Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29619 del 03/06/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 29619 Anno 2016
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
SALLEMI Antonio, nato a Ragusa il 11/06/1986

avverso la sentenza del 21/04/2015 della Corte d’appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 21 aprile 2015, la Corte di appello di Catania,
riformando solo in punto di trattamento sanzionatorio la sentenza pronunciata
dal Tribunale di Ragusa, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato alla pena Ai(
di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 3.000 di multa Antonio Sallemi

Data Udienza: 03/06/2016

per il delitto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti accertato il 18 gennaio
2010, ed avente ad oggetto droga del tipo marijuana per circa 250 grammi.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
appello indicata in epigrafe l’avvocato Michele Sbezzi, quale difensore di fiducia
del Sallemi, articolando due motivi.
2.1. Nel primo motivo, si lamenta vizio di motivazione, per assenza o
manifesta illogicità della stessa, in relazione all’affermazione della penale

Si deduce che la prova del reato di detenzione illecita di sostanza
stupefacente non può essere desunta semplicemente dal dato ponderale del
quantitativo di droga in sequestro, e che non vi è alcun elemento per poter
affermare l’elevata deperibilità della sostanza, o comunque che di tale
circostanza fosse consapevole l’imputato.
2.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione alla
determinazione della pena.
Si deduce che la sentenza non indica alcun elemento sul quale ha fondato le
proprie scelte sanzionatorie e che, inoltre, siccome la pena base era stata fissata
dal primo giudice nel triplo del minimo edittale vigente prima dell’entrata in
vigore del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014, n.
79, a tale criterio proporzionale si sarebbe dovuto attenere anche il secondo
giudice: questi, pertanto, illegittimamente ha fissato la pena base in anni due di
reclusione, perché il triplo del minimo edittale attualmente vigente è pari ad anni
uno e mesi sei di reclusione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito precisate.

2. Il primo motivo di ricorso contesta il difetto di motivazione in ordine
all’affermazione della sussistenza del reato.
La sentenza della Corte di appello, in particolare, anche richiamando la
sentenza di primo grado, ha rilevato che il principio attivo della sostanza è pari a
circa 50 volte la soglia media detenibile per uso personale, e che non risulta
credibile l’affermazione dell’imputato, residente in Olanda secondo cui egli si era
procurato una scorta per i periodi da trascorrere in Italia, e precisamente fino al
12 febbraio 2010 e poi per i successivi mesi di luglio ed agosto, sia perché
dall’istruttoria non sarebbero emersi elementi idonei a far ritenere che lo stesso
fosse tossicodipendente, sia perché l’elevata deperibilità della droga sequestrata
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responsabilità.

sarebbe incompatibile con la scelta di conservare una considerevole provvista di
essa per diversi mesi. Il giudice di secondo grado, inoltre, ha aggiunto che la
fondatezza delle conclusioni concernenti la natura illecita della detenzione è
confermata dalla circostanza, accertata in primo grado, che l’imputato non aveva
ampia autonomia economica in proprio, pur vivendo all’estero, tanto da aver
dovuto ammettere la necessità del ricorso ad un notevole sostegno da parte dei
genitori.
Trattasi di motivazione immune da vizi. In effetti, non è manifestamente

diverso da quello personale, o comunque illecito, se si considera che il
quantitativo di droga, secondo le affermazioni dell’imputato, avrebbe dovuto
essere consumato nell’arco di circa otto mesi, e che, però, la provvista era
riferibile ad un soggetto non noto come tossicodipendente e privo di adeguata
autonomia economica, tanto da dover ricorrere al sostegno dei genitori, ed
atteneva inoltre a sostanze facilmente “deperibili”.

3. Il secondo motivo di ricorso attiene alla pena, e lamenta che la stessa
sarebbe stata fissata in misura superiore a quella consentita.
Anche questo motivo è privo di pregio.
La sentenza impugnata ha rideterminato la pena in termini più miti rispetto
al giudice di primo grado, in considerazione della sopravvenienza normativa
introdotta dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito dalla legge 16 maggio 2014,
n. 79, in riferimento ai limiti edittali dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309; tuttavia, la pena base è stata fissata dal giudice di appello in una
misura pari al quadruplo del nuovo minimo edittale (anni due di reclusione a
fronte di un minimo edittale pari a mesi sei di reclusione), mentre il giudice di
primo grado era partito da una pena base corrispondente al triplo del vecchio
minimo edittale (anni tre di reclusione a fronte di un minimo edittale pari ad anni
uno di reclusione).
Il mancato rispetto del criterio proporzionale segnalato dalla difesa non
determina alcuna violazione di legge o manifesta irrazionalità di trattamento,
posto che il divieto di reformatio in peius, di cui all’art. 597 cod. pen., attiene
alla misura obiettiva riferibile ai singoli segmenti di pena e non certo alle
valutazioni (in questo senso convergenti indicazioni sono desumibili anche da
Sez. 4, n. 44799 del 2015, Di Rocca, Rv. 265761, secondo la quale il giudice
d’appello, nel rideterminare la pena inflitta per il reato di cui all’art. 73, comma
quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 prima della entrata in vigore della legge 16
maggio 2014, n. 79, che ha introdotto un regime sanzionatorio più favorevole,
esercita il potere discrezionale di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. in piena
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illogico ritenere che la detenzione dello stupefacente fosse destinata ad uso

autonomia dalle scelte operate dal giudice di primo grado, dando conto in
motivazione della decisione presa, con il limite – nell’ipotesi di appello proposto
dal solo imputato – del divieto di

reformatio in peius).

Del resto questa

impostazione è coerente anche con la più diffusa giurisprudenza di legittimità in
materia di individuazione della pena applicabile a fattispecie concernente “droghe
leggere” giudicate prima della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014:
secondo numerose decisioni, infatti, deve escludersi che, in sede di nuova
commisurazione della sanzione dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 32

correlato alla pena calcolata prima della declaratoria di incostituzionalità (così, in
particolare, Sez. 6, n. 6850 del 09/02/2016, L’Astorina, Rv. 266105; v., inoltre,
nello stesso ordine di idee, tra le tante, Sez. 3, n. 23952 del 30/04/2015, Di
Pietro, Rv. 263849).

4. In conclusione, quindi, l’infondatezza dei motivi proposti impone il rigetto
del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 3 giugno 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

del 2014, il giudice debba seguire un criterio proporzionale di tipo aritmetico

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