Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29552 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29552 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
BALDAN CRISTIAN nato il 09/10/1971, avverso l’ordinanza del Tribunale
del Riesame di Venezia del 14/01/2015;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Gialanella che
ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv.to Luigino Maria Martellato che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con ordinanza del 14/01/2015, il Tribunale del Riesame di
Venezia rigettava l’appello proposto da BALDAN Cristian, a mezzo dei
propri difensori, avverso l’ordinanza con la quale il giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Vicenza, in data 24/11/2014, aveva
rigettato la richiesta di revoca o attenuazione della custodia cautelare in
carcere emessa in data 27/10/2014 per i reati di rapina e per il
connesso delitto di porto illegale di armi da guerra e tipo guerra.

Data Udienza: 16/06/2015

2. Avverso la suddetta ordinanza, il Baldan, a mezzo dei propri
difensori, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
OMESSA MOTIVAZIONE

in ordine alle censure con le quali la difesa

aveva lamentato: la violazione del principio del

ne bis in idem;

l’incompetenza del giudice per le indagini preliminari del tribunale di
Vicenza; la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza; l’insussistenza
delle esigenze cautelari;
2.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

297/3

COD. PROC. PEN.

per non avere il

tribunale applicato il principio della retrodatazione, adducendo un
«argomento capzioso e svolto in violazione di legge, vale a dire in
violazione dell’art. 297/3 cod. proc. pen. e della ratio del disposto così
come evidenziata dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione
[..] l’errore in cui incorre l’impugnata ordinanza è di ancorare il termine
al decreto che dispone il giudizio nel procedimento in cui è stata emessa
la prima misura (termine che rileva solo ai fini della desumibilità) e non
già al fatto che è decorso un termine superiore all’anno dall’esecuzione
della prima misura, cosicchè la seconda, emessa in fase di indagini
preliminari, debba retrodatarsi a quel tempo»;
2.3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

274

COD. PROC. PEN.

per non avere il

tribunale adeguatamente motivato, quanto alle esigenza cautelari, in
ordine al requisito della concretezza, del computo del periodo custodiale
e del profilo dell’attualità.
DIRITTO
1. FATI-0:

Il Tribunale ha ricostruito la vicenda processuale in

esame nei seguenti testuali termini:

«Baldan Cristian, odierno

appellante, è stato dapprima tratto in arresto il 18/11/2013 perché
trovato in possesso, unitamente ad un complice, di armi e di esplosivi,
nonché della vettura Audí A6, di provenienza furtiva, che poi risulterà
essere stata utilizzata per la rapina perpetrata il 17/10/2013 in danno
‘del laboratorio orafo ” Giante s.r.l.” di Bassano del Grappa: tutti i beni

2

2.1.

erano custoditi nel garage sito in Fiesso d’Artico nella disponibilità del
prevenuto. Per i soli reati di detenzione illegale delle armi e ricettazione,
il prevenuto„ nell’ambito del procedimento n.12227/2013 R.G.N.R. P. M.
Tribunale Venezia, veniva originariamente sottoposto alla massima
misura custodiale, poi agli arresti domiciliari e quindi giudicato nonché

con ordinanza 27/10/2014 il Gip del Tribunale di Vicenza emetteva nei
confronti del Baldan, colà indagato per la specifica rapina verificatesi in
danno del laboratorio orafo “Giante s.r.l.”, per il porto illegale di tre
pistole e di un fucile Kalashikov asseritamente utilizzati nell’azione
criminosa, nonché per altri analoghi episodi delittuosi avvenuti in
provincia di Vicenza, un’ordinanza impositiva della massima misura
custodiale esclusivamente per la specifica rapina sopra indicata e per il
connesso delitto di porto illegale di armi da guerra e tipo guerra in luogo
pubblico ( capi A) e 8) dell’incolpazione provvisoria). Il provvedimento
veniva impugnato davanti al Tribunale distrettuale ex art. 309 c.p.p.. e
in quella sede la difesa depositava memoria nella quale ripercorreva le
fasi del processo veneziano, con espresso riferimento alla perizia di
trascrizione delle intercettazioni ambientali, alle deposizioni di testi e
consulenti e agli esiti degli accertamenti tecnico-scientifico di natura
dattiloscopica, biologica e balistica (ivi), di cui forniva una lettura in
chiave assolutoria. Le argomentazioni in allora spese dal difensore
venivano però respinte dal Tribunale, poiché già vagliate dal giudice di
merito che, il 20/10/2014, aveva condannato il Baldan per la detenzione
delle armi e dei beni ricettati rinvenuti nel suo garage, alla pena di anni
4 e mesi 8 di reclusione, oltre la multa. Tale ordinanza veniva
impugnata con ricorso in cassazione. Con istanza 31/10/2014 e successiva integrazione, la difesa chiedeva poi al Gip di Vicenza ‘la
revoca o l’attenuazione della cautela in atto, contestando nuovamente la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e sostenendo che il suo
assistito non aveva partecipato alla rapina; lamentava comunque pure il
difetto delle individuate esigenze, non assistite dal requisito
dell’attualità; sottolineava l’incensuratezza del suo assistito e il tempo
dallo stesso già trascorso in stato di restrizione; ribadiva l’identità dei

