce la prima ordinanza cautelare e il reato associativo ex art. 74 d.p.r. 309/90,
cui si riferisce la seconda misura custodiale, non sussiste la connessione ex art. 12 co 1 lett b) e c)
c.p.p..richiesta ai fini della retrodatazione dei termini di custodia cautelare, né sotto il profilo della
identità del disegno criminoso occorrente per il riconoscimento della continuazione, né sotto il
profilo del vincolo teleologico.
Per quel che concerne la continuazione, essa non è ravvisabile fra il delitto associativo e i reati fine
se non in casi particolari.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, al
pari delle altre fattispecie associative, è identificabile in un accordo destinato a costituire una
struttura permanente in cui i singoli associati divengono , ciascuno nell’ambito dei compiti assunti o
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in giudicato; la seconda emessa il 3.11.2015 per il delitto di associazione finalizzata al traffico di

affidati, parti di un tutto finalizzato a commettere una serie indeterminata di delitti preordinati alla
cessione o al traffico di stupefacenti.
La genericità ed indeterminatezza che normalmente connota il

programma delittuoso

dell’associazione al momento della sua costituzione, programma delineato solo nelle linee
essenziali, esclude che possa ravvisarsi la identità del disegno criminoso fra il delitto associativo e i
reati fine; ciò proprio perché essi non sono sin dall’inizio specificamente ideati e singolarmente

di volta in volta ideati e deliberati, con la conseguenza che essi non possono essere ricollegati al
medesimo processo mentale che ha dato luogo alla costituzione dell’associazione criminosa.
La Corte Suprema, proprio con riferimento al problema della retrodatazione dei termini di custodia
cautelare in presenza di distinte ordinanze che riguardano il reato associativo e i reati fine, ha
escluso l’esistenza di una connessione qualificata sotto il profilo della continuazione affermando
che “agli effetti di quanto previsto dall’art. 297 co 3 c.p.p., fra reato associativo e singoli reati-fine
non è ravvisatile un vincolo rilevante ai fini della continuazione e meno ancora della connessione
teleologica, posto che, normalmente, al momento della costituzione della associazione, i reati-fine
sono previsti solo in via generica. Tale vincolo potrà ritenersi sussistente soltanto nella eccezionale
ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dalla adesione ad esso, un
determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o
più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi (Fattispecie in tema di associazione
di stampo mafioso in ordine alla quale si deduceva, agli effetti cautelari, una sorta di presunzione di
continuazione rispetto ai reati fine)” (Cass., Sez. 1, n. 6530 del 18/12/1998 Rv. 212348;
Cass., Sez. 1, n. 16573 del 21/03/2003 Rv. 224002).
Venendo al caso in esame, si osserva che non sono emersi, né sono stati dedotti dalla difesa, su
cui incombe l’onere probatorio, elementi da cui poter desumere che, il reato associativo e i reati
fine fossero stati commessi in esecuzione di un unico originario disegno criminoso, ragione per cui

individuati nel programma della consorteria criminosa e decisi nella loro esecuzione, ma vengono

si deve concludere, in conformità al principio affermato da questa Corte suprema – cui il
Collegio aderisce, per la insussistenza della continuazione.
E comunque, anche a voler accedere ad una diversa valutazione circa la sussistenza della
continuazione fra il reato di detenzione di stupefacente di cui alla prima ordinanza custodiale e il
reato associativo oggetto della seconda, la retrodatazione deve essere comunque esclusa non
ricorrendo il requisito della “desumibilità dagli atti” dei fatti oggetto della seconda ordinanza, nei
termini sopra illustrati.
Ai fini dell’esatta comprensione di tale requisito, occorre soffermarsi sulla finalità dell’istituto della
retrodatazione dei termini di custodia cautelare che è quella di evitare un uso arbitrario ed
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ingiustificato della custodia cautelare tutte le volte che l’autorità giudiziaria procedente, pur
essendo in possesso di tutti gli elementi per contestare più reati con un’unica ordinanza custodiale,
emetta una prima ordinanza per contestare solo alcuni fatti di reato e ritardi la contestazione degli
altri ad una ordinanza successiva, eludendo così la rigorosa predeterminazione legislativa della
durata della custodia cautelare (è questa la ragione per cui il termine di durata della custodia
cautelare relativo alla seconda ordinanza viene fatto decorrere dall’esecuzione della prima).

