Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29630 del 21/06/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29630 Anno 2016
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
MELONI Salvatore, nato a Ittiri (SS) il 04/05/1943
avverso la sentenza n.1111/15 del 24/09/2015, della Corte di Appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Giulio Romano, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

Data Udienza: 21/06/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n.1111/15 del 24/09/2015, la Corte di Appello di
Cagliari confermava la sentenza del Tribunale di Oristano del 21 novembre 2014
con la quale Meloni Salvatore era stato condannato alla pena di anni uno e mesi
otto di reclusione ed C 800,00 di multa in relazione al reato di cui all’art. 95 DPR
n.115/2002 per aver dichiarato falsamente nell’istanza di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato, che il proprio reddito imponibile complessivo era

beneficio.

2. Avverso tale sentenza di appello, propone ricorso per cassazione
Meloni Salvatore, a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il
disposto di cui all’art.173, comma 1, disp. att. c.p.p.):
I) Violazione dell’art. 6 Costituzione, art. 2 Legge 15 dicembre 1999
n. 482 recante “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”,
in combinato con la delibera n. 9 adottata dal Consiglio Provinciale di Oristano il
2.2.2001, ed alla luce della sentenza n. 3815/2015 della IV Sezione Penale della
Cassazione. Deduce difetto di motivazione della Corte d’Appello che ha respinto
il motivo di impugnazione afferente la violazione del diritto dell’imputato ad
essere esaminato nella propria lingua madre ed alla traduzione degli atti nella
lingua di appartenenza;
II)

Violazione e falsa applicazione dell’art. 95 DPR n. 115/2002 in

relazione all’art. 606, comma 2 lett. b) c.p.p. Deduce che la

presunzione che

gli introiti accertati dalla G.di F. fossero da ricondurre al Meloni Salvatore quale
persona fisica e che quindi entrassero a costituire il suo reddito personale,
non è mai stata superata, dal momento che non è stata offerta la prova
di tale circostanza essenziale al fine del riconoscimento della sussistenza del
reato in capo all’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Va premesso che questa Corte si è già pronunciata su analoghi
ricorsi del Meloni pervenendo a decisioni di rigetto (cfr. sentenze Sez. 4, nn.
51812 e 53100 del 2014 e n. 3815 del 2015), sul presupposto che lo stesso non
aveva materialmente allegato la deliberazione del Consiglio provinciale di
Oristano del 02/02/2001, espressamente menzionata nei ricorsi proposti in
questa sede, al fine di verificare l’effettiva (e valida) inclusione del comune di

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pari a zero, con l’aggravante della recidiva e di aver ottenuto l’ammissione al

Terralba nell’ambito territoriale interessato dalle prerogative di tutela di cui alla
L. 482/1999. Allegazione, peraltro, mancata anche nella sede di legittimità, in
palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso, ai sensi del quale
deve disattendersi il ricorso per cassazione il quale, pur richiamando atti
specificamente indicati ritenuti indispensabili al fine del controllo della fondatezza
dell’impugnazione proposta, non ne contenga la loro integrale trascrizione o
allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle
relative doglianze (cfr.

ex plurimis, sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv.

