Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29504 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29504 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 09/06/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MODENESE ROBERTO PAOLO N. IL 18/01/1961
DI PACE GENNARO N. IL 05/01/1963
REBUSCINI CESARE N. IL 09/04/1964
CERBASIO ROMUALDI N. IL 19/04/1968
FISCHER FRANCO N. IL 28/11/1955
avverso la sentenza n. 807/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. S
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv

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RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata la corte di appello di Milano, in parziale riforma
della sentenza del tribunale della medesima città del 31 maggio 2013, ha
dichiarato Di Pace Gennaro colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1, 2, 4, riuniti
tra loro dal vincolo della continuazione e, calcolata la diminuente per la scelta
del rito (giudizio abbreviato), lo ha condannato alla pena di anni 4 di

Modenese Roberto Paolo in mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed euro 533,33
di multa); ha confermato nel resto la decisione di condanna di Rebuscini
Cesare, Cerbasìo Romualdo e Fisher Franco.

Contro detta pronunzia ricorrono gli imputati chiedendone l’annullamento.

Nel ricorso presentato personalmente da Di Pace Gennaro si espongono i
seguenti motivi.
Illegittimità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. B
ed E per inosservanza della legge penale sotto il profilo della inadeguata
valutazione della sussistenza dei profili oggettivi e soggettivi del concorso nel
reato di rapina contestato al capo 1; mancata applicazione del principio di
corrispondenza tra i fatti descritti nell’imputazione e quelli addebitati in
sentenza; travisamento dei fatti; conseguente manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente critica la ricostruzione del fatto svolta nella sentenza di appello
nella quale i giudici, ribaltando la decisione di assoluzione espressa dal
tribunale, hanno argomentato la penale responsabilità dell’imputato quale
concorrente (peraltro con ruolo nemmeno definito) nel reato di rapina
contestato al capo 1 della imputazione.
Si rileva che agli atti sarebbe emersa semplicemente la circostanza che
l’imputato, peraltro esercitando il suo lavoro di tassista, accompagnò nel corso
della preparazione della rapina il coimputato Fisher nelle vicinanze del luogo
del fatto; non sono però emersi indizi volti a rischiarare la sussistenza
dell’elemento soggettivo, e dunque della consapevolezza dell’imputato di
partecipare al fatto delittuoso arrecandovi un contributo.
In particolare si critica come la corte di appello – ribaltando l’argomentazione
svolta nella sentenza del tribunale – non abbia ritenuto rilevanti le captazioni
ambientali effettuate in carcere in cui i coimputati ristretti hanno affermato

reclusione ed euro 1200 di multa; inoltre ha rideterminato la pena inflitta a

l’estraneità del Di Pace ai fatti; non abbia inoltre valorizzato la totale assenza
dei rilievi negativi sul materiale sequestrato a bordo del taxi del ricorrente al
momento della perquisizione a cui quel mezzo fu sottoposto nei mesi
successivi alla rapina; abbia al contrario attribuito importanza al sequestro di
somme di denaro nella abitazione dell’imputato pur trattandosi di elemento
scarsamente significativo (essendosi realizzato tale rinvenimento ad oltre un
anno di distanza dai fatti); abbia attribuito importanza alla ricezione di

chiamate da cabine pubbliche provenienti dal Fisher in date considerate
significative, svalutando tale elemento con riguardo ad altri imputati; abbia
impropriamente interpretato i risultati dell’interrogatorio a cui l’imputato fu
sottoposto e nel quale furono ricostruiti i tragitti effettuati in taxi insieme al
Fisher in luoghi compatibili con quelli in cui avvennero i fatti delittuosi, non
credendo alle spiegazioni dell’interrogato che, pur non essendo al momento
destinatario di alcun capo d’imputazione, spontaneamente aveva riferito che
lo scopo di tali spostamenti era di controllare i movimenti della compagna del
Fisher, sospettata di una relazione sentimentale con un terzo soggetto.
In un secondo motivo si riassumono le esposte critiche estendendole anche ad
altri elementi indiziari, quali la ricorrenza in detta rapina di un presunto
schema utilizzato in precedenti rapine legate a un gruppo criminale che
utilizzava un tassista per sopralluoghi destinati a passare inosservati, e il
rapporto di parentela tra l’imputatotil Fisher. Tanto per concludere sulla
permanenza di un ragionevole dubbio di colpevolezza, che avrebbe dovuto
indurre i giudici di appello a confermare la sentenza assolutoria già
pronunciata dal tribunale.
In un terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione circa
l’attribuzione all’imputato delle circostanze aggravanti della presenza di
persone riunite, dell’uso di armi, e del travisamento degli esecutori materiali
della rapina: si rileva infatti come nessun elemento sia stato acquisito agli atti
a dimostrazione della conoscenza, da parte del Di Pace, di tali dati di fatto.
In un quarto motivo si lamenta la mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche e la disparità di trattamento rispetto al trattamento
sanzionatorio dei coimputati, e in particolare del Fisher.

