Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29498 del 18/03/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29498 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BESSONE MAURILIO N. IL 04/07/1965
avverso la sentenza n. 5143/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
02/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 18/03/2015

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.
Roberto Aniello, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio

della sentenza.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5.12.2011, la Corte d’Appello di Torino, in riforma
della pronuncia di primo grado, assolveva Maurilio Bessone e Silvio Diego
Bianchi dal delitto loro ascritto di cui agli artt.110 e 323 c.p., per avere in
concorso tra loro intenzionalmente procurato ad Alba Durando un ingiusto
vantaggio patrimoniale consistente nel superamento al primo posto in
graduatoria del concorso per l’ammissione al corso di laurea specialistica in
scienze delle professioni sanitarie tecniche diagnostiche, e arrecato un danno
ingiusto agli altri candidati.
Avverso tale sentenza presentava ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte d’Appello di Torino, e la Corte di Cassazione,
sezione sesta, con sentenza del 26.6.2013, rilevato che il requisito della
violazione di legge di cui all’art.323 c.p. ben può essere integrato anche solo
dall’inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della pubblica
amministrazione, per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate
preferenze o di favoritismi ed impone al pubblico ufficiale o all’incaricato di
pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata
applicazione, annullava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione
della Corte d’Appello di Torino.
Con sentenza del 2.10.2014, la Corte d’Appello di Torino, in parziale
riforma della sentenza i primo grado, assolveva Bianchi Silvio Diego dal

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reato ascrittogli, per non aver commesso il fatto e confermava la sentenza di
condanna nei confronti del Bessone.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo
l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art.606 lett.b
c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito dell’ingiusto
vantaggio patrimoniale di cui all’art.323 c.p., nonché mancanza e manifesta
illogicità della motivazione ex art.606 lett.e c.p.p. risultante dal testo del

provvedimento. La motivazione è, infatti, del tutto illogica nella misura in
cui ritiene che il semplice conseguimento del titolo di laurea del corso a
numero chiuso abbia comportato un illecito vantaggio di natura patrimoniale
in capo alla convivente del Bessone, omettendo peraltro