Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29511 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29511 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1.

RUSSO RAFFAELE nato il 27/01/1962;

2.

DELL’AVERSANO MICHELE nato il 10/06/1972;

3.

BROSCO FRANCESCO nato il 30/11/1960;

avverso la sentenza del 30/01/2014 della Corte di Appello di Napoli;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Antonio Gialanella che
ha concluso per l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
FATTO
1. Con sentenza del 30/01/2014, la Corte di Appello di Napoli,
sull’appello proposto avverso la sentenza pronunciata in data
26/02/2010 dal Tribunale della medesima città, così decideva:
confermava la suddetta sentenza nella parte in cui aveva ritenuto
RUSSO Raffaele colpevole del reato di usura relativamente al solo capo
sub T) dell’imputazione; dichiarava non doversi procedere per
prescrizione per i reati di usura di cui erano stati dichiarati colpevoli

Data Udienza: 16/06/2015

DELL’AVERSANO Michele e BROSCO Francesco; confermava le
statuizioni a favore della costituita parte civile Vigilante Sergio.

2.

Avverso la suddetta sentenza, gli imputati, a mezzo dei

3. RUSSO Raffaele, a mezzo del proprio difensore, ha dedotto:
3.1.

VIOLAZIONE DELL’ART.

157

COD. PEN.

per non avere la Corte

dichiarato la prescrizione. Il ricorrente sostiene che la Corte,
erroneamente, aveva applicato il nuovo regime della novella di cui alla
L. 251/2005; in realtà, avrebbe dovuto applicare il regime di cui alla
previgente normativa in quanto più favorevole. Infatti, la Corte aveva
omesso di valutare che, in favore dell’imputato, il Tribunale aveva
concesso la circostanza di cui all’art. 62 n° 6 cod. pen. e le attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza rispetto all’aggravante contestata.
Sennonché, proprio la concessione delle suddette attenuanti prevalenti,
rendeva più favorevole la previgente normativa perché la prescrizione
sarebbe stata determinata in anni sette e mesi sei e non, quindi, negli
anni undici e mesi tre come individuati dalla Corte sulla base della
nuova normativa (in essi compresi un periodo di sospensione di mesi
nove e giorni ventiquattro). Il che comportava che, secondo la vecchia
normativa, il termine massimo per la prescrizione era di anni sette e
mesi sei (il che avrebbe comportato la richiesta declaratoria di
estinzione essendo stato il reato commesso nel febbraio 2002, pur
considerando il periodo di sospensione) e quindi superiore a quello della
nuova normativa;
3.2.

VIOLAZIONE DELL’ART.

192

COD. PROC. PEN.

per avere la Corte

ritenuto la responsabilità dell’imputato sulla base delle dichiarazioni
della parte offesa e senza adeguatamente prendere in esame i motivi di
appello.

4. DELL’AVERSANO Michele, a mezzo del proprio difensore, ha
proposto ricorso per cassazione deducendo la
LETT. B) E) COD. PROC. PEN.

VIOLAZIONE DELL’ART.

606

per non avere la Corte assolto l’imputato

2

rispettivi difensori, hanno proposto separati ricorsi per cassazione.

nonostante la svolta istruttoria non avesse evidenziato un quadro
accusatorio idoneo a giustificare una sentenza di condanna. La difesa
sostiene, infatti, che l’accusa si basava sostanzialmente sulle sole
dichiarazioni rese dalla parte offesa Vigilante Sergio costituitasi anche
parte civile, le quali, però, non erano attendibili anche perché rimaste

rendeva inattendibile anche l’entità degli interessi.

5. BROSCO Francesco, a mezzo del proprio difensore, ha proposto
ricorso per cassazione deducendo la VIOLAZIONE DELL’ART. 606 LETT. B) E)
COD. PROC. PEN. con argomenti sovrapponibili a quelli dall’Aversano sulla

inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa Vigilante Sergio,
sull’assenza di documentazione che potesse confermare le suddette
dichiarazioni, nonostante la contraria affermazione della Corte, e,
quindi, la natura usuraria dei tassi d’interessi. Ad avviso della difesa,
infine, prive di rilevanza era il contenuto delle intercettazioni, nonché la
testimonianza di Vigilante Ciro in quanto de relato.
DIRITTO
1. RUSSO
1.1. VIOLAZIONE DELL’ART.

157

COD. PEN.:

la censura è

manifestamente infondata.
Il ricorrente non ha messo in discussione i dati indicati dalla Corte
al fine di escludere la maturazione della causa estintiva (data di
commissione del reato; termine massimo di prescrizione; periodo di
sospensione), ma si è limitato a contestare l’applicazione della nuova
normativa, dovendosi, al contrario, secondo la sua opinione, applicare la
normativa previgente in quanto più favorevole.
La suddetta questione è stata ripetutamente affrontata da questa
Corte di legittimità la quale, in modo costante (ad eccezione di
un’isolata pronuncia: Cass. 480242/2009 Rv. 245529), ha sempre
ritenuto che: «In tema di prescrizione, non è consentita l’applicazione
simultanea di disposizioni introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n.