di custodia cautelare alla data di emissione della prima ordinanza, occorre verificare se l’autorità
inquirente disponesse sin dal momento della adozione della prima misura custodiale di tutti gli
elementi necessari per contestare il fatto-reato di cui alla seconda ordinanza cautelare, sotto il
profilo della sussistenza dei presupposti di applicabilità delle misure cautelari personali di cui agli
art. 273 c.p.p. (gravi indizi di colpevolezza) e 274 c.p.p. (esigenze cautelari) (Sez. 6, n. 11807 del
11/02/2013 Rv. 255721).
Sul punto, questa Corte ha già affermato che la nozione di anteriore “desumibilità” delle fonti
indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima
ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” di
determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di
cui all’art. 297 c.p.p., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un
determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fattoreato che abbiano in sè una specifica “significanza processuale”: ciò che si verifica allorquando il
pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro indiziario
sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini), tale da
consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle
fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta
ed all’adozione di una misura cautelare ( Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012 Rv. 253509; in senso
conforme, Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013 Rv. 255722; Sez. 1, n. 8839 del 08/01/2010 Rv.
246380).
La pronunce in materia della Corte Suprema hanno chiarito che il concetto di “desumibilità dagli
atti” non deve avere ad oggetto la conoscenza o conoscibilità del fatto storico integrante un reato,
occorrendo invece, perché si realizzi, la conoscenza da parte dell’autorità inquirente della
sussistenza, nel procedimento nell’ambito del quale è stata emessa la prima ordinanza custodiale,
delle condizioni per emettere, nei confronti dell’indagato, la misura anche per l’altro fatto oggetto
della ordinanza successiva. La “desumibilità dagli atti” è integrata dalla conoscibilità della
sussistenza dei presupposti di gravità indiziaria e cautelari che devono presiedere all’applicazione
7

Proprio al fine di scongiurare una simile inconveniente, provvedendo alla anticipazione dei termini

delle misure cautelari e non richiede necessariamente la conoscenza del fatto-reato ( sez 2,
28.1.15 n. 6474, rv 262577).
Occorre quindi che il PM procedente disponga di un quadro indiziario già delineatosi al momento
dell’emissione della prima ordinanza, che lo ponga nelle condizioni di esprimere un giudizio di
pregnanza indiziaria degli elementi emersi a carico dell’indagato tale da giustificare sin da allora
l’emissione della ordinanza cautelare anche per altre contestazioni a suo carico.

chiamato a verificare l’applicabilità dell’art. 297 c.p.p., comma 3 c.p.p. senza compiere
apprezzamenti discrezionali, che sostituirebbero tale giudice a quello in precedenza competente a
decidere l’adozione delle misure cautelari. In definitiva, “desumibilità dagli atti” significa che gli
elementi di prova posti a base dell’ordinanza custodiale successiva erano presenti, nella loro
interezza non essendo sufficiente che ve ne fossero solo alcuni, in seno al procedimento
nell’ambito del quale è stata emessa la ordinanza custodiale precedente, ( Sez 28.1.15 n. 6474) .
Occorre tuttavia precisare con non sempre la presenza nel procedimento nel quale è stata emessa
la prima ordinanza degli elementi sui quali si fonda la seconda, è di per sé sufficiente ad integrare il
requisito in esame.
Le Sezioni Unite sono intervenute sull’argomento affermando che “non giustifica di per sè la
retrodatazione, perché non è di per sè indicativo di una scelta indebita, il fatto che l’ordinanza,
emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già presenti nel primo, perché in molti casi
gli elementi probatori non manifestano immediatamente e in modo evidente il loro significato: essi
spesso devono essere interpretati, specie quando si tratta, come di frequente accade, di colloqui
intercettati e avvenuti in modo criptico. Perciò il solo fatto che essi fossero già in possesso degli
organi delle indagini non dimostra che questi avessero già contezza della loro portata probatoria e
fossero venuti a conoscenza delle notizie di reato per le quali si è proceduto, in un secondo
momento, separatamente. A volte, infatti, la presa di conoscenza e la elaborazione degli elementi
probatori da parte dell’autorità inquirente richiede tempi non brevi, che danno ragione
dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione della fonte di prova e l’inizio del procedimento
penale.
Ne deriva che, nel caso di indagini delegate alla polizia giudiziaria, la desumibilità degli atti va
correlata – di norma – al deposito della “informativa finale”, la quale, compendiando l’esito delle
varie attività investigative compiute, consente di valutare nel loro complesso – e con una lettura
unitaria – tutti gli elementi di prova acquisiti, ai fini della decisione in ordine alla sussistenza delle
condizioni per adottare la misura cautelare; salvo il caso in cui l’informativa finale sia meramente
reiterativa – anche sul piano della lettura unitaria dei vari elementi di prova – di precedenti
8

Si è anche affermato che la “desumibilità dagli atti” deve potersi ricavare ictu oculi dal giudice

annotazioni di P.G., già depositate in atti nel corso delle indagini, e non presenti elementi di
novità rispetto

a

queste. (in motivazione

sez. 2, Sentenza n. 6374 del 28/01/2015,

rv. 262577)
Venendo al caso in esame, ritiene il Collegio che, in conformità ai principi di diritto richiamati, il
Tribunale abbia correttamente escluso il requisito della “desumibilità dagli atti”.
A tale proposito vanno esaminati gli atti investigativi esistenti al momento di emissione della prima

