Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2951 del 13/11/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2951 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PATRUNO MICHELA N. IL 13/09/1983
VIVIANO GIUSEPPE TOMMASO N. IL 18/05/1978
avverso la sentenza n. 492/2014 TRIBUNALE di TORINO, del
19/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GASTONE
ANDREAZZA;
Data Udienza: 13/11/2015
Ritenuto:
— che il Tribunale di Torino, con sentenza del 19/12/2014, ha condannato Patruno Michela e
Viviano Giuseppe Tommaso per il reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p., così riqualificata
l’originaria imputazione ex art. 544 c.p. in relazione alla sottoposizione di un cane meticcio a
sevizie e comportamenti insopportabili per le sue caratteristiche etologiche;
– – che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, deducendo con un unico
motivo violazione di legge per non avere il giudice, all’atto di riqualificare l’originaria
oblazione;
–che il motivo, però, è manifestamente infondato;
– – che infatti, come già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n.
32351 del 26/06/2014, Tamborrino, Rv. 259925, nel caso in cui sia contestato un reato per
il quale non è consentita l’oblazione ordinaria di cui all’art. 162 c.p. né quella speciale
prevista dall’art. 162-bis c.p., l’imputato, qualora ritenga che il fatto possa essere
diversamente qualificato in un reato che ammetta l’oblazione, ha l’onere di sollecitare il
giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, di formulare istanza di oblazione,
con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire
dell’oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521 c.p.p., con
la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che
consentirebbe l’applicazione del beneficio;
– – che, nella specie, non risulta che la istanza di oblazione sia stata formulata;
– – che i ricorsi, conseguentemente, vanno dichiarati inammissibili;
— che, a norma dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi
escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n.
186) – segue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore
della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deliberato in Roma, nella camera di consiglio del 13 novembre 2015
imputazione, rimesso gli esponenti nei termini al fine di potere proporre istanza di