Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29622 del 10/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 29622 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASARA EVELINO nato il 09/04/1956 a MALO

avverso la sentenza del 26/05/2014 della CORTE APPELLO di VENEZIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere CARLO CITTERIO;
lette/sete le conclusioni del PGM:j i,uvin «cetel)

Udit i 516;r5or Avv.;

R–6

Data Udienza: 10/06/2016

.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26.5-12.6.2014 la Corte d’appello di Venezia ai sensi
degli artt. 731 ss. c.p.p. ha deliberato il riconoscimento in Italia della sentenza,
emessa il 22.5.2006 dal Tribunale albanese di Lushnja e in giudicato il 17.6.2009,

reclusione, per reato di omicidio colposo (fatto del 17.10.2003).
Ciò, per l’esecuzione della pena in Italia e ai sensi dell’art. 12 comma 1 n. 1
cod.pen. (come richiesto dal procuratore generale distrettuale il 25.10.2011.
La vicenda che ha dato luogo al processo e alla condanna è quella di una
partita di caccia, cui partecipava Casara insieme con tale Klevis Bicari, in occasione
della quale un colpo di fucile aveva colpito il figlio del proprietario del terreno dove i
due stavano cacciando.

1.1 Il riconoscimento è stato deliberato anche ai fini civili, previa riunione
della corrispondente istanza, che era stata proposta ex art. 732 c.p.p. nell’interesse
degli eredi della vittima, Bledar Abdurrahmani.

1.2 Risulta da sentenza e ricorso che nel processo svoltosi in Albania il Casara
era stato condannato in primo grado, assolto in appello (grado di impugnazione
attivato dal difensore di fiducia all’uopo nominato da Casara) e quindi nuovamente
condannato nel successivo grado di giudizio davanti alla Corte suprema albanese,
cui aveva partecipato il medesimo difensore di fiducia.

1.2 Sul ricorso di CASARA il procuratore generale in sede ha presentato
conclusioni scritte per il rigetto.
La difesa dell’odierno ricorrente ha quindi depositato memoria e motivi nuovi il
30.06.2015, anche a sostegno di quelli originari.

2. Dieci sono i motivi proposti nell’interesse di Evelino Casara dal difensore:

2.1 Violazione del principio di immutabilità del giudice, applicabile anche in
questa procedura camerale, perché vi era stato un mutamento del collegio tra la
prima udienza (del 26.1.12: dottori Sartea, Giuliano, Marini), quando la causa era

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che condannava il cittadino italiano Evelino Casara alla pena di tre anni di

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stata discussa con la presentazione delle conclusioni delle parti, la seconda (del
27.3.14 che era stata rinviata per problemi dì notificazione) e la terza (26.5.14:
dottori Napolitano, Giuliano, Medici), quando i due procedimenti (per il
riconoscimento ai fini penali e civili) erano stati riuniti ed era intervenuta la
decisione; secondo il ricorrente il secondo collegio non aveva quindi assistito alla
prima discussione. Il motivo è ripreso nei motivi nuovi con data 23.6.2015.

2.2

(L’esposizione di questo motivo, formalmente nell’atto di ricorso

Vizi alternativi della motivazione della sentenza in relazione al contenuto
dell’ordinanza interlocutoria 26.1.12 (che aveva richiesto copia degli atti di citazione
dell’imputato, delle sue nomine difensive e di eventuali elezioni di domicilio per le
notificazioni degli atti processuali albanesi, nonostante la presenza in atti – su
produzione difensiva – dei verbali degli interrogatori 18.10.13 e 1.9.15, questo
svoltosi in Italia su pertinente richiesta di rogatoria ma ciò che conta è l’invio
ufficiale e le deduzioni difensive sulle già conosciute nomine fiduciarie), che aveva
ritenuto evidentemente il materiale disponibile insufficiente a dar conto della
positiva citazione;

ì documenti inviati dalla procura albanese avrebbero

modificato i termini contenutistici del fascicolo rispetto al momento dell’ordinanza
26.1.12 (quanto all’informazione della fissazione del giudizio di appello).

