Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29627 del 21/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 29627 Anno 2016
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA – PEZZELLA VINCENZO .

SENTENZA

sui ricorsi proposto dagli imputati
1. SILVA CARLO N. IL 28/08/1946
2. GUAGNOZZI GIOVANNI N. IL 22/06/1953
3. CASTELLANI FRANCO N. IL 26/05/1946
4. MARCHESELLI PIETRO PAOLO N. IL 01/10/1957
5. MICCOLI ROBERTO N. IL 02/07/1948
6. FRULLONI GIULIO N. IL 28/02/1944
7. PISCITELLI VALERIO N. IL 05/12/1952
8. LONGO MICHELE N. IL 26/10/1963
9. BALEST CRISTIANO N. IL 14/11/1963
10. SOCCOL GIOVANNI N. IL 16/12/1942
11. POLIDORI GIOVANNI N. IL 01/01/1942
12. GERI PAOLO N. IL 29/06/1952
13. TRIPPI ALDO N. IL 21/06/1951
14. OTTAVIANI LANCIOTTO N. IL 04/03/1946
15. MEUCCI FRANCESCO N. IL 12/03/1942
16. NOFERI MARCO N. IL 27/11/1952
17. GIORA ALDO PAOLO N. IL 30/07/1943
18. SEMERARO PAOLO N. IL 16/02/1953

3.

Data Udienza: 21/04/2016

19. GATTI GABRIELE N. IL 27/08/1951
20. RUBEGNI ALBERTO N. IL 15/03/1951
e dal responsabile civile
21. CONSORZIO CAVET in persona del I.r.p.t.

avverso la sentenza n.
5076/2013, CORTE APPELLO di FIRENZE, del 21/03/2014

VINCENZO PEZZELLA all’udienza del 18 marzo 2016;

• sentite le conclusioni del PG Dott. PASQUALE FIMIANI, che all’udienza del 18
marzo 2016 ha chiesto:
1. Quanto ai reati in materia di rifiuti:
1.1 previa rettifica del dispositivo della sentenza di questa Corte n. 32797 del 2013
nel senso di escludere dall’annullamento con rinvio i reati di cui ai capi 95-bis ed
HH, annullamento senza rinvio quanto ai reati di cui a tali capi perché l’azione
penale non poteva essere proseguita per essersi formato il giudicato sulla
estinzione per prescrizione, con revoca delle relative statuizioni civili;
1.2. annullamento senza rinvio quanto ai reati di cui ai capi M ed 81 per essere gli
stessi estinti per prescrizione prima della sentenza di primo grado, con revoca
delle relative statuizioni civili;
1.3. inammissibilità dei ricorsi relativi ai capi 14-bis e VV, con rinvio quanto al
trattamento sanzionatorio;
2. Quanto ai reati di omessa bonifica:
2.1. per Rubegni: annullamento senza rinvio perché l’azione penale non poteva
essere proseguita per essersi formato il giudicato sulla estinzione per prescrizione
in ordine ai fatti commessi anteriormente al 28/9/2001 e sulla assoluzione per non
avere commesso il fatto in ordine alle condotte successive a tale data; 2.2. quanto
agli altri imputati condannati, previa rettifica del dispositivo della sentenza
impugnata nel senso di includere la condanna di Miccoli, Frulloni, Piscitelli, Longo
anche per il reato di cui al capo 74: annullamento senza rinvio per essere i reati
rispettivamente ascritti estinti per prescrizione e con rinvio ai fini civili, con
estensione della pronuncia, ai sensi dell’art. 587 c.p.p., a Padelli Aranci e Sassetti,
non ricorrenti;
3. Quanto ai reati di organizzazione di traffico illecito di rifiuti:
annullamento con rinvio quanto a Silva, Castellani e Marcheselli per i reati di cui
ai capi 95, QQ, 38A e 40A
e quanto a Geri e Trippi per i reati di cui ai capi 95, QQ;

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• sentite la relazioni svolte dai consiglieri Dott.ssa PATRIZIA PICCIALLI e Dott.

4. Rigetto nel resto.

• Uditi per le parti civili
All’udienza del 18.3.2016:
– L’Avv. Roberto Spoldi per la Provincia di Terni il quale conclude per la conferma
dell’impugnata sentenza e deposita conclusioni e nota spese.
– L’Avv. Riccardo Venturi per la Provincia di Ferrara ed il Comune di Comune di
Codigoro il quale conclude per il rigetto di tutti i ricorsi e deposita conclusioni

– L’Avv. Riccardo Venturi, quale sostituto processuale dell’Avv. Letizia Luciani, per
l’Associazione Idra il quale conclude per il rigetto di tutti i ricorsi e deposita
conclusioni scritte e nota spese;
– L’Avv. Riccardo Venturi, quale sostituto processuale dell’Avv. Letizia Luciani, a
sua volta nominata sostituto processuale dell’avv. Marco Rossi per LEGAMBIENTE
TOSCANA ONLUS il quale conclude per il rigetto di tutti i ricorsi e deposita
conclusioni scritte e nota spese;

L’Avv. Riccardo Venturi, quale sostituto processuale dell’Avv. Francesco

Bevacqua per la Regione Toscana, il Comune di Borgo San Lorenzo, il Comune di
Fiorenzuola, il Comune di Scarperia e San Piero a Sieve e il Comune di Vaglia il
quale conclude per il rigetto di tutti i ricorsi e deposita conclusioni scritte e nota
spese.
All’udienza del 14.4.2016
– L’Avv. Antonio Volpe per il Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del
Mare che conclude per il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni scritte.
– L’Avv. Marco Rossi quale sostituto processuale dell’Avv. Riccardo Venturi per
Legambiente Toscana onlus che chiede il rigetto di tutti i ricorsi e deposita nota
spese e conclusioni scritte.
– L’Avv. Natale Fusani in sostituzione dell’avv. Stefani per il WWF ITALIA che
chiede il rigetto di tutti i ricorsi depositando conclusioni e nota spese.

• Udito per il responsabile civile
All’udienza del 14.4.2016
– L’Avv. Giuseppe Giuffrè per il CONSORZIO CAVET in persona del I.r.p.t. che ha
insistito per l’accoglimento del ricorso.

• Uditi i Difensori.
All’udienza del 14.4.2016
– Avv. Alfonso Stile per Rubegni; Avv, Paolo Costantini per Gatti; Avv. Antonio
Davirro per Silva; Avv. Giuseppe Zanalda per Marcheselli, Castellani, Frulloni e

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scritte e nota spese;

Longo; Avv. Giuseppe Giansi per Semeraro; Avv. Antonino Giunta per Meucci,
Noferi e Ottaviani; Avv. Mania di Mattia per Giora; Avv. Filippo Sgubbi per Miccoli
e Guagnozzi ; Avv. Giuseppe De Napoli quale sostituto processuale dell’Avv. Filippo
Dinacci per Guagnozzi e Miccoli; ; Avv. Gilberto Giusti per Geri e Trippi; Avv.
Massimo Zaganelli per Polidori; Avv. Paolo Dell’Anno per Piscitelli, che hanno
concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
All’udienza del 21.4.2015.
– L’Avv. Grazia Volo codifensore di Longo che ha concluso per l’accoglimento del

RITENUTO IN FATTO
1. Il presente processo riguarda fatti e condotte poste in essere durante i lavori
di realizzazione della galleria ferroviaria destinata al trasporto ad Alta
Velocità nella tratta compresa tra Firenze e Bologna, comportanti lo scavo e
la sistemazione di lunghi tratti di galleria e un significativo impatto sull’ambiente.
Trattasi, secondo le contestazioni, di reiterate violazioni in tema di smaltimento e
gestione dei rifiuti generati dai suddetti lavori, elevate ai sensi del d.lgs. 5.2.1997
n. 22 e quindi della parte quarta del d.lgs. 3.4.2006 n. 152 (artt. 177 e ss.). In
particolare viene contestato il reato di gestione di discariche abusive o in violazione
delle prescrizioni relative alla loro gestione, reati connessi allo smaltimento non
autorizzato dei rifiuti (smarino e fanghi), omessa bonifica dei siti, attività
organizzate per il traffico illecito di rifiuti, plurime condotte di danneggiamento,
anche delle acque di falda e, a vario titolo, violazioni di norme a tutela del
paesaggio.
Le contestazioni sono state integrate in corso di dibattimento.
I giudizi hanno visto un vasto arco di contestazioni mosse agli imputati in
esito a numerosi procedimenti che sono stati riuniti o in corso di indagine o in sede
giudiziale fino a dare luogo alle imputazioni che saranno di seguito sintetizzate.
Il processo riguarda le attività compiute dai preposti del Consorzio CAVET per
smaltire: a) la terra scavata dalle gallerie (c.d. “smarino”); b) i fanghi prodotti dai
cantieri dello stesso CAVET; c) i “limi di lavaggio” cioè, la terra derivante dal
lavaggio degli inerti che soggetti terzi hanno fornito a CAVET per la realizzazione
del calcestruzzo e il rivestimento delle gallerie scavate ed utilizzato per ritombare
le cave di loro gestione.

2. Nel corso dei vari gradi di giudizio sin qui espletati venivano separate
plurime posizioni per le quali risultava già maturata la prescrizione e talune relative
a imputati deceduti.

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ricorso.

Le contestazioni mosse agli imputati riguardano i responsabili del consorzio
d’imprese CAVET, i gestori delle cave e dei siti di deposito dei materiali di risulta,
gli intermediari, i trasportatori, i responsabili dei cantieri.
La sentenza emessa il 3/3/2009 dal Tribunale di Firenze, sez. dist. di
Pontassieve, che confermava in gran parte l’impianto accusatorio, veniva
parzialmente riformata dalla sentenza del 27/6/2011 della Corte di Appello di
Firenze nei termini di seguito sintetizzatì attraverso l’esposizione della sentenza di
annullamento, sotto indicata, pronunciata dalla III Sezione Penale di questa Corte

In particolare, come avrà modo di dirsi in seguito, la valutazione divergente
tra il giudice di primo e quello di secondo grado atteneva alla individuazione del

dies a quo della prescrizione del reato di gestione di discarica abusiva.

3. La Terza Sezione Penale di questa Corte di Cassazione, con sentenza
32797/2013, resa all’udienza del

18/3/2013,

la cui motivazione veniva

depositata il 29.7.2013, sui ricorsi del P.G. presso la Corte di Appello di Firenze,
nonché di numerose parti civili ed imputati, così provvedeva:
a) Annullava la sentenza impugnata relativamente:
• al punto 5 del dispositivo, con esclusione della posizione Rubegni, afferente i
reati di gestione abusiva delle discariche, che la Corte territoriale aveva dichiarato
estinti per prescrizione intervenuta prima della sentenza di primo grado;
• al punto 3 del dispositivo, riguardante i reati di omessa bonifica – per i quali la
Corte territoriale aveva pronunciato sentenza di assoluzione con la formula
“perché i fatti non sussistono”.
La pronuncia di annullamento non riguardava i reati contestati ai capi di
imputazione 40, 45, 46, 47, 48, 49 e 77 bis, con il conseguente passaggio in
giudicato della sentenza di assoluzione per gli stessi;
• ai punti 6 ed 8 del dispositivo, afferente il reato di traffico organizzato dei rifiuti,
dai quali gli imputati erano stati assolti con la formula “perché il fatto non
costituisce reato”, con esclusione del reato contestato al capo 39 A;
• alle posizioni Cece (punto 9 del dispositivo) e Geri (punti 3 e 6 del dispositivo),
con riferimento agli effetti civili;
• alla posizione Madotto (punto 11 del dispositivo);
• rinviava ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Rigettava, nel resto, i ricorsi presentati con riferimento ai punti del
dispositivo suddetti, nonché i ricorsi relativi ai restanti punti.

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di legittimità in data 18.3.2013.

Dichiarava inammissibile il ricorso di Trippi Aldo che condannava al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento della somma di Euro
1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Condannava gli imputati – esclusi Rubegni, Cece, Geri e Madotto – ed il
responsabile civile, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado in
favore delle parti civili, ivi indicate.

4. La prima sentenza di legittimità (cfr. in particolare pagg. 78 e ss.) ha

discarica abusiva, in particolare se questa dovesse considerarsi in esercizio
anche nella fase post-operativa (come aveva ritenuto il giudice di primo grado ed
escluso, invece, la pronuncia di appello del 2011).
La “gestione” organizzata di rifiuti che assumevano dimensioni
quantitative, presenza temporale e caratteristiche proprie rilevanti, secondo
l’impostazione di cui alla sentenza 32797/2013, non si esaurisce nella fase di
raccolta, movimentazione e deposito, ma comprende anche le attività di controllo
successive e necessarie per evitare pericoli e offese ai beni protetti.
Tale impostazione sarebbe l’unica coerente coi principi di prudenza e
prevenzione che informano l’intera disciplina e che non potevano consentire al
legislatore di limitare la propria attenzione -e la relativa regolamentazione- alla
sola fase di creazione e ricettività operativa della discarica.
Tali considerazioni imponevano di concludere che l’omissione delle condotte
di controllo e vigilanza successive alla cessazione dei conferimenti non erano
rapportabili a un generico obbligo di eliminare le conseguenze dannose del reato
già perfezionato e in sé esaurito, ma formavano parte costitutiva del reato ex art.
51, comma 3, d.lgs 22/1997, ora 256, comma 3, d.lgs. 152/2006. E se tale
conclusione aveva riguardo al gestore di una discarica autorizzata, non diversa
impostazione era applicabile a chi avesse operato in modo radicalmente abusivo.
L’obbligo di evitare i rischi connessi alla presenza dei rifiuti anche dopo la
cessazione dei conferimenti era obbligo generale, che faceva carico ad ogni
gestore di non omettere le necessarie condotte di vigilanza e di segnalazione, ed
era ricompreso all’interno della fattispecie dell’art.256, comma 3, d.lgs. 152/2006,
attraverso il richiamo al concetto di discarica fissato e disciplinato dagli artt. 2- 13
del d.lgs. 36/2003.
Conclusivamente il giudice di legittimità non condivideva l’impostazione
della Corte di Appello ed esplicitata dalle difese secondo cui, una volta cessati i
conferimenti illegali, in relazione al reato ex art.256, comma 3, d.lgs. 156/2006,
sarebbe cessata la permanenza dell’illecito, con la conseguente applicabilità al
gestore solo degli obblighi e delle sanzioni relativi alla bonifica del sito. Ciò
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affrontato la questione relativa alla permanenza del reato di gestione di

imponeva l’annullamento della prima sentenza di appello nella parte in cui aveva
ritenuto di fissare la cessazione della permanenza del reato ex art.51, comma 3,
d.lgs. n. 22/1997, in coincidenza con l’ultimo conferimento in discarica.
I giudici di legittimità nel 2013 si erano posti, tuttavia, il problema della
individuazione del momento in cui il reato di gestione abusiva di discarica vedesse
cessare la propria permanenza, dovendosi considerare che le imputazioni
precisavano che le condotte illecite non si erano concluse con i sequestri del giugno
2001, ma erano proseguite con conferimenti anche sino al 2006. Peraltro non era

fase di gestione operativa, se e quando le autorità erano venute a conoscenza
delle situazioni di illegalità e dato avvio alle procedure di bonifica; né la sentenza
di primo grado consentiva di comprendere puntualmente se le situazioni illecite si
erano protratte nel corso del giudizio.
La situazione di incertezza su questi profili era resa ancora maggiore dalla
lettura dei capi di imputazione e delle motivazioni delle sentenze di merito con
riferimento alle contestazioni di omessa bonìfica e al rilascio delle liberatorie: ove
si evidenziava che per una parte delle discariche si era dato luogo alle procedure
di bonifica e si era pervenuti al rilascio delle liberatorie, così emergendo che la
complessa vicenda aveva conosciuto forme e momenti diversi di intervento delle
amministrazioni competenti sulle discariche in questione.
Occorreva quindi determinare quando avesse avuto luogo la cessazione
della permanenza dei reati di gestione abusiva di discarica.
La Corte di legittimità, alla luce dei principi generali in tema di reato
permanente, considerava quindi che il cessare della permanenza del reato di cui
all’art.51 c. 3 d.lgs. 22/1997, per la fase post-operativa, si verificava, in primo
luogo, con la cessazione della situazione di antigiuridicità, vuoi mediante la
richiesta e l’otteninnento dell’autorizzazione prevista dalla legge, vuoi mediante la
rimozione dei rifiuti e il superamento dello stato di degrado dell’area, vuoi con
l’avvio delle procedure di bonifica (in ciò ricompresa la rimozione dei rifiuti) in caso
di inquinamento conseguente alla gestione della discarica, posto che tale ultima
condotta ricomprendeva l’avvio di attività volte a rimuovere la situazione di
antigiuridicità legate al deposito/discarica dí rifiuti.
In secondo luogo poteva cessare con il sequestro dell’area; ed infine, in
assenza di alcuna di tali circostanze, doveva considerarsi cessata con la pronuncia
della sentenza di primo grado.

5. A fronte delle puntuali censure mosse dagli appellanti, la Terza Sezione
di questa Corte indicava essere necessario che, per ciascuno dei capi di
imputazione, i giudici del rinvio procedessero a una ricostruzione della situazione

chiaro quali condotte, in concreto, fossero state tenute dopo la conclusione della

di fatto che, invece, non era stata operata nella sentenza impugnata in maniera
da consentire alla Cassazione di provvedere in ordine all’esame dei motivi di
ricorso e alla decisione sull’eventuale estinzione dei reati per prescrizione.
L’impostazione accolta dalla Corte di Appello aveva condotto alla
conclusione che tutti gli illeciti concernenti le discariche abusive si erano prescritti
prima della pronuncia della sentenza di primo grado, per cui quei giudici avevano
ritenuto di non procedere all’esame della effettiva e concreta cessazione
dell’antigiuridicità nella fase post-conferimenti.
Ciò impediva alla Cassazione di valutare se l’ulteriore decorso del tempo
avesse nel frattempo inciso sul maturare del termine prescrizionale che, in ipotesi,
avrebbe potuto coincidere anche con la data della sentenza di primo grado.
A tale conclusione conseguiva che il punto 5 del dispositivo della sentenza
impugnata doveva essere annullato con rinvio al giudice di merito per un nuovo
esame secondo i principi fissati con la decisione.

6. Il tema della prescrizione dei reati di cui all’art. 51 d.lgs. 22/1997 (ora
256 d.lgs. 152/2006) risulta, peraltro, collegato a quello della sussistenza delle
contravvenzioni di omessa bonifica: la Corte di legittimità ha, infatti, sottolineato
nuovamente che “l’avvio delle procedure di bonifica dei siti può in concreto avere
riflessi sulla cessazione del reato di gestione illegale” di essi (v. sentenza pag. 85).
Con riferimento al problema rappresentato dall’applicabilità delle
disposizioni introdotte dal d.lgs.152/2006 – sul presupposto che in tema di bonifica
esse siano più favorevoli di quelle stabilite dal d.lgs. 22/1997, e dunque suscettibili
di efficacia retroattiva ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p. – la Corte di legittimità ha
considerato fisiologico che le procedure si fossero avviate e sviluppate in linea con
il d.lgs. 22/1997 e le altre disposizioni in vigore all’epoca dei fatti; ed ha aggiunto
che, nei casi in cui si fossero positivamente concluse sotto la vigenza del d.lgs.
22/1997 avendo CAVET ottemperato a quanto prescritto, il reato rimaneva
escluso, indipendentemente dal sopravvenire delle diverse regole di cui al d.lgs.

N.

152/2006.
Il tema dell’applicazione di quest’ultimo si poneva, pertanto, solo per i casi
in cui, verificatosi l’inquinamento e avviate le procedure di bonifica sotto la vigenza
del d.lgs. 22/1997, queste fossero proseguite dopo l’introduzione del Testo Unico
ambientale.
La Terza Sezione di questa Corte ha, però, precisato, nella più volte citata
sentenza 32797/2013, che, nelle procedure ancora in corso, gli enti competenti
dovevano attenersi ai nuovi parametri ed alle nuove metodologie e pertanto ogni
decisione, in particolare il rilascio delle liberatorie, doveva essere adottata nel
rispetto del d.lgs.152/2006. Ha quindi chiarito che, nei casi singolarmente ed
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‘\I O

espressamente esaminati dalla Corte di Appello vi era prova positiva della
conclusione delle bonifiche e delle relative certificazioni provinciali, non essendovi
elementi per disattendere il giudizio di non manifesta illegittimità formulato in
merito ad esse; la pronuncía assolutoria perché il fatto non sussiste è stata
pertanto confermata con riferimento ai capi 40 (discarica Rio Cucco), 45 (Prevam
Dune Autostradali), 46 (Prevann di Cari), 47 (Cardetole A), 48 (Cardetole B), 49
(Cardetole C) e 77bis (Laghetti Forestan).
Riguardo a tutti gli altri reati di omessa bonifica la Cassazione ha invece

gli atti alla Corte di appello per un esame più diretto e puntuale di tutte le altre
procedure esperite e l’individuazione dei presupposti di fatto utili per l’applicazione
dei principi interpretativi fissati.
Occorreva, quindi, che il giudice del rinvio desse dar corso ad una disamina
parallela dei reati di omessa bonifica e di gestione abusiva di discarica contestati
con riferimento al medesimo sito, ove, partendo dalla verifica delle procedure e
delle rispettive conclusioni, fosse possibile poi stabilire anche il momento di
cessazione dell’antigiuridicità connotante le violazioni dell’art. 51, d.lgs 22/1997
(e quindi 256 d.lgs. 152/2006).
A tale conclusione conseguiva l’annullamento del punto 3 della sentenza
impugnata.

7. Con riferimento al reato di traffico illecito dei rifiuti (punti 6 e 8 del
dispositivo della sentenza della Corte di appello) la sentenza di legittimità del 2013
rilevava l’errore in cui erano incorsi i giudici di appello nella interpretazione dell’art.
53-bis, d.lgs. 22/1997, sottolineando che il reato ha natura monosoggettiva e non
presuppone la pluralità dei soggetti agenti e che allo stesso al quale sono
applicabili le regole ordinarie in tema di concorso di persone fissato dall’art. 110
c.p..
Partendo da tali premesse la Corte di legittimità ha sottolineato che non è
richiesto per la sua configurabilità il “preventivo accordo” tra i concorrenti ma la
consapevole adesione ad un metodo di gestione illegale di rifiuti, che per la
pluralità delle condotte e le sue dimensioni integra gli estremi della fattispecie
prevista dall’art. 53 bis d.lgs. 22/1997. Ha altresì evidenziato anche una
incompleta valutazione delle posizioni dei vertici del consorzio in relazione agli
obblighi gravanti sui medesimi. In particolare, l’affermazione contenuta in
sentenza circa l’assenza di prove della consapevolezza in ordine alle condotte altrui
appariva incoerente rispetto alle affermazioni di responsabilità pronunciate sulla
contravvenzioni contestate, che la stessa descrizione dei fatti imponeva di
considerare poste in essere in modo sistematico e tra loro coerente.
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ritenuto insufficiente l’analisi espletata dalla Corte di Appello ed ha quindi rimesso

La sentenza 32797/2013 accoglieva, invece, la censura proposta dal
responsabile civile e dagli imputati in ordine al capo 39A, sul rilevo che la Corte di
appello aveva esplicitato le ragioni di fatto tese ad escludere che, dopo l’ordinanza
sindacale del 14.12.2003, il reato contestato potesse ancora essere
intenzionalmente commesso. Ne conseguiva l’annullamento con rinvio relativo ai
capi 6 e 8.

imputati e del responsabile civile sul capo A (art. 635 c.p., punto 11 del dispositivo
della Corte di appello, con cui è stata dichiarata l’estinzione dei reati, che veniva,
dunque, confermata) ed altresì rigettava il ricorso del PM sul capo B (sempre
relativo ad ipotesi ex art. 635 c.p.) , laddove la Corte di appello aveva escluso
l’esistenza di prove circa la illegittimità delle condotte degli imputati ( v. punto 9
del dispositivo), e tale valutazione veniva, perciò, confermata.
La Corte di legittimità procedeva altresì all’annullamento con rinvio del
punto 11 del dispositivo, esclusivamente con riferimento alla posizione di Madotto;
del punto 9 del dispositivo con riferimento a Cece; dei punti 3 e 6 del dispositivo
con riferimento a Geri.
Rigettava, nel resto, i ricorsi con riferimento ai punti del dispositivo
suddetti, nonché quelli relativi ai restanti punti.

8. In sede di giudizio di rinvio la Corte di Appello di Firenze, con sentenza
resa in data 21/3/2014, ha evidenziato come la Cassazione avesse ritenuto in
fatto accertato, nel corso del giudizio di merito, che i siti ove erano stati allocati
smarino e fanghi fossero stati gestiti in violazione della legge (e ove autorizzati
anche delle prescrizioni).
La Corte territoriale ha poi esaminato il problema della permanenza del
reato di gestione abusiva di discarica, alla luce del principio di diritto cui era
chiamata ad attenersi, che la fase post-operativa, i relativi controlli e precauzioni,
e il ripristino ambientale costituiscono parte del ciclo di vita della discarica e sono
oggetto della disciplina autorizzatoria, cosi che la violazione della relativa disciplina
integra gli estremi del reato di cui ci occupiamo.
I reati di gestione di discarica senza autorizzazione per i quali
si è ritenuto in motivazione che la permanenza è stata interrotta dalla
sentenza di primo grado sono i seguenti:
– capo 14-bis (area all’interno della cava Prevam Le Sanguinale), pag.
156 (connesso al reato di omessa bonifica di cui al capo 52);

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La Terza Sezione Penale di questa Corte rigettava, invece, i ricorsi degli

- capo 81 (Fonte alla Sella), pag. 166 (connesso al reato di omessa
bonifica di cui al capo 50);
– capo M (ex cava Marchesini), pag. 163;
– capo VV (gestione delle discariche abusive GIT), pag. 166 (connesso
al reato di omessa bonifica di cui al capo ZZ);
– capo TT (omessa bonifica nel sito Cave Nord), pag. 165 (connesso al
reato di omessa bonifica di cui al capo UU);
Per tali reati sono stati condannati:

2001, poi sostituito da Guagnozzi; successivamente consigliere delegato, dal 28
settembre 2001 in poi);
2. Castellani (direttore di cantiere T17 dal 1997 al 5 febbraio 2002;
direttore di tronco DT1 dal 19 luglio 2000 al 27 giugno 2003, poi sostituito da
Zambon; direttore di tronco DT2 dal 2 luglio 2002 al 27 giugno 2003 e da tale data
in poi con responsabilità di coordinamento costruzioni in supporto alla direzione
generale);
3. Marcheselli (direttore dei cantieri CBT1 di Sesto fiorentino dal 13 maggio
1999 al 19 febbraio 2004, poi sostituito da Ottaviani; direttore di tronco DT3 dal
27 giugno 2005; in seguito Direttore generale) per i reati di cui ai capi 14-bis, 81
ed M;
4.

Semeraro (intermediario e titolare di degli impianti, legale

rappresentante della ditta GIT — Grandi Inerti Taverini — s.r.1.) per il reato di cui
al capo VV.
La sentenza ha dichiarato non doversi procedere:
-__per essere i reati di cui ai capi 14-bis, 81, M, prescritti dopo la sentenza di
primo grado per quanto riguarda Guagnozzi (direttore generale del Consorzio
Cavet, dal 28 settembre 2001 al 24 febbraio 2005).
-per essere i reati di cui ai capi TT e VV prescritti prima della sentenza di primo
grado nei confronti di Silva, Guagnozzi, Castellani, e Marcheselli, nonché nei

1. Silva (direttore generale del Consorzio Cavet dal 1998 al 28 settembre

confronti di Polidori (legale rappresentante Polidori strade s.r.1., subappaltatrice
del cantiere Ti Obis), Geri (legale rappresentante della ditta Betonval s.p.a.,
gestore dell’impianto di betonaggio del cantiere T5), Trippi (legale
rappresentante della ditta Unicalcestruzzi, titolare dell’impianto di betonaggio
del cantiere T17), Giora (solo per capo TT, intermediario tra Cavet ed il gestore
finale dei rifiuti, legale rappresentante della ditta Agavi), in quanto discariche di
terzi e facendo riferimento all’epoca di cessazione dei conferimenti da parte di
Cavet (arg. Da pag. 180).
I reati di gestione di discarica senza autorizzazione per i quali la sentenza
ha rilevato in motivazione che la prescrizione era maturata, ma dopo la sentenza

11

o

di primo grado sono quelli di cui al:
– capo 3-bis (La Capannina), pag. 148 (conferimenti cessati al 19 settembre
2006);
– capo 15-bis (ex vasche Alberaccio), pag. 161 (antigiuridicità della conduzione
post operativa del sito della discarica è venuta meno in data 24 settembre
2005);
– capo 16-bis (Prevam presso Car 1), pag. 154 (conferimenti cessati al dicembre
2004);

settembre 2004);
– capo RR (area Gatti), pag. 165 – connesso al reato di omessa bonifica di
cui al capo SS (rifiuti rimossi sin dal 2005).
Tenendo conto delle posizioni soggettive, la sentenza ha dichiarato
non doversi procedere per essere prescritti dopo la sentenza di primo grado
per i seguenti reati:
– capi 3-bis, 15-bis, 16-bis, 19-quinquies, per quanto riguarda Silva,
Guagnozzi, Castellani e Marcheselli;
– capo 16-bis per quanto riguarda Geri;
– capo RR per quanto riguarda Gatti (legale rappresentante della ditta Gatti,
smaltitore).
La sentenza ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato di cui
al capo RR prescritto prima della sentenza di primo grado nei confronti di Silva,
Guagnozzi, Castellani, e Marcheselli, nonché nei confronti di Polidori, Geri, Trippi,
Giora (tenendo, evidentemente, presente l’epoca dei conferimenti nella discarica
gestita da Gatti, come sembra evincersi dal punto a pag. 180).
Dunque, in applicazione del principio di diritto stabilito nella sentenza
32797/2013, a pag 76, il giudice del rinvio, ritenuto che le scelte di fondo nello
smaltimento dei rifiuti fossero riconducibili ai vertici del CAVET, ha affermato che
ciascun dirigente CAVET doveva essere chiamato a rispondere personalmente per

– capo 19-quinquies (Prevam Colle Canda), pag. 160 (conferimenti cessati al

quei soli fatti di gestione abusiva che sono stati perpetrati nel tempo in cui ha
messo a disposizione la propria prestazione professionale (v. pagg. 179-80 della
sentenza impugnata), precisando che, per i siti gestiti da soggetti terzi (le
discariche GATTI, CAVE NORD, GIT e FORNACE FOCARDI) il contributo dei dirigenti
CAVET si era limitato a ripetuti atti di conferimento. Situazione diversa veniva
considerata essere quella dei siti gestiti direttamente da CAVET- o anche per il
tramite- di sub appaltatori, in cui i vertici CAVET si è ritenuto dovessero rispondere
per l’intera gestione abusiva, salvo rilevarsi la cessazione della condotta
concorsuale dal momento del venir meno del ruolo operativo del singolo imputato
(v. pag. 180).

12

4

Quanto ai reati di omessa bonifica, il giudice del rinvio ha premesso che
contrariamente a quanto sopra sostenuto con riferimento al reato di gestione
illecita dei rifiuti, la valutazione dei comportamenti illeciti a base delle omesse
bonifiche doveva partire dalla lettera dell’art. 51- bis d.lgs. 22/97 (ora 257, d.lgs.
152/2006) secondo il quale “chiunque abbia provocato un inquinamento debba
provvedere alla bonifica: si tratta di un onere personale ricadente sul soggetto che
ha determinato il danno ambientale in ordine alla cui rimozione mantiene per legge
una posizione di garanzia; la dismissione dalla carica dei Dirigenti Cavet in un

contributo non poteva pertanto rilevare con riferimento alla responsabilità di
ciascuno di provvedere alla bonifica.
I reati di omessa bonifica ritenuti configurabili dal giudice “a quo”
sono quelli di cui al: capo 50 (omessa bonifica a seguito della gestione della
discarica abusiva nell’area destinata alla cava Sasso di Castro, connesso al
reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo 81), pag. 166; capo 52
(solo per l’omessa bonifica a seguito della gestione della discarica Prevam Le
Sanguinaie, connesso al reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo
14-bis), pag. 156; capo 74 (omessa bonifica a seguito della gestione della
discarica abusiva Fornace Focardi), pag. 162; capo 55 (omessa bonifica a
seguito della gestione della discarica abusiva Gatti, connesso al reato di
gestione di discarica abusiva di cui al capo RR), pag. 164; capo UU (omessa
bonifica a seguito della gestione della discarica abusiva Cave Nord, connesso al
reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo TT), pag. 165; capo ZZ (omessa
bonifica a seguito della gestione delle discariche abusive GIT, connesso al reato di
gestione di discarica abusiva di cui al capo VV), pag. 166; capo V (omessa bonifica
a seguito allo sversamento di olii sul terreno circostante i comprensori degli
impianti di Balzo alla Capra), v. pag. 158.
Sono stati condannati:
– Rubegni (consigliere delegato dal 12 gennaio 1998 al 28 settembre 2001, poi
sostituito dal Silva Carlo; successivamente Presidente del Consorzio Cavet, dal
28 settembre 2001 in poi), Silva (direttore generale del Consorzio Cavet dal
1998 al 28 settembre 2001, poi sostituito da Guagmozzi; successivamente
consigliere delegato, dal 28 settembre 2001 in poi), Guagnozzi (direttore
generale del Consorzio Cavet, dal 28 settembre 2001 al 24 febbraio 2005),
Castellani (direttore di cantiere T17 dal 1997 al 5 febbraio 2002; direttore di
tronco DT1 dal 19 luglio 2000 al 27 giugno 2003, poi sostituito da Zambon;
direttore di tronco DT2 dal 2 luglio 2002 al 27 giugno 2003 e da tale data in poi
con responsabilità di coordinamento costruzioni in supporto alla direzione
generale) e Marcheselli (direttore dei cantieri CBT1 di Sesto fiorentino dal 13
13

momento successivo a quello in cui l’inquinamento si era già realizzato con il loro

maggio 1999 al 19 febbraio 2004, poi sostituito da Ottaviani; direttore di tronco
DT3 dal 27 giugno 2005; in seguito Direttore generale) per i reati ascritti ai capi
50, 52 (con la limitazione predetta), 74, SS, UU, ZZ;
– Miccoli (direttore tecnico responsabile della direzione di tronco, fino al luglio
2002), Frulloni (direttore di tronco DT3 dal 1998 al 27 giugno 2003, poi
sostituito da Marcheselli) e

Piscitelli (responsabile dell’ufficio logistica e

ambiente dal 31 marzo 2000 al 14 settembre 2003, poi sostituito da Migliardi
Carlo), per i reati ascritti ai capi 50, 52 (con la limitazione predetta), SS, UU,

– Longo (direttore dei cantieri T5, T7 e CBT3 dal 1998 al 7 gennaio 2003, poi
sostituito da Cardu Umberto), Polidori (legale rappresentante Polidori strade
s.r.1., subappaltatrice del cantiere Ti Obis), Geri (legale rappresentante della
ditta Betonval s.p.a., gestore dell’impianto di betonaggio del cantiere T5),
Trippi (legale rappresentante della ditta Unicalcestruzzi, titolare dell’impianto
di betonaggio del cantiere T17), per i reati ascritti ai capi SS, UU, ZZ; Balest e
Socco!, (Balest dal dicembre 1999 al 1 marzo 2001, direttore di cantiere
Italstrade, subappaltatrice dei cantieri T11 e T12; Soccol fino al dicembre 1999,
direttore di cantiere Italstrade, subappaltatrice dei cantieri T11 e T12),
Ottaviani (legale rappresentante della società Cardetole s.r.1., quale gestore
di alcune cave), (oltre a Padelli Aranci e Sassetti, non ricorrenti) per il reato
di cui al capo 74;

Giora

(intermediario tra Cavet ed il gestore finale dei rifiuti, legale

rappresentante della ditta Agavi) per i reati ascritti ai capi SS, UU; Semeraro
(inteimediario e titolare degli impianti, legale rappresentante della ditta GIT —
Grandi Inerti Taverini — s.r.I.), per il reato ascritto al capo ZZ; Gatti (legale
rappresentante della ditta Gatti, smaltitore), per il reato ascritto al capo SS.
Con riferimento al delitto di traffico illecito di rifiuti, il giudice del rinvio
ha ritenuto che i rifiuti prodotti dalle attività di escavazione e dalle altre funzionali
alla realizzazione delle gallerie, siano stati oggetto di gestione abusiva condotta
con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative e
organizzate.
E’ stato ritenuto trattarsi di un sistema complessivo che trovava pieno
riscontro negli accertamenti condotti nel corso di anni dagli organi di controllo e
dalla Polizia Giudiziaria e che costituiscono l’ossatura probatoria dei reati
contravvenzionali sopra esaminati.
In conformità a quanto posto in rilievo dal Tribunale, il giudice del rinvio
affermava che le violazioni registrate, per quantità e qualità, rappresentavano
sicuramente un quadro fattuale che per la sistematicità e interna coerenza

14

ZZ

(operativa e finalistica), non poteva non essere considerato unitariamente anche
in termini di realizzazione di un traffico organizzato di rifiuti.
In questa prospettiva, la Corte territoriale rilevava, attraverso l’analisi dei
singoli capi di imputazione, che per i siti Le Sanguinaie (capo 14bis) e ex-cava
Marchesini (capo M) non era stata mai conseguita alcuna autorizzazione, e
tantomeno risultava fossero mai stati approntati sistemi operativi e mezzi tecnici
a tutela e garanzia della loro non pericolosità ambientale; il sito Fonte alla Sella
(capo 81) era stato autorizzato per la gestione operativa soltanto dopo la sentenza

che le autorizzazioni provinciali del 2001 richiedevano (capo HH), mentre la
gestione dei rifiuti all’interno dei cantieri era proseguita ininterrottamente senza
mai richiedere autorizzazioni ed in un contesto di evidente – e non semplicemente
colposa – trascuratezza che aveva determinato dilavamenti, contaminazioni e
inquinamenti.
Di una tale complessiva situazione, ove nel corso delle conclamate attività
illecite era stata trattata e gestita una mole complessivamente ingentissima di
rifiuti, dovevano certamente rispondere i Dirigenti CAVET, cui erano stati ascritti i
reati di cui ai capi 95), QQ), 38A) e 40A), che rappresentano, secondo il giudice
del rinvio, altrettanti momenti di un unico reato abituale.
Così anche gli accadimenti descritti ai capi 38A) e 40A) rappresentavano in
modo piano come si fosse proceduto da una situazione irregolare ad un’altra ogni
qualvolta la prima fosse divenuta impraticabile, di regola per l’intervento
dell’Autorità pubblica: nel caso specifico, secondo la ricostruzione operata dalla
Corte territoriale, dapprima si sfruttò il verificarsi di una frana per impiegare
abusivamente fanghi nella ex-cava Montebeni prospettando un intervento di
messa in sicurezza, ma avendo in realtà quale primario ed essenziale obbiettivo
l’abbancamento di rifìuti (a costo pressoché zero); quindi, emersa l’illiceità, si
avviò a depositare ancora del tutto irregolarmente altri fanghi direttamente presso
la cava di Sasso di Castro ed ancora presso impianti esterni (Gattelli e Nuova Lam
srl) tutti inidonei ma ciononostante ripetutamente utilizzati per quantitativi assai
elevati e già per sé stessi ingenti.
In realtà le quattro imputazioni si riferiscono partitamente a situazioni
diverse, in relazione ai materiali trattati, alle modalità di smaltimento, ai siti di
destinazione e provenienza, ma tutte comunque inerenti la complessiva attività di
gestione illecita dei rifiuti provenienti dalle attività dei cantieri TAV.
L’istruttoria dibattimentale – e le conclusioni assunte dai Giudici di merito,
per come validate dalla Cassazione – avevano, quindi, dimostrato, secondo la
Corte territoriale, il protrarsi assai oltre il luglio 2006 di atti di gestione illecita di
discariche e rifiuti, per quantitativi ingenti, con operazioni organizzate e
15

di primo grado; non vi era prova che fosse mai stata data risposta alle informazioni

sistematiche, tutte finalizzate ad un ingiusto profitto, e fissato per alcune di esse
il termine convenzionale rappresentato dalla sentenza di primo grado.
Per il reato di attività organizzate di traffico illecito di rifiuti sono stati
condannati:
– quanto ai soggetti aventi un rapporto organico con Cavet, Silva direttore
generale del Consorzio Cavet dal 1998 al 28 settembre 2001, poi sostituito da
Guagnozzi; successivamente consigliere delegato, dal 28 settembre 2001 in
poi), Castellani (direttore di cantiere T17 dal 1997 al 5 febbraio 2002; direttore

direttore di tronco DT2 dal 2 luglio 2002 al 27 giugno 2003 e da tale data in poi
con responsabilità di coordinamento costruzioni in supporto alla direzione
generale) e Marcheselli (direttore dei cantieri CBT1 di Sesto fiorentino dal 13
maggio 1999 al 19 febbraio 2004, poi sostituito da Ottaviani; direttore di tronco
DT3 dal 27 giugno 2005; in seguito Direttore generale) per i capi 95, QQ, 38A
e 40A (da considerare unica violazione ai fini della pena), in quanto hanno
operato ai vertici di Cavet sino alla sentenza di primo grado;

Geri (legale

rappresentante della ditta Betonval s.p.a., gestore dell’impianto di betonaggio
del cantiere T5), Trippi (legale rappresentante della ditta Unicalcestruzzi,
titolare dell’impianto di betonaggio del cantiere T17), per i reati di cui ai capi
95, QQ (da considerare unica violazione ai fini della pena), gestori delle ditte di
betonaggio che hanno collaborato fino alla fine dei lavori TAV;
In ragione delle diverse posizioni soggettive, la sentenza ha dichiarato non
doversi procedere per essere i reati prescritti dopo la sentenza di primo
grado:
A) quanto ai soggetti aventi un rapporto organico con CAVET, nei confronti
di:
– Rubegni consigliere delegato dal 12 gennaio 1998 al 28 settembre 2001, poi
sostituito dal Silva Carlo; successivamente Presidente del Consorzio Cavet, dal
28 settembre 2001 in poi) in relazione ai capi 95, QQ per i fatti commessi prima
del 28 settembre 2001; la Cassazione aveva confermato l’assoluzione per i fatti
descritti ai capi 38A e 40 A;
– Guagnozzi (direttore generale del Consorzio Cavet, dal 28 settembre 2001 al
24 febbraio 2005) in relazione ai capi 95, QQ, 38A e 40A, in quanto ha dismesso
ogni ruolo di vertice in Cavet alla data del 24 febbraio 2005;
– Miccoli (direttore tecnico responsabile della direzione di tronco, fino al luglio
2002) in relazione ai capi 95 e QQ, in quanto ha dismesso ogni ruolo di vertice in
Cavet nel luglio 2002;

16

di tronco DT1 dal 19 luglio 2000 al 27 giugno 2003, poi sostituito da Zambon;

- Frulloni (direttore di tronco DT3 dal 1998 al 27 giugno 2003, poi sostituito
da Marcheselli in relazione ai capi 95 e QQ, in quanto ha dismesso ogni ruolo
di vertice in Cavet il 27 giugno 2003;
– Piscitelli (responsabile dell’ufficio logistica e ambiente dal 31 marzo 2000 al
14 settembre 2003, poi sostituito da Migliardi Carlo) in relazione ai capi 95 e
QQ, in quanto ha dismesso ogni ruolo di vertice in Cavet il 14 settembre 2003;
– Longo (direttore dei cantieri T5, T7 e CBT3 dal 1998 al 7 gennaio 2003, poi
sostituito da Cardu Umberto) in relazione ai capi 95 e QQ), in quanto ha

B) quanto ai soggetti esterni a Cavet:
nei confronti di Polidori (capi 95, QQ), Giora, Semeraro e Gatti (capo QQ) in
quanto tutti risultano aver collaborato con i siti di srnaltimento di Cavet soltanto
fino al 2002.
Tutti i soggetti indicati sono stati condannati

al risarcimento dei

danni per i reati di cui ai capi per i quali sono stati ritenuti rispettivamente
responsabili (Rubegni per i fatti commessi fino al 28 settembre 2001).

9. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
dei propri difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettannente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, connma 1,
disp. att., c.p.p. (i ricorrenti sono divisi in due gruppi, il primo comprendente i
soggetti legati da un rapporto organico a CAVET e il secondo i soggetti estranei
allo stesso, e sono elencati nell’ordine in cui, all’udienza del 18.3.2016, sono state
effettuate le relazioni):

A) SOGGETTI LEGATI A CAVET

• Castellani Franco, a mezzo del proprio difensore avv. Giuseppe Zanalda
Franco Castellani è stato Direttore del Cantiere T17 nel periodo 23.12.1998
fino al 27.6.2003, Direttore di Tronco DT1 nel periodo dal 19.7.200 al 27.6.2003
e Direttore del Tronco DT2 nel periodo 2.7.2002- 27.6.2003; è stato condannato
alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione : per i reati di discarica abusiva
(capo 14 bis, cava Le Sanguinaie), 81 ( Fonte alla Sella), M (di discarica abusiva
e abbandono incontrollato di rifiuti torrente Carlone e cava Marchesini); di omessa
bonifica di cui ai capi 50,52,74,SS,UU, ZZ; per i reati di attività organizzata di
traffico illecito di rifiuti di cui ai capi 95,QQ,38A e 40A; per i reati di gestione illecita
di rifiuti di cui al capo 95 bis; per la violazione della normativa in tema di gestione
delle discariche di cui al capo HH.E’ stato altresì condannato al risarcimento dei
danni conseguiti ai reati per i quali è stata riconosciuta la penale responsabilità e

17

dismesso ogni ruolo di vertice in Cavet il 7 gennaio 2003;

ai reati di cui ai capi d’imputazione 3bis ( la Capannina), 15 bis ( ex vasche di
decantazione Alberaccio), 16 bis (Prevam c/o Car 1) e 19 quinquies ( Colle Canda),
ritenuti prescritti dopo la sentenza di primo grado.
Articola 19 motivi, che possono essere così sintetizzati e, nel caso,
esaminati congiuntamente.
Con il primo motivo, si duole del fatto che la sentenza di rinvio l’abbia
condannato al risarcimento del danno anche a favore delle parti civili non ricorrenti
in cassazione che avevano presentato nuove conclusioni in sede di giudizio di

Si argomenta, in proposito, che erroneo sarebbe stato il richiamo, operato
dal giudicante, al principio di immanenza della parte civile, sul rilievo che tale
principio comporta solo che la parte civile, una volta costituitasi nel giudizio di
primo grado, rimanga parte del processo penale anche nei gradi successivi anche
se non impugnante, con la conseguenza che la medesima deve essere
regolarmente citata per tutti i gradi del giudizio.
Tale principio, peraltro, non implica, secondo l’assunto del ricorrente, che
la parte civile non impugnante e, quindi acquiescente, possa giovarsi del ricorso
del pubblico ministero e, quindi avanzare richiesta di risarcimento del danno.
La sentenza, quindi, erroneamente avrebbe liquidato i danni in via definitiva
o assegnato provvisionali in favore di parti civili non ricorrenti che avevano
presentato nuove conclusioni in sede di giudizio di rinvio.
Sulla tematica si sollecita, per l’importanza della questione, la rimessione
alle Sezioni unite.
In linea con gli argomenti di censura, si è chiesto alla Corte di sospendere
l’esecuzione delle statuizioni civili ai sensi dell’articolo 612 c.p.p. , in ragione della
entità notevole delle somme liquidate in via definitiva o a titolo di provvisionale.
Con il secondo motivo si censura la decisione del giudice sostenendo che avrebbe
violato i limiti dell’annullamento con rinvio di questa Corte.
Ciò sotto un duplice profilo. Da un lato, si sostiene che per taluni reati
oggetto della contestazione [capi 95 bis, M, HH, 14 bis,81] le statuizioni contenute
nella prima decisione di appello [Corte di appello di Firenze, Sezione III, 27 giugno
2011] sarebbero divenute irrevocabili, perché non riguardate dall’annullamento
della Sezione III di questa Corte, con la sentenza n. 32797 del 2013: questo, si
sostiene, avrebbe riguardato solo ed esclusivamente i capi ed i punti della
decisione concernenti i reati di discarica abusiva, omessa bonifica e traffico illecito,
come emergeva dalla memoria del Procuratore generale del 13.3.2014. Con
l’ulteriore specificazione che la definitività dell’accertamento riguardava anche
taluna delle contestate omesse bonifiche [capi SS, UU e ZZ], perché anch’esse
non fatte oggetto dell’annullamento. Dall’altro, si prospetta che la Corte di rinvio
18

rinvio.

non si sarebbe uniformata al principio di diritto affermato dalla richiamata
sentenza della Terza Sezione, in punto di intervenuto decorso del termine
prescrizionale con riferimento ai reati concernenti i fanghi: rispetto a tali reati [capi
di imputazione 14 bis e 81], la sentenza della Corte di cassazione aveva
confermato la declaratoria di prescrizione già pronunciata dalla primigenia
sentenza di appello.
Con il terzo motivo, si censura, ancora, l’affermazione di responsabilità per
il capo 14 bis per una ulteriore ragione [evidentemente subordinata], basata

di cui al capo 14, ormai coperto da giudicato. Ciò con conseguente violazione del
principio del ne bis in idem.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione di legge con riguardo
all’affermata responsabilità del prevenuto per i reati di omessa bonifica di cui ai
capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ: erroneo sarebbe stato l’assunto del giudicante,
affermativo della responsabilità anche per il periodo successivo alla cessazione
della carica rivestita. Ciò sulla base del contestato principio secondo cui il dirigente
che con il proprio comportamento ha cagionato o comunque contribuito a
cagionare il danno ambientale ne rimane responsabile ai fini della bonifica anche
dopo che abbia receduto definitivamente dal ruolo rivestito al momento del fatto.
Principio che si assume in contrasto con quelli costituzionali di personalità della
responsabilità penale e colpevolezza.
Si argomenta, più specificamente, in proposito, che le conclusioni del
giudicante fonderebbero impropriamente, in contrasto con il disposto dell’articolo
40 cpv. c.p., una posizione di garanzia sostanzialmente perenne, in contrasto con
il disposto di detta disposizione laddove questa correla il dovere di agire alla
possibilità giuridica di impedire l’evento, ossia alla “signoria” della situazione di
fatto. La stessa sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte di legittimità,
avrebbe del resto chiarito – con ciò secondo il ricorrente apprezzandosi ulteriore
vizio per violazione dell’articolo 627, comma 3, c.p.p.- come nei casi in cui un
determinato ruolo all’interno di una organizzazione complessa venga dismesso da
un soggetto e trasferito ad altro soggetto non potrebbe rinvenirsi responsabilità
per colui che trasferisce la gestione per condotte poste in essere dal successore.
Dagli argomenti posti a fondamento della censura si fa discendere la
conclusione della cessazione della permanenza dal momento della cessazione dalla
carica, con conseguente intervenuta prescrizione.
Con il quinto motivo si censura, ancora, l’affermazione di responsabilità per
i reati di discarica abusiva e di omessa bonifica di cui ai capi 14 bis e 52 [Le
Sanguinaie]. Premesso che per il primo già supra se ne è sostenuto l’assorbimento
nel capo 14, si sostiene che la S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio,
19

sull’assunto che la relativa contestazione sarebbe da ritenere assorbita in quella

avrebbe rinviato al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei
presupposti oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del
rinvio, erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della
conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità individuale.
Con riferimento all’imputazione di cui al capo 14 bis, in relazione ai fanghi,
si prospetta la violazione dei limiti del giudizio di rinvio sul rilevo che la S.C. aveva
espressamente escluso dal giudizio di rinvio le statuizioni in materia di fanghi
contenute nella prima sentenza di appello, confermando la pronuncia di

carenza di motivazione rispetto a specifici elementi fattuali emersi in atti, quali in
particolare gli esiti di provvedimento di revoca di sequestro preventivo adottato
dal PM di Firenze e un’autorizzazione comunale per variante di ripristino
ambientale. Proprio l’asserita impraticabilità di contestare il reato di discarica
abusiva viene valorizzata per escludere il conseguente reato di omessa bonifica di
cui al citato capo 52.
Con il sesto motivo vengono articolate censure analoghe rispetto al reato
di omessa bonifica di cui al capo 50 [Sasso di Castro]. Erroneo sarebbe stato
l’assunto del giudicante laddove aveva affermato che i fatti erano stati già
esaminati nelle sedi di merito e considerati provati mentre il giudice di legittimità
aveva posto a carico del giudice del rinvio il compito di motivare in merito alla
complessiva situazione di fatto relativa ad ogni sito.
Ulteriore argomento di censura è fondato sulla confusione operata dal
giudicante sulle nozioni di fango e di limo di lavaggio inerti considerati
erroneamente come sinonimi, laddove la giurisprudenza della S.C. escluderebbe i
limi dalla nozione di rifiuti, come emergeva anche dalla relazione del consulente di
parte, ritenendoli sottoprodotti, con la conseguenza che nel caso di specie
risulterebbe sufficiente l’Autorizzazione regionale.
Si deduce, altresì, il vizio di motivazione nella parte in cui è stata affermata
la sussistenza del reato di omessa bonifica di cui al capo 50, sotto il duplice profilo
del travisamento del fatto e dell’omessa valutazione di documenti agli atti. Sul
punto si rappresenta che il giudice del rinvio non aveva tenuto conto che la Cava
di Sasso di Castro, contrariamente a quanto affermato in sentenza, è una cava
deputata al prelievo e non al deposito di materiale e che agli atti vi è
l’autorizzazione al deposito dei limi. Si sostiene altresì l’omessa considerazione dei
seguenti elementi: la comunicazione 19/10/2000 del Comune di Firenzuola al
Consorzio CAVET nella quale si attesta che al 21/9/2000 erano già state quasi
completamente rimosse le vasche contenenti i limi di lavaggio inerti e la rimozione
del materiale gestito a far data dal 21.6.2000, come emerge dal capo
d’imputazione sub 37 bis (dichiarato prescritto dal Tribunale) coperto da giudicato.

20

prescrizione. Una ulteriore censura è articolata prospettando l’illogicità e la

Si deduce, infine, che la sentenza aveva affermato l’esistenza
dell’inquinamento, prescindendo da qualsiasi valutazione in merito all’effettiva
esistenza di una contaminazione con il superamento delle CSR, come invece
richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 257 cligs. 152/2006 ed in contraddizione
con l’intervenuta assoluzione per i reati di omessa bonifica contestati con
riferimento a siti per i quali lo stesso materiale era transitato.
Con il settimo motivo, con riferimento poi al capo 81 [Fonte Sella] [già
riguardato da più ampio motivo di censura: v. supra], viene prospettato ulteriore

antigiuridicità – con effetti in punto di prescrizione- alla luce della autorizzata
rimozione dei limi inerti derivanti dalla coltivazione della Cava di Sasso di Castro
in data 16.5.2008, con conseguente decorso del termine di prescrizione maturato
prima della pronuncia del giudice del rinvio, tenuto anche conto dei 34 giorni di
sospensione del decorso del termine della prescrizione.
Ciò in conformità a quanto statuito dalla S.C. in sede di annullamento
laddove identificava la cessazione della situazione di antigiuridicità con l’avvio della
procedura di rimozione dei rifiuti. L’affermazione contenuta nel provvedimento
impugnato in merito alla prosecuzione della gestione illecita del sito Fonte alla
Sella sarebbe smentita dalla documentazione in atti (il verbale di sequestro
preventivo della discarica in esame in data 8.5.2003) e dal successivo decreto di
revoca del sequestro in data 9.7.2009, non presi in considerazione dal giudicante,
con la cessazione dell’antigiuridicità in relazione al reato di discarica abusiva dal
2003.
Con l’ottavo motivo, con riferimento poi al capo 95 bis ( gestione non
autorizzata di rifiuti, [pur esso già riguardato da più ampio motivo di censura: v.
supra],

viene prospettato ulteriore vizio articolato essenzialmente sulla

prospettata violazione di legge con riferimento alla stessa contestazione del reato
di gestione illecita di rifiuti che si assume, con violazione del principio di
contestazione, illegittimamente esteso ad epoca [sino al marzo 2009], in
violazione dell’art. 51, ora 256, comma 1, d.lgs. 152/2006, che tipizzano reati
istantanei e non permanenti 00 abituali.
Tale impostazione avrebbe comportato di fatto la contestazione di un fatto
nuovo con l’arbitrario prolungamento delle condotte che nel capo d’imputazione
risultavano contestate sino al luglio 2006.
Con il nono motivo, con riferimento poi al capo M, relativo ai reati di
discarica abusiva [pur esso già riguardato da più ampio motivo di censura: v.
supra; motivo di censura in cui si assume, va ricordato, l’intervenuta definitività
dell’accertamento giudiziale], si articolano altre censure afferenti essenzialmente
il tema della responsabilità [sub specie, della sussistenza degli elementi costitutivi
21

vizio articolato su non corretto apprezzamento della cessazione della situazione di

dei reati di discarica abusiva e di abbandono incontrollato di rifiuti ivi contestati]
e quello della prescrizione.
Si sostiene, pertanto, che la sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe
rinviato al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei presupposti
oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio,
erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della
conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità individuale. Si
lamenta il vizio motivazionale della sentenza nella parte in cui ha travisato il senso

di carico e scarico dei materiale conferiti presso il sito e ha omesso di prendere in
considerazione l’ordinanza di revoca del sequestro emessa dal Tribunale di Firenze
in data 27.4.2005, con la conseguente cessazione dell’antigiuridicità quantomeno
nella prima parte dell’anno 2005, in considerazione dell’avvenuto esperimento
delle attività di bonifica del sito. Da tale ricostruzione si fa discendere l’avvenuta
estinzione per prescrizione dei reati contestati in questo capo prima della sentenza
di rinvio. Ciò tenuto anche conto dell’applicabilità della disciplina prescrizionale del
termine più breve in quanto i reati si sono consumati prima dell’entrata in vigore
della legge 251/2005.
Con il decimo motivo, in relazione al capo di imputazione sub 74 [Fornace
Focardi] si prospettano violazioni di legge e vizio di motivazione, ritenendo
insussistente la contestata omessa bonifica rispetto alle emergenze fattuali
rappresentate, essenzialmente, dalla ottenuta autorizzazione in data 23.11.1998
per il recupero dei rifiuti per produrre manufatti per l’edilizia. E’ prospettata la
violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006 anche sotto il profilo della insussistenza di
una accertata contaminazione significativa ai fini del superamento delle CSR, come
attestato anche dal rilascio della certificazione liberatoria del 18.3.2010 da parte
della Provincia di Arezzo.
La censura è estesa, conseguentemente, alla sanzione accessoria
dell’obbligo di bonifica.

della documentazione informatica in atti, riguardanti esclusivamente le operazioni

Con l’undicesimo motivo viene articolata ulteriore censura rispetto al reato
di cui al capo SS [discarica Gatti Codigoro] [sul quale v. peraltro supra], stavolta
prospettandosi carenza di motivazione e violazione di legge nell’affermazione di
responsabilità per l’ivi previsto reato di omessa bonifica. Anche in questo caso si
sostiene che la S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe rinviato
al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei presupposti oggettivi
e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio, erroneamente,
avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della conferma positiva della
sussistenza dei reati e della responsabilità individuale.