Nell’ulteriore ricorso presentato nell’interesse del Di Pace, ribadendosi le
doglianze in ordine alla carenza di un solido quadro probatorio sufficiente a
giustificare una condanna oltre ogni ragionevole dubbio per il delitto di rapina,
si sollevano inoltre i seguenti motivi.

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Si rileva, innanzitutto, mancanza di motivazione del giudizio di penale
responsabilità per i reati contestati ai capi 2 e 4 della imputazione, ossia la
illegale detenzione e porto in luogo pubblico di armi, e la ricettazione di mezzi
di provenienza furtiva adoperati per la rapina. Si critica infatti la motivazione
della sentenza che fa conseguire la responsabilità per tali diversi delitti dalla
ritenuta responsabilità per il delitto di rapina.
Altro motivo concerne le circostanze aggravanti della presenza di persone

riunite, dell’uso di armi, e del travisamento degli esecutori materiali della
rapina: si critica che dalla criptica motivazione della corte di appello nemmeno
si evince se le stesse siano state riconosciute o meno a carico dell’imputato.
Anche in tale ricorso si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione
per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nonostante
il ruolo non decisivo svolto dall’imputato della vicenda (per come sostenuto, si
segnala, anche dal pubblico ministero).
Si lamenta vizio di motivazione per non avere la corte d’appello dato compiuta
risposta alle argomentazioni svolte dal procuratore generale in sede di
requisitoria a favore dell’imputato e in contrasto con quanto asserito dal
pubblico ministero appellante.
Si lamenta l’omessa valutazione della requisitoria scritta resa dal pubblico
ministero in sede di discussione in diverso processo sempre riferito alla rapina
in oggetto, requisitoria di cui era stata chiesta e ottenuta l’acquisizione agli
atti attraverso un provvedimento di rinnovazione dibattimentale.
Si lamenta violazione dell’art. 6 CEDU giacché la corte di appello, nel ribaltare
la sentenza di assoluzione del tribunale, ha omesso di riascoltare l’imputato,
avvalendosi invece delle dichiarazioni contenute nell’interrogatorio pur
valutandole in maniera diametralmente opposta rispetto al giudice di prime
cure.
Nei motivi aggiunti depositati in data 23 maggio 2015 si lamenta la mancata
dichiarazione di inammissibilità dell’atto di appello del pubblico ministero per
difetto di motivazione in ordine alla richiesta di condanna per i delitti descritti
ai capi 2 e 4 dell’imputazione; si riassumono inoltre, con ulteriore
argomentazione, i motivi già esposti nei ricorsi esaminati.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Cerbasio Romualdo si contesta la
condanna per i delitti di cui ai capi 1, 2 e 4 dell’imputazione affermando come
la stessa si fondi esclusivamente, e insufficientemente, sulla captazione di una
conversazione telefonica intercorsa tra i fratelli Rebuscini e il complice

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Giangregorio il 29 settembre 2011 in cui Rebuscini Giuseppe – sotto la cui
direzione la rapina era stata progettata e realizzata – disponeva che l’odierno
ricorrente non mettesse in circolazione la refurtiva. Unico altro elemento a
carico dell’imputato dovrebbe ravvisarsi in un filmato estrapolato dal telefono
cellulare in uso al ricorrente nel quale lo stesso è ripreso mentre indossa e
pesa gioielli provento della rapina.
Si afferma che sulla scorta di tali elementi, aventi ad oggetto il mero possesso