2.3

(Enunciato come secondo motivo nell’esposizione del ricorrente)

Violazione dell’art. 733 lett. c) e d) c.p.p., in relazione alle critiche che la sentenza
d’appello aveva fatto alla manipolazione delle prove nelle indagini e nel primo
giudizio (motivo pure ripreso nei motivi nuovi).

2.4 (Terzo motivo originario) Violazione dell’art. 733 lett. c) c.p.p., della
Costituzione, delle norme Cedu e del Patto internazionale sui diritti civili e politici,
perché (tema pure ripreso nei motivi nuovi) la Corte d’appello avrebbe preso atto
della mancata prova di una citazione a giudizio personale dell’imputato, in
particolare nel giudizio di primo grado, superandola con una irrituale nozione di
conoscenza sostanziale della pendenza del processo attraverso l’opera del difensore
pur fiduciario: la norma e i principi del giusto processo, invece, pretenderebbero
inequivocamente la citazione personale, da intendersi come diritto autonomo e
aggiuntivo, non alternativo, a quello dell’assistenza di un difensore; sotto questo
profilo dovrebbe considerarsi irrilevante la mancata dichiarazione o elezione del
domicilio nel procedimento albanese, anche in occasione della nomina del difensore

enunciato come quarto, viene anticipata per l’evidente connessione al precedente)

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fiduciario, rilevando invece l’elezione di domicilio presso la propria abitazione che
era stata formulata nel corso della procedura di interrogatorio per rogatoria,
svoltasi in Italia: CASARA avrebbe pertanto giustamente atteso la notifica della
citazione per il primo grado di giudizio in Italia, senza che possano rilevare in
malam partem le norme nazionali ex art. 169 e 157.8-bis cod. proc. pen., anche
per i difficoltosi rapporti con il difensore albanese;

2.5 Vizi alternativi della motivazione e violazione di legge in relazione alla

al 2005 si riferirebbe a convocazioni per interrogatorio in fase istruttoria; le nomine
difensive sarebbero state fatte per mera precauzione quando ancora non era
scontato per il giudizio l’esito delle indagini; secondo il ricorrente, “nelle 2 nomine
sono stati conferiti ampi poteri all’avvocato ma nei limiti dell’attività difensiva, non
vi è stata alcuna elezione dì domicilio” da parte dell’imputato, che aveva ribadito
l’indirizzo di residenza in Italia; tutte le comunicazioni al difensore (pur fiduciario)
da parte delle autorità albanesi sarebbero irrilevanti, anche quelle relative alla
trattazione del processo in appello di cui le stesse nomine fiduciarie danno atto (ma
“su richiesta del difensore”); in ogni caso non ci sarebbe prova della citazione nel
successivo giudizio di cassazione, pur avendo il ricorrente appreso
dell’impugnazione della sentenza assolutoria; la missiva 11.5.09 in atti sarebbe
inutilizzabile perché in lingua albanese e senza documentazione di effettiva
ricezione del ricorrente; mancherebbe comunque prova delle citazioni al difensore
nello specifico interesse dell’imputato e la prova dei problemi relazionali con il
difensore sarebbe implicita nella lontananza e nella propria non conoscenza della
lingua albanese;

2.6 Vìzì alternativi della motivazione quanto alla affermata non conoscenza
della disciplina processuale albanese da parte della Corte d’appello.

2.7 Violazione dell’art. 735 cod. proc. pen. e vizi alternativi della motivazione
perché sarebbe stato applicato il principio della continuazione della pena di cui
all’art. 10 Conv. 21.3.1983 ed a fronte di pena iniqua in relazione al fatto.