3

condannato in primo grado con sentenza 20/10/2014. Successivamente

fatti oggetto dei due distinti procedimenti, ritenendo perciò
ingiustificato, rispetto al procedimento veneziano, “l’aggravamento” del
trattamento cautelare e richiamava genericamente il principio di
fissazione legislativa dei termini di durata massima della custodia. Il Gip
respingeva la richiesta evidenziando che il meritò della odierna vicenda

era stato già sottoposto al vaglio del Tribunale distrettuale e del giudice
del dibattimento; in punto affievolimento della misura, riteneva poi
ancora necessaria la Custodia in carcere, nonostante la pregressa
concessione al Baldan, da parte dell’A.G. veneziana, degli arresti
domiciliari, viste le più gravi contestazioni oggi ascrittegli; infine, con
riferimento al tempo trascorso dall’indagato in stato di restrizione, il Gip
riteneva che non poteva trovare applicazione l’ art. 297 c.3 c.p.p.,
trattandosi di procedimenti pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi.
Avverso tale decisione la difesa proponeva appello ribadendo che il fatto
era il medesimo già giudicato a Venezia e che vi era violazione del
principio del ne bis in idem; che il Gip Vicentino era perciò
incompetente; che comunque vi erano tutti gli estremi per la
retrodatazione connessione qualificata, anteriorità dei fatti e
desumibilità dagli atti), possibile anche nel caso di procedimenti davanti
a giudici diversi; che mancavano i gravi indizi ed anche esigenze
caute/ari attuali, vista l’epoca di commissione dei reati, il buon profilo
soggettivo del suo assistito, il suo corretto comportamento processuale
e la capacità di autodisciplina mostrata durante l’esecuzione della
custodia domestica impostagli dal giudice veneziano. Chiedeva pertanto
la declaratoria di perdita di efficacia della misura per decorrenza dei
termini di fase o in subordine la sostituzione della custodia in carcere cmn
gli arresti domiciliari».

2.

OMESSA MOTIVAZIONE:

censura (supra § 2.1. in parte

la

narrativa), nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente
infondata.
Il Tribunale ha respinto le doglianze tralaticiamente riproposte in
questa sede dal ricorrente con i motivi sub 1-2-3-5 del presente ricorso
(pag. 16 ss), con la seguente testuale motivazione: «Per quanto

4

/

riguarda le doglianze relative alla gravità indiziarla si osserva: gli
elementi oggi evidenziati a sostegno del gravarne, sono i medesimi già
posti a fondamento della precedente richiesta ex art. 309 c.p.p.; ed il
Tribunale distrettuale ha in allora esaminato e respinto tutte le istanze
difensive con ordinanza n. 1258/2013 T.L.M.C.P., che qui si intende