di gioielli di provenienza illecita da parte dell’imputato, l’esatta qualificazione
del fatto avrebbe dovuto indurre i giudici ad una condanna a titolo non di
rapina ma di ricettazione.
Altro motivo è volto a contestare la mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche e più in generale il rigore del trattamento sanzionatorio
inflitto.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Fisher Franco si contesta, quanto al
capo 1 della imputazione, il vizio di motivazione in ordine al ruolo di ideatore e
organizzatore della rapina attribuito al ricorrente; si segnalano infatti elementi
di prova in senso contrario (quali il contenuto di una conversazione intercorsa
con la signora Marchignoli Solange, compagna del ricorrente) da cui
emergerebbe che la partecipazione del Fisher alla rapina era stata
sostanzialmente a lui imposta da terze persone; si svaluta il contenuto
istruttorio dedotto dal memoriale del coimputato Rebuscini, trattandosi di
dichiarazioni prive di riscontri.
Apposita doglianza è dedicata al delitto contestato al capo 2 della
imputazione, ravvisandosi come non vi siano dati istruttori da cui desumere
che i rapinatori avessero utilizzato armi vere e non giocattolo.
Quanto al delitto di ricettazione contestato al capo 6 dell’imputazione, si
lamenta vizio di motivazione non essendo emersa agli atti la prova che anche
la coppia di orecchini rinvenuta nella disponibilità dell’imputato fosse tra gli
esemplari oggetto del furto di cui è documentazione in atti, e dunque fosse di
provenienza illecita.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Rebuscini Cesare si lamenta vizio di
motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla partecipazione
dell’imputato al delitto di rapina esponendo una dettagliata critica fattuale alla
ricostruzione degli eventi esposta nelle sentenze del tribunale e della corte di
appello da pagina 2 a pagina 10 del ricorso: sottoponendo a lettura

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alternativa le risultanze istruttorie su cui si fondano le decisioni di condanna.
Altro motivo concerne violazione di legge e vizio di motivazione sul giudizio di
penale responsabilità relativo ai delitti di cui ai capi 2 e 4 della imputazione:
esponendo gli argomenti già spesi al riguardo dagli altri ricorrenti.
Un ultimo motivo è dedicato al trattamento sanzionatorio, di cui si lamenta
l’eccessivo rigore.

un primo motivo, che il ricorrente, già contumace in primo grado, non sia
stato regolarmente citato in giudizio, essendo stato qualificato come “assente”
nonostante che al caso di specie non potesse applicarsi la legge n. 67 del
2014 per i motivi dettagliatamente esposti nel ricorso.
In ordine al giudizio sulla penale responsabilità, si contesta la conferma della
condanna per il delitto, contestato al corpo 7 della imputazione, di spendita di
monete falsificate, non risultando agli atti elemento alcuno a sostegno della
falsità delle banconote di cui il Modenese era stato colto in possesso, né a
sostegno della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Con memoria depositata in data 22 maggio 2015 tali doglianza sono fatte
oggetto di ulteriore illustrazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nei ricorsi presentati dagli imputati è sotto vari aspetti prospettato il vizio di
motivazione ed è criticata la decisione di condanna per come emessa pur in
presenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza. Questi profili sono stati
particolarmente sottolineati nei ricorsi a difesa della posizione dell’imputato Di
Pace, mandato assolto dal Gup all’esito di giudizio abbreviato per non aver
commesso il fatto. Per conseguenza questo, come anche gli altri ricorsi, sono
intessuti di dati fattuali che prospettano a volte una lettura alternativa a
quella fatta propria dai giudici di merito. Appare pertanto opportuna, in
funzione introduttiva, una breve ricapitolazione della consolidata
giurisprudenza di legittimità in ordine agli spazi di sindacato relativi al vizio di
motivazione; ciò per dar conto del subito dei limiti in cui la critica svolta nei
ricorsi in esame può essere presa in considerazione in questa sede di
legittimità.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il vizio di motivazione
illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi di illogicità o

Nel ricorso presentato nell’interesse di Modenese Roberto Paolo si lamenta, in

contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una totale estraneità
fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale (Cass. 25 maggio
1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del tutto, da parte
del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla sua analisi,
talché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di esistenza,
completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la decisione è
fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle ragioni che

(Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).
Queste conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che,
innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.c., consente di denunciare i vizi di
motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”: alla Corte di
cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia
intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito, (ex plurimis: Cass. 10 ottobre 2008 n. 38803). Quindi, pur dopo la
novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura
alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della
Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la
verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti,
deve limitarsi a verificare se la giustificazione del giudice di merito sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n.
35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380) e tale da superare il limite del
ragionevole dubbio. La condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica,
infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che
siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in
modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa
ipotesi alternativa, con la precisazione che il dubbio ragionevole non può
fondarsi su un’ipotesi alternativa del tutto congetturale seppure plausibile (v.
Cass. sez. IV, 17.6.2011, n. 30862; sentenza Sezione 1^, 21 maggio 2008,
Franzoni, rv. 240673; anche Sezione 4^, 12 novembre 2009, Durante, rv.
245879).

possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte dalle parti

La motivazione è invece mancante non solo nel caso della sua totale assenza,
ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della
fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a
specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi d’appello e dotate
del requisito della decisività (Cass. 17 giugno 2009, n. 35918).