3

prive di riscontri anche e soprattutto, di natura documentale: il che

251 e di quelle precedenti, secondo il criterio della maggiore
convenienza per l’imputato, occorrendo applicare integralmente l’una o
l’altra disciplina»: Cass. 43343/2010 Rv. 248783; Cass. 26801/2014 Rv.
260228 che ha ribadito il suddetto principio in un caso identico a quello
in esame in cui cioè l’imputata invocava la previgente normativa in

delle attenuanti generiche sull’aggravante, contemplato solo nella
precedente enunciazione della norma e non in quella attualmente in
vigore.
Di conseguenza, poiché

«la disciplina della prescrizione più

favorevole in riferimento ai reati di usura commessi prima dell’entrata in
vigore della L. n. 251 del 2005, la quale ha contestualmente modificato i
termini di prescrizione dei reati in generale ed ha aumentato la pena
detentiva edittale massima per il reato di usura portandola da sei a dieci
anni, è quella contenuta nell’indicata novella» (Cass. 26312/2010 Rv.
247743), corretta deve ritenersi la decisione della Corte territoriale.

1.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 192 COD. PROC. PEN.: anche la suddetta
doglianza è manifestamente infondata, essendo del tutto generica ed
aspecifica a fronte della puntuale motivazione con la quale la Corte
territoriale ha evidenziato gli elementi accusatori a carico del ricorrente
il quale, peraltro, ha ampiamente ammesso gli addebiti contestatigli (cfr
pag. 23 ss della sentenza impugnata).

2. DELL’AVERSANO – BROSCA
Entrambi i ricorsi, nei termini in cui le doglianze sono state
dedotte, sono manifestamente infondati.
La Corte ha trattato la posizione dei suddetti imputati a pag. 21 ss
della sentenza impugnata e, dopo avere illustrato i motivi di appello
(perfettamente identici a quelli riproposti in questo grado di giudizio) li
ha disattesi rilevando che le dichiarazioni della parte offesa dovevano
ritenersi attendibili sia intrinsecamente sia perché riscontrate e dalla
intercettazione della telefonata n° 105 del 2002 (indizio a carico del solo
Aversano) e dalle dichiarazioni di Vigilante Ciro (fratello della parte

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quanto ad essa più favorevole per effetto del giudizio di equivalenza

offesa) che «nel corso della sua positiva individuazione fotografica dei
soggetti da questi conosciuti perché andavano a cercare il fratello
perché non riusciva più a pagare i debiti, aveva riconosciuto anche gli
imputati» i quali «si erano presentati in diverse occasioni nel suo
negozio [..] ha specificato che quando Dell’Aversano gli chiedeva di

modo perentorio e minaccioso tanto che lui aveva paura».
La Corte, poi, ha confutato la tesi difensiva stigmatizzando anche il
fatto di «come gli imputati [..] abbiano mancato di dare puntuale e
convincente spiegazione del quantum a loro dovuto dalla parte offesa in
relazione a quei presunti rapporti commerciali e dei mezzi legali
adoperati per recuperare il credito asseritamente vantato».
In conclusione, non è ipotizzabile alcuna violazione dell’art. 192
cod. proc. pen. perché la testimonianza della parte civile è stata
vagliata, in modo congruo e coerente con la giurisprudenza di questa
Corte, sia sotto il profilo dell’attendibilità intrinseca che estrinseca e, pur
essendo pacifico che fra le parti vi erano stati “rapporti economici”, gli
imputati non avevano saputo fornire una valida e convincente
spiegazione, fornendo, quindi, sia pure indirettamente, un ulteriore
riscontro alla attendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa.
In conclusione, le censure dedotte da entrambi i ricorrenti, vanno
ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede
di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già
ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con
motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dai
ricorrenti, né alcuna violazione della legge processuale (art. 192 – 129
cod. proc. pen.) le censure, essendo incentrate tutta su una nuova
rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, vanno
dichiarate inammissibili.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione

5

telefonare a suo fratello per farlo venire in negozio, glielo ordinava in

alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,

con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

3. In conclusione, tutte le impugnazioni devono ritenersi
inammissibili a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza:
alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
DICHIARA
inammissibili i ricorsi e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma
di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 16/06/2015
IL PRESIDENTE
(Do t Mario Gentile)
IL CONSIGLI EST.
ti
(Dott. G. Ra

ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile

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