22

1)k

Si lamenta altresì la violazione dell’art. 188, comma 3, lett. b) d.lgs.
152/2006 nella parte in cui aveva omesso di prendere in considerazione la
documentazione, acclarata anche dalla consulenza della difesa, da cui emergeva
l’esonero di responsabilità del produttore-detentore del rifiuto per l’avvenuta
consegna del rifiuto a discarica autorizzata. Sotto altro profilo si lamenta la carenza
di motivazione in merito all’esistenza di un evento di contaminazione tale da
integrare l’obbligo di bonifica a carico del responsabile, contraddetta, peraltro,
dalla certificazione liberatoria del comune di Codigoro in data 30.10.2012. Si

sentenza di annullamento con rinvio anche ai siti le cui condizioni e procedure di
bonifica siano proseguite successivamente all’entrata in vigore del d.lgs.
152/2006, in assenza di ogni prova del superamento delle CSR. La censura è
estesa, conseguentemente, alla sanzione accessoria dell’obbligo di bonifica.
Censure analoghe vengono articolate, con il dodicesimo motivo, rispetto ai
reati di discarica abusiva e di omessa bonifica di cui ai capi d’imputazione TT e UU
relativi al sito Cave Nord-S.Anna loc. Lippo, esterno alla gestione CAVET.
Si prospettano profili di violazione di legge e di carenza motivazionale,
ferme le già evidenziate ragioni di censura basate sull’irrevocabilità della decisione
di merito dopo la pronuncia della Cassazione. Anche con riferimento a tali capi
d’imputazione si sostiene che la sentenza di merito avrebbe dato erroneamente
per scontato l’accertamento dei fatti, mentre, diversamente, la Cassazione, nella
sentenza di annullamento della Terza Sezione, avrebbe imposto una complessiva
rivalutazione del fatto. Si deduce nei termini sopra indicati la violazione degli artt.
188, comma 3 e 257 d.lgs. 152/2006.
Per quanto concerne il capo TT (compreso nelle violazioni relative al traffico
di rifiuti concernenti i fanghi) si sottolinea una svista della sentenza che nel
dispositivo dichiara la prescrizione del reato mentre nella motivazione afferma che
la permanenza dei due reati descritti ai capi TT e UU è cessata con la sentenza di
primo grado, di talché non sarebbero maturati i termini prescrizionali.
La censura è estesa alla sanzione accessoria dell’obbligo di bonifica.
Con il tredicesimo motivo vengono articolate analoghe censure rispetto ai
reati di discarica abusiva e di omessa bonifica dei siti di Giovi e Bomarzo, di cui ai
capi d’imputazione VV e ZZ, gestiti dalla ditta GIT e quindi estranei alla gestione
CAVET. Con riferimento al reato di discarica abusiva di cui al capo VV si lamenta
inoltre una manifesta contraddittorietà della sentenza che ha dichiarato nel
dispositivo che il reato si è prescritto prima della sentenza di primo grado
affermando, però, in motivazione che la permanenza di detto reato “presupposto”
si sarebbe interrotta alla data della sentenza di primo grado. Si deduce altresì che
nel sito Giovi e Bomarzo venne conferito lo stesso materiale della discarica di

23

deduce, infine, la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, applicabile secondo la

Codigoro, che ha attenuto la certificazione liberatoria attestante l’assenza di
inquinamento per i materiali conferiti. Anche in questo caso la censura è estesa
alla sanzione accessoria dell’obbligo di bonifica.
Analoghe censure sono articolate, con il quattordicesimo motivo, con
riferimento al capo HH, afferente violazione relative a discariche di inerti di cui ai
commi III e IV, d.lgs. 22/97 (ora art. 256, connmi III e IV, T.U. d.lgs. 152/2006.
Si deduce, innanzitutto, oltre l’assenza di ogni accertamento in fatto, da parte del
giudice di merito, l’asserita definitività dell’accertamento giudiziale sul rilievo che

omessa bonifica e traffico illecito. Lamenta la violazione dell’art. 208, comma 13,
e 256, commi 3 e 4 d.lgs. 152/2006 sul rilievo che le discariche di inerti furono
autorizzate nel 2001, con la conseguente cessazione dell’antigiuridicità del sito. Si
sostiene che le violazioni al provvedimento autorizzatorio ivi descritte di natura
esclusivamente formale non potrebbero incidere sul contenuto permissivo
dell’autorizzazione né sulla natura e funzione degli impianti autorizzati e la
conseguente insussistenza del concorso dei due distinti reati di cui all’art. 256,
commi 3 e 4 del predetto art. 256. Si lamenta che la sentenza ha erroneamente
affermato la natura di reato permanente del suindicato reato, trattandosi invece
di reato istantaneo, ampiamente prescritto, trattandosi di condotta omissiva
risalente al 2001. Si lamenta altresì il vizio di motivazione in assenza di ogni
spiegazione sulle ragioni per cui impianti ed attività dovrebbero essere considerati
abusivi.
Per quanto concerne il punto HHa, ovvero la gestione delle discariche in
violazione delle prescrizioni autorizzatorie, si rileva l’inconfigurabilità del reato di
cui al citato art. 256, comma 3,in quanto per i reati di discarica abusiva concernenti
medesimi siti ivi indicati, la sentenza aveva dichiarato non doversi procedere per
intervenuta prescrizione, trattandosi di siti per i quali era cessata l’antigiuridicità
con l’avvio delle procedure dí bonifica ed il successivo rilascio delle certificazioni
liberatorie. Da tale ricostruzione si fa discendere l’intervenuta prescrizione del
reato sul rilievo che le violazioni si sarebbero consumate con lo scadere del termine
previsto per gli adempimenti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, tutte
entro il 2001.
Analogo rilievo viene mosso con riferimento ai punti HHb, relativo alle
violazioni delle prescrizioni concernenti gli impianti di stoccaggio siti pressoi
cantieri, e HHc, concernente le violazioni delle prescrizioni concernenti gli impianti
di trattamento delle acque reflue proveniente dalle piazzole di caratterizzazione
presso gli impianti di depurazione ubicati pressoi cantieri, previste dalla citata
autorizzazione. Si deduce, infine, l’adempimento sia pure tardivo, delle prescrizioni
richieste, emergente dalla documentazione in atti»
24

le statuizioni della S.C. riguardavano esclusivamente i reati di discarica abusiva,

Con il quindicesimo motivo viene articolata, ancora, altra censura stavolta
con riferimento agli addebiti di traffico illecito di rifiuti di cui ai capi 95, QQ, 38A e
40A. Si contesta in primo luogo la ricostruzione operata in sentenza dei vari episodi
come facenti parte della medesima attività organizzata volta a smaltire rifiuti
speciali e, pertanto, come riferiti a segmenti diversi di un unico reato abituale. Ciò
avrebbe comportato una commistione tra condotte del tutto diverse sia sotto il
profilo fattuale che temporale, con la conseguente violazione dell’art. 516 c.p.p. e
l’illegittimo prolungamento delle condotte incriminate, avendo riguardo,

rilievo che dette condotte fossero attuali e permanenti al luglio 2006, onde avendo
riguardo quantomeno a tale data doveva essere ritenuta intervenuta la
prescrizione. Per l’effetto, la sentenza impugnata laddove aveva invece inteso
prolungare il termine prescrizionale oltre il 10 luglio 2006 indicato in imputazione
aveva finito con l’operare una non consentita nuova contestazione.
Si deduce, sotto lo stesso profilo, anche la violazione del principio del favor
rei laddove la sentenza, trasformando la natura di reato abituale del contestato
reato in una sorta di reato permanente anziché applicare il termine finale del luglio
2006, più vantaggioso per l’imputato, aveva applicato il diverso termine costituito
dalla sentenza di primo grado, impedendo la declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione.
La censura è estesa anche al proprium del giudizio di responsabilità, sub
specie dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, come, si sostiene,
sollecitato dalla sentenza di annullamento di questa Corte. Tematica, questa, che
si sostiene non adeguatamente affrontata avendo riguardo al dolo specifico
richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 53 d.lgs. 22/1997. Sul punto
si sostiene che la documentazione in atti dimostrerebbe che fu proprio la P.A. che
fino alla fine del 1999 indusse CAVET a ritenere che le terre e rocce da scavo non
fossero rifiuti. Si sostiene altresì che contrariamente a quanto affermato in
sentenza l’attribuzione del codice CER non era riconducibile al produttore e quindi
agli imputati.
Con il sedicesimo motivo è articolata ulteriore censura rispetto ai reati di
cui ai capi 14 bis , 50, 52, 74, 81, 95, 95 bis, 38A, 40A, M, HH, QQ, SS, UU, ZZ.
Rispetto a tali reati [alcuni dei quali riguardati comunque da più assorbente
motivo di censura: v. supra], si sostiene che avrebbe dovuto trovare applicazione
la causa di non punibilità dell’attivazione delle procedure di bonifica di cui
all’articolo 257, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, applicabile con
riferimento a tutti i reati ambientali e quindi anche a quelli di cui al citato decreto
legislativo.

25

principalmente, al fatto che, comunque, la contestazione era stato articolata sul

Con il diciassettesimo motivo si censura il trattamento sanzionatorio,
lamentandosi dell’omesso riconoscimento delle generiche e dell’omessa
concessione della sospensione condizionale della pena.
Con riferimento al diniego delle attenuanti generiche si lamenta, in
particolare, il riferimento erroneo all’art. 62bis n. 3, introdotto con il d.l.
23.5.2008, convertito dalla legge 24.7.2008 n. 125, inapplicabile ratione temporis.
Si lamenta anche dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112, n. 1, c.p. (sul
numero dei concorrenti), erroneamente applicata nei confronti di soggetti che,

omissiva non simultaneamente ma in successione cronologica.
Si lamenta, altresì, la carenza di motivazione con riferimento al requisito
della conoscenza ex art. 59, comma 2, c.p. da parte dei soggetti che si erano
succeduti nella posizione all’interno del cantiere CAVET.
Con lo stesso motivo si duole della violazione della legge penale anche nel
calcolo dell’aumento di pena effettuato in applicazione dell’istituto della
continuazione, laddove la sentenza ha applicato l’aumento in continuazione nella
misura di nnesi due ed euro 1.000 per ciascuna delle undici contravvenzioni in
continuazione. Si sostiene che la Corte di appello, in violazione dei principi fissati
in tema di continuazione, ha applicato un coefficiente moltiplicatore all’aumento di
pena derivante dalla continuazione, a sua volta incrementato tante volte quanti
sono i reati uniti dal vincolo, con effetti sostanzialmente coincidenti con
l’applicazione di un cumulo materiale di sanzioni. Si lamenta poi la carenza di
motivazione laddove il giudice di appello ha ritenuto di applicare la pena detentiva,
prevista nell’ipotesi che l’inquinamento sia provocato da sostanze pericolose,
anziché quella pecuniaria prevista nelle altre ipotesi.
Si lamenta, altresì, della violazione dell’art. 35 bis c.p. nella parte in cui è
stata disposta l’equiparazione tra la pena principale inflitta e la pena accessoria,
violando il principio secondo il quale, in caso di condanna per reato continuato, nel
commisurare la durata della pena accessoria a quella principale deve farsi
riferimento alla pena inflitta per la violazione più grave e non a quella complessiva,
comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione.
Lamenta, infine, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione delle legge
penale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della
pena, fondata su elementi svincolati dalle posizioni individuali dei singoli imputati.
Deduce la carenza di motivazione in relazione all’applicazione della pena
accessoria della sospensione dell’imputato dall’esercizio degli uffici direttivi ex art.
35 bis c.p., in assenza di ogni accertamento avente ad oggetto le modalità di
commissione del fatto, non risultando neanche contestata l’aggravante di cui
all’art. 61, n. 11, c.p.

secondo la stessa impostazione accusatoria, avevano posto in essere la condotta

Con riferimento alla pena accessoria di cui all’art. 32 ter c.p.si lamenta
l’erronea applicazione al ricorrente, in quanto lo stesso all’epoca dei fatti non
rivestiva la carica di legale rappresentante del consorzio CAVET.
Con il diciottesimo motivo si duole della violazione di legge con riguardo
all’applicazione della pena accessoria dell’obbligo di bonifica e del ripristino dello
stato dei luoghi.
Con riferimento alla prima sanzione si duole che il giudicante aveva fatto
discendere automaticamente dal reato di discarica abusiva e di attività organizzate

del citato decreto legislativo, a mente del quale il suddetto obbligo sorge solo ed
esclusivamente qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino
che la concentrazione dei contaminanti sia superiore ai valori di concentrazione
soglia di rischio.
Con riferimento all’obbligo di ripristino dei luoghi si lamenta che tale
sanzione era stata erroneamente imposta in relazione a delle contestazioni per le
quali lo stesso era stato già condannato al risarcimento del danno ambientale a
favore delle parti civili costituite tra cui il Ministero dell’Ambiente, così risolvendosi
in una illegittima duplicazione della condanna già inflitta al risarcimento dei danni.
Con il diciannovesimo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 158,
comma 1, c.p. e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla
nozione di cessazione della permanenza in relazione ai reati di discarica abusiva
sub. 3 bis, 14 bis, 15 bis, 16 bis, 19 quinquies per i quali il Castellani è stato
oggetto di statuizioni civili. In merito a tali reati la Corte territoriale ha affermato
che gli stessi si sarebbero prescritti dopo la sentenza di primo grado.
Infine, con riferimento all’ordinanza dibattimentale del 3/3/2014 si richiama
integralmente il primo motivo di ricorso presentato nell’interesse di Marcheselli,
inerente l’inammissibilità delle richieste avanzate dalle parti civili in sede di giudizio
di rinvio. Infine, ci si duole della applicazione della pena accessoria dell’obbligo di
bonifica e del ripristino dello stato dei luoghi come conseguenza della condanna
per i reati di discarica abusiva e di attività organizzate di traffico illecito di rifiuti,
senza che sui siti si sia mai effettuata alcuna indagine sulla matrice ambientale
per la verifica del superamento dei valori di concentrazione soglia di rischio [CSR].
Non vi sarebbe automatismo tra la condanna e l’applicazione della pena
accessoria, che andrebbe applicata solo qualora gli esiti della procedura dell’analisi
di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia
superiore ai detti valori di CSR.
Si insta, infine, per l’annullamento delle statuizioni adottate per i capi 3
bis, 15 bis, 16 bis, 19 quinquies [reati di discarica abusiva per i siti La Capannina,
Alberaccio, Prevam CAR 1, Colle Canda], sul rilievo che sia mancato un

27

di traffico illecito di rifiuti l’insorgere dell’obbligo di bonifica, così violando l’art. 242

accertamento di merito sulla sussistenza del reato, pur avendo la Corte di merito
ritenuto che i reati si siano prescritti dopo la sentenza di primo grado.

• Frulloni Giulio, a mezzo del proprio difensore avv. Giuseppe Zanalda;
Giulio Frulloni (geometra in CAVET, Direttore di Tronco DT3 dal 23.12.1998
al 26.6.2003, condannato alla pena di anni uno mesi undici di arresto ed euro
16.500 di ammenda per i reati di omessa bonifica di cui ai capi 50 ( Sasso di
Castro), 52 (con riferimento al sito Le Sanguinaie), SS (discarica Gatti in

in Giovi e “Orso” in Bonnarzo, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle
parti civili costituite, conseguiti ai predetti reati di omessa bonifica per i quali vi è
stata condanna nonché ai reati di traffico illecito di rifiuti, ex capi d’imputazione
95 e QQ, dichiarati prescritti dopo la sentenza di primo grado) propone ricorso
avverso la citata sentenza e l’ordinanza della Corte di appello 3.3.2014, che
rigettava le eccezioni proposte nell’interesse del Frulloni (oltre che di Longo,
Marcheselli e Castellani) in merito alla impossibilità per le parti civili non ricorrenti
dinanzi al giudice di legittimità di produrre conclusioni diverse ed ulteriori alle
argomentazioni del PM ricorrente e di avanzare nuove richieste risarcitorie).
Il ricorrente articola 12 motivi, che possono essere così sintetizzati e, nel
caso, esaminati congiuntamente.
Con un primo motivo, si duole del fatto che la sentenza di rinvio l’abbia
condannato al risarcimento del danno anche a favore delle parti civili non ricorrenti
in cassazione avverso la prima sentenza della Corte di appello di Firenze
27/6/2011 che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato gli
imputati ivi indicati, in solido tra loro e con il responsabile civile, al risarcimento
dei danni cagionati alle parti civili solo con riferimento ai reati di danneggiamento
di cui al capo A, per i quali era stata dichiarata la prescrizione maturata nel periodo
compreso tra il primo ed il secondo grado. La Corte di Cassazione, con sentenza
18/3/2013, aveva confermato la prescrizione del reato di danneggiamento e la
condanna al risarcimento dei danni, e, pertanto, su tali capi la sentenza della Corte
di appello aveva acquisito autorità di giudicato. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto
avere per oggetto esclusivamente i reati di omessa bonifica, discarica abusiva e di
attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti e non quello di danneggiamento
di cui al capo A. In questa situazione si prospetta che le parti civili, a suo tempo
costituite per i reati oggetto di annullamento con rinvio non avrebbero potuto
rassegnare in sede di giudizio di rinvio nuove conclusioni in quanto acquiescenti
rispetto alle contrarie statuizioni della sentenza della Corte di appello del
27.6.2011.

28

Codigoro), UU (discarica Cave Nord ” S.Anna), ZZ (discarica GIT ” Le Fontanelle”

Si argomenta, in proposito, che erroneo sarebbe stato il richiamo, operato
dal giudicante con l’ordinanza 3.3.2014, al principio di immanenza della parte
civile, sul rilievo che tale principio comporta solo che la parte civile, una volta
costituitasi nel giudizio di primo grado, rimanga parte del processo penale anche
nei gradi successivi anche se non impugnante, con la conseguenza che la
medesima deve essere regolarmente citata per tutti i gradi del giudizio.
Tale principio, peraltro, non implica, secondo l’assunto del ricorrente, che
la parte civile non impugnante e, quindi acquiescente, possa giovarsi del ricorso

risarcimento del danno.
La sentenza quindi erroneamente avrebbe liquidato i danni in via definitiva
o assegnato provvisionali in favore di parti civili non ricorrenti che avevano
presentato nuove conclusioni in sede di giudizio di rinvio.
Sulla tematica si sollecita, per l’importanza della questione, la rimessione
alle Sezioni unite. In linea con gli argomenti di censura, si è chiesto alla Corte di
sospendere l’esecuzione delle statuizioni civili ai sensi dell’articolo 612 c.p.p. , in
ragione della entità notevole delle somme liquidate in via definitiva o a titolo di
provvisionale.
Con il secondo motivo si censura la decisione del giudice sostenendo che
avrebbe violato i limiti dell’annullamento con rinvio di questa Corte.
Ciò sotto un duplice profilo. Da un lato, si osserva che per taluni reati
oggetto della contestazione [ capi SS, UU e ZZ] le statuizioni contenute nella prima
decisione di appello [Corte di appello di Firenze, Sezione III, 27 giugno 2011]
sarebbero divenute irrevocabili, perché non riguardate dall’annullamento della
Sezione III di questa Corte, con la sentenza n. 32797 del 2013, in conformità a
quanto emergeva dalla memoria per la discussione in data 3.3.2014 del P.G.:
questo, si sostiene, avrebbe riguardato solo ed esclusivamente i capi ed i punti
della decisione concernenti i reati di discarica abusiva, omessa bonifica e traffico
illecito. Con l’ulteriore specificazione che la definitività dell’accertamento

di altre parti civili o del pubblico ministero e, quindi avanzare richiesta di

riguardava anche taluna delle contestate omesse bonifiche, rispettivamente della
discarica di Codigoro, S. Anna- Cave Nord e di Giovi e Bomarzo, nelle quali sono
stati conferiti fanghi gestiti come rifiuti e non lo smarino di scavo delle gallerie
conferito nei siti indicati [capi SS, UU e ZZ], perché anch’esse non fatte oggetto
dell’annullamento.
Con il terzo motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’affermata responsabilità del prevenuto per i reati di omessa bonifica
di cui ai capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ: erroneo sarebbe stato l’assunto del
giudicante, affermativo della responsabilità anche per il periodo successivo alla
cessazione della carica rivestita.

29

\,)

4

Ciò sulla base del contestato principio secondo cui il dirigente che con il
proprio comportamento ha cagionato o comunque contribuito a cagionare il danno
ambientale ne rimane responsabile ai fini della bonifica anche dopo che abbia
receduto definitivamente dal ruolo rivestito al momento del fatto.
Principio che si assume in contrasto con quelli costituzionali di personalità
della responsabilità penale e colpevolezza e con l’art. 51 bis d.lgs. 22/1997 che,
nel richiamare l’art. 17 del medesimo decreto fa riferimento non all’autore
dell’inquinamento, ma al responsabile dell’inquinamento.

giudicante fonderebbero impropriamente, in contrasto con il disposto dell’articolo
40 cpv. c.p., una posizione di garanzia sostanzialmente perenne, in contrasto con
il disposto di detta disposizione laddove questa correla il dovere di agire alla
possibilità giuridica di impedire l’evento, ossia alla “signoria” della situazione di
fatto.
La stessa sentenza di annullamento con rinvio della S.C., avrebbe del resto
chiarito – con ciò secondo il ricorrente apprezzandosi ulteriore vizio per violazione
dell’articolo 627, comma 3, c.p.p.- come neí casi in cui un determinato ruolo
all’interno di una organizzazione complessa venga dismesso da un soggetto e
trasferito ad altro soggetto non potrebbe rinvenirsi responsabilità per colui che
trasferisce la gestione per condotte poste in essere dal successore, così come il
nuovo soggetto titolare del ruolo non risponde delle condotte antecedenti poste in
essere da chi l’ha preceduto.
Dagli argomenti posti a fondamento della censura si fa discendere la
conclusione della cessazione della permanenza dal momento della cessazione dalla
carica (26/6/2003), con conseguente intervenuta prescrizione il 24/7/2007, prima
della pronuncia della sentenza di primo grado.
Con lo stesso motivo si censura l’iter logico della motivazione con
riferimento all’affermata responsabilità concorsuale, che si assume fondata su
affermazioni presuntive e congetturali.
Con il quarto motivo ci si duole della violazione della legge penale in
relazione all’affermata responsabilità del prevenuto per il reato di omessa bonifica
della cava Sasso di Castro di cui al capo 50: erroneo sarebbe stato l’assunto del
giudicante laddove aveva affermato che i fatti erano stati già esaminati nelle sedi
di merito e considerati provati mentre il giudice di legittimità aveva posto a carico
del giudice del rinvio il compito di motivare in merito alla complessiva situazione
di fatto relativa ad ogni sito.
Ulteriore argomento di censura è fondato sulla confusione operata dal
giudicante sulle nozioni di fango e di limo di lavaggio inerti considerati
erroneamente come sinonimi, laddove la giurisprudenza della S.C. escluderebbe i

30

Si argomenta, più specificamente, in proposito, che le conclusioni del

limi dalla nozione di rifiuti ritenendoli sottoprodotti, con la conseguenza che nel
caso di specie risulterebbe sufficiente l’Autorizzazione regionale. Si deduce altresì
il vizio di motivazione sotto il duplice profilo del travisamento del fatto e
dell’omessa valutazione di documenti agli atti. Sul punto si rappresenta che il
giudice del rinvio non aveva tenuto conto che la Cava di Sasso di Castro,
contrariamente a quanto affermato in sentenza, è una cava deputata al prelievo e
non al deposito di materiale e che agli atti vi è l’autorizzazione al deposito dei limi.
Si sostiene altresì l’omessa considerazione del dato costituito dalla rimozione del

sub 37 bis coperto da giudicato. Si deduce, infine, che la sentenza aveva affermato
l’esistenza dell’inquinamento, prescindendo da qualsiasi valutazione in merito
all’effettiva esistenza di una contaminazione con il superamento delle CSR, come
invece richiesto dalla fattispecie di cui all’art. 257 d.lgs. 152/2006.
Con il quinto motivo si censura l’affermata responsabilità del prevenuto per
il reato di omessa bonifica di cui al capo 52 relativo al sito Le Sanguinale nel
comune di Firenzuola laddove, contrariamente a quanto affermato dal giudice del
rinvio, la Corte di legittimità non ha validato le premesse di fatto relative
all’avvenuta consumazione di condotte di discarica abusiva di smarino e fanghi e
di omessa bonifica dei siti rinviando al giudice di merito il compito di motivare in
merito alla complessiva situazione di fatto relativa ad ogni sito. Si sostiene che
l’insussistenza del reato presupposto di discarica abusiva di cui al capo di
imputazione 14 bis impedisce la possibilità di ravvisare il conseguente reato di
omessa bonifica di cui al capo 52. Sul punto si evidenzia che il giudice del rinvio
affermando la responsabilità per il citato reato aveva omesso di considerare gli atti
difensivi dai quali emergeva l’insussistenza di smarino nel sito Le Sanguinaie,
come confermato dalla revoca del decreto di sequestro preventivo della cava
emesso dalla Procura della Repubblica competente un data 19.7.2001, pure
allegato al ricorso nonché l’autorizzazione del Comune di Firenzuola n. 3/98 per
variante di ripristino ambientale del sito Le Sanguinale, pure emergente dalla

materiale gestito a far data dal 21.6.2000, come emerge dal capo d’imputazione

relazione redatta dal consulente della difesa. Con ulteriore argomentazione si
censura, ancora, l’affermazione di responsabilità per il capo 14 bis, basata
sull’assunto che la Corte di legittimità aveva espressamente escluso dal giudizio di
rinvio le statuizioni contenute nella prima sentenza di appello in materia di fanghi,
confermando le conclusioni del giudice di appello che aveva accertato il compiuto
decorso del termine prescrizionale.
Con il sesto motivo si censura il giudizio di responsabilità per il reato di
omessa bonifica della discarica Gatti Codigoro, di cui al capo d’imputazione SS,
sostenendo che la S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe
rinviato al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei presupposti

31

4

oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio,
erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della
conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità individuale. Si
lamenta altresì la violazione dell’art. 188, comma 3, lett. b) d.lgs. 152/2006 nella
parte in cui aveva omesso di prendere in considerazione la documentazione,
acclarata anche dalla consulenza della difesa, da cui emergeva l’esonero di
responsabilità del produttore-detentore del rifiuto per l’avvenuta consegna del
rifiuto a discarica autorizzata. Sotto altro profilo si lamenta la carenza di

integrare l’obbligo di bonifica a carico del responsabile, contraddetta, peraltro,
dalla certificazione liberatoria del comune di Codigoro in data 30.10.2012. Si
deduce, infine, la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, applicabile secondo la
sentenza di annullamento con rinvio anche ai siti le cui condizioni e procedure di
bonifica siano proseguite successivamente all’entrata in vigore del d.lgs.
152/2006, in assenza di ogni prova del superamento delle CSR.
Censure analoghe vengono articolate, con il settimo motivo, rispetto ai reati
di discarica abusiva e di omessa bonifica relativi al sito S. Anna loc. Lippo di cui al
capo di imputazione UU e con l’ottavo motivo rispetto ai reati di discarica abusiva
e di omessa bonifica dei siti di Giovi e Bomarzo.
Con il nono motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento al giudizio di responsabilità del prevenuto per i reati di omessa bonifica
di cui ai capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ. Si ritiene insussistente la contestata omessa
bonifica rispetto alle emergenze fattuali rappresentate, essenzialmente, dalla
omessa valutazione dell’eventuale attivazione delle procedure di bonifica e del
rilascio delle relative certificazioni liberatorie, con la conseguente applicabilità della
causa di non punibilità di cui all’art. 257, comma 4, d.lgs. 152/2006, applicabile
con riferimento a tutti i reati ambientali e quindi anche a quelli di cui al citato
decreto legislativo.
Con il decimo motivo si lamenta che il giudice del rinvio nell’affermare la
responsabilità dell’imputato per i reati di omessa bonifica contestati ai capi 50, 52,
SS, UU e ZZ, li ha condanna facendo riferimento all’art. 51 d.lgs. 22/1997, che
puniva il reato di gestione di rifiuti non autorizzata, anziché all’art. 51 bis del
medesimo decreto che puniva il reato di omessa bonifica.
In ogni caso, si deduce la sussistenza della violazione di legge anche
nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio avesse voluto fare riferimento all’art. 51 bis,
essendo evidente in tal caso la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, vigente
all’epoca della sentenza di primo grado, a fronte della radicale diversità che
connota le due disposizioni sintetizzabile nella considerazione che il richiamato art.
257 configura il solo evento di danno dell’inquinamento per la realizzazione del

32

motivazione in merito all’esistenza di un evento di contaminazione tale da

quale è ora necessario il superamento delle concentrazioni Soglia di rischio,
superiori ai livelli delle CSC e nel trattamento sanzionatorio, ora a pena alternativa.
Si sostiene che il giudice del rinvio, pur non avendo espressamente motivato sul
punto, ha ampliato la portata afflittiva della norma ritenendo sussistente la
violazione dell’obbligo di bonifica non solo quando siano state superate le CSR
definite nel progetto di bonifíca ma anche quando il responsabile non avvia il
procedimento di bonifica come delineato dall’art. 242 d.lgs. 152/2006, con l’effetto
di impedire che si pervenga all’accertamento della reale sítuazione di

in cui afferma che il requisito per l’applicazione dell’esimente dei reati ambientali
si realizza solo a seguito del pronunciamento positivo da parte
dell’amministrazione competente.
Con

l’undicesimo motivo si articolano censure sul trattamento

sanzionatorio, lamentandosi dell’applicazione degli indifferenziati criteri di
commisurazione della pena, dell’omesso riconoscimento delle generiche e
dell’omessa concessione della sospensione condizionale della pena.
Ci si duole altresì dell’applicazione della circostanza aggravante ex art. 112,
n. 1, c.p. applicata erroneamente a reati di natura omissiva e a soggetti che hanno
posto in essere le loro condotte non simultaneamente ma in successione
cronologica.
Si lamenta la violazione di legge anche nel calcolo dell’aumento di pena
effettuato in applicazione dell’istituto della continuazione fondato su di una
valutazione frammentaria in luogo della valutazione unitaria prescritta dall’art. 81
c.p.
Ci si duole della violazione del citato art. 257, comma 2 e 3, sul rilievo che
il giudice del rinvio non aveva chiarito il motivo per cui ha ritenuto applicabile la
sanzione detentiva in luogo di quella meno grave dell’ammenda applicabile
nell’ipotesi in cui l’inquinamento non sia provocato da sostanze pericolose.
Con il dodicesimo motivo ci si duole della carenza di motivazione in
relazione all’applicazione della pena accessoria della sospensione dell’imputato
dall’esercizio degli uffici direttivi ex art. 35 bis c.p., in assenza di ogni
accertamento avente ad oggetto le modalità di commissione del fatto, non
risultando neanche contestata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11, c.p.

• Longo Michele, con due separati atti a mezzo dei propri difensori avv. Grazia
Volo e avv. Giuseppe Zanalda.
Michele Longo, in qualità di direttore dei cantieri T5, T7, CBT3, dal 1998 al
7 gennaio 2003, è stato condannato alla pena di anni uno, nove mesi di arresto
ed euro 15.500,00 di ammenda, per avere omesso di bonificare i siti di Codigoro

33

contaminazione del sito interessato. Si censura, pertanto, la sentenza nella parte

( capo SS), Cave Nord ( capo UU), Giove e Orso Bomarzo ( capo ZZ) e Fornace
Focardi ( capo 74) ( la condanna per quest’ultimo capo non risulta dal dispositivo
della sentenza ma si ricava da un passaggio della parte motiva a pag. 187, pur
risultando che sul punto vi era stata già un’assoluzione in primo grado, non oggetto
di impugnazione da parte della Procura).
Nell’interesse del Longo, sono stari presentati due ricorsi, a firma,
rispettivamente, dell’avv.to Volo e dell’avv. Zanalda.
Con il primo ricorso, si lamenta in premessa l’errore metodologico della

generale senza verificare le singole posizioni degli imputati. Si deduce, altresì, la
violazione di specifiche preclusioni processuali sul rilievo che i capi per i quali è
stata pronunciata sentenza di condanna non erano stati oggetto di annullamento
da parte del giudice di legittimità.
Ciò premesso, con il primo motivo, con riferimento ai reati di omessa
bonifica, oltre che la violazione del perimetro del giudizio rescissorio, si lamenta il
vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova. Si deduce, in
particolare, in relazione alla discarica GATTI, località Codigoro ( reato contestato
al capo SS), che il giudice del rinvio non aveva svolto alcun accertamento sulla
riconducibilità del conferimento dei fanghi presso la discarica Gatti ai cantieri che
l’imputazione ascrive alla direzione del Longo, pur risultando dalla documentazione
in atti che i fanghi conferiti presso la citata discarica provenivano da cantieri diversi
rispetto a quelli per i quali il Longo era stato delegato ad espletare attività di
direzione. Sotto lo stesso profilo si deduce violazione della legge penale sul rilievo
che il reato di omessa bonifica presuppone che il soggetto accusato deve essere
l’autore dell’inquinamento.
In ogni caso, si rimarca che, con riferimento alla discarica Gatti, è
intervenuta certificazione liberatoria da parte del Comune di Codigoro del 30
ottobre 2012, prodotta solo in questa sede visto che la discarica non era gestita
direttamente dal consorzio CAVET ma da società esterna ed autonoma.
L’ulteriore censura, formulata in via subordinata e con rinvio al secondo
motivo, in quanto trasversale a tutti i reati contestati, attiene all’erronea
attribuzione soggettiva delle condotte imputate al Longo in ragione di una
supposta ultrattività della posizione di garanzia di quest’ultimo, anche
successivamente alla sua fuoriuscita dal consorzio CAVET
Analoghe considerazioni vengono svolte con riferimento alla discarica Cave
Nord- S. Anna, oggetto di cui al capo UU), con riferimento alla quale si deduce che
dalla documentazione allegata emerge che i fanghi provenivano sempre dal
cantiere T14 sito in San Pellegrino Firenzuola- Firenze, non affidato alla direzione
del Longo.

34

sentenza di rinvio che aveva accorpato gli argomenti con valutazioni di carattere

Anche con riferimento alle discariche GIT- GIOVE e ORSO BOMARZO,
entrambi gestiti dalla ditta G.I. T. s.r.I., di cui al capo ZZ), viene denunciato il vizio
di motivazione, che aveva richiamato per relationem quella di primo grado, ed il
travisamento delle prove.
Per quanto concerne la cava in località Fontanelle nel Comune di Giove (TR)
si evidenzia che i Cantieri T7 e T5 diretti dal Longo avevano conferito nel corso
dell’anno 2001 i fanghi ricompresi nella categoria dei rifiuti non pericolosi ( sino
al dicembre 2001) alla predetta cava, provvista di autorizzazione a procedere al

diversamente solo nella primavera del 2002 a seguito di direttiva comunitaria (e
nel luglio del 2002 la GIT provvedeva alla cancellazione della cava dal registro
provinciale delle imprese esercenti operazioni di recupero dei rifiuti non pericolosi).
Con riferimento alla cava di Orso Bomarzo, si lamenta che illogicamente il
giudice del rinvio, aderendo alla motivazione della sentenza di primo grado, aveva
individuato un unicunn soggettivo ed oggettivo nell’attività di recapito dei rifiuti
alla cava di Fontanelle ed a quella di Orso Bomarzo, senza tener conto che i
conferimenti da parte di CAVET erano terminati nel dicembre 2001 e che, pertanto,
il successivo spostamento dei fanghi dalla cava Le Fontanelle a quella di Orso
Bomarzo , posto in essere dal titolare della Ditta GIT, non era stato posto a
conoscenza dai dirigenti Cavet.
Per quanto concerne il reato di omessa bonifica della Fornace Focardi (capo
74), si lamenta la violazione del principio della preclusione processuale rimarcando
che il Longo, contrariamente a quanto affermato dal giudice del rinvio, non era
stato condannato in primo grado e su tale capo non vi era stata impugnazione da
parte del PM, ma i giudici del primo appello avevano erroneamente pronunciato
l’assoluzione per tale reato, innescando l’errore che, a seguito del ricorso della
Procura generale, aveva portato all’annullamento della sentenza anche per tale
ipotesi di reato in sede di legittimità e, infine, la conferma della condanna in sede
di rinvio.
In ogni caso, si produce in questa sede la certificazione finale liberatoria
della Provincia di Arezzo in data 23 marzo 2010, attestante la non necessità di
bonifica ed il ripristino ambientale del sito.
Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione nella
parte in cui, riconoscendo la responsabilità del Longo per i reati di omessa bonifica,
affermava l’ultrattività della posizione di garanzia del medesimo a prescindere
dalla cessazione dell’incarico dallo stesso ricoperto, avvenuta il 7 gennaio 2003,
data in cui lo stesso ha rescisso definitivamente ogni rapporto professionale con il
CAVET, venendo così meno ogni concreto potere di intervento sulla instaurazione
della procedura di bonifica. Il giudice del rinvio fondava il giudizio di responsabilità

35
‘t

recupero con spandimento sul suolo( R10) di rifiuti non pericolosi, qualificati

sulla considerazione che l’art. 51 bis d.lgs. 22 del 1997 incrimina il soggetto
responsabile dell’inquinamento che, pur essendovi obbligato, non abbia
provveduto alla bonifica, con la conseguente imposizione di un onere personale a
carico del soggetto che ha determinato il danno ambientale, in ordine alla cui
rimozione lo stesso mantiene una posizione di garanzia. Tale conclusione, secondo
la difesa, illogicamente diversa rispetto a quella formulata per il reato di gestione
abusiva di discariche, non tiene conto dei principi espressi in tema di posizione di
garanzia, secondo i quali l’obbligo giuridico di attivarsi deve sempre essere

intervenire. Non tiene altresì conto neanche dei principi sulla struttura del reato
permanente e del concorso di persone, secondo i quali la permanenza del reato
cessa quando il fatto reato, pur permanendo, non sia più attribuibile ad un
soggetto in ragione del venir meno del potere dello stesso di intervenire sulla
situazione asseritamente antigiuridica. In questa prospettiva si eccepisce il
decorso del termine prescrizionale ancora prima della pronuncia della sentenza di
primo grado.
Con il terzo motivo si duole del vizio di motivazione in relazione al
trattamento sanzionatorio.
Con riferimento alla pena complessiva comminata per le quattro
contravvenzioni di omessa bonifica (anni uno mesi nove di arresto ed euro 15.500
di ammenda) si deduce l’eccessività della pena rispetto a quella inflitta in primo
grado per 22 capi di imputazione ( anni tre e mesi sei di reclusione) e la manifesta
illogicità della motivazione con riferimento “al livello particolarmente elevato di
pregiudizio provocato”, tenuto conto che per un numero elevato di siti oggetto di
contestazione non era stato rilevato alcun inquinamento. Analoghe considerazioni
vengono proposte con riferimento al diniego delle generiche fondato sulla gravità
del danno. Si deduce la carenza di motivazione in relazione all’applicazione della
pena accessoria della sospensione dell’imputato dall’esercizio degli uffici direttivi
ex art. 35 bis c.p., in assenza di ogni accertamento avente ad oggetto le modalità
di commissione del fatto, non risultando neanche contestata l’aggravante di cui
all’art. 61, n. 11, c.p.
Con il quarto motivo lamenta il vizio di motivazione e l’erronea applicazione
delle legge penale in relazione alla mancata concessione della sospensione
condizionale della pena, fondata sulla ritenuta gravità del reato, senza valutare lo
stato di incensuratezza dell’imputato.
Con il ricorso, a firma dell’avv. Zanalda, vengono articolati nove motivi.
Con il primo motivo, con riferimento ai reati di omessa bonifica, si lamenta
che gli stessi, come emergeva dalla memoria di discussione del Procuratore
Generale del 3.3.2014, erano da ritenersi esclusi dal giudizio di rinvio e che,

36

accompagnato dall’esistenza di poteri fattuali che consentano all’agente di

pertanto, era passata in giudicato la sentenza di assoluzione della Corte di appello
del 27.6.2011, che aveva evidenziato come nei predetti siti erano stati conferiti
esclusivamente fanghi gestiti come rifiuti e non lo smarino di scavo delle gallerie.
Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione nella
parte in cui, riconoscendo la responsabilità del Longo per i reati di omessa bonifica,
affermava l’ultrattività della posizione di garanzia del medesimo a prescindere
dalla cessazione dell’incarico dallo stesso ricoperto, avvenuta nel gennaio 2003. Il
giudice del rinvio fondava il giudizio di responsabilità sulla considerazione che l’art.

pur essendovi obbligato, non abbia provveduto alla bonifica, con la conseguente
imposizione di un onere personale a carico del soggetto che ha determinato il
danno ambientale, in ordine alla cui rimozione lo stesso mantiene una posizione
di garanzia. Principio che si assume in contrasto con quelli costituzionali di
personalità della responsabilità penale e colpevolezza e con l’art. 51 bis
d.1gs22/1997 (ora art. 257 d.lgs. 152/2006) che, nel richiamare l’art. 17 del
medesimo decreto (ora 242 d.lgs. 152/2006) fa riferimento non all’autore
dell’inquinamento, ma al responsabile dell’inquinamento.
Si argomenta, più specificamente, in proposito, che le conclusioni del
giudicante fonderebbero impropriamente, in contrasto con il disposto dell’articolo
40 cpv. c.p., una posizione di garanzia sostanzialmente perenne, in contrasto con
il disposto di detta disposizione laddove questa correla il dovere di agire alla
possibilità giuridica di impedire l’evento, ossia alla “signoria” della situazione di
fatto. Situazione non ricorrente nel caso in esame in cui si trattava di siti esterni
alla gestione Cavet per i quali i dirigenti del consorzio non avevano alcun concreto
potere di intervento.
La stessa sentenza di annullamento con rinvio della S.C., avrebbe del resto
chiarito – con ciò secondo il ricorrente apprezzandosi ulteriore vizio per violazione
dell’articolo 627, comma 3, c.p.p.- come nei casi in cui un determinato ruolo
all’interno di una organizzazione complessa venga dismesso da un soggetto e
trasferito ad altro soggetto non potrebbe rinvenirsi responsabilità per colui che
trasferisce la gestione per condotte poste in essere dal successore, così come il
nuovo soggetto titolare del ruolo non risponde delle condotte antecedenti poste in
essere da chi l’ha preceduto.
Dagli argomenti posti a fondamento della censura si fa discendere la
conclusione della cessazione della permanenza dal momento della cessazione dalla
carica (7/1/2003), con conseguente intervenuta prescrizione, tenuto conto della
sospensione dei termini, il 4/7/2007, prima della pronuncia della sentenza di primo
grado.

37

51 bis d.lgs. 22 del 1997 incrimina il soggetto responsabile dell’inquinamento che,

Con lo stesso motivo si censura l’iter logico della motivazione con
riferimento all’affermata responsabilità concorsuale, che si assume fondata su
affermazioni presuntive e congetturali.
La sentenza avrebbe trascurato le forme concrete attraverso le quali si
sarebbe manifestata in concreto, per i singoli imputati, la condotta di concorso nel
reato ed avrebbe erroneamente impiegato l’argomento del “consenso tacito”,
disatteso dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, in base al quale i dirigenti
si sarebbero limitati a smaltire i rifiuti senza riserve né contestazioni.

Fornace Focardi (capo 74), si lamenta la violazione del principio della preclusione
processuale rimarcando che il Longo, contrariamente a quanto affermato dal
giudice del rinvio, non era stato condannato in primo grado e su tale capo non vi
era stata impugnazione da parte del PM, ma i giudici del primo appello avevano
erroneamente pronunciato l’assoluzione per tale reato, innescando l’errore che, a
seguito del ricorso della Procura generale, aveva portato all’annullamento della
sentenza anche per tale ipotesi di reato in sede di legittimità e, infine, la conferma
della condanna in sede di rinvio. Si deduce altresì che nel dispositivo della sentenza
il Longo veniva dichiarato colpevole solo per reati ascritti ai capi SS), UU) e ZZ),
con esclusione del capo 74) e tuttavia il predetto reato era stato tenuto in
considerazione nei criteri di computo della pena irrogata.
Con lo stesso motivo si denuncia la manifesta illogicità della motivazione
sul rilievo che per il predetto sito, come emerge dalla consulenza tecnica della
difesa, risultava emessa specifica autorizzazione al recupero di rifiuti per produrre
manufatti per l’edilizia, così traendosi la conclusione dell’insussistenza del
mancato accertamento di una situazione di contaminazione ex art. 257 d.lgs.
152/2006 e della non configurabilità del reato di omessa bonifica, che presuppone
una situazione di inquinamento ambientale.
Situazione dimostrata dalla certificazione finale liberatoria della Provincia
di Arezzo in data 18 marzo 2010, attestante la non necessità di bonifica ed il
ripristino ambientale del sito.
Con il quarto motivo, afferente il reato di omessa bonifica del sito della
discarica Gatti di Codigoro ( reato contestato al capo SS) si sostiene che la S.C.,
nella sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe rinviato al giudice di merito
per un più puntuale approfondimento dei presupposti oggettivi e soggettivi delle
condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio, erroneamente, avrebbe inteso
la sentenza della Cassazione nel senso della conferma positiva della sussistenza
dei reati e della responsabilità individuale e non avrebbe accertato, pertanto, le
premesse di fatto relative all’avvenuta consumazione di condotte di discarica
abusiva e di omessa bonifica.
38

Con il terzo motivo, con riferimento al reato di omessa bonifica della

Si lamenta altresì la violazione dell’art. 188, comma 3, lett. b) d.lgs.
152/2006 e la carenza della motivazione nella parte in cui aveva omesso di
prendere in considerazione i motivi di impugnazione riguardanti la
documentazione, acclarata anche dalla consulenza della difesa, da cui emergeva
l’esonero di responsabilità del produttore-detentore del rifiuto per l’avvenuta
consegna del rifiuto a discarica autorizzata ( l’unico obbligo rimanente è quello
della conservazione della copia di tutti i conferimenti CAVET, accertata mediante
produzione documentale, come emerge dalla consulenza di parte). Sotto altro

contaminazione tale da integrare l’obbligo di bonifica a carico del responsabile,
contraddetta, peraltro, dalla certificazione liberatoria del comune di Codigoro in
data 30.10.2012. Si deduce, infine, la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006applicabile secondo la sentenza di annullamento con rinvio anche ai siti le cui
condizioni e procedure di bonifica siano proseguite successivamente all’entrata in
vigore del d.lgs. 152/2006, in assenza di ogni prova del superamento delle CSR.
Censure analoghe vengono articolate, con il quinto motivo, rispetto ai reati
di discarica abusiva e di omessa bonifica relativi al sito S. Anna loc. Lippo di cui al
capo di imputazione UU. Si Con specifico riferimento alla violazione dell’art. 257
d.lgs. 152/2006 si contesta l’affermazione del giudicante secondo la quale la sola
presenza di fanghi contenenti idrocarburi renderebbe inevitabile e quindi
presumibile l’esistenza di un evento di contaminazione del suolo, dal quale sarebbe
scaturito l’obbligo di bonifica in capo al ricorrente, a prescindere da qualsiasi
accertato superamento delle CSR.
Si deduce, in fatto, che nel sito Cave Nord venne conferito lo stesso identico
materiale (fanghi filtropressati), contestualmente conferito nella discarica di
Codigoro, per la quale era stata ottenuta dall’autorità competente la certificazione
liberatoria.
Analoghe censure vengono proposte, con il sesto motivo, con riferimento
al capo d’imputazione ZZ relativo al reato di omessa bonifica e di discarica abusiva

profilo si lamenta la carenza di motivazione in merito all’esistenza di un evento di

dei siti di Giovi e Bomarzo, gestiti dalla ditta GIT. Anche in questo caso non erano
state accertate le premesse di fatto relative all’avvenuta consumazione di condotte
di omessa bonifica e non erano stati considerati gli specifici rilievi contenuti nei
motivi di appello nei quali si sottolineava che i rifiuti erano stati conferiti a impianti
di recupero autorizzati e che il relativo Fir era stato restituito nella quarta copia,
con conseguente esonero di responsabilità ex art. 188, comma 1, lett. b) d.lgs.
152/2006. Si sottolinea, inoltre, che i conferimenti Cavet presso il sito Fontanelle
erano terminati nel 2001, come riconosciuto nella sentenza di primo grado, epoca
in cui i fanghi non erano ancora classificati come pericolosi. Si deduce, inoltre, che
nel predetto sito era conferito lo stesso identico materiale (fanghi filtro pressati)

39

\i\ l

k

provenienti dai cantieri Cavet conferito nella discarica di Codigoro (capo SS), per
la quale era stata ottenuta dall’autorità competente la certificazione liberatoria
attestante l’assenza di inquinamento per i materiali conferiti.
Con il settimo motivo si lamenta la violazione di legge ed il vizio di
motivazione laddove la sentenza, nell’affermare la penale responsabilità degli
imputati per i fatti di omessa bonifica, li ha condannati, come emerge dal
dispositivo, facendo erroneo riferimento all’art. 51 d.lgs. 22/1997, che puniva il
reato di gestione di rifiuti non autorizzata anziché all’art. 51 bis del medesimo

sussisterebbe anche nel caso in cui l’art. 51 fosse stato indicato per mero errore
di trascrizione: il provvedimento impugnato non avrebbe infatti tenuto conto della
insussistenza di una continuità normativa tra il citato art. 51 bis e l’art. 257 d.lgs.
vigente all’epoca della sentenza di primo grado, che, oltre a prevedere la pena
alternativa, pecuniaria o detentiva, non assume quale presupposto il pericolo di
inquinamento o il superamento delle CSC, nna configura il solo evento di danno
dell’inquinamento, per la realizzazione del quale è necessario il superamento della
Concentrazioni Soglia di Rischio, consistente in un livello di rischio superiore ai
livelli della CSC.
Si censura la sentenza anche nella parte in cui il giudice del rinvio ritiene
sussistente la violazione dell’obbligo di bonifica non solo quando siano state
superate le CSR definite nel progetto di bonifica ma anche quando il responsabile
non avvia il procedimento dí bonifica come delineato dall’art. 242 d.lgs. 152/2006,
con l’effetto di impedire che si pervenga all’accertamento della reale situazione di
contaminazione del sito interessato. Si ritiene inaccettabile la tesi che l’avvio delle
procedure di bonifica, che costituisce fatto interruttivo della permanenza del reato
di omessa bonifica e requisito per l’applicazione delle esimente per i reati
ambientali, si realizzi solo a seguito del pronunciamento positivo da parte
dell’amministrazione competente, così confondendo tale reato con quello di
gestione abusiva.
Con l’ottavo motivo si duole del vizio di motivazione in relazione al
trattamento sanzionatorio, ‘vi compreso il diniego delle attenuanti generiche. Con
riferimento a tale ultimo aspetto si lamenta, in particolare, il riferimento erroneo
all’art. 62 bis n. 3, introdotto con il d.l. 23.5.2008, convertito dalla legge
24.7.2008 n. 125, inapplicabile

ratione temporis.

Si lamenta anche

dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112, n. 1, c.p. (sul numero dei
concorrenti), erroneamente applicata nei confronti di soggetti che, secondo la
stessa impostazione accusatoria, avevano posto in essere la condotta °missiva
non simultaneamente ma in successione cronologica.

40

decreto che puniva il reato di omessa bonifica. Si deduce che la violazione di legge

Si lamenta, altresì, la carenza dì motivazione con riferimento al requisito
della conoscenza ex art. 59, comma 2, c.p. da parte dei soggetti che si erano
succeduti nella posizione all’interno del cantiere CAVET.
Con lo stesso motivo si duole della violazione della legge penale anche nel
calcolo dell’aumento di pena effettuato in applicazione dell’istituto della
continuazione, laddove la sentenza, oltre a riferire erroneamente la pena base al
reato di cui all’art. 51 d.lgs. 22/1997 (senza che il ricorrente abbia riportato alcuna
condanna a titolo di discarica abusiva) ha applicato l’aumento in continuazione

continuazione. Si sostiene che la Corte di appello, in violazione dei principi fissati
in tema di continuazione, ha applicato un coefficiente moltiplicatore all’aumento di
pena derivante dalla continuazione, a sua volta incrementato tante volte quanti
sono i reati uniti dal vincolo, con effetti sostanzialmente coincidenti con
l’applicazione di un cumulo materiale di sanzioni. Si lamenta poi la carenza di
motivazione laddove il giudice di appello ha ritenuto di applicare la pena detentiva,
prevista nell’ipotesi che l’inquinamento sia provocato da sostanze pericolose,
anziché quella pecuniaria prevista nelle altre ipotesi.
Lamenta, infine, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione delle legge
penale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della
pena, fondata su elementi svincolati dalle posizioni individuali dei singoli imputati.
Con il

nono motivo deduce la carenza di motivazione in relazione

all’applicazione della pena accessoria della sospensione dell’imputato dall’esercizio
degli uffici direttivi ex art. 35 bis c.p., in assenza di ogni accertamento avente ad
oggetto le modalità di commissione del fatto, non risultando neanche contestata
l’aggravante di cui all’art. 61, n. 11, c.p. Si lamenta, altresì, della violazione
dell’art. 35 bis c.p. nella parte in cui è stata disposta l’equiparazione tra la pena
principale inflitta e la pena accessoria, violando il principio secondo il quale, in caso
di condanna per reato continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria
a quella principale deve farsi riferimento alla pena inflitta per la violazione più
grave e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la
continuazione. Infine, con riferimento all’ordinanza dibattimentale del 3/3/2014 si
richiama integralmente il primo motivo di ricorso presentato nell’interesse di
Marcheselli, inerente l’inammissibilità delle richieste avanzate dalle parti civili in
sede di giudizio di rinvio.

• Marcheselli Pietro Paolo, a mezzo del proprio difensore avv. Giuseppe
Zanalda.
Pietro Paolo Marcheselli, direttore di cantiere CBT1 di Sesto Fiorentino dal
13.5.1999 al 19.2.2004, direttore di tronco DT3 dal 27.6.2003 ad oggi, dal
41

nella misura di mesi due ed euro 1.000 per ciascuna delle tre contravvenzioni in

24.5.2005 nella qualità di Direttore Generale del Consorzio CAVET, con la
sentenza impugnata è stato condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di
reclusione, per i reati di gestione di discarica abusiva ( capo 14 bis, cava Le
Sanguinaie), 81 ( Fonte alla Sella), M ( torrente Carlone e cava Marchesini); per i
reati di omessa bonifica di cui ai capi 50,52,74,SS,UU, ZZ;per i reati di attività
organizzata di traffico illecito di rifiuti di cui ai capi 95,QQ,38A e 40°;per i reati di
gestione illecita di rifiuti di cui al capo 95 bis e per la violazione della normativa in
tema di gestione delle discariche di cui al capo HH; vi è anche condanna al

3bis ( la Capannina); 15 bis (ex vasche di decantazione Alberaccio), 16 bis
(Prevam c\o Car 1) e 19 quinquies (Colle Canda), ritenuti prescritti dopo la
sentenza di primo grado a favore delle parti civili ivi indicate.
Propone ricorso avverso la sentenza sopra indicata e avverso l’ordinanza
dibattimentale 3.3.2014 con la quale la Corte di Appello di Firenze ha rigettato le
eccezioni avanzate dalla difesa degli imputati (Marcheselli, Longo, Castellani e
Frulloni) in merito alla impossibilità per le parti civili non ricorrenti dinanzi alla C.S.
di produrre conclusioni diverse ed ulteriori rispetto alle argomentazioni del PM
ricorrente e di avanzare nuove richieste risarcitorie; richiede altresì la sospensione
dell’esecuzione della condanna civile ex art. 612 c.p.p..
Articola una pluralità di motivi, che possono essere così sintetizzati e, nel
caso, esaminati congiuntamente.
Con un primo motivo, si duole del fatto che la sentenza di rinvio l’abbia
condannato al risarcimento del danno anche a favore delle parti civili non ricorrenti
in cassazione che avevano presentato nuove conclusioni in sede di giudizio di
rinvio.
Si argomenta, in proposito, che erroneo sarebbe stato il richiamo, operato
dal giudicante, al principio di immanenza della parte civile, sul rilievo che tale
principio comporta solo che la parte civile, una volta costituitasi nel giudizio di
primo grado, rimanga parte del processo penale anche nei gradi successivi anche
se non impugnante, con la conseguenza che la medesima deve essere
regolarmente citata per tutti i gradi del giudizio.
Tale principio, peraltro, non implica, secondo l’assunto del ricorrente, che
la parte civile non impugnante e, quindi acquiescente, possa giovarsi del ricorso
del pubblico ministero e, quindi avanzare richiesta di risarcimento del danno.
La sentenza quindi erroneamente, in violazione degli artt. 185 c.p., 76,
comma 2, 576 e 585, commi 1 e 5, c.p.p. avrebbe liquidato i danni in via definitiva
o assegnato provvisionali in favore di parti civili non ricorrenti che avevano
presentato nuove conclusioni in sede di giudizio di rinvio.

