Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29564 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 29564 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

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sul ricorso proposto da:
RUSSI CONCETTA N. IL 30/04/1977
avverso la sentenza n. 1948/2012 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 31/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

Data Udienza: 10/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 gennaio 2013 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma del
Giudice per l’Udienza Preliminare di detta città emessa in data 20 ottobre 2005 nei confronti di
RUSSI Concetta, imputata del reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 73 comma 1 del D.P.R.
309/90 (illecita detenzione continuata di sostanza stupefacente del tipo eroina – reati
commessi il 15 febbraio e 17 febbraio 2005), riduceva la pena originariamente inflitta dal

attenuante speciale del fatto di lieve entità, ad anno uno e mesi quattro di reclusione ed €
4.000,00 di multa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputata a mezzo del proprio difensore di
fiducia lamentando, con unico motivo, inosservanza della legge penale sub art. 133 cod. pen.
in punto di determinazione della pena, in quanto eccessivamente severa, con correlato vizio di
motivazione per manifesta illogicità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il motivo incentrato sul trattamento sanzionatorio non è manifestamente infondato sulla
base delle considerazioni che seguono.
2. Va, in proposito, rilevato che, successivamente alla presentazione del ricorso, la
disciplina applicabile in materia di stupefacenti laddove si veda in tema di ipotesi di lieve entità
è mutata in senso favorevole alla posizione della ricorrente, la quale non era certo nelle
condizioni di formulare uno specifico motivo di impugnazione afferente alla quantificazione
della pena, in relazione allo stato della legislazione vigente al momento della proposizione del
ricorso.
3. In particolare il D.L. 23.12.2013 n. 146 all’art. 2 comma 1° ha innovato la materia della
cessione e/o detenzione illecita di stupefacenti caratterizzata dalla lieve entità, nel senso di
prevedere, oltre ad un ridimensionamento della pena edittale di natura detentiva (da uno a
cinque anni di reclusione in luogo della precedente pena da uno a sei anni) rimanendo
invariata la pena pecuniaria (da € 3.000,00 ad € 26.000,00), soprattutto la natura diversa di
tale ipotesi qualificando i fatti riconducibili nell’area della lieve entità come fattispecie
autonoma di reato e non più come circostanza attenuante speciale, avuto riguardo alla
specifica clausola di riserva o sussidiarietà (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”)
che caratterizza la nuova disposizione (in termini Sez. 6^ 8.1.2014, Cassanelli n.m.).
4. Tali modifiche assumono specifica rilevanza nel caso in esame, anzitutto in termini di
legalità della pena nel senso che i criteri di determinazione della pena legati alla nuova
formulazione legislativa, indubbiamente più favorevole rispetto alla precedente disciplina in
punto di trattamento sanzionatorio, impongono al giudice di valutare in termini diversi l’assetto
punitivo tenendo conto della forbice edittale oggi applicabile: infatti nel caso concreto la pena

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primo giudice, ferme restando le già concesse circostanze attenuanti generiche e la circostanza

base di natura detentiva individuata dal primo giudice si era attestata su livelli decisamente
distanti dal limite minimo ed anzi, prossimi a quello massimo, avendo il G.U.P. individuato
quale pena-base quella di anni tre e mesi nove di reclusione ed C 6.000,00 di multa.
5. Ancora più determinanti le modifiche apportate dal D.L. 146/13 in relazione alla diversa
natura dei fatti di lieve entità oggi qualificabili come fattispecie autonoma di reato.
6.

La mutata natura dell'(ormai ex) circostanza attenuante speciale fa sì che i fatti

giudicati dal G.U.P. con la sentenza del 21 marzo 2003 debbano essere valutati non più alla

fattispecie autonoma di reato.
6.1 La ragione della applicabilità retroattiva del disposto di cui all’art. 2 comma 10 del D.L.
146/13 deriva oltre che dalla più favorevole disciplina in termini sanzionatori anche dalla
applicabilità della prescrizione che, come è noto, ha carattere sostanziale e non processuale e
dunque risente del regime più favorevole in generale previsto dall’art. 2 comma 4° del codice
penale.
6.2 Alla data di emissione della sentenza di 1° grado (21 marzo 2003) era in vigore l’art.
157 cod. pen. che prevedeva per i reati punibili con pena edittale massima non inferiore ad
anni cinque (come nel caso in esame) la prescrizione ordinaria decennale eventualmente
prorogabile della metà. Tuttavia l’eventuale riconoscimento di una attenuante, comportando
necessariamente una diminuzione della pena, anche se minima, in misura inferiore ai cinque
anni faceva sì che il termine prescrizionale andasse calcolato secondo la fascia inferiore relativa
ai reati punibili con pena edittale inferiore ai cinque anni: per effetto di ciò il termine massimo
prescrizionale maturava nel termine di cinque anni eventualmente prorogabili della metà.
6.3 E’ noto che con la L. 251/05 l’istituto della prescrizione è profondamente mutato,
prevedendosi, a decorrere dal’8 dicembre 2005, il termine prescrizionale per i delitti
commisurato alla entità della pena edittale massima, aumentato di 1/4 e comunque un termini
non inferiore ad anni sei per tutti i delitti punibili con pena non superiore a tale limite salvi gli
aumenti per eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale; nessuna rilevanza, invece,
acquistavano eventuali circostanze attenuanti ad effetto speciale.
6.4 Le disposizioni transitorie dettate dall’art. 10 comma 3 della L. 251/05 prevedevano
che “Se, per effetto delle nuove disposizioni, i termini di prescrizione risultano più brevi, le
stesse si applicano ai procedimenti e ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della
presente legge, ad esclusione dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la
dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè dei processi già pendenti in grado di appello
o avanti alla Corte di cassazione”.
6.5 n riferimento ai “processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata dichiarazione di
apertura del dibattimento”, è stato, come è noto, espunto dalla Corte Costituzionale con la
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luce di una circostanza attenuante ad effetto speciale oggi non più in vigore, ma come