prima ordinanza custodiale, dalle successive annotazioni di PG e dai decreti autorizzativi di
intercettazioni potessero già desumersi tutti gli elementi inerenti la gravità indiziaria e le esigenze
cautelari in ordine al reato associativo e ad agli altri reati-fine oggetto della seconda ordinanze;
oppure se solo nella informativa finale, redatta dopo l’emissione della prima ordinanza, si sia
delineato un quadro idoneo, sotto il profilo della gravità indiziaria, a giustificare l’emissione di una
nuova ordinanza per fatti in relazione ai quali, al momento della prima ordinanza, non vi erano i
requisiti di cui art. 273, 274 c.p.p.
Orbene, è vero che al momento del primo arresto del Cadeddu erano già in corso da qualche mese,
come emerge dalla relativa CNR, indagini anche in ordine al reato associativo, che i decreti delle
intercettazioni effettuate nel luglio 2013, in epoca antecedente l’emissione, in data 2.8.013, della
prima ordinanza applicativa della misura custodiale sono stati emessi per il reato ex art. 74 d.p.r.
309/90, quindi già al momento della applicazione del provvedimento restrittivo, le intercettazioni
era state almeno in parte effettuate.
Tuttavia, come rilevato dai giudici del riesame, solo nell’informativa finale sono compendiati tutti
gli elementi sui quali è basata l’ipotesi accusatoria sia in ordine ai reati fine diversi da quelli per i
quali Cadeddu è stato già giudicato, sia in ordine al reato associativo, e tale informativa è stata
depositata nel marzo 2014, sette mesi dopo l’applicazione della prima misura cautelare.
Prima di quella data non sono state depositate annotazioni di P.G. contenenti gli stessi elementi
sviluppati nella informativa finale del marzo 2014. In particolare i giudici del riesame hanno
rilevato che la CNR del 31.7.013, avente ad oggetto la denuncia in stato di arresto del Cadeddu e di
altri, contiene atti, quali verbali di perquisizione e sequestro relativi al solo episodio di detenzione
illecita di stupefacente, e, nel verbale di arresto, pur dandosi atto della più vasta indagine in corso
per il reato associativo, sono riportati e trascritti brani e non le conversazioni per esteso delle
intercettazioni telefoniche e ambientali, risalenti a non più di dodici giorni prima e riguardanti solo
l’episodio di traffico di stupefacente del 30.7.013 che aveva condotto all’arresto del Cadeddu,
senza alcuna esplicitazione di elementi idonei ad integrare l’ipotesi del reato associativo e dei reati
fine commessi in epoca antecedente, in relazione ai quali era stata applicata la nuova misura
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ordinanza, al fine di verificare se dal verbale di arresto in flagranza 31.7.013 che ha dato luogo alla

cautelare. Solo con le annotazioni del 4,12,15 novembre del 2013 era stata trasmessa al P.M.
procedente una prima incompleta ricostruzione dei rapporti fra alcuni associati e le prime
trascrizioni (peraltro effettuate a partire dal settembre del 2013) delle conversazioni intercettate
comprese quelle del Cadeddu.
Alla stregua di tali emergenze, si deve ritenere, conformemente a quanto argomentato dai giudici
del riesame, che il pubblico ministero procedente non disponesse, al momento dell’emissione della

valutazione della concludenza e gravità delle fonti indiziarie che potessero giustificare la richiesta
di misura cautelare anche per gli altri reati, panorama che è stato tracciato in modo completo solo
con l’informativa finale, depositata, come già detto diversi mesi dopo, l’emissione del primo
provvedimento restrittivo.
Va inoltre rammentato che, secondo costante giurisprudenza, è onere della parte che invoca
l’applicazione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare fornire la
prova che, dagli atti del procedimento in seno al quale è stata emessa la ordinanza custodiale
precedente, erano desumibili tutti gli elementi probatori posti a base dell’ordinanza successiva (cfr.
Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013 Rv. 257827) ; in particolare incombe sulla parte che
invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, provare la desumibilità
dagli atti del primo procedimento del fatto di reato oggetto dell’ordinanza successiva con la

dimostrazione del

deposito, all’interno del procedimento nel quale è stata emessa la prima

ordinanza e al momento di emissione della stessa, dell’informativa finale della polizia giudiziaria,
contenente il compendio dei risultati investigativi, ovvero di note di P.G., rispetto alle quali la
successiva informativa finale non presenti elementi di novità
(Sez. 2, Sentenza n. 6374 del 28/01/2015 Cc. Rv. 2625779)

Orbene, la difesa non ha fornito allegazioni soddisfacenti in merito, limitandosi solo a richiamare i
generici riferimenti, contenuti nel verbale di arresto e nei decreti di intercettazione, alla pendenza
di più vaste indagini riguardanti il reato associativo, i quali non sono certo idonei a soddisfare
quella esigenza di completezza del panorama indiziario in presenza della quale soltanto poteva
giustificarsi l’emissione del provvedimento restrittivo anche per il reati di cui all’art. 74 dpr
309/90 e per i reato fine.
Il ricorso deve quindi essere rigettato
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

10

prima ordinanza custodiale, di una quadro indiziario chiaro ed esauriente tale da consentirgli una

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pa gamento delle spese processuali. La Corte dispone
inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario
competente perché provveda a quanto stabilito dall’alt. 94 co 1 ter disp. att c.p..p.

Così deciso in camera di consiglio il 16.2.016

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