Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29542 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29542 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SEMERARO PASQUALE N. IL 29/07/1982
avverso l’ordinanza n. 1149/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 25/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
0.,jo p
f/ro
epk.)–Q.LAti ,L2A.

Uditi difenAvv.;

Data Udienza: 13/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1.11 tribunale di Catanzaro confermava l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini
preliminari aveva applicato al Semeraro la misura cautelare della custodia in carcere per il
reato di tentata estorsione aggravato dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991

deduceva:
2.1. violazione di legge e correlato vizio di motivazione per illegittimo riconoscimento
dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge n. 203 del 1991. Si deduceva che non risultava
dimostrata l’esistenza della consorteria mafiosa e che l’indagato con il suo comportamento
avrebbe fatto uso del metodo mafioso, nonché l’insufficienza della asserita destinazione del
denaro richiesto al sostentamento delle famiglie dei carcerati per riconoscere l’aggravante;
2.2. violazione di legge e correlato vizio di motivazione nella misura in cui il provvedimento
impugnato dava conto della esistenza in concreto delle esigenze cautelar’, malgrado
l’automatismo nella scelta delle misure sia stato escluso dalla pronuncia della Corte
costituzionale n. 57 del 2013. In particolare si rilevava come non era emerso che gli indagati
facessero parte di organizzazioni mafiose operanti sul territorio, la íncensuratezza del
Semeraro in relazione a delitti mafiosi, la risalenza dei precedenti

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Il tribunale offre ampia ed esaustiva motivazione in ordine alla esistenza dell’aggravante
censurata, sicchè le doglianze difensive non trovano conferma nelle emergenze processuali e
segnatamente nel testo della sentenza impugnata.
La dedotta violazione di legge non trova conferme tenuto conto del consolidato indirizzo
ermeneutico, condiviso dal collegio secondo cui la configurabilità dell’aggravante prevista dalli
art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), non richiede
necessariamente la sussistenza di una compagine mafiosa o camorristica di riferimento non
solo quando è contestato l’utilizzo del metodo mafioso, ma neppure quando è addebitata la
finalità agevolativa, anche se, in questa seconda evenienza, occorre che lo scopo sia quello di
contribuire all’attività di un’associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una
logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità
tipiche previste dalli art. 416-bis cod. pen. (Cass.

Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, Rv.

260007; Cass. sez. 2, n. 322 del 02/10/2013, dep 2014 Rv. 258103).

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore degli imputati che


Nel caso di specie il tribunale, in coerenza con le indicate linee interpretative evidenziava
come la condotta dell’indagato fosse «idonea ad esercitare quella particolare coartazione
psicologica esercitata ai danni di una persona, conculcata nella sua libertà e tranquillità» con i
caratteri propria dell’intimidazione mafiosa.
Si tratta di una valutazione di merito non manifestamente illogica ed aderente alle emergenze
procedimentali, oltre che alle indicazioni interpretative fornite dalla Corte di Cassazione che si
sottrae al sindacato di legittimità.
1.2.

Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il Tribunale in adesione

alle indicazioni della Corte costituzionale circa la natura non assoluta delle presunzione di
adeguatezza della misura carceraria in relazione ai reati aggravati dall’art. 7 della legge n. 203
del 1991 evidenzia l’insussistenza di elementi favorevoli all’indagato idonei a vincere la
presunzione che risultava piuttosto rafforzata dalla biografia criminale del Semeraro che aveva
insistito nella dedizione alla attività delittuosa malgrado la applicazione della misura di
prevenzione della sorveglianza speciale. Si tratta di un percorso argomentativo che tiene
conto della attenuazione della presunzione conseguente all’intervento della Corte
costituzionale e si fa carico di valutare l’esistenza eventuali elementi idonei a vincerla.
La valutazione di merito conseguente a tale percorso argomentativo risulta, pertanto,
effettuata nel pieno rispetto dei parametri di legge si sottrae al sindacato di legittimità in
quanto la relativa motivazione si presenta priva di fratture logiche ed aderente alle emergenze
procedimentali.

2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento,
in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in C
1000,00.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve
disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in
cui l’indagato si trova ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato
articolo 94.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
eVdi euro 1000.00 alla Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 13 maggio 2014

L’estensore

Il Presidente

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