Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29532 del 02/07/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 29532 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Babbo Domenico, nato ad Avezzano il 30/08/1948
2. Del Pinto Francesco, nato ad Aielli il 29/04/1942
3. De Santis Vincenzo, nato a Goriano Siculi il 30/08/1940
4. Di Lorenzo Nello, nato a Tagliacozzo il 01/10/1939

avverso la sentenza del 10/11/2011 della Corte di appello di L’Aquila;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmine
Stabile, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per prescrizione dei reati;
udito per le parti civili Ennio Fracassi e Francesco Fracassi l’avv. Domenico Eligi,
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
6iovoipois

udito per gli imputati l’avv.(Frandac4Mazza, in sostituzione dellTavv. Francesco
Caroleo Grimaldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza
impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 02/07/2013

E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di L’Aquila, in parziale
riformava della pronuncia del 09/07/2007 del Tribunale di Avezzano, condannava
Domenica Babbo, Francesco Del Pinto, Vincenzo De Santis e Nello Di Lorenzo in
relazione al reato di cui all’art. 392 cod. pen., loro ascritto al capo e), dal quale
erano stati assolti in primo grado, ed il solo Babbo anche in relazione al reato di
cui all’art. 393 cod. peri., contestatogli al capo f) – commessi in San Pelino di
per il quale il Babbo era stato ritenuto responsabile in primo grado; oltre che
tutti al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero
dimostrato che l quattro prevenuti, al fine di esercitare un preteso diritto di
proprietà su di un fondo appartenente agli eredi di Nazzareno Fracassi e potendo
ricorrere al giudice, si erano fatti arbitrariamente giustizia da sé medesimi
mediante violenza sulle cose consistita nel rimuovere la recinzione, il cancello ed
relativo lucchetto, che i Fracassi avevano apposto a quel terreno, sostituendoli
con una nuova recinzione con traverse, rete metallica e cancello con serratura;
nonché che il solo Babbo, sempre allo stesso scopo e nelle medesime condizioni,
aveva minacciato Francesco Fracassi brandendo al suo indirizzo una roncola,
dunque facendo uso di un’arma, intimandogli di andarsene e dicendogli “ti taglio
il collo”.
2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso i quattro imputati i quali
hanno dedotto, articolati su cinque punti, i seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello
disatteso l’eccezione difensiva, formulata nel corso dell’udienza del giudizio di
secondo grado, di nullità del decreto di citazione a giudizio per indeterminatezza
delle imputazioni, formulate in maniera alternativa e, così, impedendo agli
imputati un corretto esercizio dei propri diritti di difesa.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 392, 393 e 52 cod. pen., e vizio
dl motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere
la Corte territoriale erroneamente confermato la pronuncia di primo grado in
ordine alla sussistenza dei reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni,
benché dagli atti fosse risultato che gli imputati avevano provveduto alla
sistemazione ed alla bonifica del terreno de quo, che si trovava in totale stato di
abbandono, ed al cambio delle relativa recinzione, in epoca anteriore al momento
in cui era sorta la contestazione sulla titolarità del diritto di proprietà, sicché i
primi (ed in specie il Babbo, che era stato chiamato a rispondere anche del reato

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Avezzano il 30/09/2004 – il secondo reato in sostituzione di quello di minacce

