Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29603 del 27/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29603 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MAURI MASSIMO N. IL 27/02/1971
avverso la sentenza n. 8/2014 TRIBUNALE di VENEZIA, del
27/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 11-0—>i
r72che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.
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Data Udienza: 27/04/2016

RITENUTO IN FATTO

Ricorre per cassazione DE MAURI Massimo avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che in
data 27.6.2014 ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Portogruaro che lo aveva
condannato per danneggiamento semplice.
Deduce il ricorrente:
vizio della motivazione con riguardo all’affermazione di responsabilità. Contesta la
valutazione dei fatti operata dai giudici di merito sostenendo l’illogicità ed
incompletezza della motivazione
2.

vizio della motivazione in ordine alla pena e al diniego delle circostanze attenuanti
generiche.

3.

Vizio della motivazione con riguardo alle censure svolte in ordine alle statuizioni civili.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve preliminarmente rilevarsi che il reato è stato depenalizzato con il decreto legislativo n. 7
del 15 gennaio 2016 con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata
senza rinvio perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Ciò detto il problema che si pone all’attenzione del Collegio è quello “se il giudice, nel
dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve comunque decidere
sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli
interessi civili”.
Sul punto questo Collegio ritiene di aderire e fare proprio quanto sostenuto da pronunce di
diverse sezioni di questa Corte che hanno affermato che, in caso di impugnazione di sentenza
di condanna relativa ad una delle fattispecie criminose abrogate dal d.lgs. 15 gennaio 2016,
n.7, il giudice, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve
comunque decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza
che concernono gli interessi civili (Cass Sez. V, 7 aprile 2016, n. 14041, Carbone, Rv. 266317,
nonché altre pronunce in corso di massimazione: Sez. V, 23 febbraio 2016, n. 7124, Portera;
Sez. II, 24 maggio 2016, n. 21598, Panizzo; Sez. V, 9 giugno 2016, n. 24029, Mancuso e Sez.
II, 10 giugno 2016, n. 24299, Cascarano)
A sostegno di tale conclusione è stata richiamata la consolidata giurisprudenza di legittimità
formatasi in relazione all’ipotesi in cui

l’abolitio criminís intervenga successivamente alla

sentenza di condanna divenuta definitiva, secondo la quale, in virtù di quanto disposto dall’art.
2 comma 2, cod. pen., l’eventuale revoca della sentenza di condanna da parte del giudice
dell’esecuzione non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto,
1

1.

con conseguente salvezza delle statuizioni civili derivanti da reato le quali continuano a
costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (si citano tra le
molte Sez. V, n. 20 dicembre 2005, n. 4266, Colacito, Rv. 233598; Sez. V, 24 maggio 2005, n.
28701, P.G. in proc. Romiti ed altri, Rv. 231866; Sez. VI, 21 gennaio 1992, n. 2521 Dalla
Bona, Rv. 190006). Se, pertanto, l’art. 2 cod. pen. disciplina espressamente la sola ipotesi di
cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna, si deve ritenere che, riguardo
alla ipotesi di sentenza non ancora divenuta definitiva, per il diritto del danneggiato al
risarcimento dei danni devono trovare applicazione non i principi generali sulla successione