2.8 (Motivo nono nell’esposizione del ricorso) Violazione di legge perché il
mancato inizio dell’esecuzione in Albania non avrebbe consentito l’applicazione del
principio convenzionale della continuazione.

celebrazione del processo albanese in contumacia. Tutta la documentazione relativa

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2.9 (Originario motivo ottavo) Violazione di legge perché l’art. 12 cod. pen.
non avrebbe potuto essere applicato, mancando un trattato bilaterale di
estradizione ed essendo sul punto irrilevante la Convenzione europea; la richiesta
del procuratore generale distrettuale avrebbe in ogni caso riguardato la sola
esecuzione ai fini della Convenzione del 21.3.1983.

2.10 Violazione dell’art. 172 cod. pen. perché in base all’art. 68 cod. pen.

giudicato, del 17.6.2009.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali del grado.

1.1 Il motivo sub 2.1 è manifestamente infondato. Certamente il principio di
immutabilità del Giudice rileva anche nei procedimenti camerali partecipatì, ma nel
nostro caso all’udienza del 26.1.2012 il procedimento, dopo la discussione, è stato
rinviato a nuovo ruolo, per la disposta integrazione istruttoria.
All’udienza del 26.5.2014 il procedimento è stato trattato

ex novo, con

assoluta autonomia rispetto all’attività svolta da precedente collegio (cui il nuovo
collegio non era vincolato), nuova trattazione e nuova presentazione delle
conclusioni delle parti; né il ricorrente ha specificamente dedotto di avere
sollecitato, o eccepito, al nuovo collegio alcunché in ordine all’iniziativa del
precedente collegio. Vi è stata pertanto una evidente soluzione di continuità della
trattazione, con il suo nuovo inizio e l’esaustiva e discrezionale attività delle parti
davanti al Collegio che ha poi deliberato la sentenza impugnata.

1.2 Anche il motivo sub 2.2 é manifestamente infondato per le ragioni prima
indicate: in concreto, il Collegio che ha rinnovato il giudizio e deliberato in esito al
pieno contraddittorio tra le parti non era in alcun modo vincolato ad apprezzamenti,
tantomeno impliciti, del precedente Collegio: ciò che solo rileva è che abbia operato
un autonomo ed esaustivo apprezzamento di merito di quanto in atti, e giudicato
sufficiente per la decisione, dandone ampio conto nella motivazione che ha spiegato
i singoli punti della propria decisione.

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albanese la pena in Albania sarebbe prescritta essendo decorsi cinque anni dal

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1.3 Il motivo sub 2.3 è al tempo stesso generico e manifestamente infondato.

Da un lato il ricorrente ripercorre la critica che la sentenza albanese d’appello,
assolutoria, muove alla valutazione delle prove contenute nella sentenza albanese
di condanna in primo grado, ma non si confronta con le ragioni della successiva
riforma con conferma della condanna di primo grado. Dall’altro, il titolo
giurisdizionale conclusivo di condanna è, per sé e secondo le norme convenzionali,
idoneo a costituire il presupposto formale della richiesta consegna, mancando
alcuna competenza del Giudice nazionale dell’esecuzione al sindacato di merito dei

1.4 I motivi sub 2.4 e 2.5 debbono essere trattati congiuntamente e sono

infondati. La Corte veneta ha ben spiegato (e alcune affermazioni del medesimo
ricorso lo confermano pienamente) che Casara è stato sempre assolutamente a
conoscenza dell’imputazione, della trattazione processuale e della sua evoluzione, la
sua mancata fisica partecipazione dovendo essere attribuita a scelta personale e
comunque ad evidente colpa. E’ stato interrogato sui fatti per rogatoria in Italia; ha
nominato difensore fiducia con rinnovo del mandato in coerenza all’andamento ed
all’esito delle diverse fasi processuali; il suo difensore è sempre stato presente ed
ha svolto efficace difesa nei vari gradi proprio in adesione al rapporto fiduciario ed
ai mandati ricevuti (tra l’altro ottenendo una provvisoria assoluzione nel giudizio di
appello), con costante informazione dell’interessato. La nomina del difensore per il
giudizio d’appello è intervenuta nella piena conoscenza della prima condanna e delle
date di udienza (sicchè, è opportuno osservare, ogni censura su eventuali
irregolarità del primo giudizio avrebbero dovuto esser poste nel secondo grado del
giudizio di merito albanese, del quale si era avuta piena e dettagliata contezza, con
pertinente efficace attivazione difensiva). Le riferite difficoltà relazionali sono
assertive e irrilevanti, rispetto al dato documentato della conoscenza di imputazione
e specifico sviluppo processuale, rispetto al quale ogni carenza appare dovuta (e in
realtà risulta in tal senso spiegata pure in alcuni passi dell’articolato atto di
impugnazione) ad un’ingiustificata colpevole incuria personale. Il che assorbe anche
le deduzioni dei motivi aggiunti sul punto.