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di cui all’art. 393 cod. pen., ma che aveva agito in stato di legittima difesa)
avevano esclusivamente dovuto contrastare l’iniziativa dei secondi che,
arbitrariamente, avevano ritenuto di poter fare valere i loro diritti con la
violenza.
3. Ritiene la Corte che i ricorsi siano inammissibili.
4. Il primo motivo del ricorso – afferente una presunta violazione di legge, nel
– è inammissibile perché manifestamente infondato.
Ed infatti, è pacifico che le nullità del decreto che dispone il giudizio ex art. 429
comma 2 cod. proc., come quelle del decreto di citazione diretta a giudizio di cui
all’art. 552 comma 2 cod. proc. pen., sono nullità generali a regime intermedio,
sicché, a norma dell’art. 180 dello stesso codice di rito vanno dedotte, a pena di
decadenza, prima della deliberazione della sentenza di primo grado (cosa che,
nel caso di specie, non è avvenuto).
5. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile perché presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione
esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze
processuali, sicché può ritenersi acclarato che, alla data del 30/09/2004, cioè nel
momento in cui i quattro imputati avevano tenuto le condotte oggetto di
specifica contestazione, gli stessi fossero pienamente consapevoli che, per fare
valere il diritto di proprietà su quel terreno, di cui essi si ritenevano titolari in
ragione di una pregressa compra-vendita, avrebbero dovuto rivolgersi all’autorità
giudiziaria contro coloro che di quel fondo risultano possessori. Tanto era
risultato dimostrato sia dal fatto che in precedenza, esattamente il 10/09/2004,
il Di Lorenzo, il De Santis e il Del Pinto avevano strumentalmente presentato al
comune di Avezzano un nota per denunciare lo stato di abbandono di
quell’immobile, sì da ottenere da tale ente pubblico una ordinanza che obbligasse
i presunti proprietari – tra i quali le loro tre rispettive mogli – a bonificare il
terreno; che anche dal fatto che, per entrare violentemente in possesso del fondo
medesimo, essi avevano dovuto rimuovere la recinzione ed il cancello con il
lucchetto che gli eredi Fracassi avevano apposto, che costituivano altrettanti
“incontestabili segni della signoria altrui sul bene” (così esercitando quella
violenza sulle cose che aveva integrato gli elementi costitutivi del delitto di cui
all’art. 392 cod. peri.). Situazione, dunque, nella quale la reazione di Francesco
Fracassi non poteva che essere qualificata come un legittimo tentativo di

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cui esame resta assorbito quello relativo alla prospettata carenza di motivazione

opposizione all’arbitraria azione di impossessamento posta in essere dagli odierni
quattro ricorrenti: il che era sufficiente ad escludere che la successiva iniziativa
minacciosa del Babbo, concretizzatasl nel brandire una roncola all’indirizzo del
Fracassi, al quale era stato prospettato il “taglio della testa” se non se ne fosse
andato, potesse integrare gli estremi di una legittima difesa e, perciò, scriminare
l’azione delittuosa che aveva, invece, configurato lo specifico illecito previsto
dall’art. 393 cod. gen. (v. pagg. 12-14 sent. impugn.). I rilievi formulati al
riguardo dal ricorrente si muovono nella prospettiva di accreditare una diversa
in fatto all’Iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale,
peraltro, vi è puntuale risposta a detti rilievi, sostanzialmente sovrapponibili a
quelli già sottoposti all’attenzione della Corte territoriale.
6. Va rilevato come entrambi i reati per i quali vi è stata condanna si sono
formalmente prescritti nelle more tra la pronuncia della sentenza di secondo
grado e l’odierna udienza, ma alla relativa declaratoria di estinzione osta
l’accertata inammissibilità dei gravami. Sul punto questo Collegio non ha motivo
per disattendere il consolidato principio di diritto secondo il quale
l’inammissibilità del ricorso per cassazione, non consentendo il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione, preclude ogni possibilità sia di far valere sia di
rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per
prescrizione, persino se maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza
di appello, ma non dedotta né rilevata da quel giudice (così, da ultimo, Sez. U, n.
23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De
Luca, RV. 217266).
7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’alt
616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell’erario
delle spese del presente procedimento e ciascuno al pagamento in favore della
cassa delle ammende di una somma che si stima equo fissare nell’importo
Indicato nel dispositivo che segue.
Gli imputati vanno, altresì, condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle
parti civili che, in base alle tariffe forensi e all’attività difensiva effettivamente
svolta, si liquidano nella misura che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno della somma di curo 1.000,00 alla cassa delle ammende.
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lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure

7111″1″

Condanna altresì i ricorrenti a rimborsare in solido alle costituite parti civili le
spese di questo grado che si liquidano in complessive euro 5.000,00, oltre iva e
cpa.

Così deciso il 02/07/2013

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