42

risarcimento danni conseguiti a predetti reati e ai reati di cui ai capi d’imputazione

Sulla tematica si sollecita, per l’importanza della questione, sollecita la
rimessione alle Sezioni unite.
In linea con gli argomenti di censura, si è chiesto alla Corte di sospendere
l’esecuzione delle statuizioni civili ai sensi dell’articolo 612 c.p.p. , in ragione della
entità notevole delle somme liquidate in via definitiva o a titolo di provvisionale.
Con il secondo motivo si censura la decisione del giudice sostenendo che
avrebbe violato i limiti dell’annullamento con rinvio di questa Corte.
Ciò sotto un duplice profilo. Da un lato, si sostiene che per taluni reati

di gestione di rifiuti non autorizzata e l’abbandono incontrollato di rifiuti , reato di
discarica in violazione delle prescrizioni autorizzatorie, ex art. 51 d.lgs. 22/1997,
ora art. 256 152/2006] le statuizioni contenute nella prima decisione di appello
[Corte di appello di Firenze, Sezione III, 27 giugno 2011] sarebbero divenute
irrevocabili, perché non riguardate dall’annullamento della Sezione III di questa
Corte, con la sentenza n. 32797 del 2013: questo, si sostiene, avrebbe riguardato
solo ed esclusivamente i capi ed i punti della decisione concernenti i reati di
discarica abusiva, omessa bonifica e traffico illecito, oltre agli ulteriori reati di
danneggiamento ( capi d’imputazione A e B), del tutto autonomi rispetto a quelli
sopra indicati.
Con l’ulteriore specificazione che la definitività dell’accertamento
riguardava anche taluna delle contestate omesse bonifiche [capi SS, UU e ZZ],
perché anch’esse non fatte oggetto dell’annullamento, in conformità a quanto
emergeva dalla memoria del P.G. per la discussione dinanzi alla Corte di appello
del 3.3.2014.
Dall’altro, si prospetta che la Corte di rinvio non si sarebbe uniformata al
principio di diritto affermato dalla richiamata sentenza della Sezione III, in punto
di intervenuto decorso del termine prescrizionale con riferimento ai reati
concernenti i fanghi: rispetto a tali reati [capi di imputazione 14 bis e 81], la
sentenza della Corte di cassazione aveva confermato la declaratoria di prescrizione
già pronunciata dalla primigenia sentenza di appello.
Con l’ulteriore specificazione che la definitività dell’accertamento
riguardava anche taluna delle contestate omesse bonifiche, rispettivamente della
discarica di Codigoro, S. Anna- Cave Nord e di Giovi e Bomarzo nelle quali sono
stati conferiti fanghi gestiti come rifiuti e non lo smarino di scavo delle gallerie
conferito nei siti oggetto di rinvio [capi SS, UU e ZZ], anch’esse non fatte oggetto
dell’annullamento e non in connessione essenziale con i siti indicati dalla C.S. sui
quali il giudice di merito avrebbe dovuto valutare le circostanze di fatto per
accertare l’avvenuto inquinamento per superamento delle CSR e in tal caso
l’esistenza di una eventuale liberatoria. Per le citate cave le contestazioni
43

oggetto della contestazione [ capi 95 bis, M, HH, 14 bis,81, tutti riguardanti il reato

riguardavano essenzialmente l’erronea indicazione del codice CER a seguito di
transcodifica, sulle quali la C.S. non si è pronunciata.
Con il terzo motivo si censura, ancora, l’affermazione di responsabilità per
il capo 14 bis per una ulteriore ragione [evidentemente subordinata], basata
sull’assunto che la relativa contestazione sarebbe da ritenere assorbita in quella
di cui al capo 14, ormai coperto da giudicato. Ciò con conseguente violazione del
principio del ne bis in ídem.
Si sostiene in proposito che con riferimento al medesimo reato era passata

coimputati), che aveva ritenuto maturato il termine di prescrizione del reato di cui
al capo d’imputazione 14 concernente i medesimi fatti, con la sola differenza che
la permanenza del reato indicato nel capo 14 bis viene protratta temporalmente
oltre la data del sequestro preventivo 23/6/2001, fino al 2002 senza alcuna
motivazione sul punto.
Il quarto motivo concerne l’affermata responsabilità del prevenuto per i
reati di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti ( capi 95,QQ, 38A e 40 0 ) per
il reato di gestione illecita di rifiuti (capo 95 bis)m per la violazione della normativa
in tema di gestione di discariche (HH) e di omessa bonifica ( questi ultimi
concernenti i capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ) nella qualità di Direttore generale,
incarico dallo stesso ricoperto solo dal 24.5.2005, contestato in via suppletiva dal
PM nella memoria per la discussione del 13.3.2014. Si lamenta la violazione degli
artt. 516 e segg. c.p.p per la contestazione all’imputato di una qualifica diversa e
ulteriore rispetto a quella contenuta nei capi d’imputazione e già oggetto della
sentenza di primo grado, di appello e di legittimità, con arbitraria estensione delle
imputazioni al medesimo contestate nei precedenti gradi di giudizio, laddove erano
state contestate esclusivamente le qualifiche di direttore di cantiere CBT1 di Sesto
Fiorentini e direttore di tronco DT3. Si sottolinea altresì la carenza motivazionale
della sentenza impugnata che non ha tenuto conto che i conferimenti nei siti di
smarino sono pacificamente cessati proprio nel 2005.
Sotto altro profilo si lamenta l’erroneità dell’assunto del giudicante,
affermativo della responsabilità del prevenuto nella qualità di Direttore generale
per i reati di omessa bonifica anche per il periodo successivo alla cessazione della
carica rivestita.
Analoga censura viene sollevata con riferimento all’affermazione secondo
la quale l’affermata responsabilità del ricorrente non viene meno con la cessazione
dell’incarico rivestito con riferimento alle qualifiche contestate di Direttore di
Cantiere CBT1e di Direttore di tronco 3, cessati rispettivamente il 13.5.2004 ed
24.2.2005.Da tale ricostruzione si evince la prescrizione di tutti reati in quanto il
termine iniziale per il computo della prescrizione dovrebbe individuarsi nella data
44

in giudicato la sentenza del Tribunale di Firenze (nei confronti degli altri

del 24.2.2005, con la conseguente maturazione prima della pronuncia della
sentenza di primo grado; il termine per il delitto di attività organizzate di traffico
illecito sarebbe invece maturato il 24.8.2012,cui devono aggiungersi 34 giorni per
la sospensione del termine di prescrizione in grado di appello.
Si lamenta la violazione di legge anche nella parte in cui la responsabilità
dei dirigenti CAVET per tutte le contravvenzioni contestate è fondata su
affermazioni congetturali e presuntive senza indicare le forme concrete attraverso
le quali si sarebbe manifestata per i singoli imputati la condotta di concorso nel

Con il quinto motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’affermata responsabilità concorsuale del prevenuto per i reati di
omessa bonifica di cui ai capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ : erroneo sarebbe stato
l’assunto del giudicante, affermativo della responsabilità anche per il periodo
successivo alla cessazione della carica rivestita. Ciò sulla base del contestato
principio secondo cui il dirigente che con il proprio comportamento ha cagionato o
comunque contribuito a cagionare il danno ambientale ne rimane responsabile ai
fini della bonifica anche dopo che abbia receduto definitivamente dal ruolo rivestito
al momento del fatto.
Principio che si assume in contrasto con quelli costituzionali di personalità
della responsabilità penale e colpevolezza e con l’art. 51 bis d.lgs.22/1997 che,
nel richiamare l’art. 17 del medesimo decreto fa riferimento non all’autore
dell’inquinamento, ma al responsabile dell’inquinamento, ossia al soggetto
persona fisica o legale rappresentante della persona giuridica tenuto alla bonifica.
Si argomenta, più specificamente, in proposito, che le conclusioni del
giudicante fonderebbero impropriamente, in contrasto con il disposto dell’articolo
40 cpv. c.p., una posizione di garanzia sostanzialmente perenne, in contrasto con
il disposto di detta disposizione laddove questa correla il dovere di agire alla
possibilità giuridica di impedire l’evento, ossia alla “signoria” della situazione di
fatto. La corretta applicazione di tale principio aveva portato all’assoluzione dei
dirigenti CAVET dai reati di discarica abusiva connessi ai siti di cui ai capi 74, SS,
UU,ZZ, esterni alla gestione CAVET ed analoga conclusione avrebbe dovuto essere
adottata per l’omessa bonifica, in assenza dei poteri di intervento da parte dei
dirigenti CAVET.
La stessa sentenza di annullamento con rinvio della S.C., avrebbe del resto
chiarito – con ciò secondo il ricorrente apprezzandosi ulteriore vizio per violazione
dell’articolo 627, comma 3, c.p.p.- come nei casi in cui un determinato ruolo
all’interno di una organizzazione complessa venga dismesso da un soggetto e
trasferito ad altro soggetto non potrebbe rinvenirsi responsabilità per colui che
trasferisce la gestione per condotte poste in essere dal successore, così come il

45

reato.

nuovo soggetto titolare del ruolo non risponde delle condotte antecedenti poste in
essere da chi l’ha preceduto.
Dagli argomenti posti a fondamento della censura si fa discendere la
conclusione della cessazione della permanenza del reato dal momento della
cessazione dalla carica di direttore del cantiere CBt1 (il 13.5.2004), di Direttore
del Tronco 3 (dal 24.2.2005), con conseguente intervenuta prescrizione dei reati
contravvenzionali contestati ai capi 50, 52, 74, SS, UU, ZZ nel 2008, prima della
pronuncia della sentenza di primo grado.

riferimento all’affermata responsabilità del prevenuto per i reati di discarica
abusiva di cui al capo 14 bis e omessa bonifica di cui al capo 52, relativi al sito Le
Sanguinale nel comune di Firenzuola
Premesso che per il primo già supra se ne è sostenuto l’assorbimento nel
capo 14, si sostiene che la S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio,
avrebbe rinviato al giudice dí merito per un più puntuale approfondimento dei
presupposti oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del
rinvio, erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della
conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità individuale.
Con riferimento all’imputazione di cui al capo 14 bis, la censura è articolata
prospettandone l’illogicità e la carenza di motivazione rispetto a specifici elementi
fattuali emersi in atti, quali in particolare gli esiti di provvedimento di revoca di
sequestro preventivo adottato dal PM di Firenze in data 19.7.2001 e
un’autorizzazione comunale n. 3/08 per variante di ripristino ambientale, di cui
aveva dato atto la sentenza di primo grado. Si lamenta altresì il vizio di
motivazione laddove è stato ritenuto sussistente il reato di discarica abusiva di cui
al capo 14 bis con riferimento ai fanghi a fronte della sentenza della S.C. che aveva
escluso dal giudizio di rinvio le statuizioni contenute nella sentenza di appello in
materia di fanghi per i quali aveva confermato il compiuto decorso del termine di
prescrizione.
Proprio l’asserita impraticabilità di contestare il reato di discarica abusiva
viene valorizzata per escludere il conseguente reato di omessa bonifica di cui al
citato capo 52.
Con il settimo motivo vengono articolate analoghe censure rispetto al reato
di omessa bonifica di cui al capo 50 [Sasso di Castro]: erroneo sarebbe stato
l’assunto del giudicante laddove aveva affermato che i fatti erano stati già
esaminati nelle sedi di merito e considerati provati mentre il giudice di legittimità
aveva posto a carico del giudice del rinvio il compito di motivare in merito alla
complessiva situazione di fatto relativa ad ogni sito.

46

Con il sesto motivo si lamenta la manifesta illogicità della motivazione con

Ulteriore argomento di censura è fondato sulla confusione operata dal
giudicante sulle nozioni di fango e di limo di lavaggio inerti considerati
erroneamente come sinonimi, laddove la giurisprudenza della S.C. escluderebbe i
limi dalla nozione di rifiuti, come emergeva anche dalla relazione del consulente di
parte, ritenendoli sottoprodotti, con la conseguenza che nel caso di specie
risulterebbe sufficiente l’Autorizzazione regionale.
Si deduce, altresì, il vizio di motivazione nella parte in cui è stata affermata
la sussistenza del reato di omessa bonifica di cui al capo 50, sotto il duplice profilo

punto si rappresenta che il giudice del rinvio non aveva tenuto conto che la Cava
di Sasso di Castro, contrariamente a quanto affermato in sentenza, è una cava
deputata al prelievo e non al deposito di materiale e che agli atti vi è
l’autorizzazione al deposito dei limi. Si sostiene altresì l’omessa considerazione dei
seguenti elementi: la comunicazione 19/10/2000 del Comune di Firenzuola al
Consorzio CAVET nella quale si attesta che al 21/9/2000 erano già state quasi
completamente rimosse le vasche contenenti i limi di lavaggio inerti e la rimozione
del materiale gestito a far data dal 21.6.2000, come emerge dal capo
d’imputazione sub 37 bis (dichiarato prescritto dal Tribunale) coperto da giudicato.
Si deduce, infine, che la sentenza aveva affermato l’esistenza dell’inquinamento,
prescindendo da qualsiasi valutazione in merito all’effettiva esistenza di una
contaminazione con il superamento delle CSR, come invece richiesto dalla
fattispecie di cui all’art. 257 d.lgs. 152/2006 ed in contraddizione con l’intervenuta
assoluzione per i reati di omessa bonifica contestati con riferimento a siti per i
quali lo stesso materiale era transitato.
Con l’ottavo motivo si censura il giudizio di responsabilità per il reato di
gestione di discarica abusiva di cui al capo 81 [Fonte Sella] [già riguardato da più
ampio motivo di censura: v. supra]: oltre le statuizioni di diritto della S.C. in merito
ai capi d’imputazione concernente i fanghi, viene prospettato ulteriore vizio
articolato su non corretto apprezzamento della cessazione della situazione di
antigiuridicità – con effetti in punto di prescrizione-alla luce della autorizzata
rimozione dei limi inerti derivanti dalla coltivazione della Cava di Sasso di Castro
in data 16.5.2008, con conseguente decorso del termine di prescrizione maturato
prima della pronuncia del giudice del rinvio, tenuto anche conto dei 34 giorni di
sospensione del decorso del termine della prescrizione.
Ciò in conformità a quanto statuito dalla S.C. in sede di annullamento
laddove identificava la cessazione della situazione di antigiuridicità con l’avvio della
procedura di rimozione dei rifiuti. L’affermazione contenuta nel provvedimento
impugnato in merito alla prosecuzione della gestione illecita del sito Fonte alla
Sella sarebbe smentita dalla documentazione in atti (il verbale di sequestro
47

del travisamento del fatto e dell’omessa valutazione di documenti agli atti. Sul

preventivo della discarica in esame in data 8.5.2003) e dal successivo decreto di
revoca del sequestro in data 9.7.2009, non presi in considerazione dal giudicante,
con la cessazione dell’antigiuridicità in relazione al reato di discarica abusiva dal
2003.
Con il nono motivo, con riferimento poi al capo 95 bis (gestione non
autorizzata di rifiuti, [pur esso già riguardato da più ampio motivo di censura: v.
supra], viene prospettato ulteriore vizio articolato essenzialmente sulla
prospettata violazione di legge con riferimento alla stessa contestazione del reato

contestazione, illegittimamente esteso ad epoca [sino al marzo 2009], in
violazione dell’art. 51, ora 256, comnna 1, d.lgs. 152/2006, che tipizzano reati
istantanei e non permanenti o abituali. Tale impostazione avrebbe comportato di
fatto la contestazione di un fatto nuovo con l’arbitrario prolungamento delle
condotte che nel capo d’imputazione risultavano contestate sino al luglio 2006.
Con il decimo motivo, con riferimento poi al capo M, relativo ai reati di
discarica abusiva [pur esso già riguardato da più ampio motivo di censura: v.
supra; motivo di censura in cui si assume, va ricordato, l’intervenuta definitività
dell’accertamento giudiziale], si articolano altre censure afferenti essenzialmente
il tema della responsabilità [sub specie, della sussistenza degli elementi costitutivi
dei reati di discarica abusiva e di abbandono incontrollato di rifiuti ivi contestati]
e quello della prescrizione.
Si sostiene, pertanto, che la sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe
rinviato al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei presupposti
oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio,
erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della
conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità individuale. Si
lamenta il vizio motivazionale della sentenza nella parte in cui ha travisato il senso
della documentazione informatica in atti, riguardanti esclusivamente le operazioni
di carico e scarico dei materiale conferiti presso il sito e ha omesso di prendere in
considerazione l’ordinanza di revoca del sequestro emessa dal Tribunale di Firenze
in data 27.4.2005, con la conseguente cessazione dell’antigiuridicità quantomeno
nella prima parte dell’anno 2005, in considerazione dell’avvenuto esperimento
delle attività di bonifica del sito. Da tale ricostruzione si fa discendere l’avvenuta
estinzione per prescrizione dei reati contestati in questo capo prima della sentenza
di rinvio. Ciò tenuto anche conto dell’applicabilità della disciplina prescrizionale del
termine più breve in quanto i reati si sono consumati prima dell’entrata in vigore
della legge 251/2005.
Con l’undicesinno motivo, in relazione al capo di imputazione sub 74
[Fornace Focardi] si prospettano violazioni di legge e vizio di motivazione,
48

di gestione illecita di rifiuti che si assume, con violazione del principio di


ritenendo insussistente la contestata omessa bonifica rispetto alle emergenze
fattuali rappresentate, essenzialmente, dalla ottenuta autorizzazione in data
23.11.1998 per il recupero dei rifiuti per produrre manufatti per l’edilizia. El
prospettata la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006 anche sotto il profilo della
insussistenza di una accertata contaminazione significativa ai fini del superamento
delle CSR, come attestato anche dal rilascio della certificazione liberatoria del
18.3.2010 da parte della Provincia di Arezzo.
La censura è estesa, conseguentemente, alla sanzione accessoria

Con il dodicesimo motivo viene articolata ulteriore censura rispetto al reato
di cui al capo SS [discarica Gatti Codigoro] [sul quale v. peraltro supra ], stavolta
prospettandosi carenza di motivazione e violazione di legge nell’affermazione di
responsabilità per l’ivi previsto reato di omessa bonifica. Anche in questo caso si
sostiene che la S.C., nella sentenza di annullamento con rinvio, avrebbe rinviato
al giudice di merito per un più puntuale approfondimento dei presupposti oggettivi
e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice del rinvio, erroneamente,
avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso della conferma positiva della
sussistenza dei reati e della responsabilità individuale.
Si lamenta, altresì, la violazione dell’art. 188, comma 3, lett. b) d.lgs.
152/2006 nella parte in cui aveva omesso di prendere in considerazione la
documentazione, acclarata anche dalla consulenza della difesa, da cui emergeva
l’esonero di responsabilità del produttore-detentore del rifiuto per l’avvenuta
consegna del rifiuto a discarica autorizzata. Sotto altro profilo si lamenta la carenza
di motivazione in merito all’esistenza di un evento di contaminazione tale da
integrare l’obbligo di bonifica a carico del responsabile, contraddetta, peraltro,
dalla certificazione liberatoria del comune di Codigoro in data 30.10.2012. Si
deduce, infine, la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, applicabile secondo la
sentenza di annullamento con rinvio anche ai siti le cui condizioni e procedure di
bonifica siano proseguite successivamente all’entrata in vigore del d.lgs.
152/2006, in assenza di ogni prova del superamento delle CSR.
La censura è estesa, conseguentemente, alla sanzione accessoria
dell’obbligo di bonifica.
Censure analoghe vengono articolate, con il tredicesimo motivo, rispetto ai
reati di discarica abusiva e di omessa bonifica di cui ai capi d’imputazione TT e UU
relativi al sito Cave Nord- S. Anna loc. Lippo, esterno alla gestione CAVET.
Si prospettano profili di violazione di legge e di carenza motivazionale,
ferme le già evidenziate ragioni di censura basate sull’irrevocabilità della decisione
di merito dopo la pronuncia della Cassazione. Anche con riferimento a tali capi
d’imputazione si sostiene che la sentenza di merito avrebbe dato erroneamente
49

dell’obbligo di bonifica.

per scontato l’accertamento dei fatti, mentre, diversamente, la Cassazione, nella
sentenza di annullamento della Sezione III, avrebbe imposto una complessiva
rivalutazione del fatto. Si deduce nei termini sopra indicati la violazione degli artt.
188, comma 3 e 257 d.lgs. 152/2006.
Per quanto concerne il capo TT (compreso nelle violazioni relative al traffico
di rifiuti concernenti i fanghi) si sottolinea una svista della sentenza che nel
dispositivo dichiara la prescrizione del reato mentre nella motivazione afferma che
la permanenza dei due reati descritti ai capi TT e UU è cessata con la sentenza di

La censura è estesa alla sanzione accessoria dell’obbligo di bonifica.
Con il quattordicesimo motivo vengono articolate analoghe censure rispetto
ai reati di discarica abusiva e di omessa bonifica dei siti di Giovi e Bomarzo, di cui
ai capi d’imputazione VV e ZZ, gestiti dalla ditta GIT e quindi estranei alla gestione
CAVET.
Con riferimento al reato di discarica abusiva di cui al capo VV si lamenta
inoltre una manifesta contraddittorietà della sentenza che ha dichiarato nel
dispositivo che il reato si è prescritto prima della sentenza di primo grado
affermando, però, in motivazione che la permanenza di detto reato “presupposto”
si sarebbe interrotta alla data della sentenza di primo grado. Si deduce altresì che
nel sito Giovi e Bomarzo venne conferito lo stesso materiale della discarica di
Codigoro, che ha attenuto la certificazione liberatoria attestante l’assenza di
inquinamento per i materiali conferiti. Anche in questo caso la censura è estesa
alla sanzione accessoria dell’obbligo di bonifica.
Analoghe censure sono articolate, con il quindicesimo motivo, con
riferimento al capo HH, afferente violazione relative a discariche di inerti di cui ai
commi III e IV, d.lgs. 22/97 ( ora art. 256, connmi III e IV, T.U. d.lgs. 152/2006.
Si deduce, innanzitutto, oltre l’assenza di ogni accertamento in fatto, da
parte del giudice di merito, l’asserita definitività dell’accertamento giudiziale sul
rilievo che le statuizioni della S.C. riguardavano esclusivamente i reati di discarica
abusiva, omessa bonifica e traffico illecito. Lamenta la violazione dell’art. 208,
comma 13, e 256, commi 3 e 4 d.lgs. 152/2006 sul rilievo che le discariche di
inerti furono autorizzate nel 2001, con la conseguente cessazione
dell’antigiuridicità del sito. Si sostiene che le violazioni al provvedimento
autorizzatorio ivi descritte di natura esclusivamente formale non potrebbero
incidere sul contenuto permissivo dell’autorizzazione né sulla natura e funzione
degli impianti autorizzati e la conseguente insussistenza del concorso dei due
distinti reati di cui all’art. 256, commi 3 e 4 dei predetto art. 256. Si lamenta che
la sentenza ha erroneamente affermato la natura di reato permanente del
suindicato reato, trattandosi invece di reato istantaneo, ampiamente prescritto,

50

primo grado, di talché non sarebbero maturati i termini prescrizionali.

trattandosi di condotta omissiva risalente al 2001. Si lamenta altresì il vizio di
motivazione in assenza di ogni spiegazione sulle ragioni per cui impianti ed attività
dovrebbero essere considerati abusivi.
Per quanto concerne il punto HHa, ovvero la gestione delle discariche in
violazione delle prescrizioni autorizzatorie, si rileva l’inconfigurabilità del reato di
cui al citato art. 256, comma 3,in quanto per i reati di discarica abusiva concernenti
medesimi siti ivi indicati, la sentenza aveva dichiarato non doversi procedere per
intervenuta prescrizione, trattandosi di siti per i quali era cessata l’antigiuridicità

liberatorie. Da tale ricostruzione si fa discendere l’intervenuta prescrizione del
reato sul rilievo che le violazioni si sarebbero consumate con lo scadere del termine
previsto per gli adempimenti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione, tutte
entro il 2001.
Analogo rilievo viene mosso con riferimento ai punti HHb, relativo alle
violazioni delle prescrizioni concernenti gli impianti di stoccaggio siti pressoi
cantieri, e HHc, concernente le violazioni delle prescrizioni concernenti gli impianti
di trattamento delle acque reflue proveniente dalle piazzole di caratterizzazione
presso gli impianti di depurazione ubicati pressoi cantieri, previste dalla citata
autorizzazione. Si deduce, infine, l’adempimento sia pure tardivo, delle prescrizioni
richieste, emergente dalla documentazione in atti
Con il sedicesimo motivo viene articolata, ancora, altra censura stavolta
con riferimento agli addebiti di traffico illecito di rifiuti di cui ai capi 95, QQ, 38A
e 40A.
Si contesta in primo luogo la ricostruzione operata in sentenza dei vari
episodi come facenti parte della medesima attività organizzata volta a smaltire
rifiuti speciali e, pertanto, come riferiti a segmenti diversi di un unico reato
abituale. Ciò avrebbe comportato il riferimento al Marcheselli dei reati di cui ai capi
d’imputazione 38A e 40A, mai contestati al medesimo e una commistione tra
condotte del tutto diverse sia sotto il profilo fattuale che temporale, con la
conseguente violazione dell’art. 516 c.p.p. e l’illegittimo prolungamento delle
condotte incriminate, avendo riguardo, principalmente, al fatto che, comunque,
la contestazione era stato articolata sul rilievo che dette condotte fossero attuali
e permanenti al luglio 2006, onde avendo riguardo quantomeno a tale data
doveva essere ritenuta intervenuta la prescrizione. Per l’effetto, la sentenza
impugnata laddove aveva invece inteso prolungare il termine prescrizionale oltre
il 1 luglio 2006 indicato in imputazione aveva finito con l’operare una non
consentita nuova contestazione.
Si deduce, sotto lo stesso profilo, anche la violazione del principio del favor
rei laddove la sentenza, trasformando la natura di reato abituale del contestato

51

con l’avvio delle procedure di bonifica ed il successivo rilascio delle certificazioni

reato in una sorta di reato permanente anziché applicare il termine finale del luglio
2006, più vantaggioso per l’imputato, aveva applicato il diverso termine costituito
dalla sentenza di primo grado, impedendo la declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione.
La censura è estesa anche al proprium del giudizio di responsabilità, sub
specie dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato, come, si sostiene,
sollecitato dalla sentenza di annullamento di questa Corte. Tematica, questa, che
si sostiene non adeguatamente affrontata avendo riguardo al dolo specifico

Sul punto si sostiene che la documentazione in atti dimostrerebbe che fu
proprio la P.A. che fino alla fine del 1999 indusse CAVET a ritenere che le terre e
rocce da scavo non fossero rifiuti. Si sostiene altresì che, contrariamente a quanto
affermato in sentenza, l’attribuzione del codice CER non era riconducibile al
produttore e quindi agli imputati.
Con il diciassettesimo motivo è articolata ulteriore censura rispetto ai reati
di cui ai capi 14 bis , 50, 52, 74, 81, 95, 95 bis, 38A, 40A, M, HH, QQ, SS, UU,
ZZ.
Rispetto a tali reati [alcuni dei quali riguardati comunque da più assorbente
motivo di censura: v. supra], si sostiene che avrebbe dovuto trovare applicazione
la causa di non punibilità dell’attivazione delle procedure di bonifica di cui
all’articolo 257, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, applicabile con
riferimento a tutti i reati ambientali e quindi anche a quelli di cui al citato decreto
legislativo.
Con il

diciottesimo motivo si censura il trattamento sanzionatorio,

lamentandosi dell’omesso riconoscimento delle generiche e dell’omessa
concessione della sospensione condizionale della pena.
Con riferimento al diniego delle attenuanti generiche si lamenta, in
particolare, il riferimento erroneo all’art. 62 bis n. 3, introdotto con il d.l.
23.5.2008, convertito dalla legge 24.7.2008 n. 125, inapplicabile ratione temporis.
Si lamenta anche dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 112, n. 1,
c.p. (sul numero dei concorrenti), erroneamente applicata nei confronti di soggetti
che, secondo la stessa innpostazione accusatoria, avevano posto in essere la
condotta omissiva non simultaneamente ma in successione cronologica. Si
lamenta, altresì, la carenza di motivazione con riferimento al requisito della
conoscenza ex art. 59, comma 2, c.p. da parte dei soggetti che si erano succeduti
nella posizione all’interno del cantiere CAVET.
Con lo stesso motivo si duole della violazione della legge penale anche nel
calcolo dell’aumento di pena effettuato in applicazione dell’istituto della
continuazione, laddove la sentenza ha applicato l’aumento in continuazione nella

52

richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 53 d.lgs. 22/1997.

misura di mesi due ed euro 1.000 per ciascuna delle undici contravvenzioni in
continuazione. Si sostiene che la Corte di appello, in violazione dei principi fissati
in tema di continuazione, ha applicato un coefficiente moltiplicatore all’aumento di
pena derivante dalla continuazione, a sua volta incrementato tante volte quanti
sono i reati uniti dal vincolo, con effetti sostanzialmente coincidenti con
l’applicazione di un cumulo materiale di sanzioni. Si lamenta poi la carenza di
motivazione laddove il giudice di appello ha ritenuto di applicare la pena detentiva,
prevista nell’ipotesi che l’inquinamento sia provocato da sostanze pericolose,

Si lamenta, altresì, della violazione dell’art. 35 bis c.p. nella parte in cui è
stata disposta l’equiparazione tra la pena principale inflitta e la pena accessoria,
violando il principio secondo il quale, in caso di condanna per reato continuato, nel
commisurare la durata della pena accessoria a quella principale, deve farsi
riferimento alla pena inflitta per la violazione più grave e non a quella complessiva,
comprensiva cioè dell’aumento per la continuazione.
Lamenta, infine, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione delle legge
penale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della
pena, fondata su elementi svincolati dalle posizioni individuali dei singoli imputati.
Deduce la carenza di motivazione in relazione all’applicazione della pena
accessoria della sospensione dell’imputato dall’esercizio degli uffici direttivi ex art.
35 bis c.p., in assenza di ogni accertamento avente ad oggetto le modalità di
commissione del fatto, non risultando neanche contestata l’aggravante di cui
all’art. 61, n. 11, c.p.
Con riferimento alla pena accessoria di cui all’art. 32 ter c.p.si lamenta
l’erronea applicazione al ricorrente, in quanto lo stesso all’epoca dei fatti non
rivestiva la carica di legale rappresentante del consorzio CAVET.
Con il diciannovesimo motivo si duole della violazione di legge con riguardo
all’applicazione della pena accessoria dell’obbligo di bonifica e del ripristino dello
stato dei luoghi.
Con riferimento alla prima sanzione si duole che il giudicante aveva fatto
discendere automaticamente dal reato di discarica abusiva e di attività organizzate
di traffico illecito di rifiuti l’insorgere dell’obbligo di bonifica, così violando l’art. 242
del citato decreto legislativo, a mente del quale il suddetto obbligo sorge solo ed
esclusivamente qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino
che la concentrazione dei contaminanti sia superiore ai valori di concentrazione
soglia di rischio.
Con riferimento all’obbligo di ripristino dei luoghi si lamenta che tale
sanzione era stata erroneamente imposta in relazione a delle contestazioni per le
quali lo stesso era stato già condannato al risarcimento del danno ambientale a

53

\)

anziché quella pecuniaria prevista nelle altre ipotesi.

favore delle parti civili costituite tra cui il Ministero dell’Ambiente, così risolvendosi
in una illegittima duplicazione della condanna già inflitta al risarcimento dei danni.
Con il ventesimo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 158,
comma 1, c.p. e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla
nozione di cessazione della permanenza in relazione ai reati di discarica abusiva
sub. 3 bis, 14 bis, 15 bis, 16 bis, 19 quinquies per i quali il Marcheselli è stato
oggetto di statuizioni civili. In merito a tali reati la Corte territoriale ha affermato
che gli stessi si sarebbero prescritti dopo la sentenza di primo grado. Infine, ci si

ripristino dello stato dei luoghi come conseguenza della condanna per i reati di
discarica abusiva e di attività organizzate di traffico illecito di rifiuti, senza che sui
siti si sia mai effettuata alcuna indagine sulla matrice ambientale per la verifica
del superamento dei valori di concentrazione soglia di rischio [CSR]
Non vi sarebbe automatismo tra la condanna e l’applicazione della pena
accessoria, che andrebbe applicata solo qualora gli esiti della procedura dell’analisi
di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito sia
superiore ai detti valori di CSR.
Si insta, infine, per l’annullamento delle statuizioni adottate per i capi 3
bis, 15 bis, 16 bis, 19 quinquies [reati di discarica abusiva per i siti La Capannina,
Alberaccio, Pravam CAR 1, Colle Canda], sul rilievo che sia mancato un
accertamento di merito sulla sussistenza dei reati, pur avendo la Corte di merito
ritenuto che i reati si erano prescritti dopo la sentenza di primo grado.

• Piscitelli Valerio, a mezzo del proprio difensore avv. Paolo Dell’Anno
Valerio Piscitelli, nella qualità di responsabile dell’Ufficio Logistica e
Ambiente del Consorzio CAVET, con la sentenza impugnata è stato condannato
alla pena di anni 1 e mesi nove di arresto per i reati di discarica abusiva (capo 14
bis, cava Le Sanguinaie), per omessa bonifica della discarica cava Sasso di Castro
(capo 50), omessa bonifica della discarica Balzo alla Capra ( capo 52), omessa
bonifica delle discariche Gatti, Cave Nord, Le Fontanelle ( rispettivamente capi SS,
UU, ZZ).
Articola dieci motivi.
Con il primo motivo si censura la decisione del giudice sostenendo che
avrebbe violato i limiti dell’annullamento con rinvio di questa Corte. Deduce, sotto
tale profilo, che la definitivítà dell’accertamento riguardava anche taluna delle
contestate omesse bonifiche [capi SS, UU e ZZ], perché anch’esse non fatte
oggetto dell’annullamento, in conformità a quanto emergeva dalla memoria del
P.G. per la discussione dinanzi alla Corte di appello del 3.3.2014 e dalla sentenza
della Corte di legittimità ( pag. 89).Tale conclusione è fondata anche sulla
54

duole della applicazione della pena accessoria dell’obbligo di bonifica e del

considerazione che nei predetti siti- le cui contestazioni riguardavano
esclusivamente l’erronea indicazione del codice CER- sono stati conferiti
esclusivamente fanghi gestiti come rifiuti e non lo smarino.
Con il secondo motivo, oltre ad evidenziare che la definitività
dell’accertamento riguardava anche il reato di cui all’art. 14 bis, si prospetta che
la Corte di rinvio non si sarebbe uniformata al principio di diritto affermato dalla
richiamata sentenza della Sezione III, in punto di intervenuto decorso del termine
prescrizionale con riferimento ai reati concernenti i fanghi: rispetto a tali reati [capi

della Corte di cassazione aveva confermato la declaratoria di prescrizione già
pronunciata dalla primigenia sentenza di appello.
Con il terzo motivo si censura, ancora, l’affermazione di responsabilità per
il capo 14 bis per una ulteriore ragione [evidentemente subordinata], basata
sull’assunto che la relativa contestazione sarebbe da ritenere assorbita in quella
di cui al capo 14, ormai coperto da giudicato. Ciò con conseguente violazione del
principio del ne bis in idem.
Si sostiene in proposito che la sola differenza consiste nella circostanza che
la permanenza del reato indicato nel capo 14 bis viene protratta temporalmente
oltre la data del sequestro preventivo 23/6/2001, fino al 2002, senza alcuna
motivazione sul punto.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione della legge penale con
riferimento all’affermata responsabilità concorsuale del prevenuto per i reati di
omessa bonifica di cui ai capi 14 bis, 50, 52 SS, UU e ZZ : erroneo sarebbe stato
l’assunto del giudicante, affermativo della responsabilità anche per il periodo
successivo alla cessazione della carica rivestita ( avvenuta nell’ottobre 2003). Ciò
sulla base del contestato principio secondo cui il dirigente che con il proprio
comportamento ha cagionato o, comunque, ha contribuito a cagionare il danno
ambientale ne rimane responsabile ai fini della bonifica anche dopo che abbia
receduto definitivamente dal ruolo rivestito al momento del fatto. Principio che si
assume in contrasto con quelli costituzionali di personalità della responsabilità
penale e colpevolezza e con l’art. 51 bis d.lgs. 22/1997 (ora 257 d.lgs. 152/2006
che richiama l’art. 242 del medesimo decreto) che, nel richiamare l’art. 17 del
medesimo decreto fa riferimento non all’autore dell’inquinamento, ma al
responsabile dell’inquinamento, ossia al soggetto persona fisica o legale
rappresentante della persona giuridica tenuto alla bonifica.
Si argomenta, più specificamente, in proposito, che le conclusioni del
giudicante fonderebbero impropriamente, in contrasto con il disposto dell’articolo
40 cpv. c.p., una posizione di garanzia sostanzialmente perenne, in contrasto con
il disposto di detta disposizione laddove questa correla il dovere di agire alla

55

di imputazione 14 bis e 81, quest’ultimo non contestato al ricorrente], la sentenza

possibilità giuridica di impedire l’evento, ossia alla “signoria” della situazione di
fatto.
La stessa sentenza di annullamento con rinvio della S.C., avrebbe del resto
chiarito – con ciò secondo il ricorrente apprezzandosi ulteriore vizio per violazione
dell’articolo 627, comma 3, c.p.p.- come nei casi in cui un determinato ruolo
all’interno di una organizzazione complessa venga dismesso da un soggetto e
trasferito ad altro soggetto non potrebbe rinvenirsi responsabilità per colui che
trasferisce la gestione per condotte poste in essere dal successore, così come il

essere da chi l’ha preceduto.
Dagli argomenti posti a fondamento della censura si fa discendere la
conclusione della cessazione della permanenza dal momento della cessazione dalla
carica di Responsabile dell’Ufficio Logistica ed ambiente del Consorzio (ottobre
2003), con conseguente intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali
contestati ai capi 50, 52, 74, SS, UU, ZZ prima della pronuncia della sentenza di
primo grado.
Con il Quinto motivo viene articolata ulteriore censura rispetto al reato di
cui al capo SS [discarica Gatti Codigoro] prospettandosi violazione di legge
nell’affermazione di responsabilità per l’ivi previsto reato di omessa bonifica.
Anche in questo caso si sostiene che la S.C., nella sentenza di annullamento con
rinvio, avrebbe rinviato al giudice di merito per un più puntuale approfondimento
dei presupposti oggettivi e soggettivi delle condotte incriminate, mentre il giudice
del rinvio, erroneamente, avrebbe inteso la sentenza della Cassazione nel senso
della conferma positiva della sussistenza dei reati e della responsabilità
individuale.
Si lamenta, altresì, la violazione dell’art.

188, comma 3, lett. b) d.lgs.

152/2006 nella parte in cui aveva omesso di prendere in considerazione la
documentazione, acclarata anche dalla consulenza della difesa, da cui emergeva
l’esonero di responsabilità del produttore-detentore del rifiuto per l’avvenuta
consegna del rifiuto a discarica autorizzata. Sotto altro profilo si lamenta la carenza
di motivazione in merito all’esistenza di un evento di contaminazione tale da
integrare l’obbligo di bonifica a carico del responsabile, contraddetta, peraltro,
dalla certificazione liberatoria del comune di Codigoro in data 30.10.2012. Si
deduce, infine, la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006- applicabile secondo la
sentenza di annullamento con rinvio anche ai siti le cui condizioni e procedure di
bonifica siano proseguite successivamente all’entrata in vigore del d.lgs.
152/2006, in assenza di ogni prova del superamento delle CSR.

56

nuovo soggetto titolare del ruolo non risponde delle condotte antecedenti poste in

Censure analoghe vengono articolate, con il sesto motivo, rispetto ai reati
di discarica abusiva e di omessa bonifica di cui ai capi d’imputazione TT e UU
relativi al sito Cave Nord-S. Anna loc. Lippo, esterno alla gestione CAVET.
Si prospettano profili di violazione di legge e di carenza motivazionale,
ferme le già evidenziate ragioni di censura basate sull’irrevocabilità della decisione
di merito dopo la pronuncia della Cassazione. Anche con riferimento a tali capi
d’imputazione si osserva che la sentenza di merito avrebbe dato erroneamente
per scontato l’accertamento dei fatti, mentre, si sostiene, diversamente, la

una complessiva rivalutazione del fatto. Si deduce nei termini sopra indicati la
violazione degli artt. 188, comma 3 e 257 d.lgs. 152/2006, in assenza di ogni
prova del superamento delle CSR.
Con il settimo motivo vengono articolate analoghe censure rispetto ai reati
di discarica abusiva e di omessa bonifica di cui ai capi VV e ZZ [ afferenti i siti di
Giovi e Bornarzo].
Con l’ottavo motivo si lamenta la violazione della legge penale con

riferimento al giudizio di responsabilità per i reati
ambientali di cui ai capo
d’imputazione 14 bis, 50, 52, SS, UU,ZZ, sul rilevo che la Corte di merito avrebbe
omesso di valutare se per ogni singolo sito fosse o meno necessaria l’attivazione
delle procedure di bonifica e se queste ultime fossero state o meno attivate ex
artt. 242 e 257, comma 4, d.lgs. 152/2006.
Si censura la sentenza nella parte in cui esclude l’effetto estintivo dei reati
contestati che deriverebbe dall’applicazione dell’art. 257, comma 4, affermando
che la S.C. avrebbe considerato del tutto ininfluente tale esimente e che la stessa
troverebbe applicazione soltanto nei confronti di altri reati ambientali contemplati
da altre leggi.
Sul punto si segnala un orientamento della S.C. secondo il quale tra i reati
ambientali per i quali è applicabile l’esimente vi sono anche la gestione abusiva
dei rifiuti e la discarica non autorizzata, considerato che la lesività di tali condotte
viene ad essere superata dal risanamento del sito secondo le prescrizioni
dell’autorità competente. A conferma di tali tesi si sostiene che il riferimento
dell’art. 257, comma 4, d.lgs. 152/2006 “ai reati ambientali contemplati da altre
leggi” non avrebbe altrimenti senso, tenuto conto che molte leggi ambientali
hanno perso la loro autonomia a seguito dell’assemblaggio in un unico codice
normativo.
Con il nono motivo si lamenta che il giudice del rinvio nell’affermare la
responsabilità dell’imputato per i reati di omessa bonifica contestati ai capi 14 bis,
50, 52, SS, UU e ZZ lo ha condannato facendo riferimento all’art. 51 d.lgs.

57

Cassazione, nella sentenza di annullamento della Sezione III, avrebbe imposto

22/1997, che puniva il reato di gestione di rifiuti non autorizzata, anziché all’art.
51 bis del medesimo decreto che puniva il reato di omessa bonifica.
In ogni caso, si deduce la sussistenza della violazione di legge anche
nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio avesse voluto fare riferimento all’art. 51 bis,
essendo evidente in tal caso la violazione dell’art. 257 d.lgs. 152/2006, vigente
all’epoca della sentenza di primo grado, a fronte della radicale diversità che
connota le due disposizioni sintetizzabile nella considerazione che il richiamato art.
257 configura il solo evento di danno dell’inquinamento per la realizzazione del

superiori ai livelli delle CSC e nel trattamento sanzionatorio, ora a pena alternativa.
Si sostíene che il giudice del rinvio, pur non avendo espressamente motivato sul
punto, ha ampliato la portata afflittiva della norma ritenendo sussistente la
violazione dell’obbligo di bonifica non solo quando siano state superate le CSR
definite nel progetto di bonifica ma anche quando il responsabile non abbia avviato
il procedimento di bonifica come delineato dall’art. 242 d.lgs. 152/2006, con
l’effetto di impedire che si pervenga all’accertamento della reale situazione di
contaminazione del sito interessato. Si censura, pertanto, la sentenza nella parte
in cui afferma che il requisito per l’applicazione dell’esimente dei reati ambientali
si realizza solo a seguito del pronunciamento positivo da parte
dell’amministrazione competente, così estende. Si sostiene che tali tesi contrasta
con l’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale non è sostenibile
la tesi di una continuità normativa sostanziale tra l’art. 51 bis d.lgs. 22/1997 e
l’art. 257, d.lgs. 152/2006.
Con il decimo motivo si articolano censure sul trattamento sanzionatorio,
lamentandosi dell’applicazione degli indifferenziati criteri di comnnisurazione della
pena, dell’omesso riconoscimento delle generiche e dell’omessa concessione della
sospensione condizionale della pena.
Ci si duole, altresì, dell’applicazione della circostanza aggravante ex art.
112, n. 1, c.p. applicata erroneamente a reati di natura ornissiva e a soggetti che
hanno posto in essere le loro condotte non simultaneamente ma in successione
cronologica.
Con riferimento al diniego delle generiche si lamenta la violazione di legge
anche nel calcolo dell’aumento di pena effettuato in applicazione dell’istituto della
continuazione fondato su di una valutazione frammentaria in luogo della
valutazione unitaria prescritta dall’art. 81 c.p. Ci si duole della violazione dell’art.
257, comnna 2 e 3, sul rilievo che il giudice del rinvio non aveva chiarito il motivo
per cui ha ritenuto applicabile la sanzione detentiva in luogo di quella meno grave
dell’ammenda applicabile nell’ipotesi in cui l’inquinamento non sia provocato da
sostanze pericolose.

58

\)

quale è ora necessario il superamento delle concentrazioni soglia di rischio,

4.

Con riferimento al diniego delle attenuanti generiche si lamenta, in
particolare, il riferimento erroneo all’art. 62 bis n. 3, introdotto con il d.l.
23.5.2008, convertito dalla legge 24.7.2008 n. 125, inapplicabile ratione temporis.
Lamenta, infine, il vizio di motivazione e l’erronea applicazione delle legge
penale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della
pena, fondata su elementi svincolati dalle posizioni individuali dei singoli imputati.

• Silva Carlo, a mezzo del proprio difensore avv. Antonio D’Avirro

28.9.2001 e da tale momento in poi di Consigliere Delegato; il suo contributo
causale si spinge, per il giudice di rinvio, sino alla sentenza di primo grado.
Lo stesso, all’esito del giudizio di rinvio risulta essere stato condannato alla
pena di anni quattro e mesi sei di reclusione, con le relative pene accessorie, con
obbligo di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi e le condanne al risarcimento
e alle spese alle parti civili, per i reati di:
• gestione illecita di rifiuti di cui ai capi: -14bis (cava Le Sanguinaie); – 81
(discarica Fonte alla Sella); – M (Torrente Canone e Cava Marchesini); – HH
(violazione della normativa in materia di gestione delle discariche);
• omessa bonifica di cui ai capi; – 50 (Cava di Saso di Castro); – 52 (Prevam Le
Sanguinaie); – 74 (Fornace Focardi); – SS (Discarica Gatti); – UU (Discarica Cave
Nord): – ZZ (Discarica Giovi e Bomarzo)
• Traffico illecito di rifiuti di cui ai capi 95, QQ, 38A e 40A;
• reati di cui ai capi: 95bis (gestione illecita di rifiuti nell’ambito dei cantieri); HH
violazione della normativa in materia di gestione delle discariche;
Il ricorso – imperniato su diciannove motivi- investe sia la sentenza della
Corte di Appello del 21/3/2014 che l’ordinanza dibattimentale del 3/3/2014 con
cui sono state rigettate le eccezioni relative alla impossibilità per le parti civili non
appellanti di produrre conclusioni nuove e diverse.
Con un primo motivo, si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
157 cod. pen. e 256 d.lgs. 152/2006 riproponendosi le questioni circa il momento
consumativo del reato di gestione abusiva di discarica e che ha costituito oggetto
principale dell’istanza di rimessione alle SS.UU. di cui si è dato conto in precedenza
e che è stata rigettata dal Collegio di questa Corte in data 18/11/2015.
Con un secondo motivo, sempre sotto il profilo della violazione di legge, ci
si duole che il giudice del rinvio, nel rigettare la richiesta declaratoria di
prescrizione, alla luce della motivazione di cui a pagina 200 della sentenza
impugnata, sia andato in contrario avviso rispetto al consolidato orientamento
giurisprudenziale di questa Corte secondo cui, nell’ipotesi di incertezza circa la

59

Carlo Silva, ha rivestito il ruolo di Direttore Generale di CAVET sino al

data di consumazione del reato, il termine di decorrenza deve essere calcolato
secondo il maggior vantaggio dell’imputato in ossequio al princípio del favor rei.
Nello specifico, si lamenta che i giudici del gravame del merito sostengano
che a luglio del 2006 sarebbe stata ancora in corso la perpetrazione di illeciti penali
di cui sarebbe incerto il termine finale che si fa perciò coincidere con la sentenza
di condanna di grado del 3.3.2009. Ma -ci si duole- non c’è alcuna risultanza
istruttorie che giustifichi protrarsi dell’attività criminosa oltre il luglio 2006. Ritiene
il ricorrente che se ci fossero stati elementi in tal senso il PM avrebbe dovuto e

Pertanto il reato di traffico organizzato, anche nella nuova formula di reato
abituale, così come ritenuto dal giudice del rinvio, risulterebbe essere già prescritto
alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’appello di Firenze del
21/3/2014. Ciò in quanto il capo di imputazione fa riferimento a luglio del 2006
senza indicare alcuna data e, conformemente alla giurisprudenza secondo cui
quando sono noti soltanto l’anno d’inizio del commesso reato e se ne ignora il
giorno e mese, il reato si intende compiuto con il compiersi del primo giorno di
esso. Ciò lo si rileverebbe anche dal capo di imputazione formulato dal PM
nell’udienza del 4/7/2006, da cui si evince con chiarezza che per tutti i reati in
contestazione, salvo uno, il conferimento dei rifiuti viene a cessare negli anni che
vanno dal 2002 al 2004. Il ricorrente indica in ricorso, discarica per discarica, le
date di cessazione dei conferinnenti.
Con un terzo motivo si denuncia vizio motivazionale, sub specie di difetto
assoluto e contraddittorietà della motivazione, in relazione al reato di cui all’art.
53bis d.lgs. 22/1997 (260 d.lgs. 152/2006) in relazione ai capi di imputazione 95QQ-38A-40A.
Secondo il ricorrente, il giudice del rinvio avrebbe trascurato i principi fissati
della terza sezione di questa Corte che, in relazione al reato di cui all’articolo 53
bis d.lgs. 22/1997, aveva precisato che tale reato ha natura monosoggettiva e
non presuppone il preventivo accordo tra i concorrenti, deducendo che
l’affermazione contenuta nella prima sentenza della corte di appello circa l’assenza
di prova della consapevolezza in ordine alla condotta altrui appariva generica,
inadeguata ed incoerente rispetto alle affermazioni di responsabilità pronunciate
sulle contravvenzioni contestate.
Si sostiene che la Cassazione aveva lasciato completamente aperta
l’indagine sull’elemento soggettivo del reato, che doveva essere valutato dal
giudice del rinvio, chiamato cioè a pronunciarsi sulla compatibilità della condotta
dei soggetti agenti con il traffico organizzato e ad affrontare l’analisi critica delle
ragioni che erano state addotte a sostegno del difetto dell’elemento soggettivo del
reato in sede di appello contro la sentenza di primo grado.

60

\)

potuto provvedere ad una contestazione suppletiva

4

4

Questo tema specifico, ci si duole, sarebbe stato del tutto pretermesso dalla
sentenza impugnata, che sul punto non si confronterebbe con gli originari motivi
d’appello. Si lamenta che la sentenza impugnata incorrerebbe in un grave
travisamento della prova allorquando, per far risaltare l’elemento soggettivo del
traffico organizzato, afferma che dalla copiosa documentazione acquisita
l’intendimento di partenza di CAVET – e per esso dei suoi dirigenti – era stato di
considerare il materiale estratto dalle gallerie e tutti i fanghi correlati ai lavori
come non rifiuti, gestibile al di fuori dello schema precauzionale specifico,

il ricorrente – trascurerebbe tutte le incertezze interpretative circa la natura dei
materiali da scavo, problema che si era posto in primo luogo essa CAVET .
Dai documenti, invece, si sostiene in ricorso, si desume che l’atteggiamento
sin dall’inizio di CAVET, che è stato quello perfettamente colto nella sentenza di
assoluzione in sede di primo appello, era assolutamente incompatibile con la
volontà di organizzare un traffico di rifiuti.
Come quarto motivo si lamenta un ulteriore vizio motivazionale, in
riferimento al medesimo reato, evidenziando che successivamente al dissequestro,
come si evince dagli documenti che erano stati allegati all’atto di appello vi fu un
programma di gestione del materiale da scavo presentato da CAVET alla ARPAT in
data 2/8/2001.
In altri termini, le modalità di gestione del materiale da scavo vennero
concordate da CAVET con il Ministero, la Regione Toscana, la Provincia di Firenze
e la stessa Procura della Repubblica di Firenze, che subordinò il dissequestro
preventivo all’adempimento di una serie di prescrizioni.
Si evidenzia come la stessa sentenza impugnata, a pagina 194, riconosca
che, a partire dalla fine di marzo 2001 sino al dissequestro e alla di non poco
successiva restituzione dei siti in avanti, le attività irregolari andarono riducendosi,
grazie ai controlli e agli interventi fattisi di anno in anno più stringenti.
Secondo il ricorrente, quindi, non si riesce a comprendere come si possa
parlare di gestione abusiva delle discariche quando la gestione delle discariche
(autorizzate già in conferenza dei servizi) veniva nuovamente autorizzata e
concordata, nelle modalità di gestione, con la PA, che a partire dall’autunno del
2002 ebbe ad iniziare un controllo costante sulla gestione del materiale da scavo,
attraverso la caratterizzazione dello smarino, svolta in contraddittorio con ARPAT
e i tecnici del CAVET.
Proprio perciò – secondo la tesi proposta in ricorso- il giudice di rinvio
incorrerebbe in un travisamento della prova. Ancora, viene ribadito che dalla
primavera del 2002 iniziò la caratterizzazione del materiale di scavo, che veniva
ad essere conferito nei vari siti, come risulta dalle prescrizioni allegate al rinnovo
61

sostenendo smarino e fanghi non fossero rifiuti. Un’affermazione siffatta – secondo

4,

delle autorizzazioni alla gestione delle discariche. Il campionannento del materiale
di scavo venne effettuato in contraddittorio con ARPAT, che seguiva, passo passo,
sino al rilascio della liberatoria, il conferimento dei rifiuti dei siti previsti dalla
conferenza dei servizi (discariche e cave).
Viene richiamata una gran mole di documenti che testimoniano, secondo la
classe difensiva, come, contrariamente a quanto si legge nella sentenza
impugnata, vi sia stata una volontà da parte dei dirigenti di CAVET incompatibile
con l’intenzione di realizzare un traffico organizzato di rifiuti, che per sua natura

amministrazione.
Ad avviso del ricorrente, non è conciliabile, sotto il profilo logico giuridico
l’affermazione di responsabilità dei gestori di CAVET per il reato di traffico
organizzato, soprattutto nella fase successiva al rinnovo dell’autorizzazione alla
gestione delle discariche, quando gli enti pubblici preposti al controllo sono stati
posti in grado di seguire in contraddittorio le fasi della caratterizzazione e quindi,
del conferimento in díscarica dei materiali di scavo.
Ulteriore violazione di legge, in relazione al reato di cui all’articolo 53bis del
decreto legislativo 72 del 1997, viene dedotta con il quinto motivo di ricorso. In
particolar modo, ci si riferisce all’imputazione di traffico organizzato di cui alla QQ
dell’imputazione, relativa allo smaltimento dei fanghi derivanti dalla depurazione
delle acque del processo produttivo, cioè ai fanghi filtropressati.
Viene ricordato come, secondo l’accusa, il reato è stato posto in essere
attraverso l’utilizzo di certificati di analisi falsi o comunque sulla base di un uso dei
codici CER palesemente incongrui.
In ricorso si opera una lunga ed articolata digressione per dimostrare come,
in realtà, l’attribuzione del codice CER sia avvenuta non per una scelta del
produttore, ma sia il risultato di una serie di indicazioni e sollecitazioni di soggetti
pubblici, in primis la Procura della Repubblica di Firenze, il Ministero dell’ambiente,
nna anche l’ARPAT. L’iter travagliato che ha subito la classificazione di questi rifiuti
e la conclusione finale, rappresentata dal provvedimento della provincia che ha
escluso la pericolosità dei fanghi filtropressati, confermerebbe la correttezza del
comportamento di CAVET. Ciò anche alla luce delle intercettazioni telefoniche tra
i dirigenti ARPAT e quelli del CAVET riportate nell’atto di appello e richiamate nella
sentenza della corte di appello del 2011.
Si lamenta, in ogni caso, che il giudice di rinvio, che vi era stato chiamato
dalla sentenza di legittimità, non abbia operato le necessarie valutazioni, per
singoli casi e per singoli soggetti, in relazione all’elemento soggettivo del traffico
organizzato.

62

deve necessariamente svolgersi al di fuori di un qualsiasi controllo della pubblica

N

Con un sesto motivo si deduce vizio motivazionale, sempre in relazione
all’articolo 53bis del decreto legislativo 76/1997 sul punto del profitto conseguito
da CAVET. Viene ricordato che il traffico illecito di rifiuti è punibile solo a titolo di
dolo, che deve assumere necessariamente la forma del dolo specifico e si ricorda
come la circostanza che CAVET fosse nel giusto nell’escludere la pericolosità dei
fanghi filtropressati troverebbe conferma nel provvedimento della Provincia del
luglio 2006, che ne ha escluso la pericolosità assegnando a questi il codice
190.814, non pericoloso. Ma la prova della insussistenza dell’elemento soggettivo,

fornita dalla cassazione di diminuzione dei costi, si ricava secondo il ricorrente dal
dato obiettivo, inoppugnabile, rappresentato dal fatto che CAVET, a seguito
dell’adozione del codice 010505 asteriscato, anziché ridurre costi, ebbe ad
aumentarli notevolmente. In altri termini, si sostiene che CAVET, nonostante la
convinzione rivelatasi poi corretta che i fanghi filtropressati non fossero pericolosi,
ha accettato di adottare tale codice aste riscatto sopportando costi altissimi e
ingiustificati.
Per quanto riguarda il capo di imputazione 95, con un settimo motivo, si
deduce difetto assoluto e contraddittorietà della motivazione. Per tutti i fatti
relativi a tale capo l’ingegner Silva risulterebbe completamente estraneo in virtù
delle varie deleghe conferite dallo stesso ai direttori di cantiere.
L’ottavo motivo

è teso a contestare, deducendosi violazione di legge,

l’ordinanza del 3/3/2014 della corte di appello con cui è stata rigettata l’eccezione
riguardante la possibilità per le parti civili non ricorrenti di presentare conclusioni
diverse e ulteriori conclusioni, motivata dalla corte territoriale in ragione del
principio di immanenza della costituzione di parte civile. Il motivo è analogo a
quello presentato sul punto dagli altri ricorrenti. Anche tale motivo era stato
ripreso e sviluppato nell’istanza tesa ad ottenere la dimensione del ricorso alle
sezioni unite che questa corte ha disatteso all’udienza del 18/11/2015. Con tale
motivo veniva altresì chiesta la sospensione dell’esecuzione delle statuizione civili
contenute nella sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 612 c.p.p., ricorrendone
i requisiti di legge.
Con il nono motivo si deduce violazione di legge della sentenza impugnata
laddove la stessa si sarebbe pronunziata in merito a capi d’imputazione in
relazione ai quali la sentenza di legittimità rivestirebbe, invece, autorità di
giudicato. Si tratterebbe dei capi di imputazione 95bis, HH, M, 14bis, 81, SS, UU,
ZZ che lo stesso Procuratore generale, in appello, nella memoria per la discussione
del 3/3/2014 avrebbe ritenuto correttamente esclusi dal giudizio di rinvio.
Dalla semplice lettura della sentenza della cassazione emergerebbe infatti,
secondo il ricorrente, che il giudice di legittimità ha preso in considerazione solo

63

ed in particolar modo del dolo specifico dell’ingiusto profitto, anche nella soluzione

ed esclusivamente i capi e i punti della decisione concernenti i reati di discarica
abusiva, omessa bonifiche e traffico illecito, nei quali non sono sussumibili né il
reato di cui al capo 95 bis, né quelli di cui ai capi d’imputazione M e HH. Nemmeno
dall’analisi della sentenza della Cassazione risulterebbe evidente, secondo il
ricorrente, che l’annullamento parziale con rinvio della sentenza d’appello,
disposto alla Cassazione con riferimento, in particolare al punto 5 del dispositivo
della sentenza della corte di appello del 2011, possa essere inteso come
implicitamente riferibile anche ai capi di imputazione 95 bis, M ed HH, in quanto

E su di essi il giudice di legittimità non si è pronunciato.
Analogamente non vi sarebbe stato annullamento per quanto riguarda il
reato di discarica abusiva con riferimento ai fanghi di lavaggio (capi 14 bis Le
Sanguinaie e 81, Fonte alla Sella).
Si richiama la parte seconda par. c della sentenza della Cassazione per
affermarsi che erano state escluse dal giudizio di rinvio le statuizione contenute
nella sentenza d’appello del 2011 riguardanti i fanghi.
Le condanne in relazione a tali reati, quindi, si porrebbero in contrasto con
la declaratoria di prescrizione pronunciato dalla Corte di appello di Firenze nel 2011
relazione ai capi 14bis ed 81, che risulterebbe confermata dalla cassazione. Ne
deriverebbe la violazione dell’articolo 627 c.p.p.
Viene poi dedotta un’ulteriore violazione di legge in relazione ai capi di
imputazione SS, UU e ZZ. Si sostiene che anche tali capi sarebbero stati fuori dal
giudizio di rinvio.
Con il decimo motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione a
tali capi per quanto riguarda i reati di omessa bonifica, ancora una volta deducendo
come non vi fosse richiesta alcuna in ordine agli stessi da parte del procuratore
generale della sua memoria dinanzi alla corte d’appello, evidentemente perché
non li si era considerati oggetto di rinvio.
Con l’undicesimo motivo si censura la sentenza impugnata sotto il profilo
della violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità del
ricorrente per il reato di omessa bonifica di cui al capo di imputazione SS (discarica
Gatti di Codigoro) e sub specie di vizio motivazionale con riferimento alla
declaratoria di sussistenza del medesimo reato.
Viene ricordato, come da altri ricorrenti e in relazione ad altre situazioni,
che la III sezione di questa Corte di legittimità aveva rimesso al giudice di merito
di motivare circa la sussistenza degli estremi di ciascun reato contestato mentre il
giudice del rinvio avrebbe ritenuto già accertate definitivamente le premesse di
fatto relative all’avvenuta consumazione di condotta di discarica abusiva e di
omessa bonifica. Ma – si afferma- così non è.
64

tali capi non riguardano affatto -o non esclusivamente- il reato di discarica abusiva.