sentenza n. 393/06, che ha ritenuto non irragionevole tale discrimine temporale per
l’applicazione delle nuove disposizioni sui termini di prescrizione del reato nei processi in corso
di svolgimento in primo grado.
6.6 A seguito di tale pronuncia di declaratoria di illegittimità costituzionale di tale norma,
nella giurisprudenza di questa Corte, si erano formati orientamenti diversi che proponevano
differenti letture della nozione di “pendenza in grado di appello”: ad un primo indirizzo che
individuava tale momento nella iscrizione del processo nel registro della Corte d’appello, (per

momento della pendenza in grado di appello nel momento in cui era stato proposto l’appello,
(per tutte Sez. 1″, 9.4.2008 n. 18382, P.G. in proc. Solimini) ed, in ultimo, altro orientamento
secondo il quale la pendenza del giudizio in grado di appello doveva coincidere con fata della
pronuncia della sentenza di condanna di primo grado (per tutte Sez. 6^, 26.5.2008 n. 31702,
Serafin).
6.7 I contrasti tra i diversi indirizzi testè citati sono stati successivamente risolti dalle
Sezioni Unite di questa Corte che con sentenza 29.10.2009 n. 47008, D’Amato, Rv. 244810),
hanno definitivamente affermato il principio che deve aversi riguardo, al fine di individuare la
pendenza dell’appello in vista dell’applicazione della disciplina previgente in materia di termini
di prescrizione, al momento della pronuncia della sentenza di primo grado.
6.8 Sulla scorta di tale regola ermeneutica applicata in modo costante dalla giurisprudenza
successiva, può quindi ritenersi ormai certo che il discrimine ai fini della applicazione del
regime prescrizionale è costituito dal momento della pronuncia della sentenza di primo grado
(Sez. 6^ 16.12.2009 n. 8983, P.G. in proc. Torrisi, Rv. 246406).
6.9 Nel caso in esame, la sentenza di primo grado è stata emessa il 20 ottobre 2005,
sicché al momento di entrata in vigore della nuova disciplina (8 dicembre 2005) era già
pendente la fase di appello rilevante ai fini della disposizione transitoria di cui alla L. n. 251 del
2005, art. 10, con conseguente applicazione dei termini di prescrizione previsti dalla vecchia
normativa.
6.10 Ora, tenuto conto della mutata natura giuridica della ipotesi di lieve entità di cui al
comma 5 0 dell’art. 73 D.P.R. 309/90, nonché della modifica dei limiti edittali di pena previsti
dal D.L. 146/13 e del fatto che in relazione alla diminuzione del limite massimo edittale della
pena di anni cinque per effetto dell’intervenuta concessione delle circostanze attenuanti
generiche da parte del primo giudice, deve ritenersi che il termine massimo prescrizionale
debba essere determinato nella misura di anni cinque prorogabili della metà ai sensi del
previgente art. 157 par. 4) cod. pen.
6.11 In concreto, quindi, l’estinzione del reato per prescrizione deriva dalla maturazione
del termine di prescrizione di anni sette e mesi sei alle date del 15 agosto e 17 agosto 2012,
antecedenti a quelle di emissione della sentenza di appello.

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tutte Sez. 3^, 15.4.2008, n. 24330, Muscariello), se ne contrapponeva altro che individuava il

7. Per completezza va rilevato che tale soluzione non muterebbe laddove si fosse ritenuta
applicabile la nuova disciplina prevista dall’art. 1 della L. 251/05 trattandosi di reato punibile
con pena edittale non superiore ad anni sei di reclusione.
8. Stante, allora, la non manifesta infondatezza del ricorso, va pronunciato l’annullamento
della sentenza suddetta senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, in quanto
maturata nel suo termine massimo, comprensivo della proroga, il 21 settembre 2010.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma il 10 gennaio 2014
Il Consigliere e e sore

Il Presidente

P.Q.M.

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