Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29513 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29513 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
CAICCHIOLO ALESSANDRO nato il 04/12/1980, avverso la sentenza del
08/05/2014 della Corte di Appello di Venezia;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Gialanella che
ha concluso per l’inammissibilità;
uditi i difensori avv.to Piero Magri per la parte civile che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso; avv.to Silvia Zanini per l’imputato che ha
concluso per l’accoglimento;
FATTO
1. Con sentenza del 08/05/2014, la Corte di Appello di Venezia
confermava la sentenza pronunciata in data 25/02/2013 dal giudice
monocratico del Tribunale di Verona nella parte in cui aveva ritenuto
CAICCHIOLO Alessandro colpevole del reato di appropriazione indebita
della somma di C 41.390,26 provento della vendita di merci di un punto

Data Udienza: 16/06/2015

vendita del quale il suddetto imputato era responsabile unico della
cassa.

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo LA VIOLAZIONE

2.1. nella parte in cui la Corte aveva valutato come attendibili le
dichiarazioni rese dal teste Colombo. La difesa, da pag. 2 a pag. 10 del
ricorso, dopo avere evidenziato una serie di pretese contraddizioni,
illogicità e travisamenti della prova, conclude affermando che la Corte
non si era pronunciata sull’attendibilità del suddetto teste.
2.2. nella parte in cui la Corte non aveva ammesso una prova
testimoniale diretta a dimostrare che l’imputato era rimasto coinvolto in
un incidente la sera della contestazione dell’ammanco di cassa;
2.3. nella parte in cui la Corte non aveva motivato sulle ragioni per
cui le stesse motivazioni che avevano indotto il primo giudice ad
assolvere l’imputato dall’accusa di essersi impossessato di diversi beni
del negozio, non potesse essere ritenuta valida anche per l’ammanco di
cassa;
2.4. nella parte in cui non aveva considerato che tutte le risultanze
istruttorie erano contraddittorie e tali da non fornire un quadro univoco
sulla colpevolezza dell’imputato.

3. Il ricorso, nei termini in cui le censure sono state dedotte, è
manifestamente infondato.
Tutte le doglianze, infatti, per un verso o per un altro, non sono
altro che la mera e tralaticia riproposizione della stessa problematica di
fatto ampiamente discussa in entrambi i giudizi di merito all’esito dei
quali, entrambi i giudici, hanno ritenuto provata la colpevolezza
dell’imputato, sulla base di un compendio probatorio giudicato univoco e
convergente in quanto costituito: a) dalle dichiarazioni rese dal teste
Colombo giudicato ampiamente attendibile e dal primo giudice (cfr pag.
2 motivazione di primo grado) e dalla Corte (pag. 5 sentenza
impugnata); b) dalla documentazione acquisita (fogli excel): la Corte, a

2

DELL’ART. 606 LETT. E ) COD. PROC. PEN. sotto i seguenti profili:

pag. 5, ha confutato la censura dedotta in merito rilevando che la
prospettazione difensiva

«non va oltre la mera enunciazione di

un’ipotesi alternativa a quella risultante dalle emergenze dibattimentali
[…]»;

c) dalla stessa confessione resa dall’imputato prima al teste

Colombo e, poi, al teste Vitali, confessione ritenuta da entrambi i giudici

obiettato, se non sulla pretesa inattendibilità dei suddetti testi).
Incensurabile, infine, deve ritenersi la decisione di non ammettere
la prova dedotta dal ricorrente in quanto la Corte, evidentemente, ha
ritenuto di far propria l’ampia motivazione (di irrilevanza) addotta, sul
punto, dal primo giudice in ordine ai motivi per cui, dopo la
contestazione dell’addebito, l’imputato non si recò più al lavoro.
Infine, non si comprende per quali ragioni la motivazione addotta
in ordine all’assoluzione sull’appropriazione di vari oggetti, dovrebbe
refluire anche su quella in ordine alla ritenuta appropriazione,
trattandosi di due fatti diversi rispetto ai quali non è dato ravvisare
neppure alcun nesso di connessione.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1.000,00, oltre alla rifusione delle spese a favore
della costituita parte civile.
La declaratoria di inammissibilità

preclude la

rilevabilità

prescrizione, eventualmente maturata nelle more, in applicazione del
principio di diritto secondo il quale «l’inammissibilità del ricorso per
cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il
formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la
possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen.»: ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca,
Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero; Sez. un., 2 marzo 2005, n.

3

di merito pienamente utilizzabile (sul punto, la stessa difesa, nulla ha

23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400).
P.Q.M.
DICHIARA

CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Esprinet s.p.a. che
liquida in complessivi C 2.000,00 oltre rimborso spese forfettarie, Iva e
Cpa
Roma 16/06/2015
IL PRESIDENTE
(Dott. Mario Gentile)

E

Y

inammissibile il ricorso e

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