L’esame dei ricorsi in difesa della posizione del Di Pace presuppone una

ulteriore premessa, relativa alla motivazione che deve essere data in sede di
appello qualora sia decisa una condanna in luogo della assoluzione stabilita
dal tribunale. Deve infatti in tali casi – e dunque anche nel presente verificarsi se la corte territoriale abbia rispettato il canone giurisprudenziale
per cui il giudice d’appello che pronuncia una condanna in riforma della
decisione liberatoria emessa dal giudice di primo grado è tenuto a fornire una
motivazione rafforzata (da ultimo v. Cass. sez.6, 18.3.2014, n. 17620).

Deve subito rilevarsi come nei due ricorsi non si esponga nessuna manifesta
illogicità che pregiudichi il ragionamento svolto dai giudici di appello in
sentenza. Entrambi i ricorsi offrono infatti valutazioni dettagliate dell’intero
compendio istruttorio di carattere indiziario posto a base della sentenza di
condanna, illustrandone i profili di equivocità già valorizzati dal Gup. Non
sollevano in effetti questioni di illogicità argomentativa, bensì di non
persuasività del ragionamento svolto dalla corte di appello in considerazione
della opposta decisione assunta dal tribunale.
In effetti, la corte territoriale ha esposto un ragionamento argomentativo
coerente, completo e privo di manifeste discontinuità logiche.
Ciò non è tuttavia, nel caso, bastevole per arginare la posizione del ricorrente.
Deve infatti verificarsi se la logica motivazione resa dalla corte di appello
soddisfi anche i requisiti di una motivazione rafforzata, resasi necessaria in
ragione della sentenza di assoluzione pronunciata dal Gup.
In questa prospettiva devono essere esaminati ì ragionamenti svolti nei ricorsi
relativi agli elementi di fatto posti a base della decisione.
Deve tuttavia osservarsi come per entrambi i ricorsi e in maniera
particolarmente evidente nel ricorso presentato personalmente dall’imputato
(cfr. la tabella riassuntiva a pagina 14 del ricorso) il quadro indiziario
aggregato dalla corte di appello come base per argomentare il giudizio di
penale responsabilità del ricorrente sia invece separato e scomposto nei suoi
elementi costitutivi, nei singoli indizi, ciascuno sottoposto ad autonoma

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valutazione al fine di argomentarne l’equivocità, la non decisività e la non
concordanza. Questo modo di procedere non è metodologicamente corretto,
giacché a rilevare non sono i singoli indizi in quanto tali ed isolatamente
considerati, ma il complessivo quadro che l’insieme degli indizi concorre a
definire. È proprio attraverso tale considerazione olistica che diviene possibile
valutare requisiti come la concordanza: concordanza di ciascun indizio con gli
altri presenti nel quadro. Al contrario, separando gli indizi gli uni dagli altri e

sottoponendo ciascuno ad un esame isolato, si ottiene l’inevitabile
svuotamento di significato di ciascuno di essi, infatti destinato ad acquisire
rilevanza e significato nella pluralità, ossia in considerazione di tutti gli altri
indizi raccolti.
Pertanto, nella valutazione della motivazione resa dalla corte d’appello si terrà
conto della critica svolta nel ricorso, ma alla luce del canone della motivazione
rafforzata nella quale il giudice di merito deve legare, in un quadro
complessivo, l’uno indizio agli altri, e più in generale all’insieme di emersioni
istruttorie disponibile in atti.
La posizione dell’imputato è esaminata alle pagine 119 ss. della motivazione.
Rileva la corte di appello come un aspetto decisivo ai fini del decidere riguarda
la ammissione da parte dell’imputato in sede di interrogatorio di aver
accompagnato il Fisher con il proprio taxi nelle vicinanze della gioielleria in cui
furono commessi i fatti delittuosi nella mattina della rapina e nel periodo
immediatamente precedente.
Per diverse pagine è ricostruita la condivisa argomentazione del pubblico
ministero in sede di appello circa gli spostamenti avvenuti secondo quanto
dichiarato dall’imputato e comprovato (anche in smentita di tali dichiarazioni)
delle risultanze del GPS installato sul taxi guidato dallo stesso per concludere,
con motivazione estremamente articolata, ampiamente corredata dai richiami
dell’atto del pubblico ministero, ed ulteriormente avvalorata da schemi e
tabelle, come l’imputato avesse condotto il proprio taxi proprio nei luoghi
vicini alla gioielleria teatro del fatto e in corrispondenza con lo svolgimento di
attività preparatorie della rapina, espletatesi anche in pedinamenti da parte di
coimputati in danno di personale di vigilanza della gioielleria.
La corte di appello ha valutato anche le dichiarazioni rese dall’imputato in
sede di interrogatorio circa la ragione per cui erano stati effettuati tali
spostamenti in taxi insieme al Fisher. Ha esaminato la versione fornita
dall’imputato, secondo cui si sarebbe trattato di effettuare controlli sulla
compagna del Fisher, sospettata di intrattenere una relazione sentimentale