Viene, comunque, ribadito che il conferimento di rifiuti con finalità di
recupero del materiale da costruzione è avvenuto nella stretta osservanza delle
regole e delle procedure stabilite dalle norme ambientali di settore. Nella specie si
evidenzia che i rifiuti sono stati conferiti agli impianti di recupero autorizzati
mediante l’impiego di autotrasportatori autorizzati e che i formulari relativi
all’avvenuta consegna tali impianti sono stati restituiti nella quarta copia, con il
conseguente effetto totalmente liberatorio di ogni responsabilità in ordine alla
gestione dei rifiuti in capo al produttore.

uno per uno tutti i vizi motivazionali in relazione a tale reato, evidenziando che la
sentenza impugnata apparirebbe apodittica in molti punti e non scenderebbe nel
merito delle singole situazioni, come quando dice che non risulta rilasciata alcuna
liberatoria in ordine all’inquinamento inevitabilmente verificatosi. E invece avrebbe
dovuto motivare sui presupposti di fatto da cui si evinceva l’intervenuto
inquinamento e circa la riconducibilità dello stesso al ruolo e alla persona del
ricorrente.
Con un dodicesimo motivo si deduce, anche con riferimento al capo Q, tanto
l’errore di diritto che il vizio motivazionale evidenziandosi che anche in relazione a
tale sito (quello in località Lippo di Sant’Anna) il giudice del rinvio non motiva sulle
premesse di fatto relative all’avvenuta consumazione di condotte di discarica
abusiva e di omessa bonifica. Contrariamente a quanto afferma la sentenza
impugnata, infatti, tali premesse non erano già state validate dal giudice di
legittimità. Vengono passati in rassegna i vari passaggi dell’iter motivazionale del
giudice del rinvio su tale sito, evidenziandosi da parte del ricorrente quelle che
appaiono essere incongruenze e contraddizioni.
Con un

tredicesimo motivo si deduce violazione di legge e vizio

motivazionale in relazione anche al capo di imputazione ZZ, relativo all’omessa
bonifiche dei siti di Giovi e Bomarzo.
Anche in tale caso per motivazioni analoghe a quelle del motivo precedente,
si sostiene che il giudice del rinvio abbia travisato il senso della sentenza di
annullamento, in quanto non è affatto vero che le premesse di fatto erano state
validate in sede di legittimità. Viene fatto riferimento alla previsione di cui
all’articolo 188 comma primo del decreto legislativo 152 del 2006 per affermare
che non è più possibile ritenere la responsabilità del produttore o detentore del
rifiuto allorché il medesimo abbia consegnato a discariche autorizzate il rifiuto
stesso, ponendo la norma a carico del produttore-detentore quale unico obbligo nel caso di specie adempiuto- della conservazione della quarta copia. Si ricorda
come ci sia stato in materia, negli anni interessati dal processo, un susseguirsi di
normative, anche di attuazione nel nostro paese delle decisioni comunitarie, e

65

Viene ricordata la normativa e la giurisprudenza in materia si evidenziano

come anche dalle acquisite consulenze fosse emerso che il CAVET, tramite i suoi
preposti, abbia sempre agito rispettando le normative del momento. In particolare
si ricorda come i fanghi filtropressati non fossero stati considerati pericolosi.
Costituirebbe comunque palese violazione di legge, con riferimento al
disposto di cui all’articolo 257 del decreto legislativo 152 del 2006. Affermare,
come fa la sentenza impugnata, l’esistenza di un evento di inquinamento a
prescindere da qualsiasi accertato superamento dei limiti di legge.
Il quattordicesimo motivo di ricorso è imperniato sulla violazione di legge e

imputazione 52, relativo al sito denominato Le Sanguinaie. Ancora una volta si
contesta l’affermazione del giudice di rinvio secondo cui vi sarebbe già stata una
validazione da parte della cassazione del reato di omessa bonifica e dei suoi
presupposti fattuali. Si sottolinea, invece, che doveva essere il giudice del rinvio a
rilevarli e a darne conto in motivazione ma non la ha fatto. Nello specifico, il
ricorrente peraltro deduce che in quel sito, come sempre sostenuto e
documentato, non è mai stato conferito smarino ma soltanto terre scavate fuori
dalle gallerie e come tali per nulla inquinate.
Si trattava di terre sversate, in un sito a ciò autorizzato, dalla ditta Berti
Sisto, subappaltatore di CAVET, derivanti dalla realizzazione di un cantiere e di
due strade di servizio per tale attività,
Ci si duole che la Corte territoriale, a proposito della mancanza di
inquinamento del sito, avrebbe omesso di valutare elementi di fatto che peraltro
emergevano dalla stesso provvedimento di revoca del sequestro preventivo della
cava, elementi che conducevano alla certezza che nel sito Le Sanguinarie non fosse
mai andato smarino e tanto meno fanghi, di cui neppure si parla. Viene ricordato
il contenuto dell’informativa della Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica
al pubblico ministero, che condurrebbe alla stessa conclusione che in quella cava
sia confluito unicamente materiale proveniente da scavi esterni. Dunque, se non
c’era mai stato smarino, non c’era reato di discarica abusiva e nemmeno poteva
configurarsi alcuna omessa bonifica. E nemmeno prova che vi fosse inquinamento
del sito potrebbe poi ricavarsi -sottolinea il ricorrente- dall’ordinanza del Comune
di Fiorenzuola, come sembra fare la Corte d’appello del 2014, in quanto la stessa
parla di “siti potenzialmente inquinati” e quindi che tale potenzialità si fosse
tradotta in fatto andava comunque accertato.
Con il quindicesimo motivo, sotto il duplice profilo dell’errore di diritto e del
vizio motivazionale, viene contestata la sentenza impugnata anche nella parte in
cui ha affermato la sussistenza del reato di cui al capo di imputazione 50 per la
presunta omessa bonifica della cava di Sasso di Castro (che il ricorrente ricorda
essere una cava di prestito di versante, trattandosi di cava collocata sull’appendice

66

sul vizio motivazionale in relazione alla declaratoria di sussistenza del capo di

del monte, non soggetta a ritombamento, ma solo al ripristino). Viene ricordato
che la Corte di rinvio ha trattato tale reato insieme a quello di cui al capo di
imputazione 81, in quanto i limi di lavaggio provenienti da Fonte alla Sella sono
stati utilizzati (previa autorizzazione provinciale) per il ripristino della cava di Sasso
di Castro. Anche in questo caso – si lamenta- la Corte d’appello, dando per
scontato in punto di fatto l’inquinamento per il preteso scarico di fanghi
contaminati da sostanze chimiche, ne ha dedotto che non era stata avviata la
procedura di bonifica. Anche per tale cava viene tuttavia ricordato che non vi è

riguardante tale sito fa riferimento allo stoccaggio provvisorio in vasche di cemento
dei limi di lavaggio degli inerti di cava, ma si sottolinea come questi, a differenza
dei fanghi di lavaggio delle gallerie, anche se trattati con flocculanti e coagulanti,
sono esclusi dalla nozione di rifiuto. La tesi sostenuta in ricorso, dunque, è che
non esistesse quindi alcuna necessità di bonifica sia in relazione alla tipologia
naturale materiale sia in ordine alla mancata prova da parte dell’accusa della
contaminazione dei terreni. Vengono indicati in ricorso tutta una serie di fatti e
documenti rilevanti in proposito che la Corte territoriale avrebbe trascurato e che
se valutati avrebbero dovuto portare all’assoluzione dal reato.
Con un sedicesimo motivo viene dedotta violazione di legge e vizio
motivazionale in relazione al capo di imputazione 74, relativo alla gestione dei
fanghi di depurazione avvenuta nell’area ex Fornace Focardi dal 1999 al 23 giugno
2001 (data del sequestro dell’area) con la relativa omessa bonifica del sito. La
sentenza cadrebbe in errore laddove, dopo aver dato conto dei motivi per cui il
reato di discarica abusiva è stato dichiarato prescritto, in quanto il sequestro ha
determinato la definitiva sottrazione privati nella disponibilità del sito con
conseguente cessazione del reato permanente, ha affermato che ne era stata in
ogni caso omessa la bonifica. In realtà, il ricorrente deduce che anche per la
Fornace Focardi, era stata rilasciata, su richiesta del soggetto titolare dell’impianto
(S.A.B.0.) la prescritta certificazione liberatoria finale con provvedimento
dirigenziale numero 53C del 18/3/2010 prot. 53518. Tale certificazione attestava
la non necessità di bonifica e ripristino ambientale del sito e pertanto la Corte
territoriale avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria. In ogni caso, in
relazione a tale capo di imputazione, vengono dedotti una serie di altri vizi della
sentenza, evidenziandosi in primis del reato che in ogni caso il reato andava
dichiarato prescritto e poi che non ci sarebbe stata motivazione con specifico
riferimento alla questione circa l’idoneità o meno del sito a ricevere i materiali (in
questo caso i fanghi). E nemmeno motivazione in relazione al preteso
inquinamento.

67

mai andato nella stessa dello smarino, Viene evidenziato poi che la contestazione

Viene poi proposto un diciassettesimo motivo, subordinato, in relazione alla
violazione di legge o al vizio motivazionale laddove si è applicata al ricorrente la
circostanza aggravante di cui all’articolo 112 n. 1 del codice penale.
Il diciottesimo motivo di doglianza, ancora una volta incentrato sia sotto il
profilo della violazione di legge che sul vizio motivazionale, attinge la sentenza
impugnata laddove, nel revocare le attenuanti generiche concesse agli imputati
con la sentenza del Tribunale di Firenze nel 2009, la Corte territoriale sarebbe
incorsa in difetto assoluto di motivazione. Analoghe doglianze si propongono – a

dell’applicabilità della sospensione condizionale della pena.
Con il diciannovesimo motivo ci si duole invece nella motivazione della
sentenza in ordine alla dosimetria della pena e gli operati aumenti della stessa.

• Rubegni Alberto, a mezzo del proprio difensore avv. Alfonso M. Stile
Alberto Rubegni, Consigliere Delegato del Consorzio CAVET, è stato
condannato con il provvedimento impugnato alla pena di anni due mesi uno di
arresto ed euro 17.500,00 di ammenda, con pena accessoria della sospensione
dall’esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per la
durata della pena principale inflitta, per i reati di omessa bonifica di cui ai capi 50,
52 (con riferimento al sito Le Sanguinaie), 74, SS, UU e ZZ. E’ stato condannato
altresì, al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese processuali sostenute
dalle parti civili anche in relazione ai reati di cui ai capi 95 e QQ, commessi prima
del 28 settembre 2001, perché prescritti dopo la sentenza di primo grado.
Il difensore ricorre avverso la sentenza nonché ai sensi dell’art. 586,
comma 1, c.p.p., avverso l’ordinanza pronunciata dalla Corte di Appello di Firenze,
Sezione I penale, nell’ambito del procedimento medesimo, all’udienza del 3 marzo
2014, con la quale veniva rigettata la questione preliminare sollevata dalla difesa
con cui si chiedeva l’immediata estromissione dal processo del Rubegni, in
conseguenza dell’irrevocabilità della sentenza di proscioglimento/assoluzione resa
nei suoi confronti.
Deduce sei motivi di ricorso.
Con un primo motivo (con riferimento all’ordinanza del 3 marzo 2014 ed
alla sentenza del 21 marzo 2014) viene dedotta violazione di legge nonché
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dedotta
formazione del giudicato in ordine alla dichiarazione di non doversi procedere nei
confronti dell’imputato Rubegni per tutti i reati ascrittigli sino al 28.09.2001.
Si sostiene che l’attuale ricorrente era stato mandato assolto, o comunque
prosciolto, da tutti i reati ascrittigli e per tutto l’arco temporale in contestazione.

68

fronte di mai provati livelli di inquinamento- per quanto riguarda l’esclusione

Si evidenzia che, non a caso, l’odierno ricorrente inizialmente non era stato citato
per il giudizio di rinvio, fissato dinanzi alla Corte territoriale per l’udienza del
30.01.2014.
Tuttavia, in data 30.01.2014, nel corso della prima udienza del giudizio di
rinvio — e senza che la Procura Generale (rappresentata ex art. 570, comma 3,
dal Pubblico Ministero, Dott. Monferini, titolare del procedimento sin dall’inizio
delle indagini) avesse sollevato alcuna eccezione al riguardo — il Presidente della
Corte preliminarmente rilevava l’omessa citazione del Rubegni, e disponeva la

l’indicazione del nominativo dell’imputato medesimo alla successiva udienza del
03.03.2014 eccepiva preliminarmente la formazione del giudicato, assolutorio e di
proscioglimento, in relazione alla posizione Rubegni, chiedendo l’immediata
estromissione dal processo del proprio assistito. Le argomentazioni a sostegno
della richiesta, peraltro direttamente desumibili dalla lettura della sentenza della
Corte di Cassazione, venivano raccolte in una memoria difensiva che veniva
depositata in udienza e che viene allegata.
In particolare, si osservava che la posizione del Rubegni dovesse ritenersi
coperta dal giudicato, per effetto della conferma, da parte della sentenza della
Corte di Cassazione del 18.03.2013, delle statuizioni della sentenza di appello
relative alla assoluzione dell’imputato per “non aver commesso il fatto”, in ordine
ai reati contestati a partire dal 28.09.2001, ed alla declaratoria di prescrizione per
i reati contestati in epoca precedente a tale data.
Si rammentava, anzitutto, l’esatto contenuto del dispositivo della sentenza
della Corte di Appello del 27.06-26.09.2011, oggetto di annullamento parziale, che
— quanto alla posizione Rubegni ed in rapporto alle imputazioni “controverse”—
così statuiva:
• al punto 2 del dispositivo, assolveva l’ing. Rubegni “da tutti i reati ascrittigli
commessi dal 28/9/2001 in poi, nella sua qualità di Presidente del Consorzio
CAVET” con la formula “per non aver commesso i fatti”;
• al punto 3 del dispositivo, assolveva l’ing. Rubegni, unitamente agli altri
imputati, dai reati di omessa bonifica (i cui capi venivano puntualmente indicati)
con la formula “perché i fatti non sussistono”;
• al punto 5 del dispositivo, dichiarava “non doversi procedere nei confronti di
Rubegni, per i reati commessi quale consigliere delegato del Consorzio CAVET a
partire dal 12.1.1998 fino al 28.9.2001, e di tutti gli altri imputati appellanti, in
ordine ai seguenti reati come loro rispettivamente ascritti, per essere gli stessi
estinti per prescrizione intervenuta prima della emissione della sentenza di primo
grado fe seguiva la specifica indicazione dei capi relativi ai reati di discarica
abusivar ;
69

rinnovazione dell’avviso, previa integrazione del Registro generale con

• al punto 6 del dispositivo, assolveva l’ing. Rubegni “dai reati di cui ai capi 95 e
QQ”, ove si contesta il delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152/2006, “per non aver
commesso i fatti”; mentre gli altri imputati venivano assolti dai medesimi reati
“perché il fatto non costituisce reato”.
Si dava quindi atto del fatto che avverso tale sentenza avevano proposto
ricorso per cassazione sia i difensori degli imputati, sia il Procuratore Generale.
Quanto alla specifica posizione del Rubegni, l’interesse all’impugnazione
dell’imputato era circoscritto alle sole statuizioni della sentenza di appello che

(cfr. punto 5 del dispositivo) in luogo dell’assoluzione nel merito, posto che per le
condotte successive a tale data la sentenza aveva assolto l’imputato Rubegni con
formula ampiamente liberatoria: “per non aver commesso i fatti”, ovvero, con
riferimento alle ipotesi di omessa bonifica (cfr. punto 3 del dispositivo), “perché i
fatti non sussistono”.
Da parte sua, la Procura Generale proponeva ricorso nei confronti — fra gli
altri — del Rubegni in relazione a tutti i punti del dispositivo sopra elencati, ed
anzi, dedicando alla posizione del Rubegni una apposita sezione dell’atto di
impugnazione (la Parte VI). Tuttavia, la Corte di Cassazione, con la sentenza
emessa in data 18.03-29.07.2013, rigettava totalmente il ricorso proposto dal
Pubblico Ministero nei confronti dell’imputato Rubegni (cfr. pag. 102 della sentenza
della Suprema Corte), confermando, sul punto, la sentenza della Corte di Appello.
Invero, secondo il ricoprente la pronuncia resa dalla Corte di Cassazione in data
18.03-129.07.2013 annullava con rinvio la sentenza di appello solo limitatamente
ad alcuni punti del dispositivo. In particolare, costituivano oggetto di
annullamento: -il punto 5 del dispositivo, “con esclusione della posizione Rubegni”;
-il punto 3 del dispositivo, con esclusione di alcune delle contravvenzioni di omessa
bonifica contestate; – il punto 6 del dispositivo, relativo ai delitti di traffico
organizzato di rifiuti di cui ai capi 95 e QQ. Nel resto, la Suprema Corte “rigettava
i ricorsi presentati con riferimento ai punti del dispositivo suddetto, nonché i ricorsi
relativi ai restanti punti”.
Il ricorrente sottolinea, infine, che la Corte di Cassazione espressamente
escludeva il Rubegni dal novero degli imputati condannati, in solido con il
responsabile civile, alla rifusione delle spese sostenute nel grado in favore delle
parti civili.
Conseguentemente, il difensore rileva come non formassero oggetto di
annullamento — e dunque di rinvio per nuovo esame delle relative questioni – né
il punto 2 del dispositivo della Corte di Appello (assoluzione del Rubegni da tutti i
reati contestati dal 28.09.2001 in poi per non aver commesso i fatti), né il punto
5 del dispositivo della Corte di Appello, relativamente alla posizione Rubegni
70

avevano dichiarato la prescrizione dei reati commessi anteriormente al 28.9.2001

(declaratoria di prescrizione, intervenuta prima della sentenza di primo grado, in
relazione a tutti i reati contestati dal 12.01.1998 al 28.09.2001). Pertanto, del
tutto irrilevante doveva ritenersi l’annullamento sia del punto 3, sia del punto 6
del dispositivo di appello, atteso che la posizione del Rubegni sarebbe stata
comunque definita — per tutti i reati e per tutto l’arco temporale in contestazione
— dalla combinata lettura dei punti 2 e 5 del dispositivo, confermati dalla Suprema
Corte.
La Corte di Appello, investita del giudizio di rinvio, rigettava la questione

ricorrente allega — ordinanza che in questa sede ad ogni effetto viene impugnata
unitamente alla sentenza, ai sensi dell’art. 586, comma 1, c.p.p. — nella quale il
ricorrente lamenta che i giudici del rinvio si limitavano ad osservare che le ragioni
del nuovo esame della posizione del Rubegni si dovessero trarre “dal tenore del
dispositivo della Cassazione, la quale dopo aver annullato il punto 5 del dispositivo
della Corte di Appello, espressamente escludendo da tale annullamento la
decisione relativa all’imputato Rubegni, ha successivamente annullato i punti 3 e
6 del dispositivo della Corte di Appello nessuna eccezione o menzione particolare
facendo per tale imputato”.
Muovendo da tale osservazione, la Corte giungeva alla conclusione —
secondo il ricorrente illogica e contraria al chiaro dictum della III Sezione di questa
Suprema Corte, per come desumibile sia dallo stesso “tenore del dispositivo”, sia
dalla parte motiva della sentenza — secondo cui “la posizione di Rubegni deve
essere ancora rivalutata rispetto a tali imputazioni [e cioè, le ipotesi di omessa
bonifica e di traffico organizzato, richiamate, rispettivamente, ai punti 3 e 6 del
dispositivo di appello] alla luce di tutte le altre osservazioni poste dalla Corte di
legittimità”.
In definitiva, il ricorrente sostiene che la Corte territoriale perviene alla
affermazione di responsabilità del Rubegni in ordine alle ipotesi di omessa bonifica
indicate in epigrafe in esito ad uno pseudo-ragionamento, viziato dall’evidente

preliminare con ordinanza emessa alla stessa udienza del 3 marzo 2014 che il

travisamento del contenuto della sentenza di codesta Suprema Corte del 18.0329.07.2013 ed intrinsecamente contraddittorio, nonché incorrendo nella violazione
del principio di preclusione derivante dal giudicato formatosi in relazione alla
posizione dell’odierno ricorrente, sulla base del combinato disposto degli artt. 648
e 624, comma 1, c.p.p.
Nel far ciò, la sentenza impugnata si porrebbe altresì in aperto contrasto
con i principi di diritto fissati dalla sentenza della Cassazione del 18.0329.07.2013, che in relazione alla posizione del Rubegni aveva stabilito
l’intervenuta maturazione del termine prescrizionale, dichiarando l’estinzione dei
reati ascritti anteriormente al settembre 2001.
71

4

Il provvedimento, pertanto, violerebbe l’art. 627, comma 3, c.p.p. ed anche
sotto tale profilo appare meritevole di annullamento.
Con un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e mancanza,
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità dell’imputato per le contravvenzioni di omessa bonifica di cui ai capi
50, 52 (limitatamente al sito Le Sanguinaie), 74, SS, UU, ZZ.
Impregiudicate le doglianze contenute nel primo motivo, che da sole ad
avviso del ricorrente imporrebbero l’annullamento della sentenza impugnata (ed

Rubegni dalla Corte di Appello non solo si fonderebbe su una erronea applicazione
delle norme giuridiche di riferimento (per tacer della violazione dei basilari principi
di diritto che presiedono alla teoria generale del reato), ma addirittura si
sottrarrebbe deliberatamente all’obbligo motivazionale impostole dalla legge in
relazione ai punti devoluti alla sua cognizione per effetto dell’annullamento
parziale della Cassazione.
Invero, viene ricordato che, con riguardo alle contestazioni in materia di
omessa bonifica, nel corso del giudizio di appello le difese avevano diffusamente
argomentato circa la mancanza di prova in ordine ai requisiti tipici del reato
previsto dall’art. 51-bis, d.lgs. n. 22/1997 (ed ora, dall’art. 257, d.lgs. n.
152/2006), ed in particolare circa la causazione dell’inquinamento — che
costituisce vero e proprio evento del reato di omessa bonifica.
Si era sostenuto, nei motivi di appello (di cui viene richiamato
specificamente il quarto), che tale prova non poteva dirsi raggiunta in relazione ai
siti oggetto di contestazione, posto che per nessuno di essi era stata rilevato il
superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione, parametrate ai limiti
di accettabilità di cui alla tabella 1 sub all. 1 al D.M. n. 479/1999.
Men che meno -si aggiungeva- poteva dirsi raggiunta la prova
dell’inquinamento ove i parametri da adottare fossero stati quelli di cui alla
disciplina sopravvenuta, previsti dal combinato disposto degli artt. 257, 240 e 242
d.lgs. n. 152/2006 come superamento dei valori di concentrazione soglia di rischio.
Ed anzi, stando alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale — nonché agli esiti
delle procedure attivate ora ai sensi dell’art. 17 del Decreto Ronchi, ora ai sensi
degli artt. 242 e ss. del Codice dell’Ambiente, che si erano pressoché tutte concluse
con il rilascio delle certificazioni liberatorie senza (neppure) la necessità di adottare
alcun intervento di bonifica — si osservava come vi fosse semmai prova del fatto
che la gestione dello smarino e dei fanghi (conforme o meno al perimetro
autorizzatorio) non avesse cagionato un inquinamento del suolo e/o delle matrici
ambientali tale da far scattare l’obbligo di bonifica penalmente sanzionato.

72

assorbono ogni altra censura), il ricorrente deduce che la condanna inflitta al

Tale ricostruzione, pienamente accolta dalla prima sentenza della Corte di
Appello, che aveva assolto tutti gli imputati con la formula perché il fatto non
sussiste, non sarebbe stata scalfita dalla sentenza di annullamento parziale
pronunciata da codesta Suprema Corte in data 18.03-29.07.2013. Invero, la III
Sezione della Corte di Cassazione aveva in quell’occasione censurato
esclusivamente la metodica seguita dalla Corte di Appello nell’analizzare le singole
imputazioni di omessa bonifica. Secondo il dictum della Cassazione, nel precedente
giudizio di appello la Corte territoriale avrebbe infatti dovuto esaminare caso per

di codesta Suprema Corte, era stato fatto solo con riferimento ad alcuni dei capi
in contestazione), verificando puntualmente:
a)

la sussistenza dei requisiti strutturali del reato di omessa bonifica (in

particolare, il contributo causale dell’imputato alla realizzazione della condotta
tipica e la causazione dell’evento di inquinamento contestato in relazione a
ciascuno dei siti di cui ai capi di imputazione);
b) l’eventuale attivazione dell’iter di bonifica, il periodo nel quale si è protratto il
relativo procedimento e l’esito intervenuto;
c) conseguentemente, la applicabilità della disciplina previgente di cui agli artt.
51-bis e 17 del Decreto Ronchi, ovvero di quella sopravvenuta, ex artt. 257 e 242
ss., d.lgs. n. 152/2006, in quanto più favorevole, sulla base del criterio discretivo
individuato nella stessa pronuncia di annullamento.
Nel disporre il rinvio su questi punti, la Suprema Corte si premurava di
precisare come non potesse in ogni caso sussistere alcuna corrispondenza
biunivoca fra le ipotesi di gestione abusiva (ex art. 51 d.lgs. n. 22/1997, ora
sanzionate dall’art. 256 d.lgs. m. 152/2006) e le contravvenzioni di omessa
bonifica, sul piano dell’accertamento dei rispettivi requisiti strutturali, atteso che
«la disciplina in tema di bonifiche contenuta nell’art. 51-bis del d.lgs. 5 febbraio
1991, n. 22, e ora nell’art. 257 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non si pone in
diretta continuità con quella contenuta negli artt. 51 del d.lgs. n. 22/1997 e
nell’art. 256 del d.lgs. n. 152 del 2006. È evidente che il concetto di “degrado”
dell’area che sta alla base della illiceità dell’accumulo di rifiuti integrante gli estremi
della discarica non coincide affatto con i concetti di “contaminazione” del sito e di
“inquinamento”. Tale discrasia è giustificata dalla differenza dei piani su cui le
disposizioni si muovono e non consente di ricondurre la fase post-operativa della
discarica all’interno della tematica della bonifica. Il che significa, ovviamente, che
condotte in contrasto con l’art. 256 possono, ove ne sussistano i diversi
presupposti, concorrere ad integrare anche l’ipotesi ex art. 257, così come è
possibile che fenomeni di contaminazione e inquinamento non siano collegati in

73

caso le situazioni relative ai singoli siti oggetto di imputazione (ciò che — ad avviso

concreto a violazioni della disciplina autorizzatoria» (pag. 80 sentenza della
Suprema Corte di Cassazione, Sezione III penale, 18.03-129.07.2013).
Secondo il ricorrente, in tale passaggio motivazionale, la Suprema Corte
aveva inequivocabilmente chiarito che l’accertamento dei presupposti applicativi
della fattispecie incriminatrice di omessa bonifica dovesse avvenire sulla base di
una valutazione autonoma rispetto alla prova circa l’obiettiva sussistenza
dell’ipotesi di gestione abusiva. Di talché i giudici del rinvio avrebbero dovuto
provvedere ad una puntuale verifica, per ciascuno dei siti indicati nei capi di

causazione dell’evento di inquinamento, inteso — a seconda della disciplina
applicabile pro tempore, sulla base dei criteri impartiti dalla Suprema Corte — vuoi
come superamento dei parametri di cui all’art. 17, d.lgs. 22/1997 e D.M. n.
471/1999, vuoi come superamento dei livelli di concentrazione soglia di rischio di
cui all’art. 242, comma 4, d.lgs. 152/2006; 2. circa la riconduzione della causa
dell’inquinamento alla condotta ascrivibile ai singoli imputati, in ossequio al
principio di personalità della responsabilità penale ed al principio di colpevolezza.
E soltanto ove gli accertamenti di cui sub 1 e sub 2 avessero dato esito positivo,
circa la mancata attivazione e conclusione dell’iter di bonifica, quale condizione di
punibilità del reato.
A tale puntuale verifica la Corte territoriale si sarebbe deliberatamente
sottratta in relazione ai capi di imputazione per i quali ha pronunciato sentenza di
condanna, come emerge dalla disamina solo apparentemente condotta in
riferimento ai singoli siti ancora in contestazione (cfr., in particolare, pagg. 156 e
ss. della sentenza impugnata).
Secondo il ricorrente, la Corte di Appello ha erroneamente ritenuto che il
preteso inquinamento dei siti fosse stato ormai definitivamente provato quale
mera conseguenza del definitivo accertamento circa la natura di rifiuto da
attribuire allo smarino ed ai fanghi ivi abbancati. Emblematica, in tal senso,
l’affermazione contenuta a pag. 157 della sentenza, ove si legge, a proposito del
capo 52): “Va premesso che la Cassazione ha già validato le premesse di fatto che
hanno condotto alle decisioni dei Giudici di merito, ed in particolare che tutti i siti
oggetto delle contestazioni in esame sono stati interessati dal deposito
continuativo di smarino e fanghi contaminati da idrocarburi ed altri materiali
inquinanti, in non pochi casi [sic] connotati da concentrazioni superiori anche ai
limiti di accettabilità meno rigorosi”.
Secondo il ricorrente, tuttavia, tale accertamento non è mai stato condotto
in modo puntuale, e che pertanto nessuna prova può dirsi raggiunta in ordine alla
fattispecie tipica sanzionata dall’art. 51-bis d.lgs. n. 22/1997 — art. 257 d.lgs. n.
152/2006.
74

imputazione oggetto di nuova devoluzione alla Corte di merito: 1. circa la effettiva

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione di legge e mancanza,
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
cessazione della permanenza ed alla determinazione del dies a quo del termine di
prescrizione nei riguardi dell’imputato Rubegni, relativamente alle contravvenzioni
di omessa bonifica di cui ai capi 50, 52 (limitatamente al sito Le Sanguinale), 74,
SS, UU, ZZ.
Alla stregua delle considerazioni esposte nel motivo che precede, con
specifico riferimento alla ritenuta irrilevanza della cessazione della carica rivestita

cui è intervenuta condanna, il ricorrente evidenzia un autonomo vizio di violazione
di legge del provvedimento impugnato, nella parte in cui non è stata riconosciuta
la cessazione della permanenza delle contravvenzioni di omessa bonifica alla data
del 28.09.2001, né — di conseguenza — si è preso atto dell’intervenuta
prescrizione delle stesse, maturata ben prima della sentenza di primo grado (come
peraltro già sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 18.0329.07.2013).
Come è noto, l’art. 158, primo comma, c.p. fa decorrere il termine di
prescrizione del reato permanente “dal giorno in cui è cessata la permanenza”.
Orbene, come unanimemente affermano dottrina e giurisprudenza, il
ricorrente osserva che la permanenza del reato è caratterizzata dal mantenimento
dell’offesa nel tempo in modo continuativo, quale conseguenza della protrazione
della condotta antigiuridica dell’agente.
Dovendo costantemente sussistere il nesso causale fra detti requisiti
affinché la permanenza possa dirsi in atto, ne discende — per converso – che essa
viene a cessare, non soltanto ogniqualvolta venga meno l’evento offensivo, ma
anche quando lo stesso non sia più causalmente riferibile alla condotta
antidoverosa del soggetto attivo.
Si parla, in quest’ultimo caso, di cessazione soggettiva della permanenza.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce erronea applicazione della legge
penale e mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in
relazione all’affermazione di responsabilità del Rubegni in ordine ai capi 95 e QQ,
nell’ambito della declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione,
con riferimento al ritenuto decorso del termine prescrizionale in epoca successiva
alla pronuncia della sentenza di primo grado.
L’arbitraria, ancorché parziale, estensione dell’ambito del giudizio di rinvio
alle condotte poste in essere dal Rubegni in epoca anteriore al 28 settembre 2001,
nella sua qualità di Consigliere delegato del Consorzio CAVET (operazione già
autonomamente censurata con il I Motivo) avrebbe ad avviso del ricorrente
determinato una illegittima (ri)valutazione della posizione del ricorrente – pur in
75

dal Rubegni in capo al Consorzio CAVET, con riferimento alle contravvenzioni per

funzione della sola responsabilità ai fini civilistici – anche in relazione alle
imputazioni di traffico organizzato di rifiuti contestate ai capi 95 e QQ,
limitatamente al periodo compreso fra l’entrata in vigore dell’allora art. 53-bis
d.lgs. n. 22/1997 (in data 19.04.2001) ed appunto il 28.09.2001.
Al riguardo, impregiudicate le doglianze, di per sé assorbenti, contenute nel
primo motivo di ricorso, e ferma restando in ogni caso l’operatività della causa
estintiva del reato per l’intervenuta prescrizione, viene dedotto vizio motivazionale
e di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella parte

prescrizionale sia avvenuto in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di
primo grado, statuizione dalla quale è conseguita la condanna del Rubegni al
risarcimento dei darmi in favore delle parti civili in relazione alle ipotesi di cui ai
capi 95 e QQ.
Tale affermazione si fonderebbe su un’erronea applicazione dei principi in
materia di responsabilità concorsuale nei delitti contestati, oltre ad essere priva di
alcun sostegno argomentativo circa la prova che nel periodo indicato il Rubegni
abbia posto in essere una condotta finalizzata alla gestione abusiva di ingenti
quantitativi di rifiuti.
Viene evidenziato che la III Sezione di questa Suprema Corte aveva
censurato il percorso motivazionale seguito dalla prima sentenza di appello,
osservando come la Corte territoriale, dopo aver smentito le tesi del giudice di
prime cure circa la ritenuta responsabilità degli imputati, aveva tuttavia omesso
di “valutare se le condotte contestate ed accertate in capo ai singoli imputati
[fossero] tali da comportare il concorso nel reato contestato, in ciò riconsiderando
gli argomenti del primo giudice e integrando la valutazione dei fatti” (cfr. pag. 91
della sentenza della Corte di Cassazione, III Sezione penale, del 18.0329.07.2013). E la Suprema Corte precisava che tale accertamento si sarebbe
dovuto compiere con particolare attenzione in riferimento alle «condotte
successive ai sequestri del giugno 2001» (cfr. pag. 93 della sentenza di
annullamento parziale).
Proprio la valutazione dei fatti occorsi successivamente ai sequestri
rappresenterebbe il punto di massima criticità, sotto il profilo logico, dell’apparato
motivazionale della sentenza con riferimento alla posizione del Rubegni.
Con un quinto motivo si deduce erronea applicazione della legge penale e
mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine
alla determinazione e commisurazione della pena ed alla esclusione delle
circostanze attenuanti generiche nei confronti dell’imputato Rubegni.
Il ricorrente deduce, affermando di farlo In via gradata, e per mero scrupolo
difensivo, gli ulteriori profili di violazione di legge e di vizio motivazionale della

76

in cui ha ritenuto che per la posizione del ricorrente il decorso del termine

sentenza impugnata in relazione all’applicazione dei criteri di commisurazione della
pena ai sensi dell’art. 133 c.p., nonché all’omesso riconoscimento, nei confronti
del Rubegni, delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis c.p. ed al
computo della continuazione.
Per quanto concerne i criteri di computo della pena, di cui all’art. 133 c.p.,
il provvedimento impugnato risulterebbe affetto sia da violazione di legge, sia da
un grave vizio motivazionale. Viene ricordato sul punto che l’art. 133 c.p. indica
degli specifici parametri cui il giudice è obbligato a conformarsi nel condurre la

impone, evidentemente, un accertamento il più possibile individualizzato, onde
consentire che la misura della pena irrogata rifletta l’obiettiva gravità dei fatti ed
il grado di responsabilità del colpevole.
In assenza di una puntuale verifica in tal senso -che nel caso che ci occupa
sarebbe mancata- la pena applicata mal si presterebbe ad assolvere la propria
funzione retributiva e, soprattutto, si rivelerebbe inidonea a tendere alla
rieducazione del condannato, in aperto contrasto con l’art. 27, comma terzo, Cost.
Con il sesto ed ultimo motivo si lamenta violazione di legge in ordine alla
determinazione della durata della pena accessoria della sospensione dall’esercizio
degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Il ricorrente ribadisce che la disamina dei motivi dedotti in via principale
non può non determinare l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
tanto grave essendo la violazione, da parte della Corte investita del giudizio di
rinvio, dei più basilari principi posti a fondamento dell’ordinamento penale
sostanziale e processuale. Nondimeno, in via ulteriormente gradata, ed anche al
fine dichiarato di evidenziare la scarsissima attenzione prestata dalla Corte
territoriale all’esame della posizione soggettiva del Rubegni persino all’atto di
determinare il trattamento sanzionatorio viene evidenziato che i giudici di appello
hanno erroneamente parannetrato la durata della pena accessoria a quella della
pena complessiva “inflitta”, anziché far riferimento — come sarebbe stato
doveroso — alla durata della pena base, a prescindere dal successivo aumento per
le ipotesi in continuazione. Anche sotto tale profilo, pertanto, la durata della pena
accessoria sarebbe stata arbitrariamente estesa dal giudice del rinvio al di là del
limite consentito dalla legge, con ciò dando luogo ad un autonomo vizio deducibile
in sede di legittimità.
Chiede, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei
confronti dell’imputato Rubegni.
Con il ricorso, poi, in considerazione della speciale importanza delle
questioni di diritto trattate, con riguardo ai profili di riferibilità soggettiva delle
fattispecie contestate e alla particolare struttura della contravvenzione di omessa
77

valutazione circa la misura della pena da adeguare al caso concreto e che la norma

bonifica e considerata la probabilità dell’insorgere di contrasti giurisprudenziali e
la rilevanza della decisione in rapporto al destino di fondamentali opere pubbliche,
il ricorrente chiedeva di voler disporre l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite,
ai sensi degli artt. 610, comma 2, e 618 c.p.p., istanza rimessa dal Primo
Presidente alla valutazione del Collegio, che la rigettava il 18.11.2015.

• Miccoli Roberto, a mezzo del proprio difensore di fiducia Avv. Filippo Sgubbi.
Roberto Miccoli, ingegnere dipendente della società CMC di Ravenna e

rivestito il ruolo di direttore di tronco dal 1 ottobre 1995 al 30 giugno 2002
Con il provvedimento impugnato è stato condannato alla pena di anni 1 e
mesi 11 di arresto e euro 16.500 di ammenda, con pene accessorie, per i reati di
cui ai capi di imputazione 50, 52 (con riferimento al sito Le Sanguinaie), UU, ZZ,
SS (riguardanti tutti la violazione dell’art. 51bis d.lgs. 22/1997).
Nei suoi confronti è stato, inoltre, dichiarato non doversi procedere per
prescrizione intervenuta dopo la sentenza di primo grado in ordine ai capi di
imputazione 95 e QQ, con conferma, dunque, delle statuizioni civili.
Il ricorso -che viene proposto contro la sentenza della Corte di Appello di
Firenze del 2014 oltre che contro l’ordinanza del 3.3.2014 che rigettava l’eccezione
sulle parti civili non ricorrenti, si articola in 16 motivi, che si imperniano sui
seguenti punti:
▪ Erronea applicazione dell’art. 110 c.p.;
• Erronea applicazione degli artt. 110, 40 cpv. c.p. e 51-bis d.lgs. 22/1997;
• Inosservanza dell’art. 17 d. Ivo 22/1997 (e 242 d.lgs. 152/2006) circa la nozione
giuridica di “responsabile dell’inquinamento”;
• Inosservanza dell’art. 627 comma 3 c.p.p.;
• Erronea applicazione dell’art. 158 comma 1 c.p. e manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla nozione giuridica di cessazione della permanenza del
reato permanente;
• Plurimi vizi di motivazione per manifesta illogicità e carenza di motivazione,
nonché travisamento delle prove come da illustrazione dei motivi che seguono;
• Ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui ai Capi 50, 52, UU,
ZZ, SS (per i quali MICCOLI è stato condannato);
• Ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui ai Capi 95 e QQ (per
i quali nei confronti di MICCOLI è stata dichiarata la prescrizione maturata
successivamente alla sentenza di primo grado con conseguenti statuizioni civili).
• (in subordine) Erronea applicazione dell’art. 112 comma 1 c.p..
• (in subordine) Erronea revoca delle circostanze attenuanti generiche concesse
dal primo giudice.
78

distaccato -comandato- presso CAVET, Consorzio di cui la CMC era socia, ha

• (in subordine) Erroneo calcolo della pena irrogata;
•(in subordine) Omessa concessione della sospensione condizionale della pena;
• Violazioni di legge e vizi di motivazione in ordine alle statuizioni civili;
• Inosservanza dell’art. 539 c.p.p. e vizi di motivazione in ordine alla statuizione
sulla provvisionale.
• Con riferimento all’ordinanza impugnata: rigetto delle eccezioni difensive basato
su erronee interpretazioni della legge penale sostanziale e processuale.
Nello specifico, con un primo motivo si deduce erronea applicazione dell’art.

punto in relazione a tutti i capi di imputazione per i quali MICCOLI è stato
condannato (50, 52, UU, ZZ, SS) nonché ai capi di imputazione per i quali è stata
dichiarata la prescrizione successiva alla sentenza di primo grado (per MICCOLI
sono i capi 95 e QQ)
Ad avviso del ricorrente la sentenza impugnata evidenzia numerosi vizi, sia
di applicazione di legge che in motivazione.
Viene sottolineato che l’estensione e la complessità del lavoro posto ha
imposto a CAVET una analitica ripartizione dei lavori e dei ruoli e come, nel
contempo, la durata dell’esecuzione dell’opera abbia comportato il succedersi delle
persone fisiche nei vari ruoli in cui era articolata l’organizzazione esecutiva
dell’opera.
Questo contesto fattuale doveva obbligare ad un’analisi attenta e
scrupolosa delle singole posizioni soggettive, con riferimento ai tempi in cui ogni
singolo imputato aveva rivestito il proprio ruolo, nonché con riferimento all’oggetto
specifico della sua attività. Ciò, evidentemente, in ragione del principio di
personalità della responsabilità penale per cui nessun addebito penalmente
rilevante può essere fondato sulla mera posizione ricoperta dall’imputato
nell’organigramma aziendale.
Ricordato il ruolo e í tempi dell’impegno in CAVET del ricorrente viene
sottolineato come lo stesso sia estraneo a tutto ciò che è avvenuto prima del 1
ottobre 1995 ed in particolare all’iter di redazione ed approvazione del progetto
esecutivo, approvazione intervenuta in sede di conferenza dei servizi conclusa il
28 luglio 1995. Analogamente lo stesso è estraneo a tutto ciò che è accaduto dopo
il 30 giugno 2002. Ebbene, ricordate le mansioni del ricorrente lo stesso si duole
che la condotta tipica di concorso non sia stata descritta e provata nella sentenza
impugnata, che peraltro sembrerebbe ignorare tutti i provvedimenti di
autorizzazione amministrativa che si sono succeduti nel tempo da parte di
molteplici autorità, nonché lo stesso provvedimento assunto in sede giudiziaria.
Ricordati i principi codicistici del concorso di persone nel reato nella loro
applicazione giuridicamente corretta, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale,

79

\ \.

110 c.p .e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul

quale giudice del rinvio, ha errato laddove sembra avere fondato la responsabilità
concorsuale del Miccoli su una sorta di consenso tacito e su una sorta di concorso
di persone diacronico tra soggetti che non hanno agito d’intesa tra loro in modo
contestuale, ma che si sono succeduti nel tempo in un determinato ruolo
operativo-imprenditoriale.
Con il secondo motivo, oltre a dedursi l’inosservanza dell’art. 627 comma
3 c.p.p., si lamenta erronea applicazione degli artt. 110 e 40 cpv. c.p. e dell’art.
51 bis d.lgs. 22/1997, con riferimento ai requisiti costitutivi della responsabilità

152 del 2006) circa la nozione di “responsabile dell’inquinamento” in relazione a
tutti i capi di imputazione per i quali MICCOLI è stato condannato (50, 52, UU, ZZ,
SS).
Ricordato che la sentenza impugnata opera una delimitazione della
responsabilità a titolo di concorso nel reato del Miccoli fondata sul periodo
temporale nel quale lo stesso ha ricoperto il ruolo in CAVET, il che si riconosce
essere corretto , viene tuttavia sottolineato come alle pagine 180 e 181 la Corte
territoriale sarebbe incorsa in un vizio che si chiede di censurare con riguardo al
tema delle omesse bonifiche e alla interpretazione e applicazione dell’articolo 51
bis del decreto legislativo 29 del 1997 (ora articolo 257 del decreto legislativo
152/2006). Ciò, in particolare, quando, richiamata la norma che prevede che
chiunque abbia provocato un inquinamento debba provvedere alla bonifica, il
giudice del rinvio ritiene che si tratti di un onere personale e non -come ritiene il
ricorrente-di un obbligo giuridico.
La tesi sostenuta in ricorso è che tale obbligo gravi sull’responsabile
dell’inquinamento, cioè sul soggetto persona fisica o legale rappresentante della
persona giuridica responsabile dell’inquinamento e perciò tenuta alla bonifica per
obbligo giuridico connesso al rapporto organico o al rapporto di supremazia
gerarchica o al rapporto contrattuale intrattenuto con il soggetto autore
dell’inquinamento. Il dovere di agire presuppone, tuttavia, il potere di agire, in
altri termini, secondo il ricorrente, presuppone, come si usa dire, la signoria sulla
situazione di fatto.
Richiamati i precedenti di questa Corte di legittimità costituiti dalle sentenze
1369/2011, 36824/2009 e Cass. civ. 9546/2010, il ricorrente evidenzia come sia
inverosimile pensare che un dirigente come Miccoli, venuto meno il proprio ruolo
all’interno del CAVET, potesse attivarsi uti singulis, avviando le procedure previste:
cioè svolgere indagini preliminari sul sito per la ricerca dei parametri di
contaminazione, presentare progetti di bonifica, intrattenere rapporti con la
pubblica amministrazione, presentare un piano di caratterizzazione. Un dirigente
che si adoperasse in tal senso – si sottolinea- da un lato sarebbe totalmente privo

80

per omissione, nonché inosservanza dell’art. 17 d.lgs. 22/1997 (e art. 242 d.lgs.

\

di legittimazione di fronte alle autorità pubbliche, dall’altro non avrebbe né a
possibilità giuridica, né la possibilità di fatto, e nemmeno la disponibilità finanziaria
per affrontare le procedure.
Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 158 comma 1
c.p. e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla nozione di
cessazione della permanenza nel reato permanente oltre che inosservanza dell’art.
627 comma 3 c.p.p. per tutti i capi di imputazione per i quali MICCOLI è stato
condannato (50, 52, UU, ZZ, SS) nonché per i capi di imputazione per i quali è

MICCOLI sono i capi 95 e QQ). Con lo stesso si lamenta anche inosservanza
dell’art. 25 Cost., dell’art. 2 e dell’art. 157 (vecchio testo) c.p.
Con tale motivo viene ribadito che il reato permanente cessa non solo
quando viene meno l’antigiuridicità oggettiva, ma anche quando il soggetto non
ha più la disponibilità della situazione di fatto, con la cessazione soggettiva della
permanenza.
Invece, il Miccoli sarebbe stato ritenuto responsabile anche per reati
commessi o comunque della protrazione degli stessi successiva alla cessazione
dalle sue funzioni dal ruolo il 30 giugno 2002. Viceversa tutti i reati addebitati si
sarebbero prescritti prima della sentenza di primo grado.
Il quarto motivo, riferito all’ordinanza 3 marzo 2014, deduce violazione
della legge penale in relazione agli artt. 185 c.p. e 76, comma II, 576, 624, 648
c.p.p., nonché violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e
decadenza in relazione agli artt. 576 e 585, commi I e V. c.p.p. per l’erroneo
rigetto delle eccezioni difensive in merito alla inammissibilità delle richieste
risarcitorie avanzate in sede di rinvio dalle parti civili a suo tempo non ricorrenti
per Cassazione, e conseguente erronea condanna al risarcimento del danno a
favore di tutte le parti civili non ricorrenti che hanno presentato nuove conclusioni
in sede di giudizio di rinvio.
Trattasi di motivo comune a gran parte degli imputati che evidenziano come
nessuna delle parti civili aveva proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
27 giugno 2011 della Corte d’appello di Firenze. Pertanto, oltre all’esclusione dal
giudizio di rinvio, in quanto prive di interesse, di quelle parti civili che non si erano
costituite in relazione a nessuno dei capi d’imputazione oggetto di annullamento
con rinvio dalla terza sezione penale di questa Corte di legittimità, le restanti parti
civili, a suo tempo costituite a vario titolo per i suddetti reati, pur potendo prendere
parte al giudizio di legittimità nel successivo giudizio di rinvio in ossequio al
principio di immanenza, non avrebbero però potuto rassegnare conclusioni in
merito alla responsabilità risarcitoria degli imputati e del responsabile civile, in
quanto acquiescenti rispetto alle contrarie statuizione della sentenza del 2011, con
81

stata dichiarata la prescrizione successiva alla sentenza di primo grado (per

conseguente passaggio in giudicato delle medesime. Viene richiamata la sentenza
delle Sezioni Unite del 25 novembre 1998 n. 5 Loparco (contra Sezioni Unite 10
luglio 2002 numero 30327 Guardalupi e da altri. Viene richiamata anche Sez. 3 n.
20192/2006.
Con’ tale motivo era anche stata chiesta la sottoposizione della questione
alle Sezioni unite, richiesta rigettata da questa corte all’udienza del 18/11/2015.
Era stato altresì chiesto anche la sospensione dell’esecuzione statuizione civili ai
sensi dell’articolo 612 c.p.p.

motivazione in relazione al reato di cui all’art. 53 bis d.lgs. n. 22/1997 (art. 260
d.lgs. 152/2006), con riferimento è ai capi 95 e QQ dichiarati prescritti nei
confronti di MICCOLI dopo la sentenza di primo grado con relative statuizioni civili
(l’art. 606, c. I, lett. E).
Ci si duole, in particolare, che il giudice di rinvio, a ciò obbligato dalla
sentenza di legittimità della terza sezione, essendo stato investito in pieno del
tema dell’elemento soggettivo, cioè della compatibilità della condotta dei soggetti
agenti con il traffico organizzato e ad affrontare l’analisi critica delle ragioni a
sostegno del difetto dell’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 53bis
sviluppate nell’atto di appello contro la sentenza del tribunale di Firenze, abbia
assolutamente disatteso tale obbligo.
Si lamenta che la Corte di appello di Firenze, ritenuto -il che non era- che i
presupposti dei fatti di reato già validati dalla Corte di cassazione, non si sia perciò
confrontata, come avrebbe dovuto, con i rilievi mossi alla sentenza del tribunale
con i motivi di appello, in particolar modo quando si era sottolineata l’incertezza
interpretativa della norma e si era evidenziato come non fosse stata CAVET per
prima a sollevare il problema della natura del materiale di scavo ma la stessa
pubblica amministrazione.
In proposito, viene ricordato come era stata la stessa ARPAT, il
27/10/1997, a segnalare a CAVET che lo smarino potrebbe rientrare nella
definizione di materiale di scavo non pericoloso e quindi con caratteristiche e
composizioni tali da non creare problemi di impatto ambientale.
Il ricorrente deduce che in ogni caso i documenti prodotti nei giudizi di
merito evidenziavano, quantomeno dal punto di vista soggettivo l’assenza nei
dirigenti CAVET di condotte compatibili con la volontà di organizzare un traffico di
rifiuti.
Con il sesto motivo si deduce violazione della legge penale con riferimento
agli arti. 624, comma I, e 648 c.p.p. in relazione ai reati di cui ai capi d’imputazione
SS. UU e ZZ [art. 51bis in relazione all’art. 17 comma 2 decreto legislativo 22/97
e successive modifiche e in relazione al DM 471/99 sulla bonifica dei siti inquinati
82

Con il quinto motivo si deduce difetto assoluto e contraddittorietà della

(attualmente sanzionato dall’art.. 257 prima e seconda ipotesi in relazione all’art.
242 del TU 152/2006 e in relazione gli allegati del titolo V n. H e V del TU
medesimo), per erronea pronuncia di condanna in merito ai reati di cui ai predetti
capi d’imputazione in quanto le relative statuizioni contenute nella sentenza
27/06/201’1 della Corte d’Appello di Firenze, Sezione III Penale, sono passate in
giudicato poiché non oggetto di annullamento con rinvio da parte della sentenza
della C.S. 18/03/2013, n. 32797.
Il motivo di ricorso è incentrato sull’affermazione che la sentenza

quali la sentenza di legittimità rivestiva ormai autorità di cosa giudicata. Ciò lo si
desumerebbe dalla stessa memoria del Procuratore Generale in appello per la
discussione il 3/3/2014.
Il ricorrente evidenzia che nei siti di cui ai capi di imputazione sopra indicati
erano stati conferiti esclusivamente fanghi gestiti come rifiuti, che nulla hanno a
che vedere con lo smarino delle gallerie conferito nei siti oggetto di rinvio, e
conseguentemente non vi sarebbe alcuna connessione essenziale con i siti indicati
dalla corte di cassazione a pagina 89 sui quali il giudice del merito avrebbe dovuto
valutare le circostanze di fatto per accertare l’avvenuto inquinamento e
eventualmente avesse riscontrato, l’esistenza di un’eventuale liberatoria.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale e
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’art. 188, comma III, lett. b, d.lgs. 152/2006, in relazione
all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art.
257 d.lgs. 152/2006) di cui al capo d’imputazione SS (Discarica Gatti Codigoro) e
in relazione alla declaratoria di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di
omessa bonifica di cui a tale capo d’imputazione.
Il problema che si pone, anche in questo caso, è che, diversamente da
quanto afferma la sentenza impugnata a pagina 164, il fatto non è pacifico, non è
pacifico cioè che il sito in questione, autorizzato esclusivamente quale discarica
per inerti, fosse stato utilizzato per smaltire smarino e fanghi contaminati.
Il giudice del rinvio – si sottolinea- opera tale affermazione richiamando la
“documentazione presente agli atti e le conclusioni cui si è giunti definitivamente
nelle due sedi di merito”. Sostiene invece il ricorrente che la III Sezione di questa
Corte di Cassazione aveva proprio posto a carico del giudice del rinvio il compito
di motivare in merito alla complessa situazione di fatto relativa ad ogni sito, ivi
compresa la sussistenza degli elementi dei reati contestati, compito cui il giudice
del rinvio evidentemente si sarebbe sottratto.
Viene rilevato, comunque, che la sentenza è viziata nella parte in cui ha
affermato la penale responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica, in
83

impugnata si sarebbe pronunciata in merito a capi di imputazione in relazione ai

quanto sarebbe pacifico che lo stesso, produttore-detentore del rifiuto, aveva
consegnato a discarica autorizzata lo stesso ed aveva ottemperato all’obbligo di
conservazione della cosiddetta quarta copia del FIR. La sentenza impugnata si
lamenta-omette di confrontarsi con le censure difensive proposte in appello.
Peraltro viene evidenziato come nel caso di specie non si potrebbe parlare
neanche di omessa bonifica in quanto il 30/10/2012 è terminato l’iter di bonifica
con la liberatoria totale del sito, come attestato dalla deliberazione della giunta
comunale del Comune di Codigoro n. 174 del 30/10/2012, nella quale sì attesta a

materiali sopra detti.
Con l’ottavo motivo si lamenta violazione della legge penale, e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art.
188, comma III, lett. b, d.lgs. 152/2006, in relazione all’affermazione di
responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art. 257 d.lgs.
152/2006) di cui al capo d’imputazione UU (in relazione alla declaratoria di
sussistenza degli elementi costitutivi del reato di omessa bonifica di cui a tale capo
d’imputazione.
Anche con riferimento al capo di imputazione UU concernente il reato di
omessa bonifica relativo al sito Sant’Anna loc. Lippo di Calderara, emergono,
secondo il ricorrente, evidenti profili di violazione di legge e di carenza
motivazionale della sentenza impugnata, fermo restando in ogni caso le censure
relative alla violazione degli articoli 624 e 648 c.p.p. già evidenziate nel quinto
motivo che precede.
Ancora una volta, si contesta che il fatto fosse già acclarato nei precedenti
giudizi di merito laddove le premesse di fatto, relative all’avvenuta consumazione
di condotte di discarica abusiva e di omessa bonifica, contrariamente a quanto
afferma la sentenza impugnata, non erano state validate in sede di legittimità, ma
andavano proprio esse stesse rivalutate dal giudice del rinvio.
Come nel caso precedente, comunque, il ricorrente deduce che aveva
consegnato a discarica autorizzata il rifiuto conservando la quarta copia del FIR
per cui nessuna responsabilità può addebitarglisi. Viene evidenziato, peraltro,
come non sia stata fatta nessuna analisi sul terreno e conseguentemente non si
possa parlare di omessa bonifica, in quanto manca la prova della contaminazione
del suolo, che peraltro non è stata neppure ricercata.
Con il nono motivo si deduce violazione della legge penale, e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art.
188, comma III, lett b, d.lgs. 152/2006, nonché alla Decisione 2000/532/CE, come
modificata dalla Decisione 2001/5 73/CE, e alla Direttiva del Ministero
dell’ambiente 09/04/2002 (pubblicata in G.U. Il 10/05/2002), in relazione

84

pag. 6 che non è stata riscontrata un’evidenza di inquinamento derivante dai

all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art.
257 d.lgs. 152/2006) di cui al capo d’imputazione ZZ; in relazione alla declaratoria
di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui a tale capo di imputazione.
Anche con riferimento al capo di imputazione ZZ relativo all’omessa bonifica
dei siti di Giovi e di Bomarzo il provvedimento impugnato risulta secondo il
ricorrente affetto da vizio di motivazione e da violazione di legge. Ferme le censure
già enunciate relativamente alla violazione degli articoli 624 e 648 c.p.p., ancora
una volta ci si duole del mancato accertamento delle premesse di fatto e si

specifici rilievi difensivi secondo cui i rifiuti erano stati conferiti a impianti di
recupero autorizzati e mediante autotrasportatori autorizzati e il relativo FIR era
stato restituito nella quarta copia. Viene ricordato, comunque, come nel previgente
sistema i fanghi filtropressati non costituissero rifiuti pericolosi e potevano essere
avviate all’operazione di recupero in via semplificata, come prevedevano le stesse
indicazioni del Ministero dell’Ambiente. Pertanto, posto che i conferimenti di CAVET
presso il sito Fontanelle sono terminati del 2001, come riconosciuto dalla sentenza
di primo grado, epoca in cui non era ancora in vigore la transcodifica, il rifiuto era
stato conferito correttamente, quindi il codice CER attribuitogli era corretto. Anche
in questo caso si rileva che non vi è stato, in ogni caso, nessun accertamento in
ordine all’intervenuto inquinamento del sito quindi non vi era prova che vi fosse
alcuna modifica omessa.
Con il decimo motivo si deduce violazione della legge penale oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con
riferimento agli artt. 242 ss. e 257, comma IV, d.lgs. n. 152/2006, in relazione ai
reati di cui ai capi d’imputazione SS, UU, ZZ;
Ci si duole che la sentenza impugnata sia viziata laddove, per i capi indicati
sopra, sia stato omesso di valutare se per ogni singolo sito fossero meno
necessaria l’attivazione delle procedure di bonifica e se queste ultime fossero meno
state attivate, ai sensi e per gli effetti di quegli articoli 242 e seguenti, 257 co. 4
decreto legislativo 152/2006.
Viene ricordato che, nei motivi nuovi d’appello, le difese avevano
evidenziato che i procedimenti di bonifica relativi ai siti inquinati erano stati tutti
avviati e risolti con il rilascio della relativa certificazione liberatoria, e che in tale
ipotesi doveva perciò trovare applicazione la causa di non punibilità di cui
all’articolo 257 co. 4 del decreto legislativo 152 del 2006 con riferimento a tutti i
reati ambientali
La sentenza impugnata, al contrario, avrebbe disatteso tali considerazioni,
erroneamente ritenendo che la Terza Sezione di questa Corte di Cassazione avesse

85

aggiunge che il provvedimento impugnato avrebbe omesso di considerare gli

inteso escludere l’applicabilità del disposto dell’articolo 257 co. 4 del decreto
legislativo 152/2006
Con l’undicesimo motivo si deduce violazione della legge penale oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e
travisamento della prova, con riferimento all’art. 51bis d.lgs. 22/1997, in relazione
al reato di cui al capo d’imputazione 52, con riferimento alla declaratoria di
sussistenza del reato di cui al capo d’imputazione 52.
Il motivo riguarda il sito denominato Le Sanguinaie per la cui omessa

da numerosi gravi vizi di motivazione, frutto in particolare dell’omessa indagine
sul merito. Anche in questo caso si contesta, infatti, che, come invece afferma il
giudice del rinvio, l’accertamento di fatto sia già stato validato dalla Cassazione e
riguarderebbe in particolare all’avvenuto deposito continuativo, nel sito di
“snnarino contaminato i fanghi contaminati da idrocarburi ed altri materiali
inquinanti”.
Ci si duole anche che vi sia stato un omessa valutazione di prova decisiva
e in particolar modo non si sia considerato che lo stesso decreto di revoca del
sequestro della cava, disposto dal Pubblico Ministero il 19/7/2001, indicasse che
non risultava che per il riempimento della cava fosse mai stato utilizzato smarino
di galleria. Si ricorda che tale circostanza risultava peraltro dalle stesse informative
del Comune alla Polizia Giudiziaria. E se non c’era smarino evidentemente non
poteva esserci reato di discarica abusiva, nè poteva configurarsi alcun reato di
omessa bonifica.
Si aggiunge che nessun valore può essere attribuito al documento citato
dalla Corte territoriale a sostegno della propria convinzione che in quel sito si era
riscontrato il superamento dei limiti di cui al Dm 471 del 1999 per idrocarburi
cementi e cioè alla diffida del comune di Firenzuola contenuta nel file 1524 del CDROM n. 6. Invero, sarebbe sufficiente leggere tale ordinanza per verificare che
nessuna prova dell’inquinamento può essere tratta dalla medesima che si esprime
in termini di “siti potenzialmente inquinati” e non riporta alcun dato effettivo
(risultati di analisi o altro).
Con il dodicesimo motivo si lamenta violazione della legge penale, oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e
travisamento della prova, con riferimento all’art. 51bis d.lgs. 22/1997, in relazione
al reato di cui al capo d’imputazione 52, con riferimento alla declaratoria di
sussistenza del reato di cui al capo d’imputazione 52.
Quanto alla condanna per la presunta omessa bonifica della Cava di Sasso
di Castro (che il ricorrente ricorda essere una cava di prestito di versante,
trattandosi di cava collocata sulla pendici del monte non soggetta a ritombamento,

86

kv

bonifica il Miccoli è stato condannato con una sentenza che lo stesso reputa affetta

ma solo al ripristino), pure si evidenzia che nella stessa non è mai andato smarino
e che la contestazione riguarda lo stoccaggio provvisorio, in vasche di cemento dei
limiti di lavaggio degli inerti di cava.
I limi di lavaggio non erano rifiuti destinati all’abbandono, né contaminati,
quindi non esisteva alcuna necessità di bonifica. Anche in questo caso il ricorrente
richiama una serie di documenti da cui emergeva che i materiali di cui si tratta
comunque erano stati rimossi fin dal 2000 in base ad un programma di
smaltimento delle vasche e successivamente portati in altri siti. Ed erano stati

specifico progetto di ripristino. Se fossero stati valutati tutti i documenti – si duole
il ricorrente – si sarebbe dovuti pervenire ad una assoluzione dal reato e non alla
condanna
Con il tredicesimo motivo si deduce violazione della legge penale nonché
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con
riferimento agli artt. 51 e 51 bis d.lgs. 22/1997 e 257 d.lgs. 152/2006 in relazione
ai reati di cui ai capi d’imputazione 50, 52, SS, UU, ZZ, per avere la sentenza
impugnata erroneamente affermato la penale responsabilità del ricorrente per il
reato di cui all’art. 51 d.lgs. 22/1997 anziché per il reato di cui all’art. 257 d.lgs.
152/2006. Secondo il ricorrente vi sarebbe un’ulteriore violazione di legge laddove
la sentenza, nel prendere in considerazione i singoli reati di omessa bonifica di cui
ai capi di imputazione sopraddetti, ha affermato la penale responsabilità degli
imputati facendo riferimento all’articolo 51 del decreto legislativo 22 del 1997,
ovvero al reato di gestione di rifiuti non autorizzata, anziché all’articolo 51bis del
medesimo decreto, che riguarda il reato di omessa bonifica. In tal modo – ci si
duole- sarebbero state giustapposte due disposizioni del tutto differenti.
Ad avviso del ricorrente, anche qualora si ritenesse che il riferimento
all’articolo 51bis sia frutto di un errore di trascrizione, la sentenza impugnata
sarebbe comunque viziata da violazione di legge in ragione della differenza tra
l’articolo 51bis rispetto all’articolo 257 del decreto legislativo 152/2006,
quest’ultimo vigente all’epoca della sentenza di primo grado.
La radicale diversità che connota le due disposizioni, infatti, come
confermato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, impedisce di
ritenere sussistente tra le due disposizioni una continuità normativa sostanziale.
Si contesta, ancora, il punto della sentenza impugnata dove, dopo aver
posto in evidenza il collegamento concettuale e funzionale tra il reato di omessa
bonifica e quello di gestione abusiva di discarica, contestati con riferimento al
medesimo sito, si esprime l’avviso che l’avvio delle procedure di bonifica possa
influenzare positivamente anche la permanenza del reato di gestione abusiva.