cui “la legge non dispone che per l’avvenire” e, pertanto, il diritto al risarcimento permane
anche a seguito di abolitio criminis, a nulla rilevandole successive modifiche legislative, che
non abbiano espressamente disposto sui diritti quesiti (cfr. Sez. VI, 21 gennaio 1992, n. 2521,
Dalla Bona, Rv. 190006). I capi civili della sentenza rimarrebbero pertanto impermeabili alla
perdita di rilevanza penale del fatto tenuto conto anche che la formula assolutoria adottata, a
seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice, “non è fra quelle alle quali
l’art. 652 c.p.p. attribuisce efficacia nel giudizio civile” (cfr., Corte cost., ord. n. n. 273 del
2002).
Secondo tale orientamento anche l’esame della disciplina dei decreti attuativi della legge
delega n. 67 del 2014 conforta tale decisione. Dall’esame congiunto dell’art. 3, co. 1, d.lgs. n.
7 del 2016, che prevede che i “fatti previsti dall’articolo seguente, se dolosi, obbligano, oltre
che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento
della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita” e dell’art. 12, co. 1, stesso decreto che, appunto,
estende tale disciplina ai fatti commessi antecedentemente, salvo che il procedimento penale
sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili, trova ulteriore conferma
l’affermazione che anche il giudice penale è legittimato a riconoscere il risarcimento del danno.
A ciò, secondo Cass. Sez. 2° n. 21598/16, Panizzo non ancora massimata, si aggiungerebbe
anche la particolare natura delle nuove forme di illecito che, prevedendo delle specifiche forme
di sanzioni civili preventivamente stabilite dalla legge e non parametrate sull’entità del
pregiudizio subito dall’attore, si porrebbero in perfetta continuità normativa con gli “abrogati”
reati, tanto che rispetto ad esse solo impropriamente potrebbe parlarsi di “abrogazione”,
trattandosi piuttosto di una depenalizzazione “diversa”, con conseguente incoerenza di un
sistema nel quale, depenalizzate una serie di ipotesi di reato, solo per i nuovi fatti illeciti
“civilizzati” (per i quali è poi sicuramente più frequente la proposizione dell’azione civile
all’interno del processo penale) e non per gli altri fatti oggetto di depenalizzazione, fosse inibito
al giudice penale l’esame dell’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni civili.
Sempre secondo questa Corte (Cass. Sez. 5° n. 14041/2016) la mancanza di un’analoga
previsione nel corpo del decreto legislativo n. 7 di una disposizione transitoria come quella
contenuta nel decreto legislativo n. 8 per i reati “depenalizzati” troverebbe spiegazione nel
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delle leggi stabiliti dall’art. 2 cod. pen. bensì il principio stabilito dall’art. 11 delle preleggi per

fatto che il decreto suddetto disciplina fatti costituenti, ab origine e in via principale, illeciti
civili, attratti nell’orbita penale dalle contingenti scelte legislative, e proprio per questo è parsa
conforme ai principi sulla successione della legge nel tempo – senza bisogno di esplicita
disposizione – la sopravvivenza dell’azione civile nel procedimento pendente, pur a seguito di
abrogazione del reato; mentre il decreto legislativo n. 8 disciplina fatti che offendono,
principalmente, interessi pubblicistici, per cui sì poneva – in relazione agli interessi civili
occasionalmente ed eventualmente offesi dal reato – la necessità di statuire in ordine alle sorti

Come già indicato ritiene questo Collegio di aderire alla soluzione richiamata, pur nella
consapevolezza di un diverso orientamento espresso da numerose sentenze della Quinta
sezione penale di questa Corte di cassazione, perché non solo appare come la soluzione più
coerente con i principi della giurisdizione penale e civile, ma anche perchè evita che talune
cause estintive possano frustrare il diritto al risarcimento ed alla restituzione, imponendo alla
parte civile costituita la prosecuzione del giudizio in sede civile, sebbene lo stesso abbia già
trovato definizione, pur non irrevocabile, in sede penale, con contrasto con il principio della
ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.
Affermata l’attitudine della statuizioni civili pronunciate nel giudizio di merito a sopravvivere
all’intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto il cui accertamento le ha
giustificate, deve rilevarsi che il ricorso non può trovare accoglimento con conseguente
conferma delle statuizioni civili.
Con la prima doglianze il ricorrente tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti
alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva
competenza del giudice di merito che, nel caso in esame, ha ineccepibilmente osservato che la
prova della responsabilità dell’imputato si desumeva dalle dichiarazioni della parte offesa
confermate dalla deposizione del teste Brig. Pesce che hanno portato all’identificazione
dell’autore dell’accertata condotta lesiva.

Il danno è stato liquida- in via equitativa. Sul punto non può che rilevarsi che la
giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che il potere di liquidare il
danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione
del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità
del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di
diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico
limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del
debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi,
peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e
ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo. Nel caso in esame i giudici di
merito hanno proceduto a detti accertamenti.
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dell’azione civile collateralmente esercitata.

Deve comunque aggiungersi che la liquidazione del danno patrimoniale cagionato da reato,
operata dal giudice con criterio equitativo costituisce un apprezzamento di fatto, sicché, ove,
come nel caso di specie, non si contesti la legittimità del ricorso al criterio equitativo, essa non
è censurabile in Cassazione.
Devono pertanto essere confermate le statuizioni civili.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come
reato. Conferma le statuizioni civili.
Così deliberato in Roma il 27.4.2016
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

Il Presidente
Franco FIA DANESE
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P.Q.M.

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