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con altro uomo, e ne ha argomentato la non credibilità in considerazione
essenzialmente della diversità dei luoghi in cui si svolgevano i giri in taxi
rispetto ai luoghi in cui invece si trovava – come è risultato dalla istruttoria la signora che avrebbe dovuto essere sorvegliata.
Adeguata attenzione è dedicata alla intercettazione ambientale nelle sale
colloqui del carcere in cui taluni coimputati sostennero la estraneità del Di
Pace ai fatti. Rileva la corte di appello come il giudizio del tribunale secondo

cui non vi sarebbe motivo di dubitare della genuinità di tali affermazioni, non
risultando ragioni effettive per rendere tali affermazioni se le stesse non
corrispondessero a verità, non regge a un vaglio approfondito che consideri la
pregressa conoscenza da parte dei prevenuti dell’imponente utilizzo
(documentato nella ordinanza cautelare a loro notificata al momento della sua
esecuzione), nella fase delle indagini preliminari di intercettazioni telefoniche:
per concludere logicamente che su queste premesse – e considerata
l’esperienza criminale dei dichiaranti – sarebbe da escludere che gli stessi non
ipotizzassero l’attivazione di strumenti captativi anche nella sede dei colloqui.
Aggiunge la corte che, anche a prescindere da tali osservazioni, molteplici
ragioni, relative ai fatti della rapina e alla loro ricostruzione, avrebbero potuto
determinare quelle dichiarazioni: tanto per concludere logicamente come
l’argomento valorizzato dal Gup non assuma carattere di decisività a favore
dell’imputato.
Un ulteriore elemento logicamente valorizzato dalla corte di appello concerne
la somma di euro 44.900 rinvenuta in contanti nella abitazione dell’imputato
all’atto dell’esecuzione della misura cautelare. Nella sentenza è
dettagliatamente riportata la risposta non persuasiva data dall’imputato a
giustificazione di tale possesso e del fatto che la somma fosse detenuta in
casa in contanti. Rileva la corte come lo stesso Gup abbia osservato che
l’imputato non fornì sufficienti indicazioni circa la provenienza del denaro;
concludendo tuttavia nel senso che non si potrebbe soltanto per ciò (dunque,
considerato l’elemento di prova isolatamente dal restante quadro indiziario)
ritenere che la somma costituisca il compenso per il contributo prestato nella
rapina.
Con lo stesso metodo la corte di appello affronta l’ulteriore questione dei
contatti telefonici tra il Fisher e il Di Pace, avvenuti attraverso l’utilizzo da
parte del primo di una cabina telefonica pubblica. Si critica che il Gup abbia
svalutato questo dato, osservando come fosse abitudine del Fisher di
utilizzare anche in altri momenti e nei confronti di diversi soggetti cabine

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pubbliche per telefonare. Sottolinea la corte di appello come fosse emersa
dagli atti di indagine, e doveva essere adeguatamente valorizzata ai fini della
ricostruzione dei fatti, l’abitudine del Fisher di utilizzare la cabina pubblica per
contattare tutti i coimputati con cui ebbe a parlare nei giorni precedenti e in
quello della rapina, giorno nel quale il Di Pace ricevette dal Fisher 5 chiamate.
Nella sentenza di appello è ampiamente ricostruito, da pagina 152 a pagina
155, l’utilizzo di cabine telefoniche da parte di coimputati per comunicazioni

