Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29607 del 06/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29607 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: TADDEI MARGHERITA

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Veronese Pasqualino, nato il 30.11.1991
avverso l’ordinanza n.1191/ 15 del Tribunale del riesame di Catanzaro,

del

24.11.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Margherita B. Taddei;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Mario
Fraticelli , che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito l’avv.Sergio Boldrini,in sostituzione dell’avv. Giovanni
riportandosi ai motivi ha insistito per l’accoglimento del ricorso
MOTIVI della DECISIONE

l

Zagarese, che

Data Udienza: 06/04/2016

Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava
l’ordinanza del GIP del Tribunale di Castrovillari, del 30.10.2015, che aveva applicato
a Veronese Pasqualino la misura cautelare della custodia domiciliare in ordine al

reato p. e p. dagli artt.110, 628 cod.pen. comma 1 e 2 nn. 1,3bis,3 quinquies perché in concorso con
Capriccioso Cosimo mediante violenza consistita nello strattonare ripetutamente la persona offesa
Angela Rocca, classe 1936, e nell’avvolgerle la testa con un indumento, così impedendole ogni reazione e
stringendole le mani intorno al collo, nonché nel frugarle poi nella borsa appropriandosi del
portamonete di sua proprietà contenente spiccioli, nello strapparle dal collo la collanina d’oro che
indossava e nello strattonarla per impadronirsi degli orecchini, s’impossessava del portafogli e della
catenina, sottraendoli alla persona offesa, che li deteneva. Con raggravante di aver commesso il fatto in
più persone riunite, profittando di circostanze con riferimento alla persona tali da ostacolare la privata
difesa; per aver commesso il fatto su persona ultrasessantacinquenne.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso 1′ avv.Giovanni Zagarese, difensore di
Veronese chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e deducendo a motivo la
violazione dell’art.606 comma 1 lett.b) ed e) cod.proc.pen. per erronea applicazione
dell’art.192 comma 2 cod.proc.pen. e conseguente contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione, risultante anche da altri atti del processo.
Deduce in particolare che la motivazione è contraddittoria nel punto in cui dopo aver
dato atto che la vittima aveva dichiarato di essere stata aggredita da una sola
persona , ritiene possibile che la percezione della donna possa essere stata fuorviata
dall’essere stata ,la stessa, incappucciata nel corso della rapina e nonostante che
anche il telefonista che allertò i Carabinieri ,subito dopo il fatto, aveva fatto
riferimento ad un solo rapinatore. Anche le dichiarazioni di Filippelli Paola , titolare
della gioielleria alla quale si rivolsero i due indagati , sentita sulle spiegazioni
fornitele dai due indagati ,che volevano vendere una collanina d’oro, non è
risolutiva circa la pretesa responsabilità di entrambi per la rapina mentre la vendita
del monile nel secondo negozio è compatibile solo con il reato di ricettazione.
Il ricorso non è infondato perché i motivi non convincono a fronte della completa
motivazione del provvedimento; sono generici e meramente reiterativi e
sostanzialmente tesi ad accreditare una diversa ricostruzione dei fatti.
Sostanzialmente il Tribunale riconnette gravità indiziaria a carico di entrambi gli
indagati a tre precisi elementi : a) il fatto che i due indagati detenessero la collana in
oro ,strappata alla signora Rocca ,qualche decina di minuti dall’evento delittuoso ed
in luogo prossimo a quello in cui si è verificato il fatto; b) il brevissimo lasso di tempo
intercorso tra il fatto delittuoso e la vendita della catenina; c) il contegno sospetto
tenuto dagli stessi nei due esercizi commerciali ove avevano tentato di sbarazzarsi
della collana, connotato dalla fretta e dall’essersi posizionato ,uno dei due giovani,
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reato di seguito indicato:

davanti al negozio di compro oro assumendo le funzioni di palo mentre l’altro era
intento nel concludere la vendita. E’ del tutto logica non solo la considerazione del
Tribunale secondo la quale tali elementi , unitariamente e complessivamente
considerati ,consentono di ritenere sussistente il giusto grado di gravità indiziaria,
richiesto dalla fase cautelare, a carico di entrambi gli indagati per l’episodio di
rapina ma anche quella che ritiene che tale quadro di gravità indiziaria non sia
pregiudicato né dalla circostanza che la vittima ha dichiarato di essere stata
avuto reale contezza della presenza in loco di un secondo soggetto, né dalla
giustificazione riferita da uno dei due indagati alla Filippelli , secondo la quale era
necessario attendere la consegna della catenina da parte di una terza persona ,
essendo tale dichiarazione spiegabile alla luce della presenza, fuori dal locale, dei
Carabinieri, circostanza che a parere del Tribunale potrebbe avere indotto i due
giovani a cambiare repentinamente programma, e a portarsi presso il successivo
compro oro ,distante soli 500 metri dalla gioielleria, per procedere allo scambio.
Rileva ancora il Tribunale che la circostanza che il Veronese, in sede d’interrogatorio
, abbia platealmente mentito sulla provenienza del monile affermando di averla
ricevuta da un albanese alle 9,30 di mattina, quando è certo che la sottrazione della
catenina alla Rocca è stata consumata intorno a mezzogiorno, aggiungendo di averla
venduta al compro oro al prezzo di 18 euro mentre il prezzo è stato di 170 euro,
accresce la gravità indiziaria a carico dello stesso ed accresce anche la rilevanza
pleonastica dei motivi di ricorso che nella sostanza pur riguardando una pronuncia
coerente e completa si propongono di spuntare dalla Corte di legittimità una
inammissibile ricostruzione alternativa dei fatti mediante criteri di valutazione diversi
da quelli adottati dal giudice di merito. Secondo il costante insegnamento di questa
Suprema Corte esula, comunque, dai poteri della Corte di cassazione quello di una
“rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un.,
30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842
del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella

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aggredita da una sola persona, potendo ella, in quanto incappucciata, non avere

determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa
delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale
nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo
determinare in euro 1.500,00 (millecinquecento/00).
P.Q.M.

processuali e della somma di euro mille cinquecento alla Cassa delle ammende.
oma , camera di consiglio del 06 aprile 2016
Il Cons

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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