Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29503 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29503 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VOI ANTONINO N. IL 13/11/1958
avverso la sentenza n. 4349/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 30/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ì,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/06/2015

Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata la corte di appello di Palermo ha confermato la
sentenza del tribunale di Alcamo di condanna di Voi Antonino per i reati allo
stesso ascritti ai sensi degli artt. 483 e 640 cod.pen.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato si contestano violazione di
legge e vizio di motivazione in particolare rilevando: l’insussistenza
dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 483 cod. pen.; l’insussistenza

dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 640 cod. pen.; tl’applicabilità
del beneficio dell’indulto invece non concesso; la concedibilità delle
circostanze attenuanti generiche invece negate, anche segnalando un
contrasto di giudicati rispetto la decisione assunta nei confronti del coimputato
Barone Vincenzo.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
Circa il giudizio sulla penale responsabilità per entrambi i reati ascritti, nello
stesso si lamentano, peraltro in maniera generica e aspecifica (menzionando
atti del processo non allegati al ricorso), vizi di motivazione in realtà
insussistenti, avendo la corte di appello svolto una dettagliata motivazione
alle pagine 1-2 della sentenza, nella quale, dopo essere stata riferita la
vicenda del procedimento di indagine e poi del processo, è ampiamente dato
conto della complessiva ricostruzione dei fatti, del materiale istruttorio posto a
base della stessa, e di come tutti gli elementi di prova raccolti fossero
convergenti ai fini del giudizio sulla penale responsabilità (mentre nessun
rilievo può evidentemente assumere una eventuale comparazione con la
decisione assunta nei confronti di altro soggetto in diverso giudizio in appello).
Quanto alla mancata concessione dell’indulto, correttamente la corte di merito
ha applicato la giurisprudenza di legittimità per cui con la sentenza di
condanna non può essere ulteriormente applicato l’indulto se è disposta la
sospensione condizionale della pena in quanto quest’ultimo beneficio riconosciuto nel caso di specie ‘imputato- prevale sul primo (cfr., di recente,
Cass., sez. 6, 29.11.2013, n. 49864).
Impeccabilmente la corte territoriale ha poi negato la concessione delle
circostanze attenuanti generiche attesi i plurimi precedenti penali
dell’imputato e la gravità della condotta delittuosa posta in essere, non
mancando peraltro di rilevare come la pena inflitta non si discosti dai livelli
minimi edittali: così che la sanzione si mostra ai giudici di merito come
correttamente commisurata alle condotte tenute.

1

Deve conclusivamente rilevarsi sul punto che il giudice d’appello, con
motivazione congrua ed esaustiva, anche previo specifico esame degli
argomenti difensivi attualmente riproposti, è giunto a una valutazione di
merito come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando – come nel
caso di specie – il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici (Cass. pen. sez. un., 24
novembre 1999, Spina, 214794)

pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 9.6.2015

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
ranco Fi i7danese

rky5-7,1;

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al

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