inerenti alla rapina; e ciò al fine di ulteriormente giustificare la conclusione
per cui anche nel caso delle telefonate tra il Fisher e il ricorrente, sia in
precedenza che nel giorno della rapina, l’argomento di discussione fosse
proprio la rapina medesima.
Valorizza inoltre la corte di appello le dichiarazioni rese dall’imputato, il quale
ha riconosciuto di aver effettuato i giri in taxi con il Fisher, sia pure
motivandoli (tuttavia, per come logicamente osservato dalla corte territoriale,
non credibilmente) con l’esigenza di seguire la compagna dello stesso,
sospettata di infedeltà.
Riassume la corte territoriale che dagli atti risulta come i responsabili della
rapina comunicassero fra loro in casi particolarmente delicati a mezzo di
cabine pubbliche; che a tale regola si attenevano anche il Fisher e coloro che
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(taima mettersi in contatto con lui; che lo stesso Fisher, che pure contattava
regolarmente e frequentemente l’odierno ricorrente attraverso i propri
cellulari, contattò Di Pace per un numero consistente di volte attraverso
cabine pubbliche; che l’odierno ricorrente ha ammesso che quelle
conversazioni avevano riguardo ai sopralluoghi nei pressi della gioielleria
realizzati per mezzo del proprio taxi.
Ciò per concludere logicamente che l’elemento indiziario delle chiamate dalle
cabine telefoniche sia stato immotivatamente disatteso dal Gup rilevandosi
invece, per quanto esposto, decisivo.
Ampia attenzione è poi dedicata all’incontro tra l’odierno ricorrente e il Fisher
avvenuto a Milano in piazza XXV aprile, nel parcheggio taxi, la mattina della
rapina. La corte di appello segnala al proposito anche le incongruenze fra le
versioni fornite dei protagonisti di detto incontro.
Conclude pertanto la corte d’appello che molteplici e significativi elementi
concorrono a comporre un quadro indiziario saldo e coerente a carico
dell’imputato.
Egli fu trovato in possesso non giustificato di una rilevante somma di denaro
in contanti; ha ammesso di aver accompagnato il Fisher nel centro di Milano

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con la propria autovettura pubblica proprio in corrispondenza con gli accertati
sopralluoghi preparatori della rapina perpetratasi; ha ammesso anche di
essersi incontrato proprio il giorno del fatto con lo stesso Fisher; fu in quella
come in altre occasioni ripetutamente contattato dal proprio interlocutore da
una cabina pubblica (e ciò in coincidenza con le comunicazioni avvenute tra gli
esecutori materiali del reato e il Fisher).
Alle pagine 105 seguenti della motivazione la corte di appello esamina anche

gli argomenti esposti dalla difesa dell’imputato immediatamente rilevando
l’errore metodologico che pregiudica l’argomentazione difensiva anche nel
ricorso in cassazione: errore dovuto alla valutazione parcellizzata degli
elementi di prova.
Di seguito, la corte territoriale svolge dettagliate valutazioni in fatto in
risposta a detti rilievi difensivi; e ciò senza cadere in illogicità manifeste (che,
come si è detto, non sono nemmeno segnalate nei ricorsi in esame).
La esaustiva motivazione resa dalla corte di appello determina l’infondatezza
degli ulteriori motivi sollevati con riguardo alle argomentazioni svolte dal
procuratore generale in sede di requisitoria a favore dell’imputato e in
contrasto con quanto asserito dal pubblico ministero appellante: giacché
nemmeno è esposta in ricorso la rilevanza di tali argomenti.
Infine,

l’omessa valutazione della requisitoria scritta resa dal pubblico

ministero in sede di discussione in diverso processo è evidentemente del tutto
irrilevante ai fini del presente giudizio.
Deve pertanto concludersi che la corte di appello non solo abbia reso una
motivazione logica sul giudizio di penale responsabilità dell’imputato per il
reato ascritto, ma abbia anche reso una motivazione rafforzata prendendo in
analitica considerazione la motivazione del Gup così come le argomentazioni
difensive: in tal modo giungendo a conclusioni logiche e conformi al diritto e
pertanto non ulteriormente valutabili, in particolare non valutabili nel merito,
da questa corte di legittimità.
Nessuna violazione dell’art. 6 CEDU, diversamente da come argomentato dalla
difesa dell’imputato, è nel caso prospettabile giacché le decisioni dei giudici di
merito sono maturate su di un materiale esclusivamente documentale:
essendo riferite le dichiarazioni dell’imputato all’interrogatorio reso nel corso
delle indagini ed essendosi proceduto nelle forme del giudizio abbreviato.
Quanto alla doglianza circa l’attribuzione all’imputato delle circostanze
aggravanti relative alla rapina, e consistenti nella presenza di persone riunite,
dell’uso di armi, e del travisamento degli esecutori materiali del delitto, è