integralmente richiamata, in particolare anche con riferimento alle
preclusioni verificatisi a seguito della pronuncia di condanna emessa il
20/10/2014 dal Tribunale di Venezia ( v. copia sentenza n. 1645/2014).
E’ ben vero che il provvedimento di questa A. G. non è ancora divenuto
definitivo, ma pur in difetto di giudicato cautelare, trova comunque
applicazione l’art. 666 c.p.p. (che pone un principio applicabile anche al
di fuori del procedimento di esecuzione: v. Cass. Sez 3, sentenza
21/2/2008, n. 14236), ostativo alla riproposizione di richieste fondate
sui medesimi elementi già offerti in altra precedente istanza poi
rigettata. In mancanza di dati di novità (nel caso di specie, come detto
inesistenti), non vi sono perciò ragioni di modifica della pregressa
valutazione espressa: l’originario quadro indiziario appare immutato e
dunque lo stesso permane a tutt’oggi esaustivo».
Come si può notare, il Tribunale non ha affatto omesso la
motivazione, come erroneamente sostiene il ricorrente, ma ha
dichiarato, di fatto, inammissibili una parte dei motivi di appello dedotti
perché meramente reiterativi di quelli già disattesi con altra ordinanza:
il Tribunale, pertanto, si è limitato a ribadire il pacifico ed indiscusso
principio di diritto secondo il quale la revoca delle misure cautelari può
essere chiesta solo in presenza di elementi di fatto nuovi rispetto a
quelli già eventualmente esaminati in precedenza in altro procedimento.
Questa essendo la ratio decidendi, è chiaro che il ricorrente
avrebbe dovuto appuntare le sue critiche sulla suddetta motivazione e
non reiterare e riproporre alla lettera i motivi di appello sostenendo che
il Tribunale aveva omesso la motivazione: le doglianze, pertanto, di cui
ai motivi sub 1-2-3-5 del presente ricorso, sono tutte inammissibili.

3.

VIOLAZIONE DELL’ART.

297/3

COD. PROC. PEN.:

la suddetta censura,

è infondata.

5

/

Il tribunale ha disatteso la medesima doglianza adducendo la
seguente testuale motivazione: «per quanto riguarda la questione di rito
ex art.297 c.p.p., introdotta a pieno titolo nel presente procedimento dal
“decisum” del provvedimento gravato (v. Cass. Sez.1, sentenza n.
43913 del 2/7/2012), il collegio ritiene che, contrariamente a quanto

operi pur in presenza di ordinanze caute/ari emesse da giudici aventi
distinte competenze territoriali, per fatti diversi ma in relazione di
connessione qualificata (v. Cass. Sez.3, sentenza n. 44902 del
21/10/2009, nonché Cass. Sez. 6, sentenza n. 43235 del 25/9/2013).
Peraltro, fermo restando che in tale ipotesi la disciplina delle
“contestazioni a catena” trova applicazione solo per quelli desumibili
dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata
‘emessa la prima ordinanza (v. Cass. Sez. 2, sentenza del 3/4/2014),
occorre precisare che anche ove sia riconosciuta la retrodatazione, l’art.
297 c.3 c.p.p., impone di considerare per il computo dei termini di fase
solo i periodi relativi a fasi omogenee (Cass. Sez. 6, sentenza n. 15736
del 6/2/2013). Orbene nel caso di specie, il Baldan è stato
originariamente tratto in arresto il 18/11/2013, nell’ambito del
procedimento n.12227/2013 R.G.N.R. P.M. Tribunale Venezia, per i soli
reati di detenzione illegale delle armi e ricettazione ed a tale titolo ha
subito, nella fase delle indagini, tre mesi di custodia cautelare, essendo
poi intervenuto per quei fatti, in data 18/2/2014, il decreto giudizio
immediato (v. copia in atti). Nel procedimento vicentino invece,
l’ordinanza cautelare 27/10/2014, emessa a carico del prevenuto per i
reati di cui agli artt. 628 c.1 e 3 n1 c.p. e art. 4 L.n. 895/67 (capi A) e
B), è stata eseguita il 28/10/2014. Di conseguenza, nel procedimento
odierno, sono sin qui decorsi, nella fase delle indagini preliminari, meno
di tre mesi di custodia cautelare. In tale contesto, dunque, considerato
che il termine di fase di riferimento è di anni 1 (art. 303 c.1 Ltr. e) n.3
c.p.p.), appare evidente, avuto riguardo ad entrambe le frazioni di
tempo relative alle fasi omogenee dei due procedimenti, la non
intervenuta maturazione del termine massimo previsto. In conclusione,

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stabilito dal giudice procedente, la retrodatazione dei termini caute/ari

la invocata richiesta di declaratoria di perdita di efficacia della misura è
priva di pregio e va respinta».
Quindi, il Tribunale ha respinto il motivo di appello non perché
non abbia riconosciuto che potesse, nel caso in esame, configurarsi
l’ipotesi della cd. contestazione a catena di cui all’art. 297/3 cod. proc.

termine di fase delle indagini preliminari (pari ad un anno ex art. 303/1
lett a) n° 3) pur sommando i due periodi di custodia cautelare (tre mesi
per il primo titolo + periodo inferiore a tre mesi per il secondo titolo).
Si tratta della puntuale applicazione di un costante principio di
diritto (ex plurimis: Cass. 15736/2013 Rv. 257204; Cass. 47581/2014
Rv. 261262) che, in questa sede, va ribadito non peraltro perchè il
ricorrente, al di là dall’invocare notoria giurisprudenza che nulla ha a
che vedere con la problematica in esame, non ha addotto alcun
argomento che possa far rimeditare il principio di diritto applicato dal
Tribunale.