87

i

riportati in parte a Sasso di Castro nel 2009 all’esito dell’approvazione di uno

Il giudice del rinvio sembrerebbe così avere ampliato la portata afflittiva
della norma, ritenendo sussistente la violazione dell’obbligo di bonifica non solo
quando siano state superate le CSR definite nel progetto di bonifica, ma anche
quando il responsabile non avvia il procedimento di bonifica come delineato
dall’articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006, con l’effetto di impedire che
si pervenga all’accertamento della reale situazione di contaminazione del sito
interessato.
Con il quattordicesimo motivo (in subordine) si deduce erronea applicazione

e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli elementi costitutivi
della circostanza aggravante predetta in relazione ai reati di cui ai capi
d’imputazione 50, 52, SS, UU, ZZ.
Il ricorrente ritiene che l’avere applicato la circostanza aggravante di cui
all’articolo 112 n. 1 del codice penale (sul numero dei concorrenti) sia del tutto
contrario alla legge. Ciò in quanto tale circostanza aggravante è stata applicata a
dei reati di natura omissiva quali sono quelli di omessa bonifica di cui all’articolo
51bis del decreto legislativo 22 del 1997 e a dei soggetti che hanno posto in essere
la condotta omissiva a loro rimproverata non simultaneamente ma in successione
cronologica. Ebbene, secondo la tesi sostenuta in ricorso, non sarebbe in ogni caso
concepibile l’applicazione della circostanza aggravante in questione a soggetti che
non hanno agito simultaneamente, in un preciso e circoscritto contesto spaziotemporale. Difetterebbe poi il profilo soggettivo in quanto la circostanza
aggravante deve essere oggetto di conoscenze sensi dell’articolo 59 co. 2 del
codice penale.
Con il quindicesimo motivo (in subordine) si deduce violazione della legge
penale con riferimento agli artt. 62 bis, 81 cpv. e 133 c.p. in relazione ai reati di
cui ai capi d’imputazione 50, 52, SS, IJU, ZZ oltre che mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo impugnato ovvero da
altri atti del processo specificamente indicati, con riferimento ai parametri di
commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p., alle circostanze di cui all’art. 62
bis c.p., nonché al beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 163
ss. c.p., in relazione ai reati di cui sopra.
Quanto alla commisurazione e ai criteri di computo della pena ci si duole
che il provvedimento impugnato a pagina 206 attribuisca generico rilievo, con
riferimento a tutti gli imputati, alla gravità oggettiva dei fatti commessi, essendo
evidentemente i fatti attribuiti a ciascuno diversi. Si è di fronte -ci si duole- a una
disamina indifferenziata delle posizioni dei diversi imputati.

88

dell’art. 112 c. 1 e dell’art. 59 comma 2 c.p. oltre che mancanza, contraddittorietà

La Corte d’appello non avrebbe neppure tenuto conto dell’arco temporale
che concerne la posizione di Miccoli, il quale ha cessato il rapporto col CAVET e
con i fatti di cui è processo nel lontano 30 giugno 2002.
Il provvedimento impugnato risulterebbe altresì carente nella motivazione con cui
sono state negate le circostanze attenuanti generiche la sospensione condizionale
della pena.
Con il sedicesimo ed ultimo motivo (in subordine) si deduce inosservanza
dell’art. 539 comma 2 c.p.p.

codice di procedura penale disponendo provvisionali in modo indiscriminato con
quantificazioni approssimative generiche e distribuendo piogge importi di migliaia
di euro

• Guagnozzi Giovanni, a mezzo del proprio difensore avv. Filippo Sgubbi
Giovanni Guagnozzzi, ingegnere, è stato Direttore Generale della CAVET
dal 28 settembre 2001 al 24 febbraio 2005.
Con il provvedimento impugnato è stato condannato alla pena di anni 2 e
mesi 1 di arresto e euro 17.500 di ammenda, con pene accessorie, per i reati di
cui ai capi di imputazione 50, 52 (con riferimento al sito Le Sanguinaie), 74, UU,
ZZ, SS (riguardanti tutti la violazione dell’art. 51bis d.lgs. 22/1997).
Nei suoi confronti è stato, inoltre, dichiarato non doversi procedere per
prescrizione intervenuta dopo la sentenza di primo grado in ordine ai capi di
imputazione 95, QQ, 38A e 40A (costituenti un unico reato) con conferma,
dunque, delle statuizioni civili, così come per i fatti di cui ai capi 3BIS, 146IS,
15BIS, 16BIS, 19QUINQUIES, 81, 95BIS, M, HH.
Il ricorso -che viene proposto contro la sentenza della Corte di Appello di
Firenze del 2014 oltre che contro l’ordinanza del 3.3.2014 che rigettava l’eccezione
sulle parti civili non ricorrenti, si articola in 20 motivi, che si imperniano sui
seguenti punti:
• Erronea applicazione dell’art. 110 c.p.;
• Erronea applicazione degli artt. 110, 40 cpv. c.p. e 51-bis d.lgs. 22/1997;
• Inosservanza dell’art. 17 d.lgs. 22/1997 (e 242 d.lgs. 152/2006) circa la nozione
giuridica di “responsabile dell’inquinamento”;
• Inosservanza dell’art. 627 comma 3 c.p.p.;
• Erronea applicazione dell’art. 158 comma 1 c.p. e manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla nozione giuridica di cessazione della permanenza del
reato permanente;
• Plurimi vizi di motivazione per manifesta illogicità e carenza di motivazione,
nonché travisamento delle prove come da illustrazione dei motivi che seguono;
89

La Corte di Firenze avrebbe violato palesemente l’articolo 539 comma due

• Ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui ai Capi 50, 52, UU,
ZZ, SS (per i quali Guagnozzi è stato condannato);
• Ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui ai Capi 95 e QQ (per
i quali nei confronti di Guagnozzi è stata dichiarata la prescrizione maturata
successivamente alla sentenza di primo grado con conseguenti statuizioni civili).
• Erronea statuizione di condanna risarcitoria per i reati di cui ai capi 3BIS, 14BIS,
15BIS, 16BIS, 19QUINQUIES, 81, 95BIS, M, HH (ritenuti erroneamente, da un
lato, sussistenti e, dall’altro lato prescritti dopo la sentenza di primo grado);

• (in subordine) Erronea revoca delle circostanze attenuanti generiche concesse
dal primo giudice.
• (in subordine) Erroneo calcolo della pena irrogata;
• (in subordine) Omessa concessione della sospensione condizionale della pena;
• (in subordine) Statuizione della durata della pena accessoria in relazione all’art.
35bis c.p.
• Violazioni di legge e vizi di motivazione in ordine alle statuizioni civili;
• Inosservanza dell’art. 539 c.p.p. e vizi di motivazione in ordine alla statuizione
sulla provvisionale.
• Con riferimento all’ordinanza impugnata: rigetto delle eccezioni difensive basato
su erronee interpretazioni della legge penale sostanziale e processuale.
• Mancanza di motivazione in ordine alla eccezione, sollevata con i motivi d’appello
principali e aggiunti, concernente la violazione degli artt. 517 e 518 c.p.p.
Nello specifico, con un primo motivo si deduce erronea applicazione dell’art.
110 c.p e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sul
punto in relazione a tutti i capi di imputazione per i quali Guagnozzi è stato
condannato (50, 52, 74, UU, ZZ, SS) nonché ai capi di imputazione per i quali è
stata dichiarata la prescrizione successiva alla sentenza di primo grado (per
Guagnozzi sono i capi 95, QQ, 38° e 40A) nonché per i capi 3bis, 4bis, 15bis,
16bis, 19quinquies, 81, 95bis, M, HH, per i quali la prescrizione successiva alla
sentenza di primo grado è stata assunta implicitamente.
Il motivo ripropone i medesimi temi di cui al primo motivo, proposto dallo
stesso difensore nell’interesse di Miccoli, con la specificazione quanto ai tempi che
il Guagnozzi è stato direttore generale del consorzio CAVET dal 28 settembre 2001
al 24 febbraio 2005, per cui non può essere addebitata condotta precedente o
successiva. Si ribadisce che la condotta tipica di concorso deve essere descritta e
provata e che l’essere in grado di assumere una decisione non significa che la
decisione costituente reato a cui allude la sentenza sia stata effettivamente presa
in concreto. Errore di diritto e vizio motivazionale della sentenza risiederebbero,
secondo il ricorrente, anche laddove la nomina di Franco Castellani quale
90

• (in subordine) Erronea applicazione dell’art. 112 comma 1 c.p..

coordinatore delle costruzioni è stato considerato un punto di raccordo e di
riscontro circa la responsabilità di tutti. Ma -si deduce- Castellani è stato nominato
coordinatore il 27 giugno 2003 e la Corte territoriale non dà conto in motivazione
di alcuna prova in ordine alla eventuale ipotizzata partecipazione del Guagnozzi
alle decisioni del coordinatore sui fatti reato contestati.
Si contesta anche il punto specifico in cui si dice che il programma di
Rubegni del 2/8/2001 non può considerarsi il frutto della sua sola mano. Ma sottolinea- Guagnozzi è arrivato in CAVET dopo (il 28 settembre 2001) e quindi

Con il secondo motivo, oltre a dedursi l’inosservanza dell’art. 627 comma
3 c.p.p., si lamenta erronea applicazione degli artt. 110 e 40 cpv. c.p. e dell’art.
51 bis d.lgs. 22/1997, con riferimento ai requisiti costitutivi della responsabilità
per omissione, nonché inosservanza dell’art. 17 d.lgs 22/1997 (e art. 242 d.lgs.
152 del 2006) circa la nozione di “responsabile dell’inquinamento” in relazione a
tutti i capi di imputazione per i quali Guagnozzi è stato condannato (50, 52, 74,
UU, ZZ, SS). Anche il secondo motivo è conforme a quello redatto per il Miccoli,
incentrandosi in particolar modo sull’obbligo giuridico e non sull’onere che grava
su chi è stato responsabile dell’inquinamento e, soprattutto, può essere in grado,
per il ruolo che continua a rivestire, di provvedere alle bonifiche.
Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione dell’art. 158 comma 1
c.p. e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla nozione di
cessazione della permanenza nel reato permanente oltre che inosservanza dell’art.
627 comma 3 c.p.p. per tutti i capi di imputazione per i quali MICCOLI è stato
condannato (50, 52, UU, ZZ, SS) nonché per i capi di imputazione per i quali è
stata dichiarata la prescrizione successiva alla sentenza di primo grado (per
Guagnozzi sono i capi 50, 52, 74, UU, ZZ, SS). Con lo stesso si lamenta anche
inosservanza dell’art. 25 Cost., dell’art. 2 e dell’art. 157 (vecchio testo) c.p.
Il motivo è uguale al terzo motivo di ricorso per il Miccoli e attiene alla riferibilità
delle condotte al Guagnozzi. che cessa dalle sue funzioni il 24 febbraio 2005 e
quindi tutti i reati addebitatigli sarebbero prescritti prima della sentenza di primo
grado
Il quarto motivo, riferito all’ordinanza del 3 marzo 2014, deduce violazione
della legge penale in relazione agli artt. 185 c.p. e 76, comma II, 576, 624, 648
c.p.p., nonché violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità e
decadenza in relazione agli artt. 576 e 585, commi I e V. c.p.p. per l’erroneo
rigetto delle eccezioni difensive in merito alla inammissibilità delle richieste
risarcitorie avanzate in sede di rinvio dalle parti civili a suo tempo non ricorrenti
per Cassazione, e conseguente erronea condanna al risarcimento del danno a

91

non può avere collaborato a quel programma.

favore di tutte le parti civili non ricorrenti che hanno presentato nuove conclusioni
in sede di giudizio di rinvio.
Il motivo anche in questo caso è uguale al quarto motivo di ricorso del
Miccoli, comune, peraltro, anche, come si è visto, ad altri ricorrenti
Con il quinto motivo si deduce difetto assoluto e contraddittorietà della
motivazione in relazione al reato di cui all’art. 53 bis d.lgs. n. 22/1997 (art. 260
d.lgs. 152/2006), con riferimento ai capi 95, QQ. 38A e 40A dichiarati prescritti
nei confronti di Guagnozzi dopo la sentenza di primo grado con relative statuizioni

Il motivo è uguale al quinto motivo di Miccoli anche se riguarda ulteriori
capi di imputazione, deducendosi in ogni caso i medesimi argomenti circa il
mancato riscontro in fatto da parte del giudice del rinvio.
Con il sesto motivo si deduce violazione della legge penale con riferimento
agli arti. 624, comma I, e 648 c.p.p. in relazione ai reati di cui ai capi d’imputazione
SS. UU e ZZ [art. 51bis in relazione all’art. 17 comma 2 decreto legislativo 22/97
e successive modifiche e in relazione al DM 471/99 sulla bonifica dei siti inquinati
(attualmente sanzionato dall’art. 257 prima e seconda ipotesi in relazione all’art.
242 del TU 152/2006 e in relazione gli allegati del titolo V n. II e V del TU
medesimo), per erronea pronuncia di condanna in merito ai reati di cui ai predetti
capi d’imputazione in quanto le relative statuizioni contenute nella sentenza
27/06/2011 della Corte d’Appello di Firenze, Sezione III Penale, sono passate in
giudicato poiché non oggetto di annullamento con rinvio da parte della sentenza
della C.S. 18/03/2013, n. 32797.
Il motivo è uguale al sesto motivo di ricorso di Miccoli.
Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione della legge penale e
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’art. 188, comma III, lett. b, d.lgs. 152/2006, in relazione
all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art.
257 d.lgs. 152/2006) di cui al capo d’imputazione SS (discarica Gatti Codigoro e
in relazione alla declaratoria di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di
omessa bonifica di cui a tale capo d’imputazione.
Il motivo è uguale al settimo motivo di ricorso di Miccoli.
Con l’ottavo motivo si lamenta violazione della legge penale, e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art.
188, comma III, lett. b, d.lgs. 152/2006, in relazione all’affermazione di
responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art. 257 d.lgs.
152/2006) di cui al capo d’imputazione UU (in relazione alla declaratoria di
sussistenza degli elementi costitutivi del reato di omessa bonifica di cui a tale capo
d’imputazione;

92

fr

civili.

‘..
Il motivuguale all’ottavo motivo di ricorso di Miccoli.
Con il nono motivo si deduce violazione della legge penale, e mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’art.
188, comma III, lett b, d.lgs. 152/2006, nonché alla Decisione 2000/532/CE, come
modificata dalla Decisione 2001/5 73/CE, e alla Direttiva del Ministero
dell’ambiente 09/04/2002 (pubblicata in G.U. Il 10/05/2002), in relazione
all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di omessa bonifica (art.
257 d.lgs. 152/2006) di cui al capo d’imputazione ZZ; in relazione alla declaratoria

Il motivo uguale al nono motivo di ricorso di Miccoli
Con il decimo motivo si deduce violazione della legge penale oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con
riferimento agli artt. 242 ss. e 257, comma IV, d.lgs. n. 152/2006, in relazione ai
reati di cui ai capi d’imputazione SS, UU, ZZ.
Il motivo è uguale al decimo motivo di ricorso di Miccoli.
Con l’undicesimo motivo si deduce violazione della legge penale oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e
travisamento della prova, con riferimento all’art. 51bis d.lgs. 22/1997, in relazione
al reato di cui al capo d’imputazione 52, con riferimento alla declaratoria di
sussistenza del reato di cui al capo d’imputazione 52.
Il motivo è uguale all’undicesimo motivo di ricorso di Miccoli
Con il dodicesimo motivo si lamenta violazione della legge penale, oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e
travisamento della prova, con riferimento all’art. 51bis d.lgs. 22/1997, in relazione
alla declaratoria di sussistenza del reato di cui al capo d’imputazione 50.
Il motivo è uguale al dodicesimo motivo di ricorso di Miccoli
Con il tredicesimo motivo si lamenta violazione della legge penale, oltre che
mancanza, contraddittorietà e manifesta il logicità della motivazione e
travisamento della prova, con riferimento all’art. 51bis d.lgs. 22/1997, in relazione
alla declaratoria di sussistenza del reato di cui al capo d’imputazione 74.
L’imputazione riguarda la gestione dei fanghi di depurazione avvenuta
nell’area ex Fornace Focardi dal 1999 al 23 giugno 2001 (data del sequestro
dell’area) e concerne la sola omessa bonifica del sito.
Il ricorrente lamenta che la sentenza della Corte territoriale, dopo avere
dato conto dei motivi per cui il reato di discarica abusiva è stato dichiarato
prescritto (il sequestro ha determinato la definitiva sottrazione ai privati della
disponibilità del sito, con conseguente cessazione del reato permanente),
sottolinei come “nessuna notizia è invece emersa in ordine ad una conseguita
bonifica dell’area, certamente inquinata da fanghi contaminati …. Per quanto

93

di sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui a tale capo di imputazione.

risulta dagli atti non è stata rilasciata alcuna liberatoria provinciale e dunque la
contravvenzione di cui al capo 74, anch’essa permanente, si è giuridicamente
consumata alla data della pronuncia di primo grado, il 3.3.2009, risultando ad oggi
ancora procedibile”.
In realtà, il ricorrente rileva che anche per la Fornace Focardi è stata
rilasciata, su richiesta del soggetto titolare dell’impianto (S.A.B.0.) la prescritta
certificazione liberatoria finale, con provvedimento dirigenziale n. 53/C del
18.3.2010 prot. 53518. In base a tale certificazione, che attesta la non necessità

dichiarare, analogamente a quanto fatto per gli altri siti per i quali ha constatato
l’esistenza della liberatoria, a dichiarare che il reato di omessa bonifica non
sussiste, sulla base delle indicazioni fornite dalla Cassazione: “… nei casi in cui vi
è prova di positiva conclusione dell’iter di bonifica con il rilascio delle liberatorie il
reato contestato deve essere escluso” — pag. 89 sentenza Cassazione).
Il ricorrente chiede quindi che la sentenza venga annullata in merito al
predetto profilo decisivo, non oggetto di valutazione da parte della Corte di merito.
In via subordinata, vengono dedotti altri vizi della sentenza relativi al capo di
imputazione di cui si discorre.
In primo luogo, si evidenzia che il Piano di caratterizzazione per il sito
Fornace Focardi è stato presentato da CAVET in data a 28/6/2006 ed è stato
approvato in data24/10/2006.
Sulla base della applicazione del principio dettato dalla III Sezione di questa
Suprema Corte di Cassazione a proposito del momento della cessazione
dell’antigiuridicità (coincidente con l’avvio delle procedure di bonifica), si sostiene,
dunque, che il reato avrebbe dovuto quindi essere dichiarato prescritto. Inoltre, la
sentenza sarebbe viziata per omesso esame e motivazione su un punto decisivo
della controversia, con specifico riferimento alla questione circa l’idoneità o meno
del sito a ricevere i materiali (in questo caso i fanghi) e dei pretesi inquinamenti.
Sul punto, il ricorrente evidenzia che la Corte, nella sentenza impugnata,
afferma che “emerge pacificamente dagli atti — e del resto è già stato
positivamente valutato nelle sedi di merito — che il sito non era abilitato a ricevere
fanghi del tipo proveniente da CAVET”. Ma -si sostiene- non è dato assolutamente
comprendere a quali atti e a quali sedi si riferisca il Giudice del rinvio nell’ostentare
tale improvvido convincimento, che non risponde in ogni caso al vero.
La circostanza riferita dalla Corte sarebbe infatti:

1. certamente errata

(Fornace Focardi era pacificamente abilitata a ricevere fanghi con il codice ‘fanghi
di perforazione non altrimenti specificati”, codice ritenuto appropriato dal Ministero
dell’Ambiente come risulta dal parere 23.12.1999 in atti; il sito era inoltre
autorizzato sia al recupero per spandimento che alla produzione di laterizi); 2. mai
94

di bonifica e ripristino ambientale del sito, si sostiene che la Corte avrebbe dovuto

provata in giudizio dall’accusa e comunque contestata dagli imputati in sede di
appello.
I fatti in questione avrebbero dovuto quindi essere necessariamente
valutati dalla Corte di merito, anche in considerazione che la precedente sentenza
di appello aveva assolto gli imputati dai reati di omessa bonifica e dunque neppure
in astratto avrebbe potuto formarsi un giudicato sull’esistenza del presupposto
della responsabilità degli imputati medesimi.
Con il quattordicesimo motivo si deduce violazione della legge penale

riferimento agli artt. 51 e 51 bis d.lgs. 22/1997 e 257 d.lgs. 152/2006 in relazione
ai reati di cui ai capi d’imputazione 50, 52, 74, SS, UU, ZZ, per avere la sentenza
impugnata erroneamente affermato la penale responsabilità del ricorrente per il
reato di cui all’art. 51 d.lgs. 22/1997 anziché per il reato di cui all’art. 257 d.lgs.
152/2006;
Il motivo è uguale al tredicesimo motivo di ricorso di Miccoli
Con il quindicesimo motivo (in subordine) si deduce erronea applicazione
dell’art. 112 c. 1 e dell’art. 59 comma 2 c.p. oltre che mancanza, contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli elementi costitutivi
della circostanza aggravante predetta in relazione ai reati di cui ai capi
d’imputazione 50, 52, 74, SS, UU, ZZ.
Il motivo è uguale al quattordicesimo motivo di ricorso di Miccoli
Con il sedicesimo motivo si deduce mancanza totale di motivazione sulla
questione sollevata nei motivi d’appello principali e aggiunti circa l’inosservanza
degli artt. 517 e 518 c.p.p. e delle relative regole stabilite a pena di nullità e
impugnazione dell’ordinanza 12 dicembre 2006 del Tribunale di rigetto delle
eccezioni di nullità delle nuove contestazioni per violazione degli artt. 518 e 517
c.p.p.
Il ricorrente deduce che nei motivi d’appello principali e aggiunti presentati
nell’interesse di Guagnozzi, era stato evidenziato che, per effetto della sentenza
di annullamento parziale della Corte di Cassazione, rivivevano i capi di imputazione
che la Corte d’appello nella prima sentenza aveva elencato nei punti 3, 5, 6, 8 del
proprio dispositivo. In particolare, rivivevano i fatti-reato di cui ai capi da ibis a
19quinquies, nonché i fatti-reato di cui a capi di imputazione da 39 a 55 quinquies,
95 e ai primi 95 capi di imputazione con riferimento agli imputati “aggiunti”
rispetto a quelli originariamente indicati.
Ciò determinava, quindi, anche la reviviscenza dell’interesse alla doglianza
esposta nel terzo motivo dell’appello principale presentato nell’interesse (anche)
del Guagnozzi, interesse che il ricorente ritiene essere ancora più evidente oggi, a
seguito della sentenza qui impugnata. Infatti, molti di quei capi di imputazione

95

nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con

’rivissuti’ sono stati considerati dalla Corte d’appello di Firenze quali fatti produttivi
di obbligazioni risarcitorie nei confronti di Guagnozzí.
Con tale motivo – viene ricordato, era stata impugnata l’ordinanza del
tribunale fiorentino del 12 dicembre 2006 di rigetto delle eccezioni di nullità delle
nuove contestazioni per violazione degli artt. 518 e 517 cpp.
Nel menzionato terzo motivo principale si lamentava il rigetto, da parte del
Tribunale, delle questioni poste dalla difesa. In particolare, la difesa aveva
eccepito: a) la contestazione come fatto diverso, anziché come fatto nuovo, dei

dell’art. 517 c.p.p. anziché ai sensi dell’art. 518 c.p.p. dei reati di gestione abusiva
di discariche di inerti di cui ai Capi da 1 bis a 19 quinquies, nonché del reato di
gestione illecita di rifiuti speciali di cui al Capo 95; c) la contestazione ai sensi
dell’art. 517 anziché dell’art. 518 c.p.p. dei reati di cui ai primi 95 capi di accusa
in riferimento agli imputati “aggiunti” rispetto a quelli originariamente elencati.
Ora, la contestazione suppletiva compiuta in udienza dal PM è all’evidenza
costituita dalla contestazione di un fatto nuovo per GUAGNOZZI: si che doveva
applicarsi l’art. 518 c.p.p., considerato anche il mancato consenso alla
contestazione.
La tesi che si era sostenuta e che oggi si ripropone è che per Guagnozzi la
contestazione si presenterebbe nuova e del tutto inedita, anche soggettivamente.
Ciò in quanto lo stesso era sempre stato estraneo ai fatti enunciati nei capi oggetto
della contestazione suppletiva; con la nuova contestazione si è trovato
“catapultato” dentro a ipotesi di reato rispetto alle quali era sempre rimasto
estraneo e sapeva di essere estraneo.
La compromissione del diritto di difesa cagionata da una contestazione di
fatti nuovi in corso di dibattimento sarebbe perciò palese.
Utilizzando la terminologia fatta propria dalla Corte Costituzionale nelle
sentenze n. 333 del 2009 e n. 237 del 2012, il ricorrente osserva che il pregiudizio
per le facoltà defensionali di Guagnozzi è grave sia che la nuova contestazione
abbia un connotato fisiologico, sia – anzi, a maggior ragione – che abbia un
connotato patologico.
Si tratterebbe della contestazione di un fatto nuovo, sia che la
contestazione sia avvenuta sulla base di un novum scaturito nella dialettica
dibattimentale (contestazione “fisiologica” secondo la terminologia della Corte
Costituzionale), sia – e a fortiori

nel caso in cui tale nuova contestazione sia

avvenuta – come ritiene con sicurezza la Corte d’appello di Firenze a pag. 162 della
sentenza parzialmente annullata – sulla base degli atti delle indagini preliminari
per porre rimedio a errori o incompletezze dell’accusa (c.d. contestazione
“patologica”). Si sarebbe di fronte secondo la tesi proposta in ricorso- ad una
96

reati di omessa bonifica di cui ai capi da 39 a 55 bis; b) la contestazione ai sensi

nullità per violazione degli artt. 518 e 517 c.p.p., in quanto la nuova contestazione
riguardava una pluralità di fatti-reato rispetto ai quali GUAGNOZZI era sempre
rimasto estraneo e nessun consenso è mai stato dato da GUAGNOZZI alla nuova
contestazione.
Con il diciassettesimo motivo si lamenta erronea applicazione dell’art. 158
comma 1 c.p. e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla nozione
di cessazione della permanenza nel reato permanente; inosservanza dell’art. 578
c.p.p.. La doglianza, cui si accompagna quella di mancanza, contraddittorietà e

i capi di imputazione per i quali Guagnozzi è stato oggetto di statuizioni civili (3bis,
14bis, 15bis, 16bis, 19quinquies, 81, 95bis, M, HH). Inosservanza dell’art. 25
Cost., dell’art. 2 e dell’art. 157 (vecchio testo) c.p.
Il ricorrente rileva che, pur non dichiarandolo esplicitamente, la Corte di
Firenze pare ritenere che i fatti-reato di cui ai capi 3bis, 14bis, 15bis, 16bis,
19quinquies, 81, 95bis, M, HH si siano prescritti per Guagnozzi dopo la sentenza
di primo grado: altrimenti la sentenza non avrebbe disposto statuizioni civili
risarcitorie a carico del ricorrente.
Viene, tuttavia, dedotto che si tratterebbe di un errore di diritto, in quanto
i reati di cui ai predetti capi sono tutti di natura contravvenzionale e il termine
prescrizionale per GUAGNOZZI è di quattro anni dal momento in cui ha cessato
dal suo ruolo in CAVET (24 febbraio 2005): ciò in base al testo dell’art. 157 c.p.
vigente a tale data. Pertanto, tutte le predette contravvenzioni si sono estinte
prima della sentenza di primo grado: sicché le relative statuizioni civili disposte
dalla Corte di Firenze devono essere annullate dalla Suprema Corte.
A prescindere dal tema “prescrizione”, il ricorrente rileva poi quelli che a
suo avviso sono taluni vizi motivazionali e taluni travisamenti delle prove con
riferimento ai predetti capi di imputazione.
Quanto al capo M (ex Cava Marchesini) si sostiene che la discarica sarebbe
stata utilizzata secondo le autorizzazioni ricevute come deposito temporaneo di
terra scavata dalla vicina Galleria Vaglia, i materiali di scavo sarebbero stati
comunque rimossi da CAVET all’inizio del mese di luglio 2005 e nell’ordinanza di
dissequestro il giudice dava atto che le attività di bonifica erano state compiute.
Mancherebbe poi ogni effettivo accertamento sul reale inquinamento del sito.
Quanto al capo 81 (Discarica di Fonte alla Sella) mancherebbe la
motivazione sull’accertamento del fatto e sul reale inquinamento del sito. Analogo
deficit motivazionale sussisterebbe anche per i capi di imputazione 3 bis, 15 bis,
16-bis, 19-quinquies, che riguardano i reati di discarica abusiva in relazione ai siti
denominati rispettivamente La Capannina, Alberaccio, Prevam CAR 1, Colle
Canda, per i quali la Corte di Firenze ha disposto condanne di natura risarcitoria a
97

manifesta illogicità della motivazione e di travisamento della prova, concerne tutti

carico di Guagnozzi e altri imputati, oltre al responsabile civile CAVET, in quanto
la Corte territoriale ha stabilito che i reati si sarebbero prescritti dopo la sentenza
di primo grado.
Con il diciottesimo motivo (in subordine) si deduce violazione della legge
penale con riferimento agli artt. 62 bis, 81 cpv. e 133 c.p. in relazione ai reati di
cui ai capi d’imputazione 50, 52, 74, SS, UU, ZZ oltre che mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo
impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati, con riferimento

di cui all’art. 62 bis c.p., nonché al beneficio della sospensione condizionale della
pena ex art. 163 ss. c.p., in relazione ai reati di cui sopra.
Il motivo è uguale al quindicesimo motivo di Miccoli
Con il diciannovesimo motivo (in subordine) si deduce violazione dell’art.
35 bis c.p. circa la durata della pena accessoria della sospensione dall’esercizio
degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Viene dedotta la violazione di legge conseguente alla erronea
determinazione della durata della pena accessoria della sospensione dall’esercizio
degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Viene evidenziato che la Corte, dopo aver condannato Guagnozzi alla pena
principale di anni due mesi uno di arresto (oltre ad euro 17.500,00 di ammenda)
per le sei ipotesi contravvenzionali di omessa bonifica in relazione alle quali é stato
dichiarato colpevole, ha applicato allo stesso la summenzionata pena accessoria
“per la durata della pena inflittagli (cfr. sentenza, pag. 207 di 230 e pag. 224 di
230).
Nel disporre tale equiparazione, la Corte territoriale, ad avviso del
ricorrente, avrebbe palesemente violato la disposizione di cui all’art. 35-bis del
codice penale (cui pure si fa riferimento nel dispositivo), la quale — come è noto
— prevede, al comma secondo, che la pena accessoria della sospensione dagli
uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese non può avere una durata
superiore a due anni.
La durata della pena accessoria in concreto irrogata, dunque, è superiore
al limite massimo fissato dal capoverso dell’art. 35-bis, c.p.
Tale erronea applicazione di legge, che già per le ragioni appena esposte
non può non determinare l’annullamento della sentenza impugnata, si colorerebbe
di un ulteriore profilo di illegittimità, alla luce del costante insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «in caso di condanna per reato
continuato, nel commisurare la durata della pena accessoria a quella principale
deve farsi riferimento alla pena base inflitta per la violazione più grave, come
determinata in concorso delle circostanze attenuanti e aggravanti e del relativo
98

ai parametri di commisurazione della pena di cui all’art. 133 c.p., alle circostanze

bilanciamento, e non a quella complessiva, comprensiva cioè dell’aumento per la
continuazione» (per tutti: Sez. 6, 27/3-30/04/2008, n. 17616).
Con il ventesimo ed ultimo motivo (in subordine) si deduce inosservanza
dell’art. 539 comma 2 c.p.p.
Il motivo è uguale al sedicesimo motivo di Miccoli.

B) IMPUTATI ESTRANEI a CAVET

Dinacci
Cristiano Balest ( responsabile dei cantieri T11 e T12, subappaltati a
Italstrade, dal dicembre 1999, allorché ha sostituito Soccol sino all’1.3.2001,
quando vi è stata risoluzione consensuale del contratto di subappalto e CAVET ha
ripreso il diretto ed esclusivo controllo delle lavorazioni) e SOCCOL Giovanni (
responsabile dei cantieri sopra indicati sino al dicembre 1999) sono stati ritenuti
responsabili in sede di rinvio del reato di cui al capo 74), ossia di avere omesso la
bonifica del sito “Fornace Focardi” ex art. 51 bis d.lgs n. 22/97, con la
conseguente condanna dei medesimi a mesi sette di arresto, alla pena accessoria
di cui all’art. 35 bis c.p. per la durata della pena inflitta e, in solido con il
responsabile civile, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili StatoMinistero dell’Ambiente, Regione Toscana, Associazione Italia Nostra, Associazione
Idra, Associazione Italiana per il WWF, Legambiente Toscana Onlus; è stata
dichiarata la prescrizione del reato di cui al capo 73)- gestione illecita di rifiutimaturata anteriormente alla sentenza di primo grado.
Articolano cinque motivi.
Con il primo motivo lamentano il vizio di motivazione della sentenza con
riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di omessa bonifica, sul rilievo
che il giudice del rinvio aveva omesso di considerare una serie di elementi
probatori dettagliatamente devoluti sia con i motivi di appello che con apposita
memoria difensiva da cui emergeva l’inattendibilità del dato tecnico afferente
l’inquinamento del sito, presupposto della omessa bonifica.
Con il secondo motivo, strettamente connesso, si dolgono della manifesta
illogicità della motivazione nella parte in cui è stata ravvisata la sussistenza di una
responsabilità a titolo di concorso, in mancanza di qualsiasi realizzazione
dell’inquinamento da parte dei ricorrenti e per il solo ruolo dagli stessi ricoperto
quali responsabili dei cantieri T11 e T12 Si deduce, in particolare, che il giudicante
aveva omesso di considerare una serie di elementi da cui era agevole desumere
che l’Italstrade non aveva alcun rapporto contrattuale con la ditta Focardi, come
dimostrato dalla circostanza che l’area presso la quale operava la “Fornace
99

• Balest Cristiano e Soccol Giovanni, a mezzo del proprio difensore avv. Filippo

Focardi” era gestita esclusivamente da quest’ultima e che Italstrade si avvaleva di
ditte specializzate nella gestione e trasporto dei rifiuti.
Con il terzo motivo lamentano l’omessa motivazione in ordine all’elemento
soggettivo del reato, la cui sussistenza è stata motivata con esclusivo riferimento
ai dirigenti CAVET. Il provvedimento impugnato aveva omesso di considerare che
le attività poste in essere dalla Italstrade erano state caratterizzate dall’osservanza
di tutte le direttive imposte dai competenti organi di controllo in ordine alla
classificazione dei fanghi e che i rifiuti prodotti erano gestiti autonomamente dalla

l’imprevedibilità delle conseguenze della loro azione.
Con il quarto motivo si censura la sentenza, laddove aveva ritenuto non
maturato prima della sentenza di primo grado il termine di prescrizione del reato
di omessa bonifica sul rilievo che il momento iniziale della decorrenza del detto
termine debba individuarsi nel giorno in cui è stata emessa la sentenza di primo
grado. Tale impostazione si discosterebbe dai principi generali in materia di
cessazione della permanenza, applicati invece correttamente con riferimento al
reato di discarica abusiva, laddove si era ritenuto consumato il termine
prescrizionale in data anteriore alla sentenza di primo grado.
Proprio l’applicazione dei principi fissati dalla sentenza di annullamento con
i quali si era valorizzata ai fini della cessazione della permanenza l’impossibilità
per il gestore dell’area di compiere ulteriori attività, avrebbero dovuto portare a
fissare il momento di cessazione della permanenza nel marzo 2001, quando
l’Italstrade aveva ritirato definitivamente personale e maestranze, con la definitiva
perdita della possibilità di porre in essere qualsiasi tipo di intervento. In ogni caso,
la permanenza del reato doveva ritenersi cessata nel giugno 2001, quando era
stata data esecuzione al sequestro preventivo disposto il 30 maggio dal GIP, a cui
aveva fatto seguito il dissequestro su istanza della CAVET nel successivo mese di
agosto.
Con il quinto motivo si lamenta l’omessa motivazione in ordine al diniego
delle attenuanti generiche, fondato dal giudicante sulla sussistenza del reato di
attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti cui all’art. 53 bis d.lgs. 22/197,
mai contestato ai ricorrenti, chiamati a rispondere di un unico episodio
contravvenzionale, non sorretto da alcun dolo specifico.

• Meucci Francesco, a mezzo del proprio difensore avv. Antonino Giunta.
Francesco Meucci, nella qualità di responsabile della cava Cardetole ( v.
pagg 188,189 e 230 sentenza) è stato condannato, unitamente a Noferi, a
risarcire i danni a Stato-Ministero dell’Ambiente, Regione Toscana, Provincia di
Firenze e Comunità Montana del Muggello, per i reati di cui ai capi A15, A16, A17,

100

Ditta Faggioli ed erano destinati al riutilizzo quali laterizi. Si sostiene, pertanto,

e A22; al Comune di Borgo San Lorenzo per i capi A16 e A17, al Comune di
Scarperia e S. Pietro a Sieve per i capi A15, A22 e A22; è stato altresì condannato,
sempre unitamente al Noferi, e con riferimento ai fatti di cui al capo A, al
risarcimento del danno non patrimoniale già liquidato alle Associazioni Italia
Nostra, Idra, Associazione Italiana per il WWF e Legambiente Toscana Onlus; è
stato altresì dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per intervenuta
prescrizione prima della sentenza di primo grado del reato di cui al capo 18 bis).
Articola due motivi.

al risarcimento danni in presenza della pronuncia di assoluzione dai reati di
gestione abusiva di discarica e di omessa bonifica con la formula perché il fatto
non sussiste.
Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della sentenza nella
parte in cui riferisce al Meucci anche il reato di gestione abusiva di discarica
contestato al capo 18 bis ( Cava Calce Paterno) mai contestato e dal quale doveva
pertanto essere assolto con una pronuncia dì maggior favore rispetto alla
dichiarazione di prescrizione del reato.

• Noferi Marco, a mezzo del proprio difensore avv. Antonino Giunta
Marco Noferi, anche lui responsabile della Cava Cardetole, propone
autonomo ricorso con gli stessi motivi articolati nell’interesse del Meucci

• Ottaviani Lanciotto, a mezzo del proprio difensore avv. Antonino Giunta
Lanciotto Ottaviani, nella qualità di legale rappresentante della Cava
Cardetole e della ditta trasporti Paterno ( v. Pag. 187): residua la condanna per il
reato di omessa bonifica di cui al capo 74 per il quale è stato già ritenuto
definitivamente il suo contributo materiale all’inquinamento del sito (quale
conseguenza della partecipazione allo smaltimento illecito di rifiuti nella discarica
di Fornace Focardi) e dunque il conseguente onere anche a suo carico di
provvedere alla bonifica; della quale, come evidenziato, non vi è alcuna prova in
atti, ragione per cui l’imputato deve essere condannato;
Articola due motivi.
Il primo motivo è comune al ricorso Meucci (lamenta la manifesta
contraddittorietà della condanna al risarcimento danni in presenza della pronuncia
di assoluzione dai reati di gestione abusiva di discarica e di omessa bonifica con la
formula perché il fatto non sussiste.
Con il secondo motivo lamenta l’omessa motivazione con riferimento al
giudizio di responsabilità per il reato di omessa bonifica del sito Fornaci Focardi.

101

Con il primo motivo lamenta la manifesta contraddittorietà della condanna

Si assume che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del rinvio,
l’imputato si palesa del tutto estraneo alle vicende della Fornace Focardi e ciò che
rileva non è mai stato intermediario né ha mai ricoperto alcun ruolo nello
smaltimento dei fanghi destinati alla predetta Fornace. In ogni caso si evidenzia la
prescrizione del reato.

• Giora Aldo Paolo, a mezzo del proprio difensore avv. Filippo Marotta
Giora Aldo Paolo veniva condannato, in quanto ritenuto di avere operato

imputazione SS) e UU) ad anni uno e mesi uno di arresto, con applicazione della
pena accessoria della sospensione dell’esercizio di uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese per la durata della pena inflitta (art. 35 bis c.p.); veniva
condannato, altresì, al risarcimento dei danni conseguiti alla violazione di cui al
capo SS) a favore di Stato — Ministero dell’Ambiente, Provincia di Ferrara e
Comune di Codigoro e per le violazioni di cui al capo UU) a favore di Stato —
Ministero dell’Ambiente, nonché al risarcimento dei danni conseguiti alla violazione
di cui al capo QQ) a favore di Stato-Ministero dell’Ambiente, Provincia di Ferrara e
Comune di Codigoro, oltreché al pagamento in solido con i coimputati ed il
responsabile civile di Euro 10.000,00= a titolo di provvisionale per il danno non
patrimoniale a favore di ciascuna parte civile e per ciascun reato di cui all’art. 51
ed all’art. 51 bis d.lgs. n. 22/1997 per il quale v’è stata condanna o declaratoria
di estinzione per prescrizione maturata dopo la sentenza di primo grado, oltre al
pagamento in solido con altri e con il responsabile civile di Euro 20.000,00= per il
risarcimento del danno non patrimoniale in favore delle Associazioni Italia Nostra,
Idra, Associazione Italiana per il WWF e Legambiente Toscana Onlus, nonché al
pagamento delle spese processuali cui ciascuno ha dato personalmente causa, ed
in particolare alla refusione in solido con altri e con il responsabile civile delle spese
sostenute nel grado dalle parti civili di cui sopra.
Il ricorrente impugna tutti i capi sopra indicati deducendo, quale primo
motivo, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Vi
sarebbe una palese assenza di motivazione in quanto il giudice del rinvio,
incaricato di entrare nuovamente nel merito della questione di fatto avrebbe
genericamente motivato con una riferimento ad una asserita convalida da parte
della cassazione degli elementi di fatto indicati nelle precedenti sentenze di merito.
In particolare, cita pagina 193 della motivazione del provvedimento impugnato e
afferma che non appare pacifico se la motivazione alla sua interezza si riferisca a
tutti i capi di imputazione contestati o solo la prima parte ai reati prescritti e la
seconda parte a quelli per i quali c’è stata poi condanna. In particolar modo non
sarebbe chiaro, quanto alle omesse bonifiche, a quali si riferisca. In ogni caso, poi,
102

quale intermediario tra CAVET e i titolari dei siti, per i reati ascrittigli ai capi di

non si darebbe conto dei riscontri probatori ritenuti rilevanti e decisivi per
pervenire alla condanna. E analoghe considerazioni varrebbero per l’assenza di
motivazione sull’elemento psicologico del reato.
Si afferma che la sentenza non si confronterebbe con i proposti motivi di
appello. E pur ammettendo forzosamente che l’intera motivazione debba valere
tanto per i reati già prescritti quanti per quelli ancora procedibili alla data della
sentenza, e per i quali c’è stata condanna, non si capirebbe quando la Corte
afferma che la responsabilità del ricorrente “emerge con chiarezza dalla

particolare quelle riportate alle pagine 94-115 del ricorso per cassazione avanzato
dal procuratore generale di Firenze), essendo stato in tal senso già accertata nei
giudizi di merito” quale sarebbe la documentazione a cui il giudice del rinvio fa
genericamente riferimento. Ma soprattutto, a fronte dell’intervenuta pronuncia
della Cassazione, sarebbe errata l’affermazione secondo cui i fatti sarebbero già
stati accertati nel giudizio di merito.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt.
164 e 133 del codice penale e vizio motivazionale laddove il giudice del rinvio ha
negato la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Ricordati gli elementi cui, secondo la legge e la giurisprudenza, il giudice deve fare
riferimento per la sospensione condizionale della pena, il ricorrente deduce
violazione dell’obbligo motivazionale sul punto in quanto egli non è mai
specificamente menzionato laddove collettivamente viene fornita una motivazione
del diniego. Ma vi sarebbe di più: oltre a non aver tenuto in debita considerazione
la personalità di ogni singolo imputato, il collegio giudicante parrebbe avere
uniformato le condotte degli imputati, considerandole tutte indiscriminatamente
gravi, a prescindere dal ruolo che ciascuno ha avuto nei fatti contestati, ruolo che,
per stessa ammissione della Corte, si è differenziato di caso in caso.
Si lamenta, in particolare, che il giudice di merito non avrebbe
minimamente considerato la posizione del Giora, che è accusato di essere solo ed
esclusivamente mero intermediario tra la CAVET ed i responsabili dei siti,
circostanza questa, lo si ribadisce, pacificamente ammessa dallo stesso Giudice in
motivazione (p. 193 di 230).
Sarebbe incomprensibile, pertanto, che la condotta dell’odierno imputato
sia stata sic et simpliciter omologata a quella degli altri imputati e che lo stesso,
per ciò solo, non abbia potuto beneficiare della sospensione condizionale della
pena come richiesta al Collegio Giudicante (cfr. p. 25 di 230).
Con il terzo motivo si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione, nonché violazione di legge nella parte in cui la Corte
del rinvio ha ritenuto di non applicare le attenuanti generiche a tutti gli imputati
103

documentazione raccolta (ed anche dal compendio delle intercettazioni in

considerando che «i fatti oggetto del processo, nella loro singolarità e nella
sinottica lettura imposta dalla sussistenza del reato di cui all’art. 53 bis decreto
legislativo 05 febbraio 1997, n. 22 (art. 260 d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22),
rivestono una gravità tale da rendere commisurata ed equa una sanzione base per
la violazione più grave per ciascuno considerata, anche sensibilmente superiore al
minimo edittale».
Secondo il ricorrente la decisione va censurata, anzitutto, per assenza o
quantomeno carenza di motivazione sul punto. Il precipuo riferimento all’art. 53bis

ritenuto di non applicare le attenuanti generiche tenendo a mente solo ed
esclusivamente le posizioni processuali più gravi, ovverosia quelle di coloro ai quali
è stato contestato il reato di traffico illecito di rifiuti. Al Giora, invece, è contestato
il solo reato di omessa bonifica di cui all’art. 51 bis decreto legislativo 05.02.1997,
n. 22: è chiaro, pertanto, che la motivazione sul punto non lo riguarda affatto ed
è, perciò, assente o quantomeno carente.
Con il quarto motivo si contesta, ancora sotto il duplice profilo del vizio
motivazionale e della violazione di legge, la parte del provvedimento impugnato
relativa alle statuizioni civili.
Secondo il ricorrente il giudice del rinvio non avrebbe rispettato il disposto
dell’articolo 627 comma tre c.p.p. in quanto la III Sezione di questa Corte di
Cassazione, nel rinviare la questione ad altra sezione della Corte d’appello di
Firenze, aveva affermato che “per quanto concerne la posizione CAVET le
disposizioni civili devono essere rivalutate con riferimento ai reati ex art. 53 bis„,”.
L’inciso “per quanto concerne la posizione CAVET” – secondo la tesi sostenuta in
ricorso- lasciava dunque legittimamente intendere che questa Corte di legittimità
avesse demandato le alle valutazioni sulle questioni civili al giudice del rinvio solo
ed esclusivamente per gli imputati incardinati nel consorzio CAVET. Ma il ricorrente
non era alle dipendenze dello stesso ed è accusato di avere svolto nella vicenda,
viene ribadito, un mero ruolo da intermediario.
Si aggiunge, infine, che, anche si volesse condividere l’argomentazione
letterale ora prospettata, in ogni caso mancherebbe una motivazione concernente
le statuizione civili riguardante il Giora e l’intervenuta prescrizione del reato
In ogni caso si rileva che i reati di omessa bonifica contestati all’imputato
ai capi SS e UU risultano ad oggi prescritti. Lo sarebbero stati, avendo come
riferimento la data della sentenza di primo grado, al 3/3/2014, ma in ogni caso,
considerando la sospensione di un mese e tre giorni disposta dal giudice di appello
di Firenze, i reati sarebbero comunque prescritti a far data dal 6/4/2014.
Chiede pertanto a questa Corte di annullare l’impugnata sentenza.

104

iN

d.lgs. 05 febbraio 1997, n. 22 lascia pensare, legittimamente, che il giudice abbia

• Semeraro Paolo, a mezzo del proprio difensore avv. Giuseppe Giansi
Paolo Semeraro, legale rappresentante della “Grandi Inerti Teverini s.r.l.” (GIT)
allo stato, risulta condannato per i reati di cui ai capi VV (gestione illecita dei rifiuti
della discarica GIT) e ZZ (omessa bonifica della discarica GIT) alla pena di anni
uno e mesi uno di arresto ed euro 12.000 di ammenda e gli è stato comminato
l’obbligo di bonifica ex art. 51bis dlgs 22/1997. Lo stesso è stato condannato al
risarcimento del danno a favore del Ministero dell’Ambiente e limitatamente al sito
“Le Fontanelle” in provincia di Terni. Nei confronti del Semeraro, in ragione del

di primo grado è stata confermata la condanna al risarcimento dei danni.
Avverso tutti tali capi viene proposto ricorso per Cassazione premettendosi
in primo luogo che la sentenza del giudice di rinvio non avrebbe risposto a quanto
richiesto dalla III Sezione di questa Corte che in ordine ai reati di gestione dei
rifiuti e di gestione abusiva delle discariche ed in ordine alle imputazioni di omessa
bonifica, dopo avere enunciato una serie di principi di diritto, aveva osservato: “La
Corte territoriale ha concentrato la propria attenzione su alcuni esempi specifici
per poi trarre da essi conseguenze simili in ordine a tutti i capi di imputazione
aventi ad oggetto la violazione ex art. 51 bis del d.lgs 5/2/1997 n. 22 e ciò senza
indicare le ragioni che fondano una simile applicazione estensiva. Questo modo di
procedere, che non tiene contro della specificità della singole contestazioni, priva
il giudice di legittimità della conoscenza dei fatti storici riferita a cíascuna ipotesi
di reato e, quindi, della possibilità di applicare a ciascuna di esse i principi
interpretativi adottati”.
Inoltre il ricorrente lamenta che alla pagina 89 la sentenza di legittimità
osservava che per i capi di imputazione contestati con riferimento ai singoli
imputati “non vi è stato un esame puntuale e non è possibile verificare i
presupposti in fatto cui applicare i principi interpretativi fissati con la presente
decisione. Tale applicazione viene così rimessa al giudice di merito che procederà
a nuovo esame”. Infine alla pagina 93, con specifico riferimento questa volta alle
imputazioni di cui ai capi 38a, 40a, 95 e QQ la sentenza di annullamento così
disponeva: “il giudice di rinvio dovrà provvedere ad esaminare un modo coerente,
anche alla luce dei principi fissati con la presente decisione, i presupposti di fatto
e interpretativi che presiedono al giudizio sulla sussistenza del reato”.
La prima decisiva doglianza proposta attiene, dunque, alla mancanza totale
di motivazione (o alla esistenza di una motivazione del tutto apparente) in ordine
ai presupposti di fatto relativi alla posizione personale di Semeraro Paolo in
relazione alle imputazioni per le quali è seguita condanna o declaratoria di
estinzione del reato.