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sufficiente evidenziare come nella motivazione della corte di appello, esposta
a pagina 168, dette circostanze non risultano né menzionate né considerate.
Quanto al giudizio di penale responsabilità per i reati contestati ai capi 2 e 4
della imputazione (illegale detenzione e porto in luogo pubblico di armi, e
ricettazione di mezzi di provenienza furtiva adoperati per la rapina), è
sufficiente rilevare che, come motivato dalla corte d’appello, la partecipazione
alla rapina medesima, a titolo di concorso, implica la responsabilità anche per

i reati satelliti posti in essere per realizzare il reato principale: ossia l’uso di
armi nella rapina e la ricettazione di mezzi adoperati per realizzare la rapina
medesima.
Ne discende l’infondatezza del motivo aggiunto sulla mancata dichiarazione di
inammissibilità dell’atto di appello del pubblico ministero per difetto di
motivazione in ordine alla richiesta di condanna per i delitti descritti ai capi 2
e 4 dell’imputazione.
Appaiono invece fondati i motivi sul trattamento sanzionatorio.
La corte di appello argomenta molto sinteticamente la propria decisione in
merito. Circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e
l’ammontare della pena inflitta, la corte si richiama anche all’esistenza di un
precedente specifico per reati contro il patrimonio; precedente non
ulteriormente precisato: e dunque non precisato né nella risalenza né nella
specificità. Cosicché anche il secco richiamo alla personalità dell’imputato
risulta poco significativo perché non ulteriormente specificato né delucidabile
sulla scorta del passato criminale. Infine, quanto alla condotta di reato, la
corte argomenta sul “rilevante contributo causale apportato” dall’imputato:
anche qui, tuttavia, senza ulteriormente precisare le ragioni di detta
rilevanza; e ciò nonostante che lo stesso pubblico ministero avesse definito il
contributo apportato dal Di Pace come non decisivo.
In breve, si mostra una differenza evidente nella motivazione tra le
argomentazioni spese per ricostruire la penale responsabilità dell’imputato da
un lato, e quelle svolte a sostegno della pena irrogata dall’altro. Queste ultime
appaiono in parte omesse, in parte generiche e in parte lacunose: tanto da
giustificare, al riguardo, l’annullamento della sentenza impugnata ed un nuovo
giudizio.

Il ricorso presentato nell’interesse del Cervasio è infondato.
Con riguardo alla intercettazione del dialogo intercorso tra i fratelli Rebuscini e
il complice Giangregorio il 29 settembre 2011, avente oggetto la vendita della

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refurtiva proveniente della rapina, logicamente osserva la corte di appello
come il divieto imposto dal Rebuscini per la vendita dei preziosi in possesso
dell’odierno ricorrente non potesse in alcun modo giustificarsi se lo stesso si
fosse già reso ricettatore della merce medesima (sulla quale pertanto i
rapinatori avrebbero perduto ogni disponibilità) mentre era agevolmente
spiegabile qualora l’odierno ricorrente fosse rimasto in possesso dei preziosi in
quanto coautore della rapina (cfr. p. 92 della motivazione). A ciò la corte di

appello non manca di aggiungere gli ulteriori elementi probatori da cui è
emersa una partecipazione del ricorrente a riunioni tra gli imputati aventi ad
oggetto la preparazione della rapina (cfr. p. 96 s.) .
Parimenti infondato è il motivo sul trattamento sanzionatorio, avendo la corte
territoriale logicamente argomentato sulla gravità del fatto, sul rilevante
passato criminale del reo e sul non avere lo stesso riferito sulla sorte dei
preziosi che rimasero in suo possesso: così da giustificar pienamente il
trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado.

Venendo all’esame del ricorso presentato nell’interesse del Fisher, deve
osservarsi come la corte di appello abbia logicamente argomentato il ruolo
rilevante ricoperto dall’imputato nella ideazione e nella organizzazione della
rapina sulla scorta del materiale istruttorio acquisito agli atti, sottolineando
anche le dichiarazioni rese dall’imputato (gravato da un passato criminale di
delitti contro il patrimonio) che ammise di conoscere e frequentare altri
coimputati; che nel chiaro tentativo di sminuire il proprio ruolo – pur avendo
ammesso di conoscere da oltre venti anni Rebuscini Giuseppe, con il quale si
era trovato coinvolto in numerosi processi per rapina aggravata – affermò,
non credibilmente, di essere stato indottoffialla rapina da un non meglio
identificato soggetto di origine catanese, nel frattempo deceduto e di cui
rifiutò di rivelare il nome.
Quanto alla doglianza circa il delitto di cui al capo 2 della imputazione, la corte
di appello motiva in maniera estremamente logica come dalle complessive
modalità con cui sì realizzò le rapina, dalla gravità dei fatti, dalla complessità
dell’evento delittuoso e dalla elevata rischiosità della azione intrapresa dai
criminali, sia del tutto ragionevole escludere che gli stessi si fossero limitati
all’utilizzo di armi giocattolo (cfr. p. 88 s. della motivazione).
Quanto al delitto di ricettazione contestato al capo 6 dell’imputazione, la
doglianza al riguardo sollevata è infondata, avendo la Corte territoriale
correttamente, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass.