3.1. Va ribadito che, ai sensi della L. n. 482 del 1999, art. 2, in
attuazione dell’art. 6 Cost. -e in armonia con i principi generali stabiliti dagli
organismi europei e internazionali- la Repubblica tutela, tra le altre, la lingua e la
cultura delle popolazioni parlanti il sardo (art. 2 cit.). Con particolare riguardo ai
rapporti con l’autorità giudiziaria, la legge n. 482/99 prevede, all’art. 9, comma
3, che nei procedimenti davanti al giudice di pace è consentito l’uso della lingua
ammessa a tutela, restando ferme le disposizioni di cui all’art. 109 c.p.p.. Tale
ultimo articolo, in particolare, prevede che, davanti all’autorità giudiziaria avente
competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una
minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa
minoranza “è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il
relativo verbale redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli
atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta”. Le
disposizioni di tale articolo sono osservate a pena di nullità (art. 109 cit.).
3.2. Si osservi, inoltre, che, nell’intervenire sulla valutazione della
legittimità costituzionale della L. 689/1981, artt. 22 e 23, in relazione all’art.
122 c.p.c., la Corte costituzionale ha sottolineato come la lingua propria di
ciascun gruppo etnico rappresenta un connotato essenziale della nozione
costituzionale di minoranza etnica, al punto da indurre il costituente a definire
quest’ultima quale minoranza linguistica. Come elemento fondamentale
d’identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori e,
quindi, di garanzia dell’esistenza della continuità del patrimonio spirituale
proprio di ciascuna minoranza etnica, il diritto all’uso della lingua materna
dell’ambito della comunità di appartenenza è un aspetto essenziale della tutela
costituzionale delle minoranze etniche, che si collega ai principi supremi della
costituzione: al principio pluralistico riconosciuto dall’art. 2, al principio di
eguaglianza di fronte alla legge, garantito dall’art. 3, comma 1, al principio di
giustizia sociale e di pieno sviluppo della personalità umana nella vita
comunitaria, assicurato dall’art. 3 Cost., comma 2, (Corte Cost. sent. n.
62/92). Sulla base di tali premesse, il giudice delle leggi ha evidenziato come

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256723).

non può esservi dubbio che la tutela di una minoranza linguistica riconosciuta si
realizza pienamente, sotto il profilo dell’uso della lingua materna da parte di
ciascun appartenente a tale minoranza, quando si consenta a queste persone,
nell’ambito del territorio di insediamento della minoranza cui appartengono, di
non essere costrette ad adoperare una lingua diversa da quella materna nei
rapporti con le autorità pubbliche.
3.3. Questa affermazione assume un valore particolare in riferimento
all’uso della lingua materna di fronte all’autorità giudiziaria, poiché in tali

garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della difesa e, più precisamente, con
il diritto a un regolare processo. Interferenza, occorre sottolineare, non
coincidenza o sovrapposizione con la tutela comportata dal riconoscimento dei
diritti della difesa, poiché, mentre quest’ultima è finalizzata, per il profilo ora
rilevante, all’adeguata comprensione degli aspetti processuali e suppone che
questa possa mancare quando l’interessato non abbia in concreto una perfetta
conoscenza della lingua ufficiale del processo (come, ad esempio, nel caso dello
straniero), al contrario la garanzia dell’uso della lingua materna a favore
dell’appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta è, in ogni caso, la
conseguenza di una speciale protezione costituzionale accordata al patrimonio
culturale di un particolare gruppo etnico e, pertanto, prescinde dalla circostanza
concreta che l’appartenente alla minoranza stessa conosca o meno la lingua
ufficiale (Corte Cost. sent. n. 62/92, cit.).
3.4. Il diritto all’uso della lingua materna da parte degli appartenenti
a minoranze linguistiche nei loro rapporti con le autorità giudiziarie locali,
dunque, secondo la coerente argomentazione della Corte costituzionale, ha una
generale copertura costituzionale nell’art. 6 della Costituzione, a sua volta
idoneo a fondare pretese soggettive effettive e azionabili nella misura in cui
siano state adottate adeguate norme di attuazione e siano state predisposte
le necessarie strutture organizzative istituzionali. Sotto quest’ultimo profilo,
tuttavia, non è indispensabile l’emanazione di norme di attuazione specifiche,
essendo sufficiente la sussistenza di istituti o strutture organizzative di generale
applicazione che possono essere utilizzati anche al fine di rendere effettivo e
concretamente fruibile il diritto garantito in via di principio dalla costituzione.
Alla stregua di tali argomentazioni, il giudice delle leggi, ha dichiarato la
illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, in combinato
disposto con l’art. 122 c.p.c., nella parte in cui non consentono, ai cittadini
appartenenti ad una minoranza linguistica (nel caso di specie, quella slovena) nel
processo dì opposizione a ordinanze- ingiunzioni applicative di sanzioni
amministrative davanti al giudice avente competenza sul territorio dov’è

