Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29543 del 02/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 29543 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Nwachukwu Lynda Chioma, nata in Nigeria il 19/04/1973
avverso l’ordinanza del 09/04/2013 del Tribunale di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmine
Stabile, che ha concluso chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Bologna, adito ai sensi dell’art.
310 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 07/03/2013 con il quale la
Corte di appello della stessa città aveva disposto nei confronti di Lynda Chioma
Nwachukwu – imputata in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990 per avere detenuto illegalmente oltre 729 grammi di sostanza stupefacente
del tipo cocaina – la sostituzione della misura degli arresti domiciliari, alla quale

Data Udienza: 02/07/2013

la prevenuta era in precedenza sottoposta, con quella dell’obbligo di dimora nel
comune di Bologna, con divieto di allontanamento da casa nelle ore notturne.
Rilevava, in particolare, il Tribunale come fosse condivisibile la soluzione
privilegiata dalla Corte di appello che, decidendo sulla istanza difensiva di
sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quelle del divieto di dimora
nella regione Emilia Romagna, aveva, invece, reputato preferibile applicare l’altra
misura innanzi indicata, considerata più idonea a fare fronte alle residue

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso l’imputata Nwachukwu, con
atto sottoscritto personalmente, la quale, con un unico motivo, ha dedotto il vizio
di motivazione, per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere
il Tribunale di Bologna adottato una decisione in contrasto con le premesse della
argomentazione motivazionale.
3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile, perché presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
Lungi dall’evidenziare manifeste lacune o incongruenze capaci di disarticolare
l’intero ragionamento probatorio adottato dai giudici di merito, la ricorrente ha
formulato censure che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze
già valutate dal Tribunale del riesame: censure, come tali, non esaminabili dalla
Cassazione. Ed infatti, è pacifico come il controllo dei provvedimenti di
applicazione della misure limitative della libertà personale sia diretto a verificare
la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo, che il valore
sintomatico degli indizi alla sussistenza di esigenze cautelari e alla scelta di una
misura adeguata alle medesime esigenze e proporzionata al fatti. Controllo che
non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità delle fonti ed alla
rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la
motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
In base a tale criterio di giudizio va rilevato come i Giudici di merito, con
motivazione congrua e priva di vizi di manifesta illogicità, abbiano evidenziato
che, pur in presenza di un’attenuazione del rischio di recidiva (dovuta
all’intervenuta sentenza di condanna in grado di appello), tale bisogno di cautela
non potesse essere garantito dal divieto di dimora nella regione Emilia Romagna,
misura che avrebbe permesso all’imputata ampia libertà di movimento e la
possibilità di approvvigionarsi di cocaina in altre regioni italiane, stupefacente
che la prevenuta aveva detenuto in quantità considerevoli, e che, al contrario,
fosse più adeguata la misura dell’obbligo di dimora nel comune di Bologna che,
2

esigenze di cautela.

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con divieto di uscire da casa nelle ore notturne, avrebbe limitato gli spostamenti
della donna, consentendo anche un efficace controllo sui suoi spostamenti (v.
pagg. 2-3 ord. impugn.).
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc, pen., la condanna della ricorrente al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento in favore della
cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 02/07/2013

indicato nel dispositivo che segue.

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