105

fatto che il reato ascrittogli al capo QQ è stato ritenuto prescritto dopo la sentenza

Vengono poi dedotte violazione di legge in relazione agli artt. 110 e112
cod. 51 comma 30 d.lgs 22/97 in relazione ai reati di cui all’art. 256 comma 3 0 e
comma 50 del T. U. 152/2006 e all’art. 17 co. 2 d.lgs 22/97 con riferimento al
reato attualmente sanzionato dall’art. 257 prima e seconda ipotesi in relazione
all’art. 142 del TU. 152/2006. Ancora, si lamenta violazione di erronea
applicazione della legge penale in ordine alla condotta costitutiva di reati
contravvenzionali nonché in riferimento all’elemento soggettivo dei reati di cui ai
capi VV, ZZ.

ordine agli estremi costitutivi dei reati sopra menzionati ed in particolare in ordine
alla posizione di Semeraro Paolo quale legale rappresentante della ditta “G.I.T” in
riferimento alle cave “Le Fontanelle” del comune di Giovi ed Orso del comune di
Bomarzo.
Il ricorrente ricorda che, come risulta pacificamente riconosciuto dai giudici
di merito la “G.I.T.” aveva chiesto ed ottenuto le iscrizioni, secondo le norme del
d.lgs 22/97 art. 31 e 33, nei registri provinciali competenti (di Terni e Viterbo) per
la gestione dei rifiuti non pericolosi indicandone la provenienza, la descrizione ed
i codici assegnati.
Inoltre si rileva essere pacifico — anche per ammissione dei giudici di
merito — che la natura dei rifiuti era attestata da pacifica certificazione a cura del
produttore e dalla verifica da parte dell’utilizzatore della corrispondenza dichiarata,
effettuata da tecnici incaricati a seguito di campionamento ed analisi dopo i primi
conferimenti e successivamente con regolare cadenza.
Viene anche dedotto che la società veniva richiesto il ottenuto l’iscrizione
all’albo trasportatori di rifiuti per svolgere il trasporto con i mezzi propri anche se
in realtà il trasporto era stato effettuato solo in parte con questi.
Il materiale utilizzato nelle cave Le Fontanelle ed Orso, infatti proveniva
sempre da un diretto rapporto con CAVET, rapporto in base al quale quest’ultimo
provvedeva alla fornitura di pietra disco, di basalto, di sabbie di ghiaia.
Si lamenta i fini della valutazione degli elementi costitutivi dei reati di cui
ai capi vv e zz che la corte territoriale non abbia operato una specifica valutazione
del fatto con specifico riferimento a quelli siti e alla condizione personale del
ricorrente, così come chiedeva la corte di cassazione. Vengono evidenziate carenze
motivazionali anche per quanto riguarda il profilo dell’elemento psicologico con
particolare riferimento al reato di gestione illecita di rifiuti.
Peraltro si rileva che non vi è nessun elemento da cui risulti, data l’ampiezza
delle stesse e in ragione del materiale versato che nelle cave in questione si fosse
determinata una situazione di inquinamento.

106

Si deduce, inoltre, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in

Sotto il duplice profilo, cumulativo, della violazione di legge e del vizio
motivazionale, in relazione all’art. 129 c.p.p. e 260 d.lgs. 152/2006, si afferma
l’erronea applicazione della causa estintiva in luogo della assoluzione per non aver
commesso il fatto.
Nello specifico, con riferimento al reato di traffico di rifiuti di cui all’articolo
53bis del decreto legislativo numero 22/1997 e 260 del d.lgs. 152/2006, si
lamenta che la corte d’appello non abbia risposto a quanto richiestole dalla Yerza
Sezione di questa Corte di legittimità che proprio per il reato sub QQ aveva chiesto

tali da comportare il concorso nel reato contestato, in ciò riconsiderando gli
argomenti del primo giudice ed integrando la valutazione dei fatti.
Ebbene, si rileva che la sentenza impugnata non prende minimamente in
esame la posizione del ricorrente per una valutazione specifica in ordine al suo
asserito concorso nel reato.
Ci si duole che il giudice di merito si sia limitato in questo caso a prendere
atto dell’intervenuta estinzione del reato.
Si rileva che l’obbligo di una specifica motivazione in relazione alla posizione
personale del ricorrente nasceva dalla circostanza che, nella specie, si doveva
provare il concorso in un reato doloso attraverso attività integranti di per sé reati
contravvenzionali che però devono essere caratterizzati, così come la sentenza
ritiene, da dolo e non soltanto la colpa.
Si ricorda, infatti, che non è possibile il concorso in un reato doloso da altri
predisposto e realizzato ove la condotta del ricorrente non sia caratterizzata dalla
consapevolezza dell’attività delittuosa posta in essere da soggetti attivi del reato;
in altri termini che non sia accompagnata da una precisa volontà di partecipare,
con riferimento al caso in esame, al traffico illecito di rifiuti così come oggi
disciplinato dall’articolo 260 del decreto legislativo 152 del 2006.
Viene evidenziato, poi, che la condotta illecita contravvenzionali contestata
al Semeraro fa parte, ai sensi dell’articolo 84 del codice penale, dell’attività idonee
ad integrare il concorso nel reato di traffico organizzato di rifiuti: sicché
l’assoluzione da tale ultimo reato non può comportare anche la soluzione rispetto
al reato contravvenzionale.
Con un ulteriore motivo si deduce mancanza di motivazione e violazione di
legge in relazione alla condanna di Semeraro Paolo al risarcimento dei danni sia in
riferimento al reato dichiarato prescritto, sia in relazione alle contravvenzioni per
le quali l’attuale ricorrente è stato condannato.
Ci si duole, in particolare, che, con la riforma della sentenza assolutoria
intervenuta nel primo giudizio di appello, andava esaminata la problematica
dell’esistenza di un danno ambientale non già conseguente alla molteplicità dei

107

di valutare se le condotte contestate ed accertate in capo ai singoli imputati fossero

danni contestati ai numerosi imputati, ma in riferimento alla posizione personale
e specifica del Semeraro. Ed invece, le risultanze fattuali quali emergono dalla
decisione di condanna di primo grado e dalla sentenza di appello impugnata, non
consentirebbero secondo il ricorrente di ravvisare alcun danno ambientale
ricollegabile a pretese attività penalmente illecite del Semeraro.
Comunque, in relazione alle modalità dei fatti contestati ed alle circostanze
che ineriscono alla posizione del Senneraro, secondo la tesi sostenuta in ricorso, si
deve escludere che un danno ambientale vi sia stato come conseguenza delle

La sentenza impugnata avrebbe perciò violato le disposizioni in ordine ai
presupposti ed agli elementi costitutivi della condanna in sede di giudizio penale
al risarcimento dei danni.
In relazione a tutto quanto precede, chiede perciò l’annullamento della
sentenza impugnata.

• Geri Paolo e Trippi Aldo, a mezzo del proprio difensore avv. Riccardo Giusti,
propongono ricorso, con contestuale richiesta di sospensione dell’esecuzione della
condanna civile, ai sensi dell’art. 612 c.p.p.,
Paolo GERI, responsabile dell’impianto di betonaggio della Betonval s.p.a.
presso il cantiere CAVET per la costruzione della TAV e Aldo TRIPPI, responsabile
dell’impianto di betonaggio della Unicalcestruzzi spa, risultano allo stato
condannati, ciascuno, alla pena di due anni e mesi otto di reclusione, per il reato
di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, capi 95 e QQ, per i reati di
omessa bonifica di cui ai capi SS (Codigoro), UU (S. Anna loc. Lippo — cave Nord),
ZZ (Giovi e Bomarzo), nonché, infine, per il reato di cui al capi d’imputazione 95
bis (gestione illecita di rifiuti), con conseguente applicazione delle pene accessorie
dell’interdizione dai pubblici uffici (art. 28 c.p.), dell’interdizione temporanea dagli
uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32 bis c.p.) per la
durata della pena a ciascuno inflitta, nonché dell’incapacità di contrattare con la
pubblica amministrazione (art. 32 ter c.p.) per la durata di anni uno e mesi sei e
dell’obbligo di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi (art. 51, comma III, e
53 bis d.lgs. n. 22/1997). I ricorrenti sono stati altresì al risarcimento dei danni
conseguiti ai predetti reati a favore delle parti civili Stato – Ministero dell’Ambiente,
Regione Toscana, Provincia di Firenze, Comunità Montana del Mugello, Comune di
Firenzuola, Comune di Scarperia e S. Piero, Comune di Borgo San Lorenzo,
Comune di Vaglia, Provincia di Terni, Provincia di Ferrara, Comune di Codigoro,
con assegnazione di provvisionale per il danno non patrimoniale, e al risarcimento
del danno non patrimoniale, liquidato in via definitiva, a favore delle associazioni

108

attività riconducibili al ricorrente.

Italia Nostra, Idra, Associazione Italiana per il WWF e Legambiente Toscana onlus,
e come da dispositivo.
I ricorrenti propongono la loro impugnazione contro la sentenza della Corte
d’Appello di Firenze del 21.3.2014 ed anche avverso l’ordinanza dibattimentale
03/03/2014 della Corte d’Appello di Firenze, Sezione I penale, con cui la Corte
rigettava le eccezioni avanzate dalla difesa degli imputati Longo, Marcheselli,
Castellani e Frulloni, a cui si associava la difesa di Geri e Trippi, in merito alla
impossibilità per le parti civili non ricorrenti dinanzi alla C.S. dì produrre

La difesa degli imputati Paolo GERI e Aldo TRIPPI si fonda su
argomentazioni comuni, in ragione del fatto che gli stessi, seppure procuratori di
società differenti, sono stati interessati dal presente procedimento quali fornitori
di calcestruzzo.
Con un primi tre motivi si deduce vizio motivazionale sub specie di difetto
assoluto e di contraddittorietà della motivazione, nonché violazione di legge in
relazione agli artt. 17 e 51bis DLGS 22/97 e agli artt. 242 e 257 co. 1 d.lgs.
152/2006, dedicando specifiche trattazioni alle singole discariche.
I ricorrenti ricordano che con la prima sentenza di corte di appello erano
stati assolti dal reato di omessa bonifica e di traffico illecito di rifiuti perché il fatto
non sussiste, ma che la III sezione di questa Corte di legittimità annullava in parte
la decisione, indicando al giudice dì rinvio, in tema di discariche, i criteri per
l’individuazione del tempo di cessazione della permanenza del reato e per le
bonifiche e gli aspetti in fatto da approfondire per accertare la sussistenza dei
presupposti della contravvenzione.
Ci si duole, invece, che, all’esito del giudizio di rinvio, la Corte fiorentina si
sia limitata ad individuare per le discariche contestate il tempo di cessazione
dell’attività antigiuridica, confermando la prescrizione. Quanto all’omessa bonifica
ha affermato, invece la responsabilità dei ricorrenti per l’apporto di fanghi di
betonaggio nelle Discariche Gatti (RR), GIT (VV), e Cave Nord (VV). Per il Trippi,
affermava poi la sua responsabilità anche per le omesse bonifiche di cui ai capi SS
(discarica Gatti), UU (Discarica Cave Nord), e ZZ (Discariche GIT). Riteneva,
infatti, la Corte che, come gli altri coimputati, anche Trippi avesse infatti l’onere di
intervenire per la bonifica dei siti di cui aveva contribuito a cagionare
l’inquinamento.
Lamentano tuttavia i ricorrenti che la Corte di rinvio abbia disatteso
l’indicazione della III Sezione di questa Suprema Corte, che l’aveva invitata a
verificare i presupposti di fatto cui applicare i principi giuridici che erano stati
fissati.

109

conclusioni.

Si evidenzia, in particolare, che presupposti di fatto sono il tempo del
conferimento, il superamento o il pericolo di superamento, nei rifiuti conferiti, della
concentrazione di inquinanti oltre i limiti di legge, le caratteristiche chimiche dei
rifiuti. Ebbene, ci si duole che per la Discarica Gatti la motivazione non individui
alcun elemento fattuale legato al conferimento irregolare di fanghi di betonaggio
ed, anzi, dalla motivazione sembrerebbe che in quella discarica siano andati rifiuti
certamente diversi da quelli di betonaggio ascrivibili alle aziende dei ricorrenti.
La Corte avrebbe concluso per la partecipazione dei ricorrenti alla

ripetutamente insistito che si trattava di una chiara svista. Peraltro l’unico valore
di contaminazione cui fa riferimento il giudice del merito -si sottolinea- si riferisce
a fanghi filtropressati sono cosa diversa dagli fanghi di betonaggio.
Tale palese carenza di prova si arricchisce, secondo i ricorrenti, di ulteriori
criticità nel rapporto con la successione delle norme in relazione alla nuova
formulazione degli articoli 242 e 257 del decreto legislativo 152/2006, in cui
l’obbligo della bonifica sorge solo con il superamento della concentrazione della
soglia di inquinamento. Viene ricordato in proposito il precedente costituito dalla
sentenza di questa corte Sez. 3 n. 9794/2007.
Il ricorso si sofferma ancora sulla Discarica Gatti per evidenziare che non è
stato in alcun modo provato, in ogni caso, l’inquinamento della stessa.
Richiamato quanto lamentato al motivo che precede per la Discarica Gatti,
anche per la Discarica GIT, di cui ai capi VV e ZZ, i ricorrenti lamentano che la
motivazione della sentenza circa la responsabilità per la mancata bonifica a carico
di Geri e Trippi, che è comune ai tre siti di conferimento, fra cui Cave Nord, capi
TT e UU, non individua alcun elemento fattuale, legato al conferimento irregolare
di fanghi di betonaggio per il loro contenuto di sostanze fuori limite.
Vengono riportati punti della sentenza di secondo grado che ripercorrendo quella
di prime cure cita espressamente solo il conferimento da parte di CAVET di fanghi
di perforazione e non cita fanghi di betonaggio. Si rileva, peraltro, che nella
discarica GIT neanche l’imputazione contestata la presenza di fanghi di
betonaggio. Il giudice del rinvio non potendo operare alcun riferimento analitico
alla presenza di idrocarburi oltre il limite consentito di fanghi di betonaggio si
appoggerebbe ad una generica affermazione di responsabilità.
Quanto alla Discarica Cave Nord, si evidenzia che Betonval e Unicalcestruzzi
vi hanno effettivamente conferito i loro fanghi di betonaggio , con il codice CER
170101, previo riscontro analitico della presenza di idrocarburi in misura idonea al
conferimento in tale discarica. Si assume, tuttavia, di avere nel corso del giudizio
depositato documenti attestanti le analisi di laboratorio svolte, anche allegate alla

110

costituzione della Discarica Gatti, nonostante in tutte le sedi di merito si fosse

perizia di parte, comprovanti che il conferimento a recupero veniva svolto nel
rispetto della legge.
Ancora una volta si lamenta che il giudice del rinvio rimandi alla sentenza
di primo grado, in cui dovrebbero essere contenute le prove del conferimento di
fanghi Betonval in Cave Nord, che non è stato negato, mentre è stata negata
invece la loro irregolarità. Si assume trattarsi di fango palabile dal lavaggio
betoniere per il quale c’era specifica autorizzazione.
La motivazione fatta propria dalla Corte di rinvio non conterrebbe alcun

irregolari. La motivazione si riferirebbe sempre a cui fanghi filtropressati da
perforazione di gallerie a cui le ditte dei ricorrenti sono del tutto estranee essendo
essi riconducibili alla sola CAVET.
Con un quarto motivo, deducendo difetto assoluto e contraddittorietà della
motivazione, nonché violazione di legge in relazione agli artt. 53b1s DLGS 22/97 e
260 d.lgs. 152/2006, i ricorrenti lamentano che la sentenza di rinvio abbia
riconosciuto Geri e Trippi responsabili del reato di traffico di rifiuti illecito sul
presupposto che i fanghi di betonaggio fossero stati smaltiti irregolarmente,
assecondando le strategie omissive della dirigenza CAVET, con la motivazione che
“costoro hanno collaborato fino alla fine dei lavori TAV e sono stati dichiarati
punibili per il reato di cui al capo 95bis, una delle varie forme in cui si è articolata
la sequenza di operazioni e gestioni illecite di rifiuti nell’ambito delle lavorazioni
per la realizzazione delle gallerie, mentre per altri fatti analoghi hanno potuto
fruire della prescrizione. Non possono d’altronde esservi dubbi che essi abbiano
avuto consapevolezza precisa che gli scarti provenienti dalla loro lavorazione degli
inerti per la produzione del calcestruzzo fossero rifiuti speciali e necessitassero di
mirati canali di smaltimento e/o recupero; si sono invece affidati a quelli individuati
da Cavet rispetto ai quali avevano il dovere di accertare I ‘idoneità e legittimità…”
I ricorrenti tuttavia ribadiscono di avere, a loro avviso ben spiegato, e
documentato in ogni sede processuale che le loro ditte conferivano esclusivamente
a rifiuto fanghi di betonaggio da loro prodotti, previa analisi del contenuto di
inquinanti, affidandoli a trasportatori autorizzati. Nella motivazione si fa
riferimento a scarti di lavorazione di inerti a questi non erano prodotti da Betonval
e Unicalcestruzzi in quanto inerti per il calcestruzzo venivano forniti da CAVET
stessa già pronti. Non si comprenderebbe, perciò, il significato della motivazione
in cui si rimarca che essi non potevano non avere preso coscienza che le modalità
di smaltimento dello smarino e dei fanghi di tipo diverso da quelli da loro stessi
prodotti fossero del tutto insufficienti e prive di copertura autorizzatoria. Si
sostiene che, evidentemente, essi non potevano nemmeno sapere che tipo di
fanghi erano prodotti da altri.

111

elemento utile per addebitare a Betonval o Unicalcestruzzi il conferimento di rifiuti

Ancora una volta, dunque, la Corte di rinvio, chiamata ad accertare e
valutare con piena cognizione, i presupposti di fatto interpretativi che presiedono
al giudizio di sussistenza del reato, avrebbe ignorato la circostanza pacifica che le
ditte dei due ricorrenti dall’aprile 2000 smaltivano i fanghi di betonaggio in proprio
e in maniera autonoma, ma con oneri a carico di CAVET.
Il quinto motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 157 e
ss. cod. pen. e 260 d.lgs. 152/2006 in relazione alla mancata declaratoria di
prescrizione per il reato sub QQ.

sentenza impugnata accerti a pag. 190 la cessazione dei conferimenti presso le
discariche di cui ai capi RR, ‘TT, VV nell’anno 2002, come peraltro indicato nel capo
di imputazione, non si comprenderebbe la diversità delle conclusioni cui giunge la
Corte in merito alla procedibilità nei confronti di Geri e Trippi per il reato di cui al
capo QQ in presenza degli stessi presupposti di fatto.
Con il sesto motivo e settimo motivo si deduce violazione degli artt. 157 e
ss. cod. pen. e 260 d.lgs. 152/2006 in relazione all’art. 53 BIS d.lgs. 22/97 (poi
divenuto artt. 260 d.lgs. 152/2006) e nello specifico ai capi 95 E QQ (sesto motivo)
e 95bis (settimo motivo).
Sul punto della prescrizione del reato rispetto al tempus commissi deliciti
di cui al capo 95 contestato fino al luglio 2006, nonché dei reati di cui ai capi QQ,
38A e 40A, viene evidenziato che la sentenza di rinvio espone a pag. 200 “che il
capo 95 indica come le condotte siano state tenute a partire da marzo 2001 —
andando a coincidere con l’entrata in vigore della legge — e siano ancora attuali e
permanenti al luglio 2006, ovvero al tempo in cui viene precisata l’imputazione dal
Pubblico Ministero in sede dibattimentale. Precisazione che evidentemente e
chiaramente spiega come sia ancora in corso la perpetrazione di illeciti penali dei
quali è logicamente incerto il termine finale: ciò comportando sul piano giuridico
che questo andrà a coincidere con la sentenza di condanna ove non venga
acquisita nel corso del processo la prova di una avvenuta definitiva cessazione
delle condotte illegali contestate. L’istruttoria dibattimentale — e le conclusioni
assunte dai Giudici di merito, per come validate dalla Cassazione — hanno quindi
dimostrato il protrarsi assai oltre il luglio 2006 di atti di gestione illecita di
discariche e rifiuti, per quantitativi ingenti, con operazioni organizzate e
sistematiche, tutte finalizzate ad un ingiusto profitto, e fissato per alcune di esse
il termine convenzionale rappresentato dalla sentenza di primo grado. Non vi è
dunque ragione per aderire alla richiesta difensiva, essendo stato riconosciuto
nelle fasi di merito che il reato di cui al capo 95 — connotato da una corretta
contestazione aperta sul piano temporale, per come ineludibilmente conseguente
alla dedotta attualità di condotte illecite — ha trovato definitiva consumazione solo
112

Richiamato come dall’esame delle posizioni soggettive per Geri e Trippi la

con la sentenza pronunciata dal tribunale insieme ad altre violazioni che ne hanno
costituito altrettanti segmenti operativi.
Ebbene, secondo i ricorrenti la decisione si palesa censurabile dal momento
che si pone chiaramente in contrasto con il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo il quale l’ipotesi di incertezza circa la data di
consumazione del reato il termine di decorrenza deve essere calcolato secondo il
maggior vantaggio dell’imputato in base al criterio del favor rei.
Si deduce, peraltro, che il traffico organizzato di rifiuti, anche con la nuova

sentenza di appello del 2014. Si indicano analiticamente tutte le date di cessazione
dei conferimenti
Quanto al capo 95bis, viene evidenziato essere contestato il reato di cui
all’art. 51 comma I Digs 22/97 attualmente sanzionato dall’art. 256 comma I del
TU 152/2006. L’art. 256 – si ricorda- sanziona diversi aspetti della gestione
irregolare dei rifiuti, ovviamente sussistenti anche indipendentemente l’uno
dall’altro. La Corte ritiene che seppure alcuni fatti siano ritenuti insussistenti o
prescritti ciò non incide sul capo che risulta temporalmente integrato e protratto
fino al 3.3.2009, cioè fino alla data della sentenza di primo grado.
Anche per il capo in questione, tuttavia, si lamenta l’erronea individuazione
del tempo del commesso delitto.
Con l’ottavo motivo si lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 185
C.P. E 76, COMMA II, 576, 624, 648 C.P.P., nonché agli artt. 576 e 585, COMMI I
E V, C.P.P. e nello specifico l’erroneo rigetto delle eccezioni difensive in merito alla
inammissibilità delle richieste risarcitoríe avanzate in sede di rinvio dalle parti civili
a suo tempo non ricorrenti e la conseguente erronea condanna al risarcimento del
danno in favore delle stesse.
Il motivo, che conteneva anche la richiesta, qualora questa Corte avesse
ritenuto sussistente un contrasto giurisprudenziale sulla questione test& esposta,
di voler disporre l’assegnazione del ricorso, ai sensi degli artt. 610, comma II, e
618 c.p.p., alle Sezioni Unite (richiesta rigettata dal Collegio all’udienza del
18.11.2015) e quella di sospendere l’esecuzione delle statuizioni civili contenute
nella sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 612 c.p.p., ricorrendo i requisiti previsti
dalla legge, evidenziava come le provvisionali poste a carico degli imputati dalla
sentenza della Corte d’Appello, in misura complessiva pari a oltre 700.000,00 euro
a favore degli enti territoriali, oltre alla definitiva condanna al risarcimento dei
danni non patrimoniali patiti dalle associazioni ambientaliste, a loro volta liquidati
in via definitiva in quasi 100.000,00 euro, rappresentassero una somma di
rilevantissima entità che già di per sé rappresenta non un rischio, ma la certezza
di un danno grave ed irreparabile per gli imputati e per le loro famiglie.

113

forma del reato abituale, risultava essere prescritto alla data della pronuncia della


Con il nono motivo si lamenta violazione di legge con riferimento agli artt.
62bis e 133 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione con riferimento ai parametri di commisurazione della pena di cui
all’art. 133 cod. pen., alle circostanze di cui all’art. 62bis cod. pen. e 112 co. 1
cod. pen. quanto ai reati di cui ai capi 95, 95 BIS, QQ, SS, UU, ZZ
Con il decimo motivo, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del
vizio motivazionale, i ricorrenti lamentano che la pena non è individualizzata e vi
sarebbe una valutazione frammentari anche per l’aumento per la continuazione.

sentenza impugnata.

• Gatti Gabriele a mezzo del proprio difensore avv. Paolo Costantini;
Nei confronti di Gabriele Gatti, gestore dell’omonima, la sentenza 21 marzo
2014 pronunciata in sede di rinvio dalla Corte d’appello di Firenze ha dichiarato
non doversi procedere per intervenuta prescrizione, in ordine ai reati di cui ai capi
QQ e RR, mentre dello stesso è stata dichiarata la penale responsabilità in ordine
al reato sub SS, e gli è stata inflitta la pena di mesi undici di arresto.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio
motivazionale per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in quanto la Corte di rinvio non avrebbe fornito risposta alcuna alle
deduzioni difensive seguite al rilievo della III Sezione di Codesta Corte che aveva
rilevato la necessità che venissero riesaminati i capi di imputazione per i quali non
era stato compiuto un esame puntuale e per i quali “non (era) stato possibile
verificare i presupposti in fatto cui applicare i principi interpretativi fissati con la
presente decisione”.
Nel giudizio di rinvio avanti alla Corte d’appello di Firenze, la difesa del Gatti
ricorda, perciò, di avere ribadito l’insussistenza del presente reato, contestando
che vi fosse prova concreta e definitiva circa l’effettivo inquinamento del sito di
Codigoro, presupposto necessario per l’attivazione della bonifica dei luoghi.
A questo proposito si era ricordato che l’unica analisi non conforme
dell’ARPAT di Firenze aveva al massimo accertato solo una positività su un
conferimento di materiale CAVET, ma non certamente l’evento di pericolo o ancor
più quello di danno del reato ipotizzato alla discarica di Gatti. E si era altresì
evidenziato che l’unico prelievo con esito non regolamentare era stato fatto sul
materiale caricato sul camion in entrata e non sul sito.
Tale accertamento, pertanto, secondo la tesi difensiva, non era idoneo a
far ritenere sussistente il fumus del reato di inquinamento e di omessa bonifica del
sito anche ai sensi del d.lgs. previgente (Decreto Ronchi), che all’art. 17 prevedeva
gli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica e ripristino ambientale delle aree
114

Chiedono, pertanto, che questa Corte di legittimità voglia annullare la

inquinate, solo a seguito del superamento dei limiti di accettabilità della
contaminazione dei suoli.
Alla luce di ciò, si sostiene che non si poteva pretendere l’applicazione della
norma sulla bonifica dei siti in capo al Gatti e che sarebbe stata, anzi, una
violazione o una errata interpretazione della normativa in materia a pretendere un
comportamento diverso.
In ogni caso, secondo il ricorrente, anche a voler ritenere nella specie
configurabile la necessita della bonifica dei luoghi, si era osservato che la

appariva comunque sussistente in quanto il ricorrente aveva operato in piena
collaborazione con la P.A., attivando la procedura per la bonifica dell’area della
discarica di Codigoro e accollandosi l’esecuzione del piano di caratterizzazione del
sito di via Prove, nonostante sin dall’indagine ambientale fosse stato rilevato che
nessun inquinamento si era realizzato su tale sito e che quindi la bonifica dell’area
non era necessaria per legge;
Il ricorrente deduce, in altri termini, di avere operato facendo completo
affidamento sulla P.A. che poi si è rilevata totalmente inerte, non avendo mai
deliberato sul piano di caratterizzazione, né compiuto ulteriore attività istruttoria.
E rileva che si tratta di circostanza inequivocabile, perché confermata in sede
dibattimentale dai testi Gualandi e Magri.
Viene rilevato, peraltro, che la gestione della discarica da parte del Gatti
era terminata nel marzo 2005 e la discarica, di proprietà comunale, era stata
chiusa dal Comune di Codigoro e ad oggi su di essa insiste un impianto fotovoltaico
come da contratto di appalto con Sipro.
Pertanto, ritiene il ricorrente che l’attivazione della procedura in materia di
bonifica non consentiva di contestare il reato de quo, che è sottoposto a “punibilità
negativa” e per il quale è solo l’inosservanza al progetto di bonifica approvato dalla
Regione in esito ad apposita conferenza di servizi (acquisiti i pareri di Comune e
Provincia e sentito il soggetto interessato), che assume rilevanza penale.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello non si sia confrontata con tali
argomentazioni.
Con un secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge per omessa
dichiarazione della prescrizione in data 21 marzo 2014, cioè prima della sentenza
della Corte di appello.
Chiede, pertanto, in via principale, annullarsi la sentenza impugnata ed
assolversi l’imputato perché il fatto non sussiste; in subordine, dichiararsi non
doversi procedere in ordine al detto reato per intervenuta prescrizione quanto
meno alla data del 3 marzo 2014.

115

condizione obiettiva di punibilità (il non provvedere all’obbligo di bonifica) non

• Polidori Giovanni, a mezzo del proprio difensore avv. Massimo Zaganelli
Giovanni Polidori, titolare dell’impresa impresa Polidori Strade S.r.l. ,
subappaltatore del consorzio Cavet , allo stato risulta condannato alla pena di anni
1 di arresto, oltre il risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, previa
concessione di provvisionali variamente quantificate in favore delle parti civili, per
i reati di omessa bonifica di cui ai capi d’imputazione SS (discarica Gatti), UU
(discarica Cave Nord), ZZ (discarica GIT).

luogo, in relazione al punto della sentenza impugnata in cui si afferma che “in
punto di fatto non emergono dubbi: gli accadimenti sono stati già definitivamente
ricostruiti dai Giudici di merito e confermati dalla Cassazione; e del resto la lettura
dell’atto di appello non evidenzia eccezioni in ordine al loro svolgimento, essendosi
piuttosto richiamata l’attenzione sulle questioni giuridiche (natura di rifiuto dello
smarino, validità delle autorizzazioni ricevute da CAVET per gestire i materiali di
risulta, insufficienza delle prove analitiche degli inquinamenti) che sono state da
ultime risolte – in senso negativo per gli imputati nel giudizio di legittimità “. per
concluderne che il Polidori ha “contribuito direttamente all’inquinamento delle
discariche” (pag. 192). Ebbene, il ricorrente lamenta che non è così in quanto in
sede di appello aveva eccepito la insussistenza dell’asserito concorso, difettandone
ogni elemento probatorio, e aveva ribadito di non avere in alcun modo contribuito
all’eventuale inquinamento dei siti.
Si evidenzia che il contratto di subappalto tra impresa Polidori Strade S.r.l.
ed il consorzio Cavet, del 26/7/1999, prodotto in atti, ha per esclusivo oggetto la
realizzazione della galleria Borgo Rinzelli e non prevede alcun obbligo in ordine al
trasferimento e smaltimento di rifiuti nelle discariche de quibus, attività – è
altrettanto pacifico – di cui si sarebbe occupato il Consorzio Cavet, sia con
riferimento allo smarino che alle varie tipologie di fanghi risultanti a seguito della
perforazione.
Il ricorrente lamenta che né il primo giudice né la sentenza impugnata
hanno minimamente accennato alla posizione specifica del Polidori, omologando
genericamente la sua condotta a quella degli altri imputati, in virtù della mera
partecipazione di tutti, pro parte, alla realizzazione dell’opera, senza addurre alcun
riferimento probatorio, sia in ordine alla consapevolezza in capo allo stesso della
condotta posta in essere dagli altri concorrenti, sia alla volontà di concorrere al
reato comune.
Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale in
relazione all’art. 17, n. 2, d.lgs. 22 del 5.02.1997.

116

Con il primo motivo di ricorso viene dedotto vizio motivazionale, in primo

Viene ricordato che questa Suprema Corte ha fissato il principio che “la
permanenza nei reati di omessa bonifica cessa, in primo luogo, con il termine della
situazione di antigiuridicità; in secondo luogo può cessare con il sequestro dell’area
che faccia venir meno la disponibilità della stessa in capo al gestore e la
impossibilità per costui di compiere ulteriori attività” (ivi pagg. 82-83). Ebbene,
secondo il ricorrente la seconda ipotesi è stata stata formulata a titolo
esemplificativo e non esaustivo, poiché varie possono essere le cause che
determinano l’indisponibilità dei siti da bonificare.

contratto di subappalto, non ha mai partecipato -né poteva- a tutte le complesse
procedure necessarie, da un lato, ad ottenere l’autorizzazione per la realizzazione
del tratto ferroviario Firenze-Bologna, dall’altro, per procedere alla bonifica delle
aree contaminate con i rifiuti dei lavori effettuati, il tutto di esclusiva competenza
e attribuzione del Consorzio CAVET. Si verserebbe quindi in una situazione di
impossibilità non solo fattuale (il ricorrente cessò la sua attività nel febbraio 2002
– vedi decisione impugnata pag. 192), ma altresì giuridica, dovendosi pertanto
escluderlo, ragionevolmente, dal novero indeterminato dei soggetti all’uopo
obbligati ex art. 17, n. 2, d.lgs.. n. 22 del 05.02.1997.
Con un terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta errore di legge e vizio
motivazionale con riferimento alla mancata concessione del beneficio della
sospensione condizionale della pena ex artt. 164 e 133 c.p., in relazione ai reati
di cui ai capi d’imputazione SS, UU, ZZ.
Si rileva che il giudice di rinvio ha ritenuto di escludere il beneficio,
attribuendo generico rilievo, con indifferenziato riferimento a tutti gli imputati, alla
“gravità oggettiva dei fatti commessi” e all’aver agito nel corso di anni in violazione
della legge, reiterando schemi e modalità operative contrarie alle esigenze della
collettività ed alle disposizione delle Autorità, movimentando e smaltendo
illecitamente milioni di tonnellate di rifiuti speciali, e cagionando evidenti e
consistenti danni (p. 206).
Tuttavia, ci si duole che manchi un esame specifico della posizione del
Polidori, dovendosi evidentemente tenere conto che lo stesso, subappaltatore del
consorzio Cavet, ebbe ad eseguire solo un modestissimo tratto di lavori di
escavazione, galleria naturale Firenzuola – Borgo Rinzelli lunga 500 mt, laddove la
linea ferroviaria Firenze – Bologna corre in sotterranea per oltre 70 Km. Sarebbe
allora di solare evidenza come “il danno”, lui attribuito, sia di lieve, se non
lievissima, entità rispetto alla dimensione complessiva dell’opera, e come la sua
posizione, non appaia, né possa essere dunque omologata a quella degli altri
imputati.

117

Nella specie, si invita a considerare che Polidori Giovanni, in ragione del

Nemmeno, poi, il giudice del rinvio appare avere proceduto all’ulteriore
vaglio imposto dagli artt. 164 e 133 c.p. relativo alla “capacità a delinquere” del
soggetto. Si lamenta che lo sfavorevole giudizio prognostico formulato dal giudice
deriva esclusivamente dalla ritenuta gravità del danno (pag. 206), non
condivisibile per quanto sopra e in ogni caso insufficiente ad escludere il beneficio,
difettando ogni concreta, specifica, individualizzata valutazione della personalità
dell’imputato – incensurato- non potendo il giudizio negativo essere desunto tout
court dall’assenta entità del pregiudizio arrecato.

riferimento agli artt. 62 bis, 133, 112, 81 c.p. e 257 d.lgs. 152/06 .
Ci si duole che, a fronte agli specifici parametri indicati nell’art. 133 c.p., la
decisione impugnata attribuisca generico rilievo, con riferimento a tutti gli
imputati, alla gravità oggettiva dei fatti commessi, da ritenersi non sussistere in
considerazione delle censure esposte nei motivi che precedono e dovendo per
conto procedersi ad una disamina differenziata per ciascun imputato, nella specie
non effettuata.
Le stesse considerazioni vengono operate per la mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente ritiene altresì che non sussistano gli estremi dell’aggravante di
cui all’art. 112 n. i c.p., che appare priva di senso logico quanto ai reati omissivi,
dato che il numero degli obbligati non incide sulle modalità concrete della condotta
di omissione.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni
consequenziale provvedimento.

C) IL RESPONSABILE CIVILE
• Il “Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana – CAVET”, responsabile civile, a
mezzo del proprio difensore e procuratore speciale avv. Giuseppe Giuffrè.

Il ricorrente, che articola motivi già ampiamente illustrati in precedenza in
relazione alle singole posizioni dei soggetti legati a CAVET, censura il
provvedimento impugnato nelle parti in cui ha ritenuto la responsabilità penale
degli imputati, con conseguenziale condanna anche del responsabile civile CAVET,
per:
– avere realizzato distinte discariche abusive di “smarino” nei siti di “Le
Sanguinale” (Capo 14bis) e “Cava Marchesini” (Capo M) nonché una discarica
abusiva di limi in località Fonte alla Sella (Capo 81); la Corte ha condannato il
solo responsabile civile CAVET (mentre gli imputati sono stati prosciolti per
intervenuta prescrizione) anche in relazione alle discariche di smarino “La
118

Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale con

Capannina” (Capo 3bis), Alberaccio (Capo 15bis), PREVAM

CAR 1 (Capo 16

bis) e Colle Canda (Capo 19 quinquies);
– avere omesso la bonifica dei siti Sasso di Castro (sito di deposito provvisorio di
limi di lavaggio inerti, capo 50) Fornace Focardi (capo 74), Cave Nord (apo UU),
Codigoro (capo SS), Giovi e Bomarzo (capo ZZ) queste ultime, tutte discariche
autorizzate a terzi e da loro gestite, ove sono stati smaltiti fanghi derivanti dagli
impianti di depurazione del Cavet;
– avere posto in essere un traffico illecito di rifiuti, sia in relazione alle discariche

di Sasso di Castro (capo 38A e 40);
– avere violato le prescrizioni impartite dalle competenti autorità per le discariche
di smarino (capo HH);
– avere posto in essere una illecita gestione di rifiuti, in relazione a tutte le
contestazioni avanzate (capo 95 bis).
Oggetto di impugnazione è, inoltre, l’ordinanza dibattimentale della stessa
1^ sezione della Corte d’appello di Firenze in data 3 marzo 2014, con la quale
sono state rigettate le eccezioni difensive in merito alla impossibilità per le parti
civili non ricorrenti per cassazione, di produrre conclusioni diverse ed ulteriori
rispetto alle argomentazioni del Pubblico Ministero e di avanzare nuove richieste
risarcitorie.
I motivi di ricorso sono i seguenti:
a. Carenze motivazionali relative a tutte le condanne per discarica abusiva.
b. Errata individuazione dei termini di prescrizione in relazione a tutte le condanne
per discarica abusiva
c.

Sulle singole condanne per discarica abusiva:

– Capo 14-bis – Le Sanguinaie; in particolare, omessa valutazione di fatti e atti
decisivi (dal decreto di dissequestro dell’area risulta che nel sito non è mai andato
smarino);
– Capo M – Ex Cava Marchesini; in particolare, omessa valutazione di fatti ed atti
decisivi (il sito risulta sequestrato nel 2001

ed i rifiuti rimossi nelle more del

sequestro);
– Capo 81 – Fonte alla Sella; omessa valutazione di fatti ed atti decisivi (il sito è
stato sequestrato nel 2003 e dissequestrato previa autorizzazione alla rimozione
dei rifiuti, poi intervenuta);
– Capi 3bis, 15bis, 16bis e 19quinquies – Carenze motivazionali ed errato calcolo
della decorrenza della prescrizione.
Per La Capannina, in particolare, errata valutazione di fatti ed atti decisivi (lo scavo
delle gallerie – e la conseguente discarica di smarino – sono cessati nel 2005 e
non nel 2006);
119

di smarino (capo 95) che alle discariche di fanghi (capo QQ) e alla discarica di limi

d. Carenze motivazionali e violazione di legge in relazione a tutte le condanne
per omessa bonifica

Sulle singole condanne per omessa bonifica:

Capo 52 – Le Sanguinale; omessa valutazione di fatti ed atti decisivi (in

particolare, in questo sito non è mai andato smarino);

Capo 50 – Sasso di Castro; in particolare, omessa valutazione di fatti ed atti

decisivi (dalla nota degli Enti preposti risulta che nel sito sono stati
temporaneamente detenuti limi di lavaggio in vasche di cemento, poi rimosse nel

contestata)
– Capo 74 – Fornace Focardi; in particolare omessa valutazione di fatti ed atti
decisivi (è stata rilasciata la certificazione liberatoria; il sito era comunque
autorizzato allo smaltimento dei fanghi come qualificati all’epoca del Ministero
dell’Ambiente);
– Capo SS – Gatti Codigoro; in particolare omessa valutazione di fatti e atti
decisivi (è stata rilasciata la certificazione liberatoria; la discarica era comunque
autorizzata al trattamento di inertizzazione dei fanghi, anche pericolosi);
– Capo ZZ – GIT Fontanelle Giovi ed Orso

Bomarzo; in particolare omessa

valutazione di fatti e atti decisivi (i rifiuti sono stati conferiti solo alla discarica di
Fontanelle, che era autorizzata a ricevere fanghi come qualificati all’epoca del
Ministero dell’Ambiente)
– Capo UU – Cave Nord; in particolare omessa valutazione di fatti e atti
decisivi (Cave Nord non è una discarica, ma un sito di trattamento per il recupero
di rifiuti da smaltire in altri siti; non sussiste alcuna analisi che dimostra
l’inquinamento del sito di trattamento);
e.

Carenze motivazionali e violazione di legge in relazione a tutte le condanne

per traffico illecito:
– Errata individuazione del momento di decorrenza della prescrizione per il reato
di traffico illecito (Capi 95, QQ, 38A-40A);
– Sul reato di violazione delle autorizzazioni (Capo HH);
– Sul reato di gestione illecita dei rifiuti (Capo 95bis);
– Sugli effetti della mancata impugnativa della prima sentenza di Corte di Appello
da parte delle parti civili (con richiesta di assegnazione del ricorso alle Sezioni
Unite e sospensione delle statuizioni civili)
– Sulla violazione del giudicato in relazione ai capi 95bis, HH, M, 14bis, 81,
UU, ZZ;
– Sulla individuazione della responsabilità dei singoli preposti CAVET
– Sulla erronea attribuzione della responsabilità per il reato di omessa bonifica
– Sulla violazione della esimente di cui all’art. 257 comma 4 d.lgs. 152/06′
120

SS,

2000; il sito è stato risistemato nel 2009 in base ad una autorizzazione mai

,

– Sulla violazione del principio ne bis in idem in relazione al proscioglimento per il
capo di imputazione 14 e condanna per il capo di imputazione 14bis;
– Sulla commistione ed errata applicazione dei reati di cui agli articoli 51 e 51bis
del d.lgs. 152/06
D) LE PARTI CIVILI:

• Regione Toscana e dei Comuni di Borgo San Lorenzo, Vaglia, Scarperia e San

del Mugello.
E’ stata depositata in data 2.11.2015 memoria difensiva nell’interesse delle
sopracitate parti civili costituite.
Con il primo motivo si insiste sull’ammissibilità delle richieste risarcitorie
nei confronti degli imputati e del responsabile civile CAVET avanzate in sede di
giudizio di rinvio dalle parti civili che non avevano impugnato la prima sentenza
della Corte di appello che aveva limitato la condanna degli imputati e del
responsabile civile CAVET al risarcimento dei danni solo con riferimento ai reati di
danneggiamento di cui al capo d’imputazione A), per i quali aveva disposto non
procedersi per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione maturata
successivamente alla sentenza di primo grado ( la Corte di Cassazione ha
confermato la declaratoria di prescrizione per tali reati e la condanna al
risarcimento dei danni, con la conseguente acquisizione di autorità di giudicato sul
punto, mentre ha annullato con rinvio i capi ed i punti della sentenza con
riferimento ai reati di omessa bonifica, di discarica abusiva e di attività organizzate
per il traffico illecito di rifiuti( veniva altresì confermata l’assoluzione per il capo B
con la formula perché il fatto non costituisce reato) ovvero per non aver commesso
il fatto con riferimento ai reati di danneggiamento delle acque.
Il giudice del rinvio con ordinanza del 3.3.2014 e la sentenza impugnata liquidava
i danni in via definitiva ed assegnava provvisionali alle parti civili non ricorrenti in
cassazione che avevano presentato nuove conclusioni con la richiesta del danno e
provvisionali in sede di giudizio di rinvio
Si contesta la conclusione dei ricorrenti secondo la quale si sarebbe
verificata nel giudizio di rinvio una preclusione nei confronti delle parti civili che
non avevano proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza oggetto di
annullamento parziale. Si sostiene l’insussistenza nel sistema penale di una
marcata autonomia tra l’azione penale e quella, richiamando oltre gli artt. 76,
comma 2 e 601, comma 4, anche gli art. 574, comma 4 e 587,comma 3.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 538, comma 1, c.p.p. in caso di
proscioglimento dell’imputato, la sentenza non contiene alcun capo relativo

121

i

Piero a Sieve, Firenzuola e Comunità Montana (ora Unione Montana) dei Comuni

all’azione civile, fatta eccezione per il caso previsto dall’art. 578, per cui non vi
sarebbe alcun capo della sentenza che dovrebbe avere efficacia di giudicato per la
parte La diversa conclusione contrasterebbe con l’art. 651 c.p.p secondo il quale
se l’imputato è condannato la sentenza ha efficacia di giudicato nel giudizio civile
di danno, e con l’art. 75, comma 3, c.p.p.. ( v. Sezioni unite 30327/2002).
Si afferma la legittimità della sentenza con riferimento ai reati di discarica
abusiva che la Corte territoriale in sede di rinvio ha ritenuto prescritti dopo la
sentenza di primo grado, rimarcando che lo smarino depositato era un rifiuto

gli idrocarburi superavano i limiti previsti.
Si evidenzia la logicità della motivazione in ordine ai principi fissati da
questa Corte sulla cessazione della permanenza del reato di discarica abusiva, che
presuppongono la cessazione dei conferimenti e l’ottenimento dell’Autorizzazione
da parte dell’Amministrazione competente.
Si chiede la conferma della sentenza anche con riferimento ai reati di
omessa bonifica, essendo stati svolti gli accertamenti in fatto demandati dalla
Corte di legittimità.
Nessuna manifesta contraddittorietà è rinvenibile in relazione al delitto di
traffico illecito di rifiuti e con riferimento al dolo giacché la sentenza aveva
motivato sulla insistenza e pervicacia degli imputati che avevano collaborato in
maniera sinergica al fine di realizzare il fine primario di realizzarla riduzione di
costi.
Quanto al profitto nessuna contraddittorietà è rinvenibile nella sentenza che
aveva sottolineato come l’impiego di procedure rispettose della legge avrebbe
notevolmente incrementato il livello delle passività, che, stante il tipo di contratto
chiavi in mano che CAVET doveva eseguire, avrebbe ridotto in modo drastico i
profitti.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

• L’Avvocatura Generale dello Stato per conto del Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare depositata il 9.10.2015.
E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse del Ministero
dell’Ambiente con cui si chiede il rigetto dei ricorsi formulando specifiche
controdeduzioni: 1. in merito alla decorrenza della prescrizione del reato di
discarica abusiva; 2. circa il reato di omessa bonifica.
In particolare, quanto al primo punto, richiamata tutta la normativa in
materia, si afferma che la stessa induca, incontrovertibilmente, a dover
considerare la gestione successiva alla chiusura della discarica, a tutti gli effetti,
come una fase della attività di gestione della stessa.

122

speciale, e che era stato accertato, con riferimento ai fanghi, che in numerosi casi

L’abusiva gestione, quindi, deve necessariamente ritenersi intesa con
riferimento non soltanto agli abusivi, illegittimi ed illeciti conferimenti di rifiuti, ma
anche alla mancata attivazione, necessaria ed obbligatoria, per legge e per
autorizzazione specifica, delle procedure di gestione post – operative. Dunque
corretta appare l’impostazione della Corte di Appello in tema di concorso nel reato
de -quo”. Non solo, ma viene rilevato correttamente che: “la normativa ambientale
indica quindi chiaramente quale sia la condotta di gestione di una discarica,
condotta comprensiva, per espressa disposizione normativa, anche delle fasi post-

in conformità con le prescrizioni della autorizzazione amministrativa e con i principi
generali ricavabili dalla normativa interna ed internazionale”.
Sul secondo punto si afferma che la sentenza di appello può essere condivisa
e considerata corretta, con riferimento alle argomentazioni relative al reato di
omessa bonifica e, in particolare, nella parte in cui affronta la problematica della
successione delle leggi nel tempo, riformando, sul punto, la sentenza di primo
grado. Segnatamente, laddove il giudice di appello – in applicazione del principio
del favor rei e dell’articolo 2, comma 4, del codice penale – ha ritenuto che la
normativa ambientale in materia di bonifiche, contenuta nel decreto legislativo 3
aprile 2006, n.152, debba trovare integrale applicazione alle fattispecie in esame,
sebbene perfezionatesi sotto la vigenza del decreto legislativo 5 febbraio 1997.
n.22. La Corte, sul punto, evidenzia di non comprendere “in base a quali principi,
essendosi l’inquinamento verificato prima del 2003, si dovrebbe,
nell’individuazione dei livelli di accettabilità, continuare a fare riferimento a quelli
stabiliti nelle tabelle allegate al D.M. n.471/99”. Sul punto, la tesi accolta dalla
Corte di appello viene ritenuta condivisibile.

• L’Associazione Idra.
Con memoria depositata il 2.11.2015, con la quale si chiede il rigetto tutti i
motivi di ricorso, ci si sofferma, in particolare a confutare l’affermazione dei
ricorrenti che, pur riconoscendo il principio si immanenza della parte civile,
specificano che la stessa, in difetto di impugnazione, non potrebbe avanzare una
ulteriore richiesta di risarcimento del danno.
Si evidenzia che, a supporto di queste considerazioni, i ricorrenti citano una
ormai superata sentenza delle Sezioni Unite, del 25 novembre 1998, Loparco, che
invero si occupa del caso in cui in giudizio di appello su ricorso del pubblico
ministero contro l’assoluzione dell’imputato, la parte civile non abbia appellato a
sua volta; e si richiama altresì una pronuncia della terza Sezione Penale di Codesta
Corte, la n. 20192 del 19 aprile 2006, che conferma il principio, specificando quali
poteri residuano alla parte civile in tali ipotesi.

123

cessazione dei conferimenti, e finalizzata alla restituzione del sito alla collettività

Omettono però i ricorrenti – si rileva- di citare una decisione delle Sezioni
Unite, n. 30327 del 10 luglio 2002, Guadalupi, che sancisce l’ammissibilità della
richiesta risarcitoria della parte civile non appellante, esplicitamente contestando
gli assunti della precedente pronuncia del 1998, che, peraltro, era già stata messa
in discussione da sentenze successive (Sez. 5, 10/3/1999, Maellare e Sez. 3,
10/6/2000, Mariotti).
La decisione delle Sezioni Unite del 2002 -si evidenzia- ribalta quanto
affermato precedentemente nella sentenza Loparco del 1998, citata dai ricorrenti,

sarebbe completamente autonoma rispetto all’azione penale.
Pertanto, sarebbe evidente come una sentenza successiva a Sezioni Unite, la
Guadalupi del 2002, abbia superato, argomentando diffusamente, l’impostazione
della pronuncia Loparco, anch’essa a Sezioni Unite, del 1998, con argomentazioni
logiche e sistematiche incontrastabili. La sentenza Guadalupí del 2002 è stata,
inoltre, seguita da numerose pronunce della Suprema Corte che ne accoglievano
il principio, tra le quali: n. 17836/2003, n. 22782/2003, n. 26841/2003, n.
45982/2003, n. 11468/2004, n. 835/2005, n. 23482/2009, n. 35482/2009, n.
16961/2010, n. 20652/2014, n. 12190/2015.
Più recentemente, si ricorda che la sentenza n. 20343 del 29 gennaio 2015,
ha puntualizzato che le sentenze difformi all’orientamento dettato dalla Guadalupi
si pongono “in inconsapevole contrasto con la pronuncia delle Sezioni Unite”.
Pertanto, non vi sarebbe il lamentato contrasto giurisprudenziale sul punto.

10. Successivamente ai singoli ricorsi, con note depositata in data 9.10.2015
a firma degli Avv. Antonio D’Avino, Paolo Dell’Anno, Giuseppe Giuffré, Filippo
Sgubbi, Alfonso Stile, Grazia Volo e Giuseppe Zanalda, difensori di Silva Carlo,
Cardu Umberto, Migliardi Carlo, Guagnozzi Giovanni, Miccoli Roberto, Castellani
Franco, Marcheselli Pietro Paolo, Frulloni Giulio, Longo Michele, Piscitelli Valerio,
Rubegni Alberto e del responsabile civile “Consorzio Cavet”, è stata sollecitata la
rirnessione del ricorso in via preliminare alle SS.UU, palesandosi contrasto di
giurisprudenza su uno dei punti di maggior rilievo della decisione, e cioè la
cessazione dell’antigiuridicità (e della permanenza) del reato di discarica abusiva
e, conseguentemente, della decorrenza del termine di prescri-zione di tale reato.
Gli avvocati sopraindicati hanno dedotto che l’impugnata sentenza 21/03/2014
resa dalla Corte d’Appello di Firenze, I Sezione penale, ha assunto – tra le altre
statuizioni – il principio di diritto per il quale la cessazione della antigiuridicità del
reato di discarica abusiva e la conseguente decorrenza della prescrizione, devono
essere ricondotta al termine di tutte le operazioni di gestione post operam,

124

che si basava sull’assunto per il quale l’azione civile esercitata nel processo penale

inclusive della operazioni di controllo, di rimozione dei rifiuti e dì ripristino
ambientale.
Con ordinanza resa all’udienza del 18 novembre 2015 questa Corte,
rilevato che con provvedimento del 9.10.2015 il Primo Presidente aveva rimesso
la valutazione della richiesta al Collegio, dinanzi al quale era incardinato il
procedimento, sentite le conclusioni del P.G., dr. Francesco Mauro Iacoviello, che
aveva chiesto rigettarsi l’istanza, sentiti i difensori della parti civili che si erano
associati alle conclusioni del P.G., nonché quelli degli imputati e del responsabile

richiesta, ritenendo che l’impugnata sentenza del 21.3.2014, resa dalla Corte
d’Appello di Firenze, che, come visto, aveva assunto – tra le altre statuizioni – il
principio di diritto per il quale la cessazione della antigiuridicità del reato di
discarica abusiva e la conseguente decorrenza della prescrizione, devono essere
ricondotte al termine di tutte le operazioni di gestione post operam, inclusive delle
operazioni di controllo, di rimozione dei rifiuti e di ripristino ambientale, non poteva
non attenersi, ex art. 627 co. III c.p.p., al principio di diritto indicatole dalla III
sezione penale, con la sentenza n. 32797 del 18/3/2013, Rubegni, Rv. 256664,
che a tale giudice aveva rimesso la decisione. E questa Corte di legittimità
nemmeno può sindacare quel principio di diritto ormai acquisito al processo.
Circa la permanenza del reato di discarica abusiva e, conseguentemente,
del dies a quo della prescrizione, si era ricordato che i difensori lamentavano
tuttavia che, successivamente alla sentenza 32797/2013, in seno alla medesima
III Sezione Penale di questa Corte fosse insorto un contrasto di giurisprudenza sul
medesimo argomento. In particolare, i difensori istanti avevano evidenziato che,
a fronte di una sentenza, la n. 45931 del 9/10/2014, Cifaldi, Rv. 260873, che
aveva ribadito il principio della sentenza Rubegni, ve ne fosse stata un’altra (la n.
38662 del 20/5/2014, Convertirlo, Rv. 260380), che si era andata a collocare in
assoluta discontinuità, tornando ad attribuire l’efficacia di consumazione del reato
di gestione dì discarica abusiva – e la cessazione dell’antigiuridicità – all’ultimo
conferimento abusivo dei rifiuti, o al rilascio dell’autorizzazione, o all’imposizione
del vincolo reale sul bene, oppure con l’emissione della sentenza di primo grado.
Ebbene, questa Corte di legittimità ha rilevato che l’istanza non potesse essere
accolta, in quanto la giurisprudenza di legittimità ha, condivisibilmente, precisato,
in più occasioni, che il giudice di rinvio, ove non prospetti una questione di
costituzionalità della norma applicata dalla Corte di Cassazione con la statuizione
del principio di diritto, nella interpretazione della stessa data, deve ad essa
conformarsi, senza che questo possa dare causa ad un vizio deducibile ex art. 606
c.p.p. o possa determinare, in sede di nuovo ricorso per cassazione, la rimessione

125

vv

civile che avevano insistito per la rimessione alle SSUU, aveva rigettato la

della vicenda alle Sezioni Unite (così Sez. 6, n. 4546 del 9/1/2009, Sassi, Rv.
242776).
Veniva ricordato anche che il principio è stato ribadito da altra successiva
pronuncia, secondo cui l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza
della Corte di Cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa
decisa è assoluto ed inderogabile anche quando, a seguito di tale decisione, sia
intervenuto un mutamento di giurisprudenza (Sez. 1, n. 4049 del 10/4/2012 dep.
2013, Licata ed altri, Rv. 254217, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non doversi

indispensabilità del dolo intenzionale nel delitto di crollo di costruzioni ex art. 434
cod. pen., in presenza di una sentenza di annullamento che aveva rinviato al
giudice di merito per accertare l’esistenza del dolo, quantomeno nella sua forma
eventuale). E come ancora, più recentemente, fosse stato ribadito che l’obbligo
del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di Cassazione per
quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa è assoluto e inderogabile
anche quando, a seguito di tale decisione, sia intervenuto un mutamento di
giurisprudenza, fatta salva la diversa ipotesi in cui, nelle more, sia sopravvenuta
una sentenza della Corte di Giustizia europea che abbia dichiarato l’incompatibilità
con il diritto comunitario della norma nazionale da cui dipenda l’applicazione della
norma incriminatrice (Sez. 5, n. 41334 del 19/9/2013, P.G. in Proc. Cacciatore,
Rv. 257945).
Altro caso in cui l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza
della Corte di Cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa
decisa è stato ritenuto non operante -veniva ancora ricordato nell’ordinanza di
questa Corte del 18.11.2015- è quello in cui, nelle more, sia stata dichiarata
costituzionalmente illegittima, con efficacia “ex tunc”, la normativa sulla cui base
il principio di diritto era stato affermato, dovendo il giudice del rinvio riconsiderare
la questione alla luce della reviviscenza del previgente trattamento sanzionatorio
(così Sez. 3, n. 12532 del 29/1/2015, Castelletti ed altro, Rv. 263001, fattispecie
relativa ad annullamento per omessa rivalutazione, da parte del giudice del rinvio,
della configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità di stupefacente di cui
all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, in conseguenza della sentenza
della Corte costituzionale n. 32 del 2014).
Questa Corte ha dunque ribadito, nell’occasione, che il principio, che
costituisce un cardine del nostro ordinamento processuale, della totale
impermeabilità, in sede di giudizio di rinvio, del vincolo decisorio derivante dal
principio di diritto contenuto nella sentenza di annullamento rispetto ad un
eventuale overruling registratosi, sulla medesima quaestio iuris, in seno alla
giurisprudenza di legittimità, rimane dunque assolutamente saldo. Le uniche

126

tener conto del mutamento dell’orientamento giurisprudenziale sulla

eccezioni, come visto, attengono esclusivamente ai casi in cui sia sopravenuta una
declaratoria di incostituzionalità oppure una sentenza della Corte di Giustizia
europea che abbia dichiarato l’incompatibilità con il diritto comunitario della norma
nazionale da cui dipenda l’applicazione della norma incriminatrice.
Si era aggiunto non essere questo, tuttavia il caso che ci occupa, in cui,
come visto, i difensori denunciavano proprio che, successivamente alla sentenza
32797/2013 della Terza Sezione Penale di questa Corte, vi sia stata una pronuncia
della medesima sezione che affermava un principio contrario.

quell’ordinanza, è allora quello fissato dalla Corte di Cassazione Sez. 3 con la
sentenza 32797/2013 e da quello non ci si può discostare.
Quanto agli altri motivi di cui all’istanza difensiva, la Corte riteneva che gli
stessi potessero formare oggetto di valutazione in sede di decisione sui proposti
ricorsi, non ritenendo il Collegio che gli stessi prospettassero contrasti in atto
ovvero aspetti interpretativi tali da giustificare la rimessione alle SS.UU..
Affrontata e decisa la questione circa l’eventuale rimessione del
procedimento alle Sezioni Unite, la Corte, tenuto conto della particolare
complessità del procedimento, per il numero delle parti interessate e per la
rilevanza delle questioni connesse alla natura dei reati contestati e rilevata,
conseguentemente, la impossibilità di esaurire la discussione dei ricorsi oggetto
del procedimento in un’unica udienza, disponeva che lo stesso procedesse secondo
un calendario concordato con le parti.
Pertanto, alla successiva udienza del 18.3.2016 -depositate nell’interesse
di numerosi ricorrenti note di sintesi dei motivi di ricorso- si procedeva alle
relazioni introduttive e veniva operata la requisitoria del P.G.
Nell’occasione rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe anche le
parti civili riportate in epigrafe.
All’udienza del 14.4.2016 concludevano i difensori delle restanti parti civili,
quello del responsabile civile e i difensori degli imputati indicati in epigrafe.
All’udienza del 21.4.2016 concludeva il difensore indicato in epigrafe,
quindi la Corte si ritirava in camera di consiglio per deliberare, dando lettura in
pubblica udienza del dispositivo della decisione con motivazione riservata nel
termine di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va in primo luogo rilevato che, anche prendendo come riferimento la data
della sentenza di primo grado (3 marzo 2009) e la sospensione dei termini massimi
di prescrizione nella misura di mesi uno e giorni tre (vedi la sentenza impugnata

127

Il principio giuridico, per il giudice del rinvio, è stato chiarito con

a pag. 146), il termine di prescrizione delle contravvenzioni (in materia di rifiuti e
di omessa bonifica) è comunque maturato al 6 aprile 2014.
Le questioni poste dai ricorrenti – formulate con doglianze prive di
connotazioni di inammissibilità- vanno comunque esaminate ai fini della eventuale
conferma delle statuizioni civili.
A tal fine, rileva, perciò, la questione — posta da diversi ricorsi — della
individuazione della data di prescrizione dei reati, in quanto, qualora si accerti che
la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, dovranno

15245/2015).
Per quanto riguarda il termine di prescrizione, va precisato che in tema di
contravvenzioni, la nuova disciplina della prescrizione introdotta dalla L. 5
dicembre 2005, n. 251 non trova applicazione ai procedimenti o ai processi in
corso relativi ai reati contravvenzionali, in quanto, per i predetti reati, i termini di
prescrizione previsti dalla nuova disciplina sono sempre maggiori rispetto a quella
previgente, sia per la prescrizione ordinaria che per quella massima (Sez. 3, n.
37271/2008).
Pertanto, per le contravvenzioni di cui sia stata accertata la consumazione
prima dell’8 dicembre 2005, data di entrata in vigore della legge 5 dicembre 2005,
n. 251, il termine massimo di prescrizione è quello più breve di anni 4 e mesi sei
previsto dalla disciplina previgente, oltre il sopra citato periodo di sospensione pari
a mesi uno e giorni tre.