1.5 D motivo sub 2.6 è fondato, ma in concreto irrilevante perché non

determinante ad imporre decisione diversa, alla luce delle complessive ragioni per
le quali la Corte veneta ha spiegato la ricorrenza di una sostanziale certa
consapevole conoscenza, da parte di Casara, dell’imputazione e della pendenza
processuale con i suoi sviluppi. E, come detto, ogni censura in rito pertinente

contenuti delle decisioni dei successivi gradi del giudizio albanese.

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eventuali violazioni della disciplina processuale albanese avrebbe dovuto essere
proposta nel corso del processo albanese.

1.6 I motivi sub 7 ed 8 sono manifestamente infondati e al tempo stesso
diversi da quelli consentiti. La Corte d’appello ha riconosciuto per l’esecuzione una
pena (corrispondente a quella applicata dalla sentenza di condanna albanese) del
tutto legittima e coerente, anche per l’ordinamento nazionale, al titolo di reato per
cui è intervenuta la condanna ed alla fattispecie concreta per cui tale deliberazione

1.7 Il motivo sub 9 è, nei termini in cui risulta concretamente formulato,
manifestamente infondato.
L’esistenza di una Convenzione di estradizione cui i due Stati aderiscono è per
sé condizione legittimante il riconoscimento ai sensi dell’art. 12 cod. pen. (comma 2
di tale norma). E la richiesta originaria del procuratore generale ha espressamente
richiamato entrambi i titoli, essendo stata di “riconoscimento della predetta
sentenza agli effetti dell’esecuzione della pena in Italia e dell’art. 12 comma 1, nn.1
del codice penale” (atto del 25 ottobre 2011, nel fascicolo).

1.8 Il motivo sub 10 è infondato.
In risposta a specifica richiesta informativa proposta dalla Corte, il Governo
albanese ha comunicato due sentenze dell’autorità giudiziaria albanese che, in data
3.04.2015 e 7.07.2015 e rigettando proprio la pertinente specifica sollecitazione
procedimentale dell’odierno ricorrente, hanno univocamente escluso essere
operativa nel caso di specie la prescrizione della pena disciplinata dall’art. 68 cod.
pen..
I Giudici albanesi hanno giudicato e spiegato che l’attivazione della richiesta di
riconoscimento della sentenza di condanna per l’esecuzione esaurisse la fase di
competenza albanese a tal fine, con ciò rendendo improponibile ogni ulteriore
questione sulla prescrizione della pena secondo la legislazione di quel Paese.
Si tratta di interpretazione della disciplina penale sostanziale straniera che,
legittimamente formata secondo le regole processuali di quello Stato, risulta
insindacabile.
Per completezza va aggiunto che a nulla rileva che alla data di esecutività
della sentenza nazionale che riconosce la sentenza straniera la pena da espiare sia
estinta secondo il nostro ordinamento, perché nel caso del riconoscimento ciò che
rileva è solo la non prescrizione della pena secondo l’ordinamento straniero al

è intervenuta; il motivo si risolve in preclusa censura di merito.

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momento della richiesta di riconoscimento. Il riferimento alla disciplina nazionale
per l’esecuzione della pena attiene alle modalità dell’esecuzione, non più
all’eventualità della stessa.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 10.06.2016

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