4. VIOLAZIONE DELL’ART.

274 COD. PROC. PEN.: -la suddetta

doglianza è manifestamente infondata.
Il tribunale ha respinto il motivo dedotto in ordine alla
pretesa venir meno delle esigenze cautelari, adducendo la
seguente testuale motivazione:

«Per quanto riguarda invece il

profilo cautelare, non si ravvisano in atti sopravvenienze
significative di un deperimento/affievolimento delle individuate
esigenze, non essendo tali le favorevoli condizioni soggettive del
prevenuto, del resto note anche all’epoca del riesame (v.
ordinanza cit.). Ed invero, sul punto, l’unica circostanza nuova è
costituita dall’ulteriore tempo, peraltro modesto, sin qui trascorso
dall’interessato in stato di restrizione: ma, trattasi di circostanza di
per sé non sintomatica di una attenuazione della sua pericolosità
(v. Cass. Sez.2, sentenza n. 1858 del 9/10/2013), tanto più che
l’interessato è soggetto già condannato in primo grado per reati di
rilevante gravità (v. sopra), nonché indagato anche nell’ambito del
procedimento n. 1160/2014 R.G.N. R. P.M. Tribunale Padova (v.

7

pen., ma perché, ha ritenuto che, comunque, non era ancora trascorso il

ordinanza ex art. 309 c.p.p., p. 3) e accusato, sempre nel
,presente procedimento vicentino, per analoghi episodi (non
costituenti però titolo custodiale: v. ordinanza genetica), proprio
per la sua intraneità ad un gruppo criminale di spiccata capacità
delinquenziale. La misura in atto appare, quindi, ancora oggi

insospettabile pericolosità da ultimo rivelata dal soggetto: né la
sua precedente ammissione agli arresti domiciliari (nell’ambito del
procedimento veneziano) può assumere rilievo in questa sede,
posto che quella cautela era stata allora applicata in relazione, ad
un numero più circoscritto di violazioni penali e che nel giudicare
quei fatti il giudice lagunare di prime cure ha poi ritenuto il
prevenuto immeritevole della concessione delle circostanze
attenuanti generiche, vista l’assenza di qualsiasi segnale di presa
di distanze dai plurimi illeciti ascrittigli (v. copia sentenza n.
1645/2014 Tribunale Venezia cit.)».
Quindi, il Tribunale, ha respinto la doglianza sotto un
duplice profilo:
a)

perché

l’indagato

non

aveva

evidenziato

«sopravvenienze significative di un deperimento/affievolimento
delle individuate esigenze, non essendo tali le favorevoli condizioni
soggettive del prevenuto, del resto note anche all’epoca del
riesame (v. ordinanza cit.)»;
b)

«l’unica circostanza nuova è costituita dall’ulteriore

tempo, peraltro modesto, sin qui trascorso dall’interessato in stato
di restrizione».
Ancora una volta, tuttavia, il ricorrente, lungi dall’addurre
motivi di doglianza coerenti con la motivazione suddetta, in modo
del tutto aspecifico, si è limitato a dolersi di altri profili (dichiarati
preclusi dal tribunale perché meramente reiterativi di quelli già
respinti) senza spendere una sola parola (se non invocando il
notorio principio di diritto – secondo il quale il trascorrere del
tempo può influire sulle esigenze cautelari – tenuto peraltro ben
presente dallo stesso Tribunale) sull’unica ratio decidendi e cioè

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adeguata e proporzionata alla gravità dei fatti di causa ed alla

sul fatto che l’unica novità costituita dal modesto tempo trascorso,
doveva ritenersi del tutto inidonea ad influire sulle esigenze
cautelari poste alla base della misura applicativa della custodia in
carcere.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al

P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp, att.
cod. proc. pen.
Roma 16/06/2015
IL PRESIDENTE
(Dott. Mario Gentile)

pagamento delle spese processuali.

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