2. La complessità della vicenda in esame richiede, ad avviso del Collegio,
innanzitutto di precisare qual è il perimetro dell’odierna decisione.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 27/6/2011 ebbe a
proporre ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello
di Firenze, impugnando l’assoluzione degli imputati di cui ai capi 3, 5, 6 8, 9, e la
pronuncia di non doversi procedere di cui al capo 11.
Le parti civili non proposero ricorso per cassazione (si dirà poi in seguito della
legittimità non solo della loro presenza nel processo, ma anche della possibilità
che si ritiene abbiano di presentare nuove conclusioni).
La Terza Sezione Penale di questa Corte di Cassazione, con la sopra ricordata
sentenza 32797/2013, ha annullato la pronuncia della Corte fiorentina del 2011
con rinvio:
1. in riferimento al punto 3 del dispositivo, concernente i reati di omessa
bonifica (dai quali gli imputati erano stati assolti con la formula perché i fatti non
sussistono), con esclusione dei capi contestati ai capi 40, 45, 46, 47, 48,49 e 77
bis del dispositivo;
128

contestualmente in ogni caso revocarsi le statuizioni civili (ex multis, Sez. 3, n.

2. in riferimento al punto 5 del dispositivo, concernente i reati di gestione di
discarica abusiva, con esclusione della posizione Rubegni, per i quali, in riforma
della sentenza di primo grado, era stata pronunciata sentenza di non doversi
procedere per essere i reati estinti per prescrizione prima della sentenza di primo
grado;
3. in riferimento ai punti 6 e 8 del dispositivo, con esclusione del reato
contestato al capo 39A, passato così in giudicato, afferenti al traffico organizzato
di rifiuti (in particolare i reati di cui ai capi 95 e QQ, capo 6), dai quali gli imputati

cui al capo 38A, in esso assorbito quello di cui al capo 40A, dichiarati estinti dalla
Corte di Appello per prescrizione (capo 8).
La Terza Sezione ha rigettato nel resto con riferimento ai punti dei suddetti
dispositivi nonché i ricorsi relativi ai restanti punti.
Il Collegio ritiene che, nell’individuazione del corretto

decisum

della

precedente pronuncia di legittimità vada fatta applicazione dei seguenti criteri:

1.

Mutua integrazione tra motivazione e dispositivo, secondo il principio già
condivisibilmente affermato che in tema di annullamento con rinvio, il dispositivo
non può essere letto ed interpretato disgiuntamente dalla motivazione, che
rappresenta un imprescindibile elemento di integrazione, concorrendo ad illustrare
e chiarire i termini del devolutum e a specificare i capi ed i punti della sentenza su
cui si è formato il giudicato (così Sez. F, n. 45002/2012); 2. individuazione del
c.d. giudicato implicito, in applicazione del principio che l’efficacia vincolante del
“decisum” si estende oltreché ai fatti di cui è stata specificatamente accertata la
presenza o la mancanza, anche a quegli altri fatti la cui esistenza o inesistenza
funge da postulato “necessario” rispetto alle conclusioni in esso recepite. La
preclusione del giudicato, in sostanza, investe tutta quella parte che, pur non
avendo formato materia di espressa pronuncia del giudice, tuttavia con l’adottata
decisione è intimamente collegata (cfr. sul punto Sez. 3, Ordinanza n 3036/1996).

3. Fatta tale premessa metodologica, va subito detto che il Collegio ritiene
che siano inammissibili le rinnovate censure (motivo 16 del ricorso Guagnozzi e
motivo 2 del ricorso Silva, pag. 23) all’ordinanza del 12 dicembre 2006 del
Tribunale di rigetto delle eccezioni di nullità delle nuove contestazioni per
violazione degli artt. 517 e 518 c.p.p.
Si tratta di una questione di carattere non personale e che, quindi, sarebbe
suscettibile di giovare, se fondata, agli altri ricorrenti.
I motivi sono inammissibili, in quanto, secondo l’art. 627, comma 4, c.p.p.,
nel giudizio di rinvio non possono essere dedotte né rilevate cause di nullità,
inammissibilità o inutilizzabilità concernenti atti formati nelle fasi anteriori del
129

erano stati assolti con la formula perché il fatto non costituisce reato, e, il reato di

procedimento, atteso che la sentenza della Corte di cassazione, da cui origina il
giudizio stesso, determina una preclusione con riguardo a tutte le questioni non
attinte dalla decisione di annullamento, di talché, nell’ipotesi in cu il processo torni
nuovamente al vaglio della Corte di cassazione, le preclusioni prodotte dalla
precedente sentenza di annullamento comportano la limitazione del sindacato di
legittimità alle questioni di rito attinenti alle attività processuali compiute nel
giudizio di rinvio (così questa Sez. 4, n. 20044 del 17/3/2015, S. ed altri, Rv,
263865).

quale ci si duole che i reati di gestione di discarica abusiva di cui ai capi 95 bis,
M, HH, 14 bis, 81, 55, UU e ZZ fossero già coperti dal giudicato a seguito della
sentenza di annullamento.
Il motivo de quo è parzialmente fondato.
Come sopra ricordato, la sentenza rescindente ha annullato con rinvio in
riferimento al punto 5 del dispositivo, concernente i reati di gestione di discarica
abusiva – con esclusione della posizione di Rubegni per il quale poi si dirà
specificamente- per i quali, in riforma della sentenza di primo grado, era stata
pronunciata sentenza di non doversi procedere per essere i reati estinti per
prescrizione prima della sentenza di primo grado, rigettando nel resto i ricorsi
presentati con riferimento ai punti dei dispositivi suddetti.
La III Sezione penale di questa Corte, nell’affrontare la questione relativa alla
permanenza del reato di gestione di discarica abusiva, ha affermato che la gestione
organizzata di rifiuti non si esaurisce nella fase di raccolta, movimentazione e
deposito, ma comprende anche le attività dì controllo successive e necessarie per
evitare pericoli ed offese ai beni protetti: di qui la necessità di individuare l’epoca
di cessazione della permanenza del reato di discarica abusiva.
Deve, pertanto, ritenersi che oggetto del devolutum era l’esame delle vicende
relative ai vari siti interessati con l’applicazione dei principi affermati dalla
sentenza rescindente ai fini della individuazione dei soggetti responsabili.
Sono pertanto inammissibili i motivi che continuano a porre questioni relative
al principio di diritto affermato dalla sentenza di annullamento sulla permanenza
dei reati di discarica abusiva e sulla configurabilità in concreto di tali reati.
Sul punto, già con la rigettata richiesta di rinnessione alle SSUU i difensori
avevano affermato che, dopo la sentenza 32797/2013, in seno alla medesima III
Sezione Penale di questa Corte sarebbe insorto un contrasto di giurisprudenza sul
medesimo argomento. In particolare, si era posto l’accento sul fatto che, a fronte
di una sentenza (la n. n. 45931 del 9/10/2014, Cifaldi, Rv. 260873, che ha ribadito
il principio della sentenza Rubegni, ve ne sia stata un’altra, la n. 38662 del
20/5/2014, Convertino, Rv. 260380), che si colloca in assoluta discontinuità,

130

vi

Va quindi esaminato il motivo di ricorso, comune ai dirigenti CAVET, con il

tornando ad attribuire l’efficacia di consumazione del reato di gestione dì discarica
abusiva – e la cessazione dell’antigiuridicità – o con l’ultimo conferimento abusivo
dei rifiuti, o con il rilascio dell’autorizzazione, o con l’imposizione del vincolo reale
sul bene, oppure con l’emissione della sentenza di primo grado.
Questa Corte, tuttavia, come rilevato in premessa, ha ribadito con la propria
ordinanza del 18.11.2015 che il giudice di rinvio, ove non prospetti una questione
di costituzionalità della norma applicata dalla Corte di Cassazione con la
statuizione del principio di diritto, nella interpretazione della stessa data, deve ad

art. 606 c.p.p. o possa determinare, in sede di nuovo ricorso per cassazione, la
rimessione della vicenda alle Sezioni Unite (così Sez. 6, n. 4546 del 9/1/2009,
Sassi, Rv. 242776).
Non era possibile, pertanto, quand’anche ci fosse stato, tenere conto di un
successivo contrasto di giurisprudenza.
Va aggiunto, peraltro, che la sentenza 38662/2014 appare essere rimasta una
pronuncia isolata, laddove, oltre alla richiamata sentenza 45931/2014, la più
recente sentenza 12970 del 5.3.2015, Milesi ed altri, non mass. della III Sezione
ha ribadito l’indirizzo già affermato dalla sentenza

Rubegni e necessariamente

fatto proprio dal giudice del rinvio, confutando anche gli indirizzi dottrinali di segno
opposto,
Ne consegue che l’annullamento con rinvio riguarda anche le discariche
relative ai fanghi di cui ai capi 14bis ed 81; mentre non ha per oggetto i reati
diversi da quelli di gestione di discarica abusiva: 95bis (gestione abusiva di rifiuti
nell’ambito di cantieri), HH (omesse comunicazioni prescritte dalle autorizzazioni
provinciali numero 2668, 2291 e 2275 del 2001) per i quali sono stati condannati
SILVA, CASTELLANI e MARCHESELLI e, solo per il capo 95 bis, GERI e TRIPPI).
Sui capi 95bis ed HH si è pertanto formato il giudicato sul capo della
sentenza di appello che ne aveva dichiarato l’estinzione per prescrizione con la
conseguente improcedibilità ex art. 649 c.p.p.
Assorbiti i motivi che censurano nel merito l’affermazione di responsabilità
per i predetti reati 95bis ed HH, la sentenza impugnata va, dunque, annullata
senza rinvio limitatamente ai capi 95bis ed HH perché l’azione penale non poteva
essere proseguita ex art. 649 c.p.p., con revoca delle statuizioni civili.

4. Per quanto riguarda la particolare (e specifica) posizione del ricorrente
Rubegni, va rilevato che il ricorso si palesa fondato.
Il Rubegni, con un unico articolato motivo, censura la sentenza per averlo
ritenuto responsabile dei reati di omessa bonifica nonostante la sentenza di
annullamento avesse confermato la sentenza di appello che aveva dichiarato non

131

essa conformarsi, senza che questo possa dare causa ad un vizio deducibile ex

doversi procedere per fatti commessi anteriormente al 28 settembre 2001 e lo
aveva assolto per non aver commesso il fatto dalle condotte successive a tale data.
Si è detto in premessa, peraltro, della iniziale mancata citazione del Rubegni
per il giudizio di appello.
Ebbene, una lettura di quanto la sentenza di annullamento a pagina 102
afferma consente di ritenere fondata l’odierna doglianza.
Vi si legge: “a. La posizione Rubegni (punti 2 e 6 del dispositivo). Il Pubblico
ministero ha censurato la decisione della Corte di appello nella parte in cui dichiara

anteriormente al 28/9/2001 e lo manda assolto dalle condotte successive a tale
data “per non avere commesso il fatto”. In particolare, lamenta il ricorrente che la
Corte di appello abbia errato nel far discendere dal mutamento della carica
societaria, e dei relativi compiti, il venire meno del legame fra l’imputato e le
condotte illecite poste in essere nell’interesse del consorzio. Il nuovo incarico di
vertice del Consiglio dei rappresentanti avrebbe posto il ricorrente, che come
amministratore aveva contribuito alla realizzazione degli illeciti, nelle condizioni di
conservare poteri decisionali ai quali non era corrisposta alcuna azione positiva
per il ritorno alla legalità.
Come osservato dalla difesa nella memoria in data 1/2/2013, le
argomentazioni del Pubblico ministero non consentono affatto di ritenere provato
che il Consiglio dei rappresentanti presso il Consorzio avesse competenze
gestionali oppure compiti delegabíli; inoltre, non è ammissibile che, a fronte di
imputazioni concernenti condotte attive o responsabilità di diretta garanzia, il
ricorso del Procuratore generate censuri la sentenza della Corte di appello
introducendo responsabilità diverse, di natura omissiva (pag. 198 del ricorso), che
non sono ricomprese nei capi d’imputazione. La Corte deve così concludere che il
ricorso non individua profili di incoerenza motivazionale o di errata applicazione
della legge meritevoli di accoglimento”.
Del resto, il punto 2 del dispositivo della sentenza di appello (non annullato
dalla Cassazione) assolveva Rubegni “da tutti i reati ascrittigli commessi dal
28/9/2001 in poi, nella sua qualità di Presidente del consorzio CAVEr .

Ed

eloquente appare anche la considerazione, ai fini del corretto inquadramento del
decisum, che la Terza Sezione di questa Corte di legittimità escludeva il Rubegni
dal novero degli imputati condannati, in solido con il responsabile civile, alla
rifusione delle spese sostenute nel grado in favore delle parti civili.
Conclusivamente, non formavano oggetto di annullamento — e dunque di
rinvio per nuovo esame delle relative questioni – né il punto 2 del dispositivo della
Corte di Appello (assoluzione del Rubegni da tutti i reati contestati dal 28.09.2001
in poi per non aver commesso i fatti), né il punto 5 del dispositivo della Corte di

132

non doversi procedere nei confronti del sig. Rubegni in ordine ai fatti commessi

Appello, relativamente alla posizione Rubegni (declaratoria di prescrizione,
intervenuta prima della sentenza di primo grado, in relazione a tutti i reati
contestati dal 12.01.1998 al 28.09.2001).
Pertanto, del tutto irrilevante deve ritenersi l’annullamento sia del punto 3,
sia del punto 6 del dispositivo di appello, atteso che la posizione del Rubegni
sarebbe stata comunque definita — per tutti i reati e per tutto l’arco temporale in
contestazione — dalla combinata lettura dei punti 2 e 5 del dispositivo, confermati
da questa Suprema Corte

confronti di Rubegni Alberto, in relazione ai reati di omessa bonifica di cui ai capi
50, 52, 74, SS, UU e ZZ, perché l’azione penale non poteva essere proseguita per
essersi formato il giudicato sulla estinzione per prescrizione in ordine ai fatti
commessi anteriormente al 28/09/2001 e sulla assoluzione per non aver
commesso il fatto in ordine alle condotte successive a tale data.

5. Nell’affrontare le questioni relative ai reati di gestione di discarica senza
autorizzazione

va innanzitutto rilevato in via preliminare che tutte le

contravvenzioni in materia vanno dichiarate estinte per prescrizione.
Anche prendendo come data di riferimento la data della sentenza di primo
grado (3 marzo 2009) e la sospensione dei termini massimi di prescrizione nella
misura di mesi uno e giorni tre (v. sentenza pag. 146) il termine di prescrizione è
comunque maturato al 6 aprile 2014.
I motivi di ricorso vanno, pertanto, affrontati secondo le linee da tempo
chiarite dalle Sezioni Unite di questa Corte, con un condivisibile dictum, secondo
cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di
legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del
rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria
della causa estintiva (così Sez. Un. n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv.
244275, nella cui motivazione si è precisato che detto principio trova applicazione
anche in presenza di una nullità di ordine generale; conf. Sez. 6, n. 10074 del
8/2/2005, Algieri, Rv. 231154; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003 dep. il 2004,
Balsano ed altri, Rv. 227098).
Ancora, di recente, si è ritenuto che in sede di legittimità non è consentito il
controllo della motivazione della sentenza impugnata allorché sussista una causa
estintiva del reato, e ciò sia quando detta causa sia sopraggiunta nelle more del
giudizio in Cassazione, sia quando sia stata dichiarata con lo stesso provvedimento
nei cui confronti è proposta l’impugnazione (così Sez. 4, n. 40952 del 17/9/2015,
Marcucci ed altri, non mass. conf. Sez. 5, n. 588 del 4/10/2013 dep. il 2014,

133

Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei

Zambonini, Rv. 258670; Sez. 3, n. 23260 del 29/4/2015, Gori ed altro, Rv.
263668).
Va peraltro ricordato che le Sezioni Unite, nella ricordata sentenza
35490/2009, Tettamanti, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale,
hanno tra l’altro affermato che la pronuncia assolutoria a norma dell’articolo 129
c.p.p., comma 2, è consentita al giudice solo quando emergano dagli atti, in modo
assolutamente non contestabile, delle circostanze idonee ad escludere l’esistenza
del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato o la sua rilevanza

sia incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
Si è precisato, in quella pronuncia, che il controllo demandato al giudice deve
appartenere più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che
a quello di “apprezzamento”.
Nel solco della richiamata sentenza Tettamanti può pertanto affermarsi che
l'”evidenza” richiesta dal menzionato articolo 129 c.p.p., comma 2, presuppone la
manifestazione di una verità processuale talmente chiara ed obiettiva da rendere
superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato,
concretizzandosi pertanto un quid pluris rispetto a quanto la legge richiede per
l’assoluzione ampia.
Ancora, è stato condivisibilmente affermato che la formula di proscioglimento
nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta
prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva,
l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la
prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà
o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte
risultanze (così questa Sez. 4, n. 23680 del 7/5/2013, Rizzo ed altro, Rv. 256202;
conf. Sez. 6, n. 10284 del 22/1/2014, Culicchia, Rv.259445).

6. Ciò premesso, si osserva che il giudice del rinvio, partendo dalla premessa
che la sentenza di annullamento aveva individuato nell’avvio delle procedure
di bonifica

uno dei momenti significativi al fine di ritenere superata la

permanenza del reato di gestione abusiva di discarica, ha in via preliminare
affermato che il tema della prescrizione dei reati di cui all’art. 51 d.lgs. 22/1997
(ora 256 d.lgs. 152/2006) risulta in particolare collegato a quello della sussistenza
delle contravvenzioni di omessa bonifica.
In questa prospettiva è stato ritenuto che, con riferimento alla fase di avvio,
dovesse escludersi la rilevanza a tal fine del rilascio della liberatoria, mentre il
riferimento all’avvio della procedura ineriva alla fase iniziale della medesima come
descritta dall’art. 17 d.lgs. n. 22/1997: la presentazione del progetto di bonifica

134

penale, in modo tale che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo

dell’area inquinata, ed il provvedimento di approvazione ed autorizzazione da
parte dell’Ente pubblico preposto.
Alla luce del D.M. n. 471/1999 attuativo della richiamata disposizione
legislativa, è stata evidenziata – quale primo momento di avvio della procedura la presentazione del Piano di Caratterizzazione (art. 10 c. 3), che necessita di
approvazione dell’Ente pubblico (art. 10 c. 4) e che viene quindi seguito dalla
predisposizione dapprima del progetto preliminare di bonifica (art. 10 c. 5) e quindi
del progetto definitivo, entrambi a loro volta soggetti ad approvazione.

di annullamento aveva ricondotto la cessazione della permanenza del reato di cui
all’art. 51 d.lgs. 221/1997, la Corte territoriale ha ritenuto indispensabile il
pronunciamento positivo dell’Autorità amministrativa.
Ciò in quanto il sistema regolatore della gestione dei rifiuti è imperniato sulla
previa esistenza di un formale provvedimento dell’organo di controllo, ove la
procedura semplificata prevista dagli artt. 31 e ss. d.lgs. 22/1997 (e quindi 214 e
ss. d.lgs.152/2006) costituisce all’evidenza un’eccezione (dunque di stretta
applicazione in ogni sua parte) e certamente non si applica alle discariche (v. art.
32 c. 6 d.lgs. 22/1997 e 215 c. 6 d.lgs. 152/2006).
Se, dunque, si è di fronte a gestioni di discariche totalmente abusive o perché
mai autorizzate quali siti destinati a riceverne, o perché di fatto utilizzate per
depositare rifiuti in tutto o in larga parte diversi da quelli autorizzati e dunque per
ciò stesso illegali (come nel caso delle discariche per inerti trasformate in
ricettacolo definitivo per rifiuti speciali anche pericolosi, smarino e fanghi),
necessita inevitabilmente, per rimanere coerentemente all’interno del sistema
legale, un pronunciamento positivo dell’Autorità preposta che attesti formalmente
il concreto superamento della condizione di antigiuridicità rilevata dalla
Cassazione.
Seguendo questo percorso logico la Corte territoriale ha ritenuto che, nei casi
in cui era stata avviata la procedura di bonifica, l’antigiuridicità della pregressa
gestione abusiva delle discariche poteva considerarsi venuta meno al momento in
cui era stato approvato ed autorizzato o il Piano di Caratterizzazione presentato ai
sensi del combinato disposto dell’art. 17 c. 2 lett. c) d.lgs. n. 22/1997 e 10 D.M.
n. 471/1999, oppure il Piano di Caratterizzazione previsto dall’art. 242 c. 3 d.lgs.
152/2006.
Sempre seguendo tale linea argomentativa, i giudici del gravame del merito
hanno rilevato che in alcuni dei casi oggetto di esame, l’avvio della procedura di
bonifica aveva preceduto la cessazione dei conferimenti.
In queste situazioni, ai fini della individuazione del momento di interruzione
della permanenza, il giudice del rinvio, ha ritenuto che la cessazione della

135

Al fine di ritenere inverato quel superamento dell’antigiuridicità cui la sentenza

situazione di antigiuridicità richiedeva oltre l’avvio della procedura di bonifica, la
cessazione dei conferimenti, indipendentemente dal loro reciproco posizionarsi sul
piano temporale; e di tale momento si dovrà tenere conto per fissare il termine
iniziale della prescrizione.
Analizzando parallelamente i reati di omessa bonifica e di gestione abusiva di
discarica contestati con riferimento al medesimo sito, il giudice del rinvio ha
ritenuto, con riferimento ai reati di gestione abusiva di discarica, che la
permanenza fosse stata interrotta dalla sentenza di primo grado (capo 14 bis, 81,

Marcheselli e Semeraro nei termini indicati in dispositivo, ed alla dichiarazione di
estinzione per prescrizione (con riferimento ai capi 14 bis, 81, M) dopo la sentenza
di primo grado per Guagnozzi e prima della sentenza di primo grado (con
riferimento ai capi TT e VV) per SILVA, GUAGNOZZI, CASTELLANI e MARCHESELLI,
POLIDORI, GERI, TRIPPI e GIORA.
Il giudice del rinvio ha poi rilevato, con riferimento ai reati di cui ai capi 3bis,15
bis,16 bis, 19 quinquies capo RR, che la prescrizione era maturata dopo la
sentenza di primo grado ed ha dichiarato non doversi procedere per tale motivo a
carico di SILVA, GUAGNOZZI, CASTELLANI e MARCHESELLI (con riferimento ai
primi quattro reati), a carico di GERI (per il capo 16bis) e a carico di GATTI (per
il reato di cui al capo RR).
Con riferimento al capo RR, tenendo evidentemente riferimento all’epoca dei
conferimenti nella discarica gestita da GATTI) è stata dichiara l’estinzione per
prescrizione intervenuta prima della sentenza di primo grado nei confronti di
SILVA, GUAGNOZZI, CASTELLANI, MARCHESELLI, POLIDORI,GERI,TRIPPI e
GIORA.

7. La prima censura da affrontare (vedasi i ricorsi CAVET, MARCHESELLI e
GUAGNOZZI) è quella incentrata sul punto della decisione secondo la quale non è
sufficiente un qualsiasi progetto o piano avanzato dall’inquinatore ma occorre
anche che siano cessati i conferimenti.
Si sostiene sul punto che la Corte di legittimità, in sede di annullamento, abbia
identificato la cessazione della situazione di antigiuridicità con l’avvio della
procedura di rimozione dei rifiuti. Si deduce che non è stata presa in
considerazione, come elemento sintomatico dell’avvio delle procedure di bonifica
la presentazione e/o approvazione del piano di caratterizzazione ai fini della
bonifica del sito (evidentemente è motivo del Consorzio con riferimento al capo 15
bis, 3 bis 16 bis e 19 quinquies).
In particolare quanto al reato di cui all’articolo 15bis, si deduce che il
Consorzio ha presentato il piano di caratterizzazione per il sito in data 8 marzo

136

M, VV, TT ), arrivando alla pronuncia di condanna a carico di Silva, Castellani,

2004, mentre la sentenza della Corte di Appello, ai fini della individuazione della
data di cessazione della situazione di antigiuridicità, ha fatto riferimento alla data
di approvazione del piano di caratterizzazione in data 14 settembre 2005. Qualora,
invece, avesse fatto riferimento alla data di presentazione, il reato si sarebbe
prescritto prima della sentenza di primo grado.
Per quanto invece riguarda i reati di cui ai capi 3bis, 16-bis e 19quinquies la
sentenza si basa sulla data di cessazione dei conferimenti, nonostante i piani di
caratterizzazione risultassero non soltanto inviati, ma anche approvati dall’anno

sarebbe dovuto ritenere prescritto prima della sentenza di primo grado. Inoltre,
per quanto riguarda la discarica di cui al capo 3-bis, risultava dagli atti che i
conferimenti erano cessati prima della data individuata dal Tribunale e
precisamente in data 16 luglio 2005, anziché il 19 settembre 2006.
Le censure sono infondate, in ciò condividendosi le conclusioni, sul punto, del
Procuratore Generale.
La presentazione ed anche l’approvazione del piano di caratterizzazione, nella
disciplina del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, applicabile “ratione temporis”, non
costituiscono infatti attività univocamente ed irreversibilmente volte a rimuovere
la situazione di antigiuridicità legata al deposito/discarica di rifiuti, ma mere
attività ricognitive dei livelli di contaminazione.
L’art. 10 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (Approvazione del progetto e
autorizzazione degli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in
sicurezza permanente) prevede:
1. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 13, gli interventi di bonifica e
ripristino ambientale e di messa in sicurezza permanente di cui agli articoli 4, 5 e
6 sono effettuati sulla base di apposita progettazione, da redigere sulla base dei
criteri generali e linee guida previsti nell’Allegato 4, che si articola nei seguenti tre
livelli di approfondimenti tecnici progressivi: Piano della caratterizzazione,
Progetto preliminare e Progetto definitivo. I criteri generali stabiliti nell’Allegato 4

2002, con la conseguenza che, facendo riferimento a tale momento, il reato si

si applicano fino alla determinazione delle linee guida e dei criteri da parte della
regione.
2. Entro trenta giorni dall’evento che ha determinato il superamento dei valori
di concentrazione limite accettabili o dalla individuazione della situazione di
pericolo concreto e attuale di superamento dei valori di concentrazione limite
accettabili o dalla notifica dell’ordinanza di cui all’articolo 8 o, fatto salvo quanto
disposto dall’articolo 9, comma 3, dalla comunicazione effettuata dall’interessato
o, qualora necessario, dalla conclusione degli interventi di cui all’articolo 1, commi
1, 2 e 3, deve essere presentato al Comune e alla Regione il Piano della
caratterizzazione predisposto secondo i criteri definiti nell’Allegato 4.
137

w4

3. Il progetto definitivo deve essere presentato al Comune e alla Regione
entro e non oltre un anno dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Il Comune
o, se l’intervento riguarda un’area compresa nel territorio di più comuni, la
Regione, approva il progetto definitivo entro novanta giorni dalla presentazione,
sentita una Conferenza di servizi convocata ai sensi dell’articolo 14 della legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modifiche ed integrazioni, alla quale sono
chiamati a partecipare gli enti locali interessati, l’ARPA competente per territorio
e tutte le altre amministrazioni competenti per le autorizzazioni, le concessioni, i

10. Se il progetto prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di
valutazione di impatto ambientale ai sensi della normativa vigente, l’approvazione
del progetto medesimo è subordinato alla acquisizione della relativa pronuncia di
compatibilità da parte della Amministrazione competente. In tali casi i termini
previsti dal presente decreto sono sospesi sino alla conclusione della procedura di
valutazione di impatto ambientale.
4. Il Comune o, se l’intervento riguarda un’area compresa nel territorio di più
comuni, la Regione, sentita la Conferenza di servizi, approva il piano della
caratterizzazione e ne autorizza l’esecuzione, eventualmente richiedendo
integrazioni e imponendo specifiche prescrizioni.
5. Sulla base de/risultati dell’esecuzione del Piano della caratterizzazione deve
essere predisposto e trasmesso al Comune e alla Regione il progetto preliminare
redatto secondo le modalità definite nell’Allegato 4. Il Comune o, se l’intervento
riguarda un’area compresa nel territorio di più comuni, la Regione, sentita la
Conferenza di servizi, approva il progetto preliminare, con la perimetrazione
definitiva dell’area influenzata dalla fonte inquinante eventualmente richiedendo
integrazioni e imponendo specifiche prescrizioni.
6. Sulla base del progetto preliminare è predisposto il progetto definitivo di
bonifica e ripristino ambientale o di bonifica e ripristino ambientale con misure di
sicurezza o di messa in sicurezza permanente, che stabilisce le eventuali
prescrizioni e limitazioni per l’uso del sito.
7. I progetti di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza di cui
all’articolo 5 possono essere approvati solo se siano rispettate tutte le seguenti
condizioni (omissis).
L’allegato IV, punto 1, del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 così definisce i
contenuti e la funzione del

piano della caratterizzazione: “Il Piano della

caratterizzazione descrive dettagliatamente il sito e tutte le attività che si sono
svolte o che ancora si svolgono; individua le correlazioni tra le attività svolte e
tipo, localizzazione ed estensione della possibile contaminazione; descrive le
caratteristiche delle componenti ambientali sia all’interno del sito che nell’area da

138

\o

concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli altri atti di assenso di cui al comma

questo influenzata; descrive le condizioni necessarie alla protezione ambientale e
alla tutela della salute pubblica; presenta un piano delle indagini da attuare per
definire tipo, grado ed estensione dell’inquinamento. Si articola nelle seguenti
sezioni: 1. Raccolta e sistematizzazione dei dati esistenti. 2. Caratterizzazione
del sito e formulazione preliminare del Modello Concettuale. 3. Piano di
investigazione iniziale “.
Analoga impostazione si rinviene anche nelle previsioni dell’art. 242 T.U.A. di
cui si dirà ampiamente in seguito.

consumazione individuata dai giudici di merito per i reati di cui ai capi 3 bis, 15
bis, 16 bis e 19 quinquies ed RR, anche tenendo conto del termine più breve di
prescrizione.
Anche facendo applicazione del più breve termine di anni 4 e mesi sei oltre
sospensione, previsto dalla disciplina ante 2005, come rilevato dal PG, essendo la
consumazione dei reati cessata prima dell’8 dicembre 2005, data di entrata in
vigore della legge 5 dicembre 2005, n. 251, la prescrizione è intervenuta dopo la
sentenza di primo grado del 3 marzo 2009 (vanno aggiunti anni 4, mesi sette e
giorni tre) alle seguenti date:
• capo 3-bis (La Capannina), conferimenti cessati al 19 settembre 2006 o
secondo Cavet —pag. 35 — 16 luglio 2005;
• capo 15-bis (ex vasche Alberaccio), antigiuridicità della conduzione post
operativa del sito della discarica venuta meno in data 24 settembre 2005;
• capo 16-bis (Prevam presso Car 1), conferimenti cessati al dicembre 2004;
• capo 19-quinquies (Prevam Colle Canda), conferimenti cessati al settembre
2004.
Lo stesso dicasi per il capo RR (area Gatti), pag. 165 – connesso al reato di
omessa bonifica di cui al capo SS – (rifiuti rimossi sin dal 2005) per il quale la
sentenza ha dichiarato non doversi procedere per essere prescritto dopo la
sentenza di primo grado per quanto riguarda Gatti (legale rappresentante della
ditta Gatti, smaltitore), rispetto al quale non vengono poste questioni.

8. Nell’affrontare i motivi di ricorso afferenti i reati di gestione di discarica

abusiva, va poi evidenziata la rilevanza della questione, posta da alcuni ricorsi,
della individuazione della data di prescrizione dei reati, in quanto, qualora si accerti
che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, dovranno
contestualmente revocarsi le statuizioni civili (confronta Sez. 3, n. 15245/2015 ed
i riferimenti in essa contenuti).
Quanto al reato di cui al capo M va rilevato che nello stesso sono contestati
sia il reato di cui all’art. 51, comma 3, d.lgs 22/1997 (gestione di una discarica di

139

Deve, pertanto, ad avviso del Collegio, ritenersi confermata la data di

rifiuti nel sito denominato “deposito smarino ex cava Marchesini”…) sia quello di
cui al comma 2 del medesimo articolo (abbandono incontrollato di liquami nel
torrente lungo la strada del Carlone): tale secondo reato non è stato preso in
considerazione dal giudice di rinvio, per cui vi è carenza di interesse sul punto dei
ricorrenti.
Per quanto sopra esposto sull’inammissibilità dei motivi inerenti alla
configurabilità dei reati di gestione illecita di discarica, non è qui in discussione la
sussistenza del reato ma esclusivamente la questione sulla permanenza del reato

del rinvio la prescrizione risultava interrotta solo dalla sentenza di primo grado e
la relativa fattispecie contravvenzionale risultava, quindi, procedibile con
conseguente conferma delle statuizioni civili a carico di CAVET, CASTELLANI,
MARCHESELLI e GUAGNOZZI
Sulla questione la Corte territoriale, in particolare, ha valorizzato il dato che
già dal 1998 il sito era stato individuato quale deposito di smarino e che alla data
del 26.4.2001 CAVET non aveva ancora liberato l’area, con riferimento alla quale
non era stata mai rilasciata alcuna autorizzazione.
Pertanto l’illegittima gestione post-operativa – in particolare per quanto
concerne la prevenzione, riduzione e risoluzione dei problemi ambientali cagionati
con un deposito permanente incontrollato – aveva trovato interruzione soltanto
con la sentenza di primo grado e risulta tutt’oggi procedibile la correlata fattispecie
contravvenzionale.
Secondo i ricorrenti CAVET, CASTELLANI, MARCHESELLI e GUAGNOZZI la
sentenza non aveva tenuto conto dei seguenti elementi, pure emergenti, dagli atti:
1. il sequestro dell’area dal maggio 2001 al 27 aprile 2005; 2. il contenuto del
provvedimento di dissequestro, reso in tale data su parere favorevole pubblico
ministero, laddove si affermava che gli istanti avevano dato atto che le attività di
bonifica e recupero delle aree erano ormai avvenute e che si era in attesa di
certificazione da oltre sei mesi.
Si sostiene, in particolare, che la Corte di Appello abbia omesso di
considerare: a. che già in pendenza di sequestro, erano state compiute le attività
di bonifica occorrenti per ottenere il dissequestro; b. che la rimozione dei materiali
da parte del consorzio era stata compiuta tra il 4 ed il 15 luglio 2005, come
confermato dalla nota del 26 settembre 2005, tanto che non era stato contestato
il reato di omessa bonifica.
Il ricorso è fondato e la permanenza deve ritenersi cessata al momento del
sequestro secondo il principio di diritto fissato dalla sentenza di annullamento.
Pertanto, in relazione a tale reato (capo M), la sentenza impugnata va
annullata senza rinvio per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione
140

e, pertanto, quella strettamente connessa della prescrizione: secondo il giudice

prima della sentenza di primo grado, con conseguente revoca delle statuizioni
civili.

9. Con riferimento al reato di cui al capo 14 bis (dichiarato prescritto per
Guagnozzi dopo la sentenza di primo grado e per il quale è stata pronunciata
condanna per Silva, Marcheselli e Castellani), il giudice del rinvio ha rilevato che
dagli atti emergevano dati incontrovertibili della circostanza che ancora nel 2002
il Prevam Le Sanguinaie era attivo e riceveva smarino contaminato e con ogni

In tal senso ha valorizzato la circostanza che il gestore della cava, Berti Sisto,
aveva chiesto ed ottenuto nel 1998 di poter riempire la cava con materiale
proveniente dai cantieri CAVET, ivi compreso lo smarino, senza alcuna
autorizzazione provinciale all’impiego di rifiuti.
Dopo il sequestro eseguito il 23 giugno 2001, con ordinanza del 26 luglio
2001- successiva al dissequestro della cava in data 19 luglio 2001- il Sindaco di
Firenzuola, all’epoca Mascherini, come risulta dalla sottoscrizione dell’atto, diffidò
CAVET a dare seguito agli adempimenti di cui all’art. 17 d.lgs. 22/1997 per il sito
Le Sanguinaie (insieme ad altri) ove si era riscontrato il superamento, o il pericolo
di superamento, dei limiti stabiliti dal D.M. n. 471/1999 con riferimento agli
idrocarburi ed ai cementi presenti nello smarino e nei fanghi allocati.
Il giudice del rinvio ha, altresì sottolineato, anche con specifico riferimento
alla relazione del consulente della difesa, che nel processo non vi era alcun
riscontro del formale avvio di una procedura di bonifica del sito, pur essendo stato
evidentemente inquinato con smarino (e con ogni probabilità anche fanghi) delle
lavorazioni CAVET tanto da suscitare la diffida comunale.
Pertanto, alla luce delle sopra ricordate indicazioni della Corte di legittimità,
la Corte territoriale ha affermato che la gestione abusiva della discarica in cava
(proseguita con totale pretermissione delle precauzioni e dei controlli necessari in
fase post-operativa per scongiurare più gravi danni) è stata interrotta
esclusivamente dalla pronuncia della sentenza di primo grado, risultando (alla data
della sentenza oggi impugnata) la procedibilità del reato di cui al capo 14-bis.
Ebbene, ritiene il Collegio che siano corrette le conseguenze in punto di
cessazione della permanenza che ne ha tratto la sentenza impugnata,
evidenziando che nella stessa relazione del consulente della difesa viene dato atto
che non vi è riscontro del formale avvio di una procedura di bonifica del sito, così
che la gestione abusiva della discarica della cava era stata interrotta
esclusivamente dalla pronuncia della sentenza di primo grado.
In questa prospettiva tutte le censure oggi riproposte in relazione a tale capo
di imputazione sono infondate, in quanto genericamente volte a contestare il
141

probabilità anche fanghi.

conferimento alla cava di smarino, in contrasto con quanto puntualmente e
logicamente evidenziato dal giudice del rinvio.
Sempre riguardo al reato di cui al capo 14-bis, parimenti infondate sono le
censure proposte nell’interesse di Guagnozzi, Silva, Castellani e Marcheselli in
ordine alla loro posizione soggettiva, in quanto non tengono conto del principio
secondo cui, in materia di gestione dei rifiuti, da un lato la delega di funzioni non
esime il delegante dal dovere di controllare la corretta attuazione dei compiti
gestionali affidati al delegato (Sez. 3, n. 9841/2016 ed ivi rif.) e, dall’altro, in

sono riferibili a tutta la catena di posizioni aziendali di responsabilità gestionali.
Principi sostanzialmente applicati dal giudice del merito con motivazione non
affetta da vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà.
Infondata, in ultimo è anche la censura, contenuta al motivo n. 3 del ricorso
Castellani, secondo la quale i fatti contestati al capo 14-bis sarebbero identici a
quelli di cui al capo 14, dichiarato prescritto dal Tribunale con statuizione coperta
dal giudicato.
Ed invero, il capo 14 (discarica all’interno della cava Le Sanguinaie) era
contestato fino al 23 giugno 2001 (data del sequestro), mentre il capo 14-bis è
contestato con conferimenti fino al 2002 e con permanenza del reato (vedasi sul
punto pag. 11 della sentenza della Cassazione).
La censura non tiene conto del principio consolidato secondo il quale, in tema
di reato permanente, il divieto di un secondo giudizio riguarda la condotta
delineata nell’imputazione ed accertata con sentenza, di condanna o di
assoluzione, divenuta irrevocabile e non anche la prosecuzione della stessa
condotta o la sua ripresa in epoca successiva, giacché si tratta di fatto storico
diverso non coperto dal giudicato e per il quale non vi è impedimento alcuno a
procedere (ex multis , cfr.: in materia edilizia Sez. 3, ord. n. 19354/2015 e in
tema di inquinamento atmosferico Sez. 3, n. 15441/2001).
La pronuncia di questa Corte in relazione al reato di cui al

capo 14-bis,

pertanto, non potrà essere che di annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, in quanto, in ragione della non manifesta infondatezza dei motivi
proposti, il reato contravvenzionale de quo è oggi prescritto, ma con rigetto ai fini
civili dei ricorsi sul punto e conseguente conferma delle statuizioni civili.

10. Va poi preso in considerazione il motivo di ricorso relativo alla prescrizione
del reato di cui al capo 81- comune ai ricorsi CAVET, Castellani, Marcheselli e
Guagnozzi- sul punto relativo all’affermazione contenuta nel provvedimento
impugnato in merito alla prosecuzione della gestione illecita del sito Fonte alla
Sella, che, secondo i ricorrenti sarebbe smentita dalla documentazione in atti (il
142

generale, le violazioni formali, quale è quella della mancanza di autorizzazione,

verbale di sequestro preventivo della discarica in esame in data 8.5.2003) e dal
successivo decreto di revoca del sequestro in data 9.7.2009, con il conseguente
dissequestro in data 24.7.2009, non presi in considerazione dal giudicante. Si
afferma, dunque, la cessazione dell’antigiuridicità in relazione al reato di discarica
abusiva sin dal 2003.
Risulta, peraltro, ex actis, che, dopo il sequestro, in data 16 febbraio 2006, il
Tribunale di Firenze aveva autorizzato gli imputati ad accedere al sito per poter
procedere, alla presenza e con il coordinamento dell’Agenzia regionale per

di caratterizzazione. Sulla base degli esiti delle analisi, il Consorzio, con nota del
14 maggio 2008, aveva chiesto l’autorizzazione alla rimozione dei limi, che era
stata concessa in data 10 marzo 2009. Il Consorzio veniva quindi formalmente
autorizzato alla realizzazione e gestione per 10 anni dell’impianto di recupero ai
fini di ripristino ambientale gestione della cava di prestito Sasso di Castro nel
Comune di Firenzuola. A seguito di istanza del 6 luglio 2009, che dava atto
dell’assenza di contaminazioni e del provvedimento autorizzativo alla realizzazione
dell’impianto, il Tribunale di Firenze disponeva il dissequestro del sito in data 9
luglio 2009, che veniva eseguito il successivo 24 luglio.
Ebbene, il ricorso sul punto è fondato.
Il giudice di legittimità, con la sentenza rescindente, ha affermato il principio
che la permanenza del reato ex art. 51, comma 3, per la fase post-operativa può
cessare con il sequestro dell’area che faccia venire meno la disponibilità della
stessa in capo al gestore e la impossibilità per costui di compiere ulteriori attività.
Tale principio, pertanto, non risulta rispettato dalla sentenza impugnata
secondo la quale la gestione illecita del sito Fonte alla Sella – ove erano abbancati
i fanghi che la Provincia ha poi autorizzato a impiegare nel ripristino della cava di
Sasso di Castro, ritenendo di poter aderire all’indirizzo già indicato dalla Regione
nell’autorizzare l’esercizio della cava – è dunque proseguita oltre la sentenza di
primo grado, e non risulta pertanto prescritto il relativo reato di cui al capo 81.
Tale conclusione non ha tenuto conto dei dati emergenti dalla sentenza del
Tribunale, da cui emergeva che l’area era stata sottoposta a sequestro giudiziario
dall’8 maggio 2003 al 24 luglio 2009.
Pertanto, conformemente a quanto richiesto dal Procuratore Generale, va
pronunciato l’annullamento senza rinvio per il reato di cui al capo 81 per essere il
reato estinto per prescrizione prima della sentenza di primo grado, con revoca
delle statuizioni civili.
Va aggiunto, per quanto riguarda il reato di cui al capo VV ascritto al
ricorrente SEMERARO, che la riferibilità dell’impianto alla sua gestione è elemento
sufficiente per fondarne l’affermazione di responsabilità. Peraltro, trattandosi di
143

tAl

l’ambiente, alle operazioni di campionamento nell’ambito di un programmato piano

reato formale, l’iscrizione provinciale non rileva ai fini della mancanza di
autorizzazione per i rifiuti ricevuti. Ancora, va evidenziato come il ricorso si palesi
generico ed aspecifìco non specificandosi in quale sede del giudizio di merito
sarebbe stata dedotta la questione della regolarità dei controlli sui rifiuti in entrata,
né della relativa risposta del giudice del merito.

11. Può passarsi a questo punto all’esame delle contestazioni relative al reato
di omessa bonifica, anch’esso ad oggi prescritto e quindi esaminabile nei limiti

Appare opportuno riepilogare, ai fini di un più agevole esame dei motivi di
ricorso, i reati di omessa bonifica con riferimento ai quali è intervenuta in sede di
rinvio pronuncia di condanna.
Trattasi dei reati di cui al:
• capo 50 (omessa bonifica a seguito della gestione della discarica abusiva
nell’area destinata alla cava Sasso di Castro, connesso al reato di gestione di
discarica abusiva di cui al capo 81), pag. 166;
• capo 52 (solo per l’omessa bonifica a seguito della gestione della discarica
Prevam Le Sanguinaie, connesso al reato di gestione di discarica abusiva di cui al
capo 14-bis), pag. 156;
• capo 74 (omessa bonifica a seguito della gestione della discarica abusiva
Fornace Focardi), pag. 162;
• capo 55 (omessa bonifica a seguito della gestione della discarica abusiva
Gatti, connesso al reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo RR), pag.
164;
• capo UU (omessa bonifica a seguito della gestione della discarica abusiva
Cave Nord, connesso al reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo TT),
pag. 165;
• capo ZZ (omessa bonifica a seguito della gestione delle discariche abusive
GIT, connesso al reato di gestione di discarica abusiva di cui al capo W), pag.
166;
• capo V (omessa bonifica a seguito allo sversamento di olii sul terreno
circostante i comprensori degli impianti di Balzo alla Capra), per il quale viene
attribuita la responsabilità al solo Berti Nello, non ricorrente, nel cui dispositivo
non viene pronunciata condanna, (e in mancanza di impugnazione del PM
l’omissione non può essere corretta), mentre vengono assolti Rubegni, Silva,
Guagnozzi, Zambon (deceduto), Castellani, marcheselli, Piscitelli, Miccoli, Frulloni
e Longo (v. pag. 158).
Sono stati condannati:

144

dei sopra ricordati principi della sentenza delle Sezioni Unite Tettamanti.

- Rubegni (consigliere delegato dal 12 gennaio 1998 al 28 settembre 2001,
poi sostituito dal Silva Carlo; successivamente Presidente del Consorzio Cavet, dal
28 settembre 2001 in poi);
– Silva (direttore generale del Consorzio Cavet dal 1998 al 28 settembre 2001,
poi sostituito da Guagnozzi; successivamente consigliere delegato, dal 28
settembre 2001 in poi);
– Guagnozzi (direttore generale del Consorzio Cavet, dal 28 settembre 2001
al 24 febbraio 2005);

di tronco DT1 dal 19 luglio 2000 al 27 giugno 2003, poi sostituito da Zannbon;
direttore di tronco DT2 dal 2 luglio 2002 al 27 giugno 2003 e da tale data in poi
con responsabilità di coordinamento costruzioni in supporto alla direzione
generale);
– Marcheselli (direttore dei cantieri CBT1 di Sesto Fiorentino dal 13 maggio
1999 al 19 febbraio 2004, poi sostituito da Ottaviani; direttore di tronco DT3 dal
27 giugno 2005; in seguito Direttore generale) per i reati ascritti ai capi 50, 52
(con la limitazione predetta), 74, SS, UU, ZZ;
– Miccoli (direttore tecnico responsabile della direzione di tronco, fino al luglio
2002), Frulloni (direttore di tronco DT3 dal 1998 al 27 giugno 2003, poi sostituito
da Marcheselli) e Piscitelli (responsabile dell’ufficio logistica e ambiente dal 31
marzo 2000 al 14 settembre 2003, poi sostituito da Migliardi Carlo), per i reati
ascritti ai capi 50, 52 (con la limitazione predetta), SS, UU, ZZ;
– Longo (direttore dei cantieri T5, T7 e CBT3 dal 1998 al 7 gennaio 2003, poi
sostituito da Cardu Umberto), Polidori (legale rappresentante Polidori strade s.r.I.,
subappaltatrice del cantiere Ti Obis), Geri (legale rappresentante della ditta
Betonval s.p.a., gestore dell’impianto di betonaggio del cantiere T5), Tríppi (legale
rappresentante della ditta Unicalcestruzzi, titolare dell’impianto di betonaggio del
cantiere T17), per i reati ascritti ai capi SS, UU, ZZ;
– Balest e Soccol, (Balest dal dicembre 1999 al 1 marzo 2001, direttore di
cantiere Italstrade, subappaltatrice dei cantieri T11 e T12; Soccol fino al dicembre
1999, direttore di cantiere Italstrade, subappaltatrice dei cantieri T11 e T12),
Ottaviani (legale rappresentante della società Cardetole s.r.1., quale gestore di
alcune cave), (oltre a Padelli Aranci e Sassetti, non ricorrenti) per il reato di cui al
capo 74;
— Giora (intermediario tra Cavet ed il gestore finale dei rifiuti, legale
rappresentante della ditta Agavi) per i reati ascritti ai capi SS, UU;
— Semeraro (inteimediario e titolare degli impianti, legale rappresentante
della ditta GIT — Grandi Inerti Taverini — s.r.1.), per il reato ascritto al capo ZZ;

145

– Castellani (direttore di cantiere T17 dal 1997 al 5 febbraio 2002; direttore

— Gatti (legale rappresentante della ditta Gatti, smaltitore), per il reato
ascritto al capo SS.

12. Sempre in via preliminare, occorre porsi, anche per i reati di omessa
bonifica, la questione della individuazione dell’oggetto del “devolutum”, questione
affrontata da quasi tutti i ricorsi.
Ad avviso dei ricorrenti, la lettura combinata del dispositivo e della
motivazione della sentenza della III Sezione penale di questa Corte, farebbe

annullamento con rinvio.
In effetti la III Sezione di questa Corte di legittimità, a pag 89, ha confermato
la pronuncia assolutoria perché il fatto non sussiste con riferimento ai capi 40
(discarica Rio Cucco), 45 (Prevam Dune Autostradali), 46 (Prevam Cari), 47
(Cardetole A), 48 (Cardetole B), 49 (Cardetole C) e 77bis (Laghetti Forestan),
chiarendo che in questi casi, secondo la motivazione fornita dalla prima Corte di
appello, vi era prova di positiva conclusione dell’iter di bonifica con il rilascio delle
liberatorie. E’ vero che il giudice di legittimità, come evidenziato dai ricorrenti, ha
precisato che il giudice di appello non aveva esaminato le restanti contestazioni,
relative ai capi 39, 41, 42,43, 44, 50, 51, 52,53, 54, 55, 55 bis, ter, quater,
quinquies, 74 e 94, ma da alcun elemento emerge la volontà del giudice
rescindente di escludere i predetti capi dall’annullamento.
Può anzi affermarsi che la motivazione consente di ricostruire la reale volontà
del giudice a quo laddove afferma in via conclusiva e riepilogativa le ragioni
dell’annullamento con rinvio in relazione ai restanti capi d’imputazione per i quali
la Cassazione ha invece ritenuto insufficiente l’analisi espletata dalla Corte di
Appello ed ha quindi rimesso gli atti alla Corte di appello per un esame più diretto
e puntuale di tutte le altre procedure esperite e l’individuazione dei presupposti di
fatto utili per l’applicazione dei principi interpretativi fissati.
Deve, pertanto, affermarsi che la mancata indicazione dei reati di cui ai capi
SS, UU e ZZ nella motivazione costituisce un mero errore materiale della stessa.
Tale conclusione è avvalorata anche dalla lettura del dispositivo della
sentenza della Terza Sezione, nella parte in cui annullava la sentenza impugnata
al punto 3 del dispositivo, afferente i reati di omessa bonifica per i quali la Corte
territoriale aveva pronunciato sentenza di assoluzione con la formula ” perché i
fatti non sussistono” (la pronuncia di annullamento non riguardava espressamente
i reati contestati ai capi di imputazione 40, 45, 46, 47, 48, 49 e 77 bis, con il
conseguente passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione per gli stessi).
Al fine di corrispondere a specifica doglianza sul punto, va rilevato che,
contrariamente a quanto sostenuto in vari ricorsi, le contestazioni di cui ai capi
146

ritenere che i reati di cui ai capi SS, UU, ZZ non siano stati oggetto di

SS, UU, ZZ non riguardavano siti nei quali erano stati conferiti esclusivamente
fanghi gestiti come rifiuti con asserita erronea indicazione CER a seguito di
transcodifica (vedasi la motivazione della sentenza di appello alle pagg. 165 e
segg.).
Che la devoluzione al giudice del rinvio riguardasse, per esclusione, tutti i siti
diversi da quelli interessati dalle liberatorie, nessuno escluso, si evince
chiaramente dall’inciso a pagina 89 della sentenza rescindente laddove, traendo
le conclusioni del percorso argomentativo, ha affermato che la sentenza di appello

erano concluse positivamente, mentre doveva essere annullata con rinvio in
relazione ai restanti capi di imputazione per i quali non vi era stato un esame
puntuale e non era stato possibile verificare i presupposti in fatto cui applicare i
principi interpretativi fissati con la presente decisione, così rimettendone
l’applicazione al giudice di merito.
Sempre al fine di individuare l’oggetto del devolutum vanno affrontate le
questioni sollevate da alcuni dei ricorrenti con riferimento al reato di cui al capo
74.
Il ricorrente Longo deduce che erroneamente il giudice a quo si è pronunciato
anche in relazione al capo 74, che sarebbe rimasto coinvolto in una serie di errori
giudiziari: nonostante non fosse stato oggetto di condanna da parte del Tribunale
(pag. 548 e dispositivo), la prima sentenza della Corte di Appello, pur mancando
I’ impugnazione del P.M., aveva assolto il ricorrente anche dal reato di cui al capo
74, tanto che il PG aveva proposto ricorso per cassazione anche per questo capo
e tale assoluzione era stata annullata dalla III Sezione penale di questa Corte.
Effettivamente, in motivazione, a pagina 187, il giudice del rinvio ha affermato
la responsabilità del Longo anche per il reato di cui al capo 74 e, quindi,
complessivamente, per quattro reati di omessa bonifica, laddove si dà atto della
responsabilità dell’imputato per le contravvenzioni di cui ai capi 74 (Fornace
Focardi), SS (discarica Gatti), capo TT (discarica Cave Nord) e ZZ (discariche GIT),

meritava conferma con riferimento a tutti i casi in cui le procedure di bonifica si

nella qualità di Dirigente CAVET corresponsabile dell’inquinamento patito dai
rispettivi siti in ragione del conferimento di smarino e fanghi

i cui livelli di

contaminazione (ripetutamente campionati, analizzati e certificati) avevano
inevitabilmente indotto un inquinamento.
Tuttavia, che Longo fosse stato condannato in primo grado anche per il reato
di cui al capo 74 si evince chiaramente dalle pagg. 96-96 della sentenza di primo
grado.
In ragione di ciò va fatta applicazione del principio secondo cui “in tema di
annullamento con rinvio, il dispositivo non può essere letto ed interpretato
disgiuntamente dalla motivazione, che rappresenta un imprescindibile elemento di
147
\11 M(

integrazione, concorrendo ad illustrare e chiarire i termini del “devolutunn” e a
specificare i capi ed i punti della sentenza su cui si è formato il giudicato (Sez. F,
n. 45002/2012 ed ivi rif.);
Deve darsi atto, in ogni caso, che nel frattempo anche il reato di cui al capo
74 è prescritto, e che poiché la prescrizione è intervenuta dopo la sentenza di
primo grado, ciò impone che l’annullamento sia pronunciato con rinvio ai fini civili
al giudice civile competente per valore in grado di appello (cfr., per i principi di
riferimento la pronuncia Sez. Un. n.40109 del 18/7/2013, Sciortino, Rv. 256087).

Frulloni, Piscitelli, che in motivazione, a pagina 186, è stata affermata la
responsabilità anche per il reato di cui al capo 74 e, quindi, complessivamente,
per sei reati di omessa bonifica (oltre ai reati di cui ai capi 50, 52, SS, UU, ZZ).
Tuttavia, il reato di cui al capo 74 non viene indicato nel dispositivo, né viene
considerato in sede di trattamento sanzionatorio, che fa riferimento a pag. 207
alla pena base per il reato di cui all’art. 51 aumentata per ciascuna delle
contravvenzioni in continuazione; quindi il capo 74 non è stato considerato né ai
fini del trattamento sanzionatorio, né in dispositivo; inoltre per tale capo i tre
ricorrenti non sono stati condannati al risarcimento del danno. Nelle more di
questo procedimento, il reato de quo si è, in ogni caso, prescritto, per cui va
pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti dei tre
imputati sopra indicati per essere il reato estinto per prescrizione ed, essendo
intervenuta la causa estintiva, dopo la pronuncia della sentenza il primo grado, si
impone l’annullamento con rinvio dinanzi al giudice competente per valore in grado
di appello ex art. 622 c.p.p.
Ancora con riferimento al capo 74, merita anche risposta il motivo 16 del
ricorso Silva, secondo cui la bonifica sarebbe stata impossibile in pendenza del
sequestro.
Il motivo è infondato, non avendo il ricorrente dedotto di aver chiesto
inutilmente il dissequestro o l’autorizzazione all’accesso all’area ai fini degli
interventi di bonifica (cfr. Sez. 3, n. 11498 del 15/12/2010 dep. il 2011, Ciabattoni,
Rv. 249743, secondo cui il termine di prescrizione del reato permanente di omessa
bonifica dei siti inquinati di cui all’art. 257, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 decorre dal
momento dell’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino
ambientale dell’area e non dal precedente sequestro del sito inquinante, che non
giova a far cessare la condotta antigiuridica).