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rapporti ricorre in ogni caso un’indubbia interferenze di questa tutela con la

insediata la predetta minoranza, di usare, su loro richiesta, la lingua materna nei
propri atti, nonché di ricevere tradotti nella propria lingua gli atti dell’autorità
giudiziaria e le risposte della controparte.
3.5. Il complesso degli elementi di natura normativa d’indole
costituzionale e legislativa, riguardati anche alla luce delle argomentazioni della
giurisprudenza costituzionale appena richiamate, induce dunque questa Corte di
cassazione a ritenere sussistente il principio, avente portata interpretativa di
carattere necessariamente generale, secondo cui il cittadino italiano

procedimento pubblico cui lo stesso sia interessato (sia esso di natura
amministrativa o giudiziaria, penale o civile), ha il diritto di essere interrogato
o esaminato nella madrelingua e di veder redigere in tale lingua il relativo
verbale. Ha altresì il diritto di ricevere tradotti nella predetta lingua, a pena di
nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla
corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all’autorità investita del
procedimento (v., nel senso della necessità della previa richiesta dell’interessato
quale strumento condizionante della tutela accordata, la L. n. 482 del 1999, art.
9, comma 3, l’art. 109 c.p.p. e la sentenza n. 62/1992 della Corte
costituzionale, ed altresì la recente pronuncia di Cass., Sez. 1, sentenza del
17/1/2014 n. 12974/14, Princic).
3.6. Peraltro, al fine di determinare l’ambito territoriale di
applicazione delle disposizioni a tutela delle minoranze linguistiche storiche, la L.
n. 482 del 1999, art. 3, prevede l’instaurazione di un complesso procedimento
amministrativo destinato a sfociare in un provvedimento del consiglio provinciale
territorialmente competente; in particolare, detto consiglio, su richiesta

“di

almeno il quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti
nei comuni stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi
comuni”, provvede a delimitare detto ambito territoriale,

“sentiti i comuni

interessati”. Là dove non sussista alcuna delle due condizioni indicate (ossia,
l’esistenza del quindici per cento dei cittadini o un terzo dei consiglieri comunali),
e qualora sul territorio comunale insista comunque una minoranza linguistica
ricompresa nell’elenco di cui all’art. 2 della medesima legge, il procedimento
amministrativo inizia

“qualora si pronunci favorevolmente la popolazione

residente, attraverso apposita consultazione promossa dai soggetti aventi titolo e
con le modalità previste dai rispettivi statuti e regolamenti comunali”.

Quando,

infine, le minoranze linguistiche di cui all’art. 2 cit. si trovano distribuite su
territori provinciali o regionali diversi,

“esse possono costituire organismi di

coordinamento e di proposta, che gli enti locali interessati hanno facoltà di
riconoscere” (L. n. 482 del 1999, art. 3, cit.).

appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta, nell’ambito di ogni

3.7. Occorre pertanto ritenere che, al fine di rivendicare il diritto
all’applicazione delle disposizioni dettate a tutela delle minoranze linguistiche
storiche, il richiedente abbia a fornire la prova (oltre all’appartenenza della
lingua dallo stesso parlata a quelle ammesse a tutela) della formale inclusione
del territorio in cui lo stesso risiede tra quelli espressamente individuati nei
provvedimenti amministrativi provinciali o comunali di cui al sopra indicato
art. 3: prova da fornire mediante l’allegazione in giudizio del corrispondente
provvedimento, attesa l’estraneità di quest’ultimo (destinato alla realizzazione di

(generale e astratta), la cui conoscenza deve ritenersi presunta dal giudice, in
forza del generale principio “iura novit curia”.

4. Nel caso di specie il ricorrente ha a ciò provveduto, allegando la
deliberazione n. 9 adottata dal Consiglio Provinciale di Oristano nella seduta del
2 febbraio 2001.

5. Condividendosi pienamente le argomentazioni di cui ai precedenti
di questa stessa Corte citati, ritenuti assorbiti i residui motivi di ricorso, si
impone l’annullamento dell’impugnato provvedimento con rinvio alla Corte di
Appello di Cagliari.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte
di Appello di Cagliari.

Così deciso il 21/06/2016

interessi d’indole particolare e concreta) all’ambito degli atti a valenza normativa

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