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sez.II 11 giugno 2008 n.25756, Nardino; sez.II 27 febbraio 1997 n.2436,
Savic), desunto la prova dell’elemento soggettivo dalla non attendibile
indicazione da parte dell’imputato della provenienza della cosa ricevuta, la
quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente
spiegabile con un acquisto in mala fede (cfr. p. 90 della motivazione).

Infondato è anche il ricorso presentato nell’interesse di Rebuscini Cesare.

Nella lunga esposizione la difesa non evidenzia illogicità manifeste della
motivazione impugnata, ma ricostruisce una versione alternativa dei fatti di
causa non sindacabile in sede di legittimità.
Per converso nella sentenza è resa logica motivazione, alle pagine 106 ss., del
coinvolgimento dell’imputato non solo nelle fasi successive alla avvenuta
rapina bensì anche nelle fasi preparatorie, con dettagliato richiamo del
complessivo quadro indiziario già esposto nella sentenza di primo grado e
ribadito nella sentenza impugnata.
Va segnalato come nella motivazione della corte di appello sono anche
considerati i rilievi difensivi in parte ribaditi, ma senza correlazione con la
motivazione che si vorrebbe criticare, nel ricorso in esame.
Sul trattamento sanzionatorio, comunque ritenuto eccessivo, deve rilevarsi
che il giudice d’appello, con motivazione congrua ed esaustiva, anche previo
specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti, è giunto a
una valutazione di merito come tale insindacabile nel giudizio di legittimità,
quando – come nel caso di specie – il metodo di valutazione delle prove sia
conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici
(Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794), rilevando in
particolare la sussistenza di precedenti penali, la prognosi negativa sulla
personalità dell’imputato e la proporzione della pena inflitta alla gravità del
fatto commesso (cfr. p. 115 s.).

Il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di Modenese Roberto
Paolo è infondato, risultando dal verbale di udienza l’imputato libero e
assente, ma “stante l’avvenuta notifica presso il difensore di fiducia” presso
cui l’imputato aveva eletto domicilio. In tal modo, è stata sostanzialmente
accertata la contumacia dell’imputato; cosicché la lamentata nullità sarebbe al
più a regime intermedio; tuttavia il difensore, presente in udienza, non ha
sollevato tempestivamente l’eccezione, che pertanto deve ritenersi oggi
tardiva.

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Il motivo sulla penale responsabilità dell’imputato per la spendita di monete
false si mostra infondato già alla luce delle dichiarazioni dello stesso
ricorrente, il quale ha confessato la consapevolezza della falsità delle
banconote detenute e ha reso una giustificazione, logicamente giudicata dalla
corte di appello come obiettivamente inverosimile, sulla detenzione delle
stesse in quanto finalizzata a soddisfare eventuali ladri che avessero tentato
di derubarlo (cfr.p.169 della motivazione) .
trattamento sanzionatorio, deve preliminarmente rilevarsi come

all’imputato siano state riconosciute le circostanze attenuanti generiche; e poi
segnalarsi come la corte di appello – confermando il giudizio del tribunale in
ordine alla gravità del fatto e alla misura della pena siccome proporzionata al
fatto stesso, pur apportando il correttivo della esclusione dell’aumento per la
continuazione – abbia correttamente rilevato che gli ulteriori benefici di legge
richiesti (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna)
non possono essere riconosciuti essendo l’imputato gravato da precedenti
penali e considerato il comportamento non collaborativo tenuto dallo stesso,
che non ha confessato il fatto nonostante l’evidenza delle prove.

Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Di Pace
Gennaro limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra
sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio sul punto; e il
rigetto nel resto del ricorso. Consegue inoltre il rigetto dei ricorsi di Modenese
Roberto Paolo, Rebuscini Cesare, Cerbasio Romualdo e Fischer Franco, con
condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.
PQM
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Di Pace Gennaro limitatamente
al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello
di Milano per nuovo giudizio sul punto; rigetta nel resto il ricorso.
Rigetta i ricorsi di Modenese Roberto Paolo, Rebuscini Cesare, Cerbasio
Romualdo e Fischer Franco che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Roma, 9.6.2015

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
Franco Fia danese

Sul

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