13. I ricorsi, per il resto, sono fondati per le ragioni che si andranno ad

esaminare.
I profili di fondatezza delle proposte doglianze attengono a due profili.
148

Sempre con riferimento al reato di cui al capo 74, va rilevato, quanto a Miccoli,

Il primo è quello della carenza di motivazione in ordine all’effettività
dell’inquinamento.
Si era dedotta, in particolare, la violazione degli artt. 257 e 208 d.lgs
152/2006 e il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha
affermato la sussistenza del reato di omessa bonifica e, quindi, di una situazione
di inquinamento dei predetti siti tale da comportare la necessità di bonifica degli
stessi, prescindendo tuttavia dall’esistenza di una situazione con superamento
delle CSR, così trascurando l’accertamento di un fondamentale elemento della

Nell’esaminare le censure proposte, vanno tenuti presenti i principi affermati
dalla precedente sentenza di legittimità, al fine di verificare innanzitutto se il
giudice si è ad essi attenuto.
La sentenza della Terza Sezione penale ha ritenuto non condivisibile la
metodologia adottata dalla prima sentenza della Corte fiorentina nell’affrontare il
tema della bonifica delle discariche inquinate e della rilevanza delle liberatorie
rilasciate dagli enti territoriali, senza tener conto della specificità delle singole
situazioni, così privando il giudice di legittimità della conoscenza dei fatti storici
riferiti a ciascuna ipotesi di reato.
Ciò significa che non possono essere applicati in modo indifferenziato i criteri
alle discariche per le quali non sono state avviate le procedure di bonifica, alle
discariche conclusesi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 152/2006 e a quelle
con procedure conclusesi successivamente a tale data.
Con riferimento al problema rappresentato dall’applicabilità delle disposizioni
introdotte dal d.lgs. 152/2006, la prima pronuncia di legittimità, facendo
riferimento ai precedenti di questa Corte

Magni e Montigiani, ha ritenuto la

disciplina sopravvenuta più favorevole rispetto alla precedente nella parte in cui
innalza il livello della rilevanza penale e modifica le procedure e le modalità di
accertamento, e dunque suscettibili di efficacia retroattiva ai sensi dell’art. 2 c. 4
c.p..
Tuttavia è stato considerato fisiologico che le procedure si fossero avviate e
sviluppate in linea con il d.lgs. 22/1997, mentre si è ritenuto che il principio fissato
dall’art. 2, comma 4, trovasse applicazione solo qualora la disciplina sopravvenuta
incidesse direttamente sulla fattispecie tipica.
L’applicazione di tale principio, dunque, richiedeva nel caso in esame un
approfondimento di ciascuna situazione dal momento che si è in presenza di reati
che concernono una fattispecie tipica complessa sia vicende storiche articolate.
In proposito questa Corte di legittimità, con la sentenza di annullamento, ha
ricordato che per alcune discariche (capi d’imputazione 74, 7bis E, E bis) era stata
ipotizzata in sede di contestazione la permanenza del reato di omessa bonifica,

149

fattispecie

sotto il profilo di omesso avvio delle procedure, ancora nel mede di luglio del 2006,
mentre per altre emergeva dalla motivazione della sentenza di appello che l’avvio
delle procedure aveva avuto luogo in epoca assai anteriore.
La Terza Sezione Penale, partendo dal comma 6 dell’art. 13 del d.lgs. 13
gennaio 2003, n. 36 sugli obblighi di segnalazione del gestore, ha affermato che
le disposizioni in tema di bonifica (artt. 239 e segg. del d.lgs. 153/2006) non si
pongono in diretto contatto con il concetto di discarica ma hanno riferimento a
tutte le ipotesi di contaminazione, qualunque ne sia la causa, introducendo i

concentrazione soglia di rischio (CSR) e collegato a quest’ultimo l’avvio della
procedura di caratterizzazione del sito volta a verificare se í valori soglia di rischio
sono superati e si versa, o meno, in ipotesi di effettiva contaminazione del sito.
Ciò premesso ha ritenuto che è del tutto fisiologico che l’avvio delle procedure
di bonifica e lo svolgimento delle stesse abbiano seguito la normativa allora in
vigore con riferimento ai presupposti di fatto, ai valori di riferimento alle
metodologie di accertamento ed ai criteri utilizzati dall’ente territoriale per le
proprie decisioni, con il conseguente obbligo per la società CAVET di attenersi alle
determinazioni degli enti e seguire le prescrizioni e le procedure imposte così che
il loro rispetto e la positiva conclusione delle procedure costituiscono fatti
escludenti l’illecito.

1.4. Il tema dell’applicazione della disciplina introdotta con il d.lgs. 152/2006
poteva porsi, dunque, solo per le discariche ed i siti che avevano visto le condizioni
verificarsi e le procedure avviarsi anteriormente all’entrata in vigore di tale decreto
e proseguire successivamente a tale data, mentre i nuovi valori e la nuova
metodologia non potevano trovare applicazione alle condotte anteriori legate alla
rilevazione dei presupposti di avvio della procedura ed alla conseguente condotta
del gestore e del responsabile come prevista dall’art. 17 del d.lgs. 22/97.
Pertanto, l’esame complessivo della motivazione porta a ritenere che il
ragionamento svolto dalla sentenza di annullamento sia nel senso di:
1. legittimare le liberatorie rilasciate per procedimenti regolati dalla disciplina
pregressa e di affermarne la rilevanza quale causa di esclusione della punibilità
per l’omessa bonifica dei siti cui le stesse si riferiscono;
2. conservare carattere di illiceità all’omessa realizzazione dei progetti di
bonifica presentati ed approvati sulla base della disciplina pregressa (fattispecie
diversa da quella in esame);
3. in tutti gli altri casi, rimettere al giudizio di rinvio l’esame puntuale delle
singole fattispecie, con l’indicazione, nei casi di omessa definizione delle procedure
di bonifica prima dell’entrata in vigore del T.U.A., della disciplina di quest’ultimo
150

concetti di soglia di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) e di

come riferimento esclusivo sia per la regolamentazione dei presupposti di
attivazione del procedimento e delle relative fasi, sia per la rilevanza penale delle
condotte, a conferma della continuità interpretativa con le sentenze Montigianì e
Magni affermata in via generale all’inizio della parte della motivazione relativa
all’esame dei reati di omessa bonifica.
Ebbene, così individuato il devolutum, va rilevato che il giudice del rinvio è
venuto meno innanzitutto all’obbligo di precisare, almeno per i casi in vi è stata
condanna, se le procedure di bonifica si fossero concluse prima dell’entrata in

bonifica dopo l’entrata in vigore del T.U.A.
Questa Corte di legittimità ha spiegato infatti che nelle procedure ancora in
corso gli Enti competenti devono d’altronde attenersi ai nuovi parametri ed alle
nuove metodologie e pertanto ogni decisione, in particolare il rilascio delle
liberatorie, deve essere adottata nel rispetto del d.lgs. n. 152/2006.
Inoltre, la sentenza impugnata non si è attenuta ai principi che aveva indicato
la Terza Sezione di questa Corte in quanto si è limitata a richiamare,
condividendolo, l’orientamento giurisprudenziale sulla natura più favorevole del
reato di omessa bonifica introdotto dal T.U.A rispetto a quella prevista dal decreto
Ronchi.
In altri termini, una volta individuate nelle previsioni del T.U.A. le norme alle
quali il giudice del rinvio doveva fare riferimento per valutare la rilevanza penale
della omissione dell’obbligo di bonifica, hanno ragione i ricorrenti nel dolersi — e
ciò consente al Collegio di dare una risposta congiunta alle varie questioni sulla
attendibilità degli accertamenti analitici e sui parametri legali da applicare – che
la sussistenza di tale obbligo doveva essere accertata con riguardo a un
inquinamento provocato col superamento delle CSR, cioè dei “livelli di
contaminazione delle matrici ambientali da determinarsi caso per caso con
l’applicazione della procedura di analisi di rischio specifica … il cui esubero richiede
la messa in sicurezza e la bonifica.
Ebbene, tale superamento non è stato accertato. Infatti, la sentenza di
annullamento, per quanto riguarda lo smarino, a pag. 70 afferma:

“in sede di

giudizio è stato accertato che si è in presenza di materiali comunque contenenti
sostanze inquinanti per le quali (come affermato dai giudici di appello) risultano
spesso superati i limiti previsti dal DM 25 ottobre 1999, n. 471, all. 1, colonna 8.
Tale circostanza non è contestata dai ricorrenti”; per quanto riguarda i fanghi a
pag. 71 rileva:”

l’accertata destinazione in discarica di fanghi di diversa

provenienza e per i quali sono stati in molti casi accertati valori di sostanze
inquinanti superiori a quelli in allora consentiti siano circostanze che escludono la
possibilità di considerare penalmente irrilevanti le condotte dei ricorrenti”.
151

vigore del TUA e di indicare invece i casi in di definizione della procedura di

La sentenza impugnata, dunque, neppure sembra porsi la questione, pur
essendo il superamento delle CSR un elemento strutturale del reato nella più
favorevole conformazione introdotta nel 2006.
Sono, pertanto, integralmente condivisibili le conclusioni del PG sulle
conseguenze del mancato accertamento dei valori di concentrazione laddove fa
riferimento alla sentenza 25718/2014, Santi, che partendo dal presupposto che il
superamento delle CSR è elemento strutturale del reato di omessa bonifica, ha
disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in assenza della

Nella sentenza Santi si affermava: “… la doglianza sollevata dalla ricorrente
ha puntualmente lamentato come il Tribunale non abbia accertato, ai fini della
consumazione del reato ed alla stregua di quanto previsto dall’art. 257 cit., il
superamento delle concentrazioni soglie di rischio che costituiscono parametro di
natura diversa dal cd. limite di accettabilità di cui al D.M 25 ottobre 1999, 17. 471,
nè abbia considerato che l’obbligo di bonifica deve essere correlato a un
inquinamento provocato dal superamento delle suddette concentrazioni, essendosi
invece limitato a ritenere sufficiente, sotto il profilo probatorio, l’indagine espletata
dal competente settore ambiente del Comune e la segnalazione operata dal
funzionario. E’ mancata, dunque, la verifica dell’evento inquinamento richiesto
come elemento essenziale della figura criminosa in oggetto, posto che per
superamento delle concentrazioni soglia di rischio, cui il d.lgs. 3 aprile 2006, n.
152, art. 257 subordina la punibilità delle condotte in esso previste, si intende il
tra valicamento di livelli di pericolo ben superiori ai pre vigenti parametri di
concentrazione soglia di contaminazione (Sez. 3, n. 17817 del 17/1/2012, Bianchi,
Rv. 252616)”.

15. Strettamente connesso a tale tema è quello della natura del reato di
omessa bonifica.
La sentenza rescindente della Terza Sezione Penale ha criticato la metodologia
della prima sentenza della Corte di appello che aveva applicato criteri
indifferenziati alle discariche per le quali non era stata avviata la procedura di
bonifica rispetto alle discariche con procedure conclusesi prima dell’entrata in
vigore del d.lgs. 152/2006, così privando il giudice di legittimità della conoscenza
dei fatti storici.
Ciò premesso il giudice di legittimità ha fatto riferimento ad ipotesi in cui non
era stata avviata la procedura di bonifica ovvero a quelle in cui l’avvio delle
procedure aveva avuto luogo in epoca anteriore, mentre non ha fatto alcun
riferimento all’omessa realizzazione di un progetto di bonifica approvato.
Ciò impone un chiarimento.

152

\)

verifica del superamento delle concentrazioni delle soglie di rischio.

I fatti contestati a titolo di omessa bonifica, trovano la loro disciplina nel
paradigma normativo dell’articolo 257 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152,
che è fattispecie meno grave della previgente disposizione di cui all’articolo 51 bis
del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che viene ridotta l’area
dell’illecito e si attenua il trattamento sanzionatorio. Infatti, mentre
precedentemente l’evento poteva consistere nell’inquinamento del sito o nel
pericolo concreto ed attuale di inquinamento, il citato articolo 257 configura il solo
evento di danno dell’inquinamento; inoltre per aversi inquinamento è ora

livello di rischio superiore ai livelli delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione
(CSC); infine la sanzione penale è ora prevista con pena pecuniaria o detentiva
alternativa, diversamente dalla precedente disposizione che prevedeva la pena
congiunta (cfr. tra le altre, Sez. 3, 29/11/2006, Montigiani, Rv. 235951).
Si tratta di

un reato omissivo,

come si evince dal tenore letterale

dell’articolo 257, laddove la condotta sanzionata viene individuata nella mancata
esecuzione della bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità
competente nell’ambito del procedimento previsto. Ciò induce anche a ritenere
che l’intervento debba avvenire in perfetta aderenza a quanto previsto nel
progetto, con la conseguenza e la violazione può ritenersi perfezionata anche in
caso di intervento eseguito in difformità da quanto formalmente pianificato, ovvero
quando sia impedita la stessa formazione del progetto di bonifica, e quindi la sua
realizzazione, attraverso la mancata attuazione del piano di caratterizzazione (Sez.
3, n. 35774 del 2/7/2010, Morgante, Rv. 248571).
Originariamente la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 29855 del
8/9/2006, Pezzotti ed altro, Rv. 235255) riteneva non sussistessero sostanziali
differenze tra vecchia e nuova disciplina, osservando come la struttura del reato
di cui all’art. 257 d.lgs. 152/2006 fosse del tutto corrispondente a quella del
precedente reato di cui d’art. 51-bis d.lgs. 22/97, poiché continua a prevedere la
punibilità del fatto di inquinamento se l’autore non provvede “alla bonifica in
conformità” al progetto di cui all’art. 242, mentre in precedenza era previsto che
la bonifica dovesse avvenire secondo il procedimento del corrispondente art. 17.
Un successivo dictum (Sez. 3, n. 9794 del 20/11/2006 dep. il 2007,
Montigiani, Rv. 235951) ebbe, invece a rilevare la non coincidenza tra la vecchia
e la nuova disciplina se non per la struttura del reato contravvenzionale e la sua
natura di reato di evento a condotta o reato causale puro, sottoposto a
condizione obiettiva di punibilità negativa, osservando come, al contrario, l’evento
fosse diversamente configurato nelle fattispecie poiché, in quella previgente,
consisteva nell’inquinamento, definito come superamento dei limiti di accettabilità
previsti dal D.M. 471/99 o nel pericolo concreto e attuale di inquinamento, mentre,
153

necessario il superamento della Concentrazione Soglia di Rischio (CSR), che è un

in quella vigente prevista dall’art. 257 d.lgs. 152/2006, l’evento è esclusivamente
di danno, perché consiste solo nell’inquinamento (non nel pericolo di
inquinamento) ed è definito come superamento delle concentrazioni soglia di
rischio (CSR). Nell’occasione questa Suprema Corte ebbe anche a chiarire che la
condizione obiettiva di punibilità del non provvedere alla bonifica è configurata,
nelle due normative a confronto, secondo presupposti e regole procedimentali non
perfettamente sovrapponibili ed, infine, come il trattamento sanzionatorio risulti
meno grave nella ipotesi attualmente in vigore.

237132 cfr. anche Sez. 3, n. 22006 del 13/4/2010, Mazzocco ed altri, Rv. 247650)
questa Corte di legittimità ebbe a confermare tale indirizzo, precisando che
l’articolo 257 ha riformulato il contenuto dell’abrogato articolo 51-bis d.lgs. 22/97
“… in modo più favorevole al reo ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen. (abrogati()
sine abolitione)”.
Diversamente da quanto previsto nel d.lgs. 22/97, le sanzioni (pena
detentiva e pecuniaria) sono applicabili in alternativa tra loro e non
congiuntamente, mentre una pena inferiore nel minimo è prevista in caso di
mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, comma 1 (da
effettuarsi con le modalità di cui all’art. 304, comma 2). Sul punto la
giurisprudenza ha precisato che la segnalazione è dovuta a prescindere dal
superamento delle soglie di contaminazione (Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007,
Schembri, Rv. 238055; cfr. anche Sez. 3, n. 40856 del 21/10/2010, Pigliacelli, Rv.
248708; Sez. 3, n. 16702 del 29/4/2011, Cioni).
E’ stato anche precisato che per superamento delle concentrazioni soglia di
rischio, cui l’art. 257 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 subordina la punibilità delle
condotte in esso previste, si intende il travalicamento di livelli di pericolo ben
superiori ai previgenti parametri di concentrazione soglia di contaminazione (Sez.
3, n. 17187 del 17/1/2012, Bianchi, Rv. 252616).
Questa Corte ha avuto anche modo di chiarire che è manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 256, d.lgs. 3 aprile
2006, n. 152, per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui limita l’applicazione
della “condizione di non punibilità” di cui all’art. 257, comma quarto, ai soli reati
ambientali nei quali l’evento inquinamento concorre ad integrare la fattispecie, in
quanto la scelta del legislatore di favorire la bonifica del sito secondo le indicazioni
scaturenti dal progetto redatto ai sensi degli artt. 242 e segg. del d.lgs. n. 152 del
2006, risponde a canoni di logica e razionalità, giustificandosi con l’esigenza di
garantire l’efficacia dell’intervento di ripristino nei più gravi casi in cui si rende
necessaria l’adozione di uno specifico piano di bonifica (Sez. 3, n. 18502 del

154

In un successivo intervento (Sez. 3, n. 26479 del 14/3/2007, Magni, Rv.

16/3/2011, Spirineo, Rv. 250304, fattispecie di condanna per il reato di abbandono
e deposito incontrollato di rifiuti).

16. L’articolo 257 del d.lgs. 152/06 oggi vigente, e più favorevole, punisce
dunque, salvo che il fatto costituisca più grave reato,

“chiunque cagiona

l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque
sotterranee con il superamento delle concentrazioni di soglia di rischio, se non
provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente

Il presupposto della condotta omissiva sanzionata, va ribadito, non è più
costituito dal pericolo concreto ed attuale di inquinamento come avveniva sotto la
vigenza del d.lgs. 22/97, bensì da un inquinamento determinato con il
superamento delle “concentrazioni soglia di rischio” (CSR) accertabile attraverso
la complessa procedura stabilita dall’articolo 242, con conseguente contrazione
delle possibilità di applicazione in concreto della disposizione.
In dottrina si ritiene, comunque, che la procedura sia in ogni caso attivabile
anche in presenza di eventi accidentali pur in mancanza di un’espressa previsione
normativa quale quella contenuta nell’articolo 17 del “decreto Ronchi”, in
considerazione del fatto che, secondo la relazione introduttiva al d.lgs. 152/06, le
finalità della nuova disciplina sono quelle “di riordino e coordinamento delle
previgenti procedure di bonifica” e del contenuto del citato articolo 242, ove si
utilizza l’espressione ” al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado
di contaminare il sito”.
Ne consegue che il caso in esame va valutato alla stregua della nuova
disciplina secondo il principio di stretta legalità e quello dell’applicazione della
normativa più favorevole.
In questa prospettiva deve rilevarsi, coerentemente alle conclusioni del
Procuratore Generale, che i giudici del rinvio, nella sentenza oggi impugnata, non
hanno adeguatamente e compiutamente accertato, ai fini della consumazione del
reato, il superamento delle concentrazioni delle soglie di rischio (CSR), ne’ hanno
considerato che l’obbligo di bonifica deve, ora, essere correlato a un inquinamento
provocato col superamento delle suddette concentrazioni.
In altri termini, la seconda sentenza della Corte fiorentina non dà conto che
sia stato accertato in modo compiuto l’evento di danno dell’inquinamento,
dimostrato dal superamento dei limiti di accettabilità e, rispetto alla nuova e più
favorevole formulazione della norma, appare avere mancato qualsiasi verifica
dell’evento inquinamento richiesto come elemento essenziale della nuova figura
criminosa (in termini, Sez. 3, 29/1/2009, Capucciati, Rv. 243115).

155

nell’ambito del procedimento di cui agli artt. 242 e seguenti”.

Per gli effetti penali, dunque, la sentenza de quo va annullata senza rinvio ai
fini penali, nei confronti di Silva Carlo, Guagnozzi Giovanni, Miccoli Roberto,
Castellani Franco, Marcheselli Pietro Paolo, Frulloni Giulio, Piscitelli Valerio, Longo
Michele, Giora Aldo Paolo, Geri Paolo, Trippi Aldo, Gatti Gabriele, Semeraro Paolo,
Polidori Giovanni, Balest Cristiano, Soccol Giovanni, Ottaviani Lanciotto, come agli
stessi rispettivamente ascritti, e – per l’effetto estensivo – anche nei confronti di
Padelli Aranci Simone e Sassetti Alessandro, perché estinti a seguito di intervenuta
prescrizione.

ricorrenti, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in
grado di appello, cui il Collegio ritiene di dover rimettere il regolamento delle spese
fra le parti – ivi compreso il responsabile civile – anche per il presente giudizio;
Occorrerà, dunque, che il giudice del merito operi una valutazione in tal senso.
La violazione dei limiti di contaminazione potrà essere ritenuta anche sulla
base di elementi indiziari, fermo restando che il degrado del sito e la natura illecita
della gestione operativa non sono in sé elementi presuntivi, atteso che il reato
presuppone la violazione di ben precisi standard.
La possibilità di accertare in via presuntiva il superamento dei c.d. standard,
infatti, è un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità
(cfr. Sez. 3, n. 15246 del 10/3/2015, Bertuzzi, non massimata, che richiamando
sul punto Cons. Stato, Sez. 5 n. 2532/2012 e Tar Lazio, Roma, Sez. 1, n.
6033/2012, ha affermato il principio di diritto secondo cui la prova dell’omessa
bonifica “può essere data in via diretta o indiretta; in quest’ultimo caso,
l’Amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche
di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., prendendo in considerazione
elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che
inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia
verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori”).

17. Una volta dato conto in motivazione della presenza di inquinamento nei
siti, e quindi della sussistenza o meno degli elementi costitutivi del reato, in caso
di esito positivo del riscontro, il giudice del rinvio, in sede civile (come si è detto,
infatti, ai fini penali il reato risulta essere estinto per intervenuta prescrizione)
dovrà verificare – punto nodale dell’odierno decidere- la questione della
perdurante attribuibilità dei reati di omessa bonifica alle persone fisiche degli
amministratori succeduti nella carica.
I numerosi motivi di ricorso circa la responsabilità per il reato di omessa
bonifica riguardano, infatti, fondamentalmente due aspetti: 1. l’individuazione del
soggetto responsabile dell’inquinamento; 2. la ultrattività dell’obbligo di bonifica

156

Ai fini civili, invece, la sentenza va annullata, nei confronti dei medesimi

dopo la cessazione della carica, ovvero dopo che sia portata a compimento
l’esecuzione del rapporto contrattuale con il soggetto esterno alla società.
Mancando specifica giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul punto,
ritiene allora il Collegio che occorre allora fornire delle risposte precise in materia
di responsabilità per omessa bonifica nelle organizzazioni complesse.
La prima conclusione cui deve pervenirsi, in sede di interpretazione dell’art.
242 T.U.A. , che pure riferisce l’obbligo di attivare le procedure di bonifica al
“responsabile” dell’inquinamento, è che tale obbligo grava sull’ente in virtù del

imputazione alla persona giuridica del suo comportamento e dei relativi obblighi,
salvo che sia dimostrato che egli abbia agito di propria ed esclusiva iniziativa ed
in contrasto con gli interessi della società.
Opinare in tal senso appare, peraltro, coerente con quanto questa Corte di
legittimità afferma, nel caso una attività illecita venga posta in essere da un
soggetto collettivo attraverso i suoi organi rappresentativi, per quanto concerne la
confisca dei mezzi utilizzati per il trasporto illecito di rifiuti (cfr. Sez. 3, n. 17349
del 29/3/2001, Mingione, Rv. 219698) o dell’area sulla quale insiste la discarica
abusiva (Sez. 3, n. 44426 del 7/10/2004, Vangi, Rv. 230469) appartenenti alla
società di cui all’epoca dei fatti l’imputato era legale rappresentante. Mentre alla
persona fisica dell’amministratore è pacifico che faccia capo la responsabilità
penale per i singoli atti delittuosi, ogni altra conseguenza patrimoniale non può
non ricadere sull’ente esponenziale in nome e per conto del quale la persona fisica
abbia agito, con esclusione della sola ipotesi di rottura del rapporto organico per
avere il soggetto agito di propria esclusiva iniziativa.
In sostanza, l’obbligo di bonificare è del soggetto collettivo, mentre, per la
sua inosservanza, occorre distinguere tra il profilo patrimoniale, del quale risponde
la società, e quello della responsabilità penale, che riguarda l’organo
rappresentativo.
Un’affermazione siffatta, tuttavia, interessando in questa sede proprio la
responsabilità penale, lascia aperto il problema di cosa accada in caso di
successione nell’amministrazione della società o di cessazione della carica.
Ritiene il Collegio, infatti, che minori problemi si pongano per l’amministratore
subentrante, il quale, se non immediatamente, ma dopo un tempo congruo
dall’assunzione della carica, assume su di sé l’obbligo che già gravava sul suo
predecessore, ancorché egli non ricoprisse la carica al momento in cui si è
realizzato l’inquinamento.
In tal senso, pertanto, non sono fondate le doglianze di quanti assumono di
non avere responsabilità in ragione del loro successivo ingresso nel consorzio
CAVET. E’ evidente, infatti, che se ciò fosse sufficiente a mandare tutti esenti da

157

v

rapporto organico con il soggetto in esso incardinato e della conseguente

responsabilità penale, basterebbe un radicale ricambio dirigenziale, ad
inquinamento avvenuto, per frustrare la portata del precetto penale.
L’amministratore subentrante risponde dell’omessa bonifica in quanto nelle
attività d’impresa aventi impatto sull’ambiente, l’insorgenza di un obbligo di
bonifica costituisce un evento possibile e prevedibile, con la conseguenza che
grava sull’amministratore subentrante un obbligo di verifica della realtà gestionale
inclusivo sia dell’eventuale pendenza di progetti di bonifica approvati e da
eseguire, sia della sussistenza di condizioni fattuali giustificanti o un obbligo di

pregresse attività di contaminazione.
Conferente appare il richiamo operato dal Procuratore Generale nella sua
requisitoria ai casi, in cui si evince la medesima ratio,

laddove questa Corte di

legittimità ha affermato, in tema di omesso versamento dell’IVA da parte di una
società di capitali, che versa in dolo eventuale, e non in mera colpa, il soggetto
che, subentrando ad altri dopo la dichiarazione di imposta e prima della scadenza
del versamento, abbia acquistato le quote sociali e abbia assunto la carica di
amministratore, senza compiere il previo controllo, di natura puramente
documentale, sugli ultimi adempimenti fiscali” (Sez. 3 n. 3636 del 9/10/2013 dep.
il 2014, Stocco, Rv. 259092, che ha escluso il carattere “colposo” dell’addebito,
attesa la particolare semplicità delle verifiche che avrebbero consentito di appurare
l’incombenza dell’obbligo tributario; conforme Sez. 3, n. 38687 del 4/6/2014,
Decataldo, Rv. 260390).
Ancora, recentemente, sviluppando un ragionamento che ben può attagliarsi,
mutatis mutandis, al caso che ci occupa, questa Corte di legittimità ha affermato
che risponde del reato di omesso versamento di IVA (art. 10-ter, d.lgs. 74 del
2000), quanto meno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che, subentrando ad
altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la
presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del
versamento, omette di versare all’Erario le somme dovute sulla base della
dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente
contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo
stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da
pregresse inadempienze (Sez. 3, n. 34927 del 24/6/2015, Alfieri, Rv. 264882).

18. Per completare il quadro, occorre approfondire il tema della responsabilità
dell’amministratore subentrante con riguardo anche alla posizione – ed alla
conseguente responsabilità- dell’amministratore cessante.
In proposito, merita di essere verificata l’ipotesi dell’amministratore all’epoca
dell’evento di contaminazione che continui nella carica fino al momento in cui: a)
158

avvio della procedura dì bonifica o un obbligo di bonifica “tourt court” per le

presentato il progetto, allo stesso non sia data esecuzione nel termine previsto
(nel qual caso si configura la contravvenzione di cui all’art. 257 T.U.A., se la
condotta è colposa ed il delitto di cui all’art. 452-terdecies cod.pen. se dolosa); b)
non essendo stato attivato o completato l’iter procedimentale finalizzato alla
approvazione del progetto, può ritenersi inadempiuto l’obbligo di bonifica che
giustifica la doverosità di tale attivazione (nel qual caso, non si configura la
contravvenzione di cui all’art. 257 T.U.A., mancando un progetto approvato, ma
può configurarsi il delitto di cui all’art. 452-terdecies cod.pen. nel caso di omissione

In queste evenienze, l’omissione si è già verificata e, nel caso di successivo
subentro di un nuovo amministratore, anche l’amministratore subentrante ne
risponderà alle condizioni dette nel paragrafo che precede.
Non va trascurato, infatti, che il reato in discussione è un reato permanente
(cfr. Sez. 1, n. 29855 dell’8/09/2006, Pezzotti, Rv. 235255 e Sez. 3, n. 11498 del
15/12/2010 – dep. il 2011, Ciabattoni, Rv. 2497439).
Ebbene, va ricordato che questa Corte di legittimità in relazione ad un reato
permanente, quale è quello di emissioni in atmosfera senza autorizzazione (art.
279, comma 1, parte prima, T.U.A.) in cui la consumazione era iniziata prima
dell’assunzione della carica, ha affermato la responsabilità dell’amministratore
subentrante, sul presupposto che il reato non si esaurisse con il comportamento
del legale rappresentante della società al momento nel quale era iniziata la
costruzione dell’impianto o l’esercizio di esso senza la preventiva autorizzazione,
ma, trattandosi di reato permanente, fosse integrato anche da coloro che
successivamente avessero assunto la qualità di legali rappresentanti, atteso che
anche su questi grava l’obbligo di chiedere l’autorizzazione, o di cessare l’attività
in assenza della stessa (cfr. Sez. 3, n. 3206 del 2/10/2014, Pasquinelli, Rv.
262009; conf. Sez. 3, n. 12436 del 20/02/2008, Contento, Rv. 238924).
La situazione, nel caso che ci occupa, è assolutamente speculare, per gli
amministratori subentrati, per i quali non vi sono dubbi -una volta, come detto,
che sia stato superato il vaglio dell’esistenza in concreto dell’inquinamento- circa
la possibilità di una loro penale responsabilità per il reato di omessa bonifica anche
se subentrati nella carica successivamente al determinato inquinamento del sito.
Qui risiede la decisiva differenza rispetto al reato di gestione abusiva di
discarica. Mentre per l’omessa bonifica viene in rilievo un obbligo di facere (la
bonifica, appunto, nei termini di cui si è detto), nella gestione abusiva di discarica
sussiste un obbligo di non facere (nel senso di non accumulare rifiuti in quel sito).
E’ evidente allora che nella gestione di discarica abusiva non può subentrarsi nella
responsabilità di chi era alla guida della società allorquando si è realizzata la
discarica stessa.

159

\\

dolosa).

19. Il ragionamento da farsi per la responsabilità dell’amministratore
cessato dalla carica

impone, però, ulteriori puntualizzazioni, giacché la

responsabilità – in ipotesi concorrente- del medesimo non può essere limitata
all’ipotesi di cui si è detto nel paragrafo che precede.
A tal riguardo, può essere utile ricordare il principio affermato riguardo al
reato di omesso versamento dell’IVA previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000,
del quale non risponde chi, pur avendo presentato la dichiarazione annuale, non è

salvo che il pubblico ministero non dimostri che il soggetto abbia
inequivocabilmente preordinato la condotta rispetto all’omissione del versamento
(ad esempio, disnnettendo artatamente la carica di amministratore della persona
giuridica soggetto IVA) ovvero abbia fornito un contributo causale, materiale o
morale, da valutarsi a norma dell’art. 110 cod. pen., all’omissione della persona
obbligata, al momento della scadenza, al versamento dell’imposta dichiarata (Sez.
3, n. 53158 del 2/07/2014, Lombardi, Rv. 261596, fattispecie in cui la Corte ha
annullato l’ordinanza di conferma di provvedimento di sequestro preventivo per il
reato di omesso versamento di IVA, evidenziando la necessità di verificare se il
comportamento dell’amministratore di fatto di una società dichiarata fallita prima
della scadenza dell’obbligo fiscale fosse stato finalizzato alla evasione dell’imposta
attraverso una strumentale dichiarazione di fallimento; conf. Sez. 3, n. 12248 del
22/01/2014, Faotto, Rv. 259808).
Sulla base di tale principio, il giudice del merito è tenuto ad operare una
valutazione caso per caso sulla condotta dell’amministratore uscente confermando
la sua responsabilità: 1. nell’ipotesi di sostituzione surrettiziamente realizzata per
sottrarsi alle responsabilità penali, nel qual caso l’amministratore mero
prestanome, ove non sia autore mediato scriminato ex art. 48 c.p., potrà
rispondere di concorso con l’amministratore sostituito; 2. nel caso in cui abbia
fornito un contributo causale, materiale o morale, da valutarsi a nonna dell’art.
110 c.p., all’omissione della persona subentrata ed obbligata; 3 nell’ipotesi di cui
si è detto sopra del comportamento omissivo già realizzatosi nel periodo di
vigenza in carica dell’amministratore poi solo successivamente cessato.
Resta fermo, quindi, che soggetto attivo dei reati suddetti è colui che ha poteri
di gestione dell’ente al momento consumativo del reato.
Del resto una soluzione in tale prospettiva è implicitamente alla base della
conferma, da parte della sentenza di annullamento, dell’assoluzione del Rubegni
per non aver commesso il fatto per le condotte successive al 28.9.2001, epoca in
cui i presupposti per l’obbligo di bonifica si erano già verificati ma egli aveva
assunto una carica riconosciuta come non operativa e gestionale.

160

poi tenuto, anche per fatti sopravvenuti, al pagamento dell’imposta nel termine

Appare non condivisibile -e in contraddizione con il decisum riguardante il
Rubegni- il ragionamento che pare fare la Corte del rinvio per fondare l’ultrattività
della responsabilità dell’amministratore cessato. Si sostiene, infatti, che la stessa
deriverebbe dal fatto che, come quest’ultimo si giova della bonifica che il
subentrante opera rispetto all’inquinamento di cui la società si è resa responsabile
allorquando egli era in carica, così dovrebbe realizzarsi l’inverso, e cioè che egli
rimanga responsabile sine die della mancata bonifica se chi gli è subentrato nella
carica non si attiva.

nemmeno alla ratio della norma. Non può sottacersi peraltro, come sia fondata
l’obiezione che sul punto fanno numerosi ricorrenti, e cioè che, una volta cessato
dalla carica, non solo il vecchio amministratore non avrebbe, in casi come quello
che ci occupa, la capacità economica per far fronte agli oneri di bonifica, ma non
avrebbe neanche alcun titolo per interagire con le Amministrazioni pubbliche per
le attività propedeutiche alla stessa.

20.

Diversamente articolati, invece, sono i principi che regolano la

responsabilità del soggetto terzo che, con la propria azione od omissione, abbia
contribuito al verificarsi dell’evento di contaminazione nell’ambito dell’attività
propria del committente, con il quale collabora in forza di un rapporto contrattuale
d’opera (es. impresa di betonaggio) o di servizi (intermediario).
Tale rapporto contrattuale può determinare l’insorgenza di una posizione di
garanzia che rende il terzo, ricorrendone le condizioni fattuali, corresponsabile
dell’evento di contaminazione e, quindi, coobligato alla bonifica.
Il principio di colpevolezza che sovraintende alla fase di esecuzione della
bonifica comporta però la valutazione, anche in tale ipotesi, caso per caso, della
situazione concreta.
La motivazione della sentenza impugnata, tuttavia, sotto tale aspetto, è
assolutamente carente.
Non solo. E’ mancata anche la verifica circa l’applicabilità del principio che, se
è uno solo dei soggetti corresponsabili della contaminazione a provvedere alla
bonifica, può farsi applicazione, per escludere la responsabilità anche degli altri,
dei principi affermati dalla giurisprudenza per la configurabilità della attenuante
del risarcimento del danno di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen., eseguito da un terzo
(assicurazione, o società, od ente nella quale opera l’imputato), che viene ritenuto
effettuato personalmente dall’imputato purché ne abbia conoscenza e mostri la
volontà di farlo proprio (cfr, ex multis, sez. 4, n. 14523/2011 e n. 23663/2013).

161

Si è detto, che un’interpretazione siffatta non corrisponde né alla lettera e

La sussistenza di tali condizioni si presume qualora la bonifica sia eseguita
dalla società con cui il responsabile dell’inquinamento abbia un rapporto organico
(ad esempio, quale amministratore).
La sentenza, per quanto detto, non ha fatto applicazione di tali principi.

21. In conclusione, quanto al reato di omessa bonifica, la sentenza presenta
gravi carenze motivazionali nonché l’erronea applicazione dell’art. 257 T.U.
riguardo al mancato accertamento del superamento delle CSR e circa l’attribuzione

Stante la prescrizione del reato (alla data del 6 aprile 2014) e le rilevate
carenze motivazionali e violazioni di legge, va applicata la giurisprudenza secondo
cui il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta estinzione del reato
unitamente al riscontro nella sentenza di condanna impugnata di un vizio di
carenza motivazionale, comporta, ai fini penali, l’annullamento senza rinvio in
conseguenza della predetta causa estintiva ed, ai fini civili, l’annullamento con
rinvio, secondo il principio ricavabile dalla già citata sentenza delle Sezioni Unite
Sciortino, al giudice civile competente per valore in grado di appello (cfr. in termini,
ex plurimis, le pronunce di questa Corte n. 9399/07, Rv. 235843; n. 26111/08,
non massimata; n. 14450/09, Rv. 244002; n. 26299/09, Rv. 244533; n.
32577/10, Rv. 247973; n. 594/11, rv. 252665; n. 15015/12, Rv. 252487).
L’annullamento va esteso, ex art. 587 c.p.p., alla condanna di Padelli Aranci
e Sassetti, non ricorrenti, in quanto l’effetto estintivo si è verificato prima del
passaggio in giudicato della sentenza nei loro confronti, essendo stata la sentenza
emessa il 21 marzo 2014, con riserva di motivazione entro giorni 90 e depositata
in data 29 maggio 2014 (cfr. Sez. U., n. 19054 del 20/12/2012- dep. 2013Vattani, Rv. 255257, secondo cui la declaratoria di estinzione del reato non può
essere pronunciata anche nei confronti del coimputato non impugnante in forza
dell’effetto estensivo dell’impugnazione di cui all’art. 587 c.p.p., se il giudicato di
colpevolezza si è formato nei suoi confronti prima del verificarsi dell’effetto
estintivo, in ragione del decorso del termine di prescrizione successivamente alla
emissione della sentenza).
In sede di rinvio potrà poi essere esaminata la documentazione prodotta
inammissibilmente in questa sede in relazione al reato di cui al capo 74.

22. Quanto ai ricorsi di Noferi Marco e Meucci Francesco, gli stessi vanno
rigettati.
In relazione al primo motivo (comune, peraltro, anche ad Ottaviani Lanciotto)
va rilevato che la condanna al risarcimento dei danni riguarda i reati di

162

delle responsabilità soggettive.

danneggiamento di cui al capo 11 della prima sentenza di appello, per i quali la
cassazione ha respinto i ricorsi degli imputati.
Non è pertanto riscontrabile alcuna manifesta contraddittorietà nella
condanna al risarcimento dei danni, sia per la differenza ontologica tra il reato
di omessa bonifica e quello di danneggiamento (che non riguarda la sola
contaminazione ma comprende le più ampie forme di aggressione della risorsa
idrica come contestate e riconosciute sussistenti), sia perché la declaratoria di
prescrizione per tale reato e la relativa condanna al risarcimento del danno

Fermo restando tale vincolo, si aggiunga che la liberatoria non può,
comunque, costituire causa di non punibilità per il delitto di danneggiamento, sia
per le ragioni (assorbenti) già illustrate, sia perché l’art. 257,comnna 4, TUA, nel
testo applicabile ratione temporis, anteriore alla legge n. 68/2015, limitava
l’applicazione della “condizione di non punibilità” dell’osservanza dei progetti
approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti “ai reati ambientali contemplati da
altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui
al comma 1”, e, quindi, non era estensibile al delitto di danneggiamento,
trattandosi di delitto comune eventualmente configurabile nel caso di
inquinamento ambientale.
Anche il secondo motivo è infondato, giacché entrambi gli imputati risultano
condannati nel giudizio di primo grado per il reato di cui all’art. 18 bis (discarica
Cava Calce Paterno), successivamente dichiarato prescritto in data antecedente
alla sentenza di primo grado.
Al rigetto del ricorso consegue ex lege per Noferi Marco e Meucci Francesco,
la condanna al pagamento delle spese processuali, ritenendo invece il Collegio che
vadano compensate le spese tra le parti, sussistendo giustificati motivi in
considerazione della complessità dei fatti e delle questioni esaminate.

23. In relazione al delitto di traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 53bis
d.lgs. 22/1997 (oggi art. 260 d.lgs. 152/06) il giudice del rinvio ha ritenuto la
configurabilità del reato di cui all’art. 53-bis, d.lgs n. 22/1997, trasfuso nel
successivo art. 260 d.lgs n. 152/2006, valorizzando innanzitutto il dato oggettivo
che i rifiuti prodotti dalle attività di escavazione e dalle altre funzionali alla
realizzazione delle gallerie, erano stati oggetto di gestione abusiva condotta con
più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative e
organizzate.
In tal senso è stato sottolineato che dalla copiosa documentazione raccolta
era emerso l’intendimento di partenza di CAVET (e per esso dei suoi Dirigenti) di
considerare il materiale estratto dalle gallerie, smarino e fanghi, correlati ai lavori,

163

sono coperti da giudicato.

come non-rifiuti, gestibili al di fuori di uno schema precauzionale specifico, almeno
sino al sopravvenire del sequestro del 23.6.2001 allorché l’intervento di ARPAT
prima, e dell’Autorità Giudiziaria poi, aveva rilevato la pericolosità della situazione.
Ciononostante, dopo la restituzione delle aree sequestrate (occorsa quasi
interamente il successivo 3.7.2001), l’attività di gestione dei materiali di risulta
era proseguita sostanzialmente negli stessi termini, salvo avviare per alcuni siti
una serie di procedure di bonifica.
Per altri invece, non vi era stata alcuna bonifica né era stata ottenuta alcuna

impiegando ditte di trasporti non autorizzate alla movimentazione dei rifiuti e prive
di autorizzazione all’interno dei cantieri.
Le violazioni registrate, per quantità e qualità, rappresentavano, secondo
la Corte territoriale, sicuramente un quadro fattuale che per la sistematicità e
interna coerenza (operativa e finalistica), non poteva non essere considerato
unitariamente anche in termini di realizzazione di un traffico organizzato di rifiuti,
sostanziandosi in un unico itinerario operativo che intendeva sostanzialmente
superare “di fatto” tutte le problematiche inerenti alla produzione di rifiuti
contaminati.
Tale sicuro intendimento era stato condotto, secondo il giudice del rinvio,
in modo conforme e unitario dai Dirigenti di CAVET, i quali, come avevano concorso
in tutte le contravvenzioni sopra indicate, così avevano organizzato in modo
coerente e continuativo tutte le attività di movimentazione, trasporto,
miscelazione, discarica e cessione a terzi di smarino e fanghi.
Ciò con il fine primario ed essenziale di realizzare riduzioni di costi e con
ciò stesso un ingiusto profitto, tale perché perseguito arrecando un pregiudizio alla
collettività che avrebbe dovuto e potuto essere evitato, definito dalla stessa
sentenza di annullamento “un impatto notevolissimo sull’ambiente, sia in termini
di modificazione dell’assetto del territorio sia in termini di introduzione
nell’ambiente di sostanze inquinanti per quantità straordinariamente elevate”.
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte di merito, richiamando sul punto
le argomentazioni del Tribunale, aveva rilevato che le contravvenzioni consumate
erano sorrette dal medesimo dolo specifico riscontrato nel delitto in esame.
In questa prospettiva è stata esclusa qualunque forma di buona fede
nell’agire degli imputati, ciò in quanto la particolare e non contestabile
professionalità specifica induceva a concludere che essi fossero a piena
conoscenza della qualità di rifiuto dello smarino e dei fanghi trattati nonché degli
oneri di legge in tema di rifiuti.
La stessa sistematicità delle violazioni dimostrava l’assenza di qualsiasi
buona fede e come la scelta di prescindere dagli obblighi di legge nella esecuzione
164

autorizzazione, ma si era proseguito a smaltire rifiuti al di fuori di ogni legalità,


dell’opera pubblica fosse stata una scelta non soltanto riferibile al vertice del
Consorzio nel suo complesso, ma anche condivisa ai vari livelli della complessa
struttura organizzativa.
Non era certamente casuale, secondo il giudice del rinvio, che le medesime
scelte relative alla allocazione dello smarino e dei fanghi erano state adottate in
relazione a ciascuno dei cantieri in maniera sostanzialmente identica; così come
le procedure di lavaggio degli inerti e di gestione dei relativi fanghi era stata
pressoché identica in tutti i cantieri. Le suddette circostanze evidenziavano una

operate a livello di vertice aziendale, motivata esclusivamente da una valutazione
di carattere prettamente di profitto dell’impresa, con conseguente profilo di
corresponsabilità mediante un apporto concreto alla condotta illecita.
Il giudicante ha, in conclusione, ritenuto che tutti i dirigenti CAVET avevano
preso parte diretta alla complessiva operazione organizzata capillarmente e con
modalità varie per gestire abusivamente i rifiuti prodotti, richiamandosi alle
osservazioni concernenti il concorso di costoro nei singoli reati contravvenzionali,
ciascuno relativo ad una delle operazioni illecite che sono risultate coordinate tra
loro per conseguire lo scopo prefissato, ovvero il profitto economico anche a spese
dell’ambiente e dei diritti primari della collettività.
Ciascuno d’altronde, come per le contravvenzioni, aveva agito e partecipato
soltanto nel tempo in cui aveva fornito le proprie prestazioni professionali a favore
di CAVET.
Le stesse considerazioni sono state svolte per quanti, estranei a CAVET,
avevano stabilmente contribuito alla consumazione di più reati in un medesimo
organico complesso di attività, producendo, gestendo e/o abbancando rifiuti senza
autorizzazione. Con riferimento alla posizione dei soggetti esterni alla CAVET il
giudice del rinvio ha affermato che gli stessi avevano avuto coscienza precisa che
gli scarti provenienti dalla lavorazione degli inerti per la produzione di calcestruzzo
fossero rifiuti speciali e necessitassero di mirati canali di smaltimento e/o
recupero, affidandosi ai siti individuati da CAVET rispetto ai quali avevano il
dovere – rimasto inadempiuto- di accertare l’idoneità e legittimità degli stessi,
così constatando che i siti prescelti, i trasportatori selezionati, le modalità
collaterali di gestione, erano del tutto inadeguati e di fatto rendevano illecita
l’intera congerie di operazioni. E’ stato, altresì, affermato che gli imputati non
potevano non aver preso coscienza che le modalità di smaltimento dello
smarino e dei fanghi erano del tutto insufficienti e prive di adeguata copertura
autorizzatoria, trattandosi di un insieme articolato di atti di smaltimento che
dovevano essere coordinati tra loro e gestiti in modo che giornalmente svariate

165

compartecipazione consapevole dei direttori di cantiere e dei preposti alle scelte

tonnellate di scarti di lavorazione raggiungessero il sito prescelto per il suo
definitivo abbandono: ciò nell’arco di alcuni anni, ininterrottamente.
Tale impostazione non è condivisibile.
La condotta sanzionata dall’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006, alla quale la
giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto piena continuità normativa con quella
sanzionata dal previgente art.

53-bis del d.lgs. n. 22/1997, richiede quale

elemento soggettivo, ai fini della configurabilità del reato, il dolo specifico di
ingiusto profitto, in conformità a quanto emerge dal testo della norma in esame.

il profitto esplicitamente contra legem, ma anche quello collegato a mediazioni o
traffici illeciti o ad operazioni volte alla manipolazione fraudolenta dei codici
tipologici, ha affermato che il “profitto” non deve necessariamente assumere
natura di ricavo patrimoniale, ben potendo lo stesso essere integrato dalla
semplice riduzione dei costi aziendali e da rafforzamento nella posizione apicale
all’interno dell’azienda da parte degli imputati, individuando in ciò un conseguente
vantaggio personale immediato e futuro (v. in tal senso, Sez. 3, n. 40827 del
6/10/2005, Carretta, Rv. 232349, Sez. 4, n. 45598 del 6/10/2005, Saretto, Rv.
232639, Sez. 4, n. 28159 del 2/07/2007, Costa, Rv. 236907; Sez. 3, n.41319 del
8/11/2006, Pecoraro, non massimata). Ed è stato chiarito che ai fini della
configurazione del reato non è necessario l’effettivo conseguimento di tale
vantaggio (v., di recente, Sez 3, n. 18669 del’8/01/2015, Gattuso, non
massimata, e la già citata sentenza n. 40827 del 2005).
Va però evidenziato che nel caso in esame difetta proprio il profilo
del dolo specifico.
Il giudice del rinvio, coerentemente al dictum della sentenza rescindente,
ha escluso la necessità, ai fini della configurabilità del reato, di un preventivo
accordo tra i concorrenti, stante la natura monosoggettiva dello stesso,
affermando che lo stesso si configura con la consapevole adesione ad un metodo
di gestione illegale di rifiuti desumibile dalla pluralità delle condotte e dalle sue
dimensioni. A tale affermazione, non ha fatto però seguito un’attenta indagine
volta a verificare se l’allocazione illecita in discarica fosse altresì sintomatica di
attività organizzata finalizzata al traffico illecito di rifiuti, che presuppone la prova
della consapevolezza di ciascuno degli imputati di aderire ad una organizzazione
illecita, per conseguire un ingiusto profitto, da intendere come sopra precisato.
Infatti, la Corte territoriale, per quanto attiene ai soggetti operanti ai
vertici di Cavet, ha fatto automaticamente discendere dalla responsabilità per le
contravvenzioni di discarica abusiva e di omessa bonifica, la consapevole adesione
ad un’attività continuativa ed organizzata finalizzata alla abusiva gestione di

166

La giurisprudenza, dopo avere premesso come sia “ingiusto” non soltanto

ingenti quantità di rifiuti.
Mentre per i soggetti esterni, gestori delle ditte di betonaggio, l’elemento
soggettivo del reato è stato tratto dalle modalità di smaltimento dello smarino e
dei fanghi nonché dalla evidente inadeguatezza dei siti.
L’impostazione adottata dal giudice del rinvio non ha tenuto conto dei
principi sopra indicati in tema di dolo specifico e impone, per l’effetto,
l’annullamento della decisione.
E’ stata, infatti, non solo omessa ogni indagine sull’elemento soggettivo

ma non è stato tenuto conto di quegli elementi che, per converso, concorrevano
ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Proprio la valorizzazione di questi elementi giustifica che l’annullamento
va fatto senza rinvio.
In particolare, così non è stato valorizzato il dato emergente con chiarezza
dalla sentenza di primo grado concernente lo stato di incertezza sulla natura del
rifiuto del materiale proveniente dallo scavo delle gallerie, di cui è testimonianza
l’adozione nel 1999 di un codice CER suggerito dalla stessa ARPAT, nell’ambito di
un confronto continuo che il Consorzio ha sempre ricercato con gli enti pubblici;
confronto che appare certamente incompatibile con la coscienza e volontà di
compiere più operazioni abusive di smaltimento, al fine di conseguire un ingiusto
profitto.
Testimonianza di tale incertezza è da individuare altresì nella legge 21
dicembre 2001 n. 443 [cd. Legge Lunardi], contenente “Delega al Governo in
materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per
il rilancio delle attività produttive”, che nell’articolo 1, comma 17, dispone che il
comma 3, lettera b), dell’articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell’articolo 8 del
decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano “nel senso che le terre e rocce
da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse
dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando

del reato de quo, che pure era stata sollecitata nella sentenza di annullamento,

contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle
attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione
media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore
ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti”.
Si tratta di un dato normativo inequivoco che milita decisivamente in senso
contrario rispetto all’impostazione accusatoria e non conforta affatto della
sussistenza del dolo specifico.
Analoghe considerazioni valgono per i soggetti esterni a CAVET, gestori
delle società di betonaggio, per i quali la sentenza si limita, come già accennato in

167

114

precedenza, a fondare l’elemento soggettivo del reato in esame esclusivamente
sulle modalità di smaltimento e sulla inadeguatezza dei siti, senza neanche
indicare il profitto che gli stessi avrebbero tratto da tale illecita attività.
Anche tale argomentare è del tutto insufficiente e non consente ulteriori
approfondimenti, in una vicenda in cui è impraticabile sostenere il dolo specifico,
da intendere come sopra specificato.
Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata,
con la formula perché il fatto non costituisce reato nei confronti di Silva Carlo,

Rubegni Alberto, Piscitelli Valerio, Frulloni Giulio, Longo Michele, Geri Paolo, Trippi
Aldo, Giora Aldo Paolo, Gatti Gabriele e Semeraro Paolo e, per l’effetto estensivo,
di Polidori Giovanni, perché il fatto non costituisce reato, con la conseguente
revoca di tutte le conseguenti statuizioni civili, ivi comprese quelle a carico del
responsabile civile.

24.

In ultimo, va affrontata la questione il tema della legittimazione

delle parti civili che non avevano proposto ricorso per cassazione a formulare in
sede di rinvio le proprie conclusioni, motivo trasversale a tutti i Dirigenti CAVET.
La doglianza è infondata.
Secondo l’orientamento, ormai consolidato, condiviso da questo Collegio, il
giudice di appello, che su gravame del solo pubblico ministero condanni l’imputato
assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della
parte civile che non abbia impugnato la decisione assolutoria (v. Sez. U. n. 30327
del 10/07/2002, Guadalupi, Rv. 222001).
Tale principio poggia sul richiamo alle norme che prevedono
rispettivamente che “la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni
stato e grado del processo” (art. 76, comma 2, c.p.p), che il giudice di appello è
tenuto a citare la parte civile (art. 601, comma 4) e che, se l’appello è proposto
dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, il giudice di appello
può pronunciare condanna “e adottare ogni altro provvedimento imposto o
consentito dalla legge” (art. 597, comma 2, lett. a e b).
Si aggiunga che, come le Sezioni Unite Guadalupi non hanno mancato di
evidenziare, l’art. 538 c.p.p., la cui applicazione al giudizio di appello è consentita
dall’art. 598 c.p.p., stabilisce che, con la sentenza di condanna, il giudice decide
anche sulla domanda civile.
Inoltre, a conferma delle conclusioni di cui sopra, è stato osservato che l’art.
574 c.p.p. prevede che, in caso di impugnazione dell’imputato per gli interessi
civili, la decisione nel giudizio di impugnazione sulla responsabilità penale si riflette
sulla decisione relativa alla responsabilità civile anche in mancanza di
168

Marcheselli Pietro Paolo, Castellani Franco, Guagnozzi Giovanni, Miccoli Roberto,

ì


impugnazione del capo concernente l’azione civile, principio che non può valere a
senso unico (vedasi, da ultimo, Sez. 5, n. 20343 del 29/01/2015, Trotta, Rv.
264076 ed i riferimenti in essa contenuti).
P.Q.M.
• annulla senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione ai reati di cui ai capi
95 bis e HH, nei confronti di Silva Carlo, Castellani Franco e Marcheselli Pietro
Paolo, nonché, in relazione al solo reato di cui al capo 95 bis, nei confronti di Geri
Paolo e Trippi Aldo, perché l’azione penale non poteva essere proseguita ex art.

a carico del responsabile civile;
• annulla senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione ai reati di cui ai capi
81 ed M – nei confronti di Silva Carlo, Guagnozzi Giovanni, Castellani Franco e
Marcheselli Pietro Paolo – perché estinti a seguito di prescrizione intervenuta
anteriormente alla data della sentenza di primo grado, con revoca di tutte le
conseguenti statuizioni civili, ivi comprese quelle a carico del responsabile civile;
• annulla senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione ai reati di traffico
organizzato di rifiuti di cui ai capi 95, QQ, 38A, 40A, come agli stessi
rispettivamente ascritti, nei confronti di Silva Carlo, Marcheselli Pietro Paolo,
Castellani Franco, Guagnozzi Giovanni, Miccoli Roberto, Rubegni Alberto, Piscitelli
Valerio, Frulloni Giulio, Longo Michele, Geri Paolo, Trippi Aldo, Giora Aldo Paolo,
Gatti Gabriele e Semeraro Paolo e, per l’effetto estensivo, di Polidori Giovanni,
perché il fatto non costituisce reato, con revoca di tutte le conseguenti statuizioni
civili, ivi comprese quelle a carico del responsabile civile;
• annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata, in relazione ai
reati di gestione abusiva di discarica di cui ai capi 14bis e VV – nei confronti di
Silva Carlo, Castellani Franco e Marcheselli Pietro Paolo, nonché nei confronti di
Semeraro Paolo – come agli stessi rispettivamente ascritti – perché estinti a seguito
di intervenuta prescrizione; rigetta, ai fini civili, i rispettivi ricorsi in relazione ai
suddetti reati;

649 c.p.p., con revoca di tutte le conseguenti statuizioni civili, ivi comprese quelle

• annulla la sentenza impugnata, in relazione ai reati di omessa bonifica di cui
ai capi 50, 52, 74, SS, UU e ZZ:
a) senza rinvio, nei confronti di Rubegni Alberto, perché l’azione penale non
poteva essere proseguita per essersi formato il giudicato sulla estinzione per
prescrizione in ordine ai fatti commessi anteriormente al 28/09/2001 e sulla
assoluzione per non aver commesso il fatto in ordine alle condotte successive a
tale data;
b) senza rinvio ai fini penali, nei confronti di Silva Carlo, Guagnozzi Giovanni,
Miccoli Roberto, Castellani Franco, Marcheselli Pietro Paolo, Frulloni Giulio, Piscitelli
Valerio, Longo Michele, Giora Aldo Paolo, Geri Paolo, Trippi Aldo, Gatti Gabriele,

169

9.1)t

Semeraro Paolo, Polidori Giovanni, Balest Cristiano, Soccol Giovanni, Ottaviani
Lanciotto, come agli stessi rispettivamente ascritti, e – per l’effetto estensivo anche nei confronti di Padelli Aranci Simone e Sassetti Alessandro, perché estinti
a seguito di intervenuta prescrizione;
c) ai fini civili, nei confronti dei ricorrenti indicati sub b, con rinvio per nuovo
esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette

il

regolamento delle spese fra le parti – ivi compreso il responsabile civile – anche
per il presente giudizio;

responsabile civile;
• rigetta i ricorsi di Noferi Marco e Meucci Francesco, che condanna al
pagamento delle spese processuali, compensando le spese tra le parti.
Così deciso in Roma il 21 aprile 2016
I Consiglieri estensori

Presidente

• rigetta nel resto i ricorsi di tutti i ricorrenti sopra indicati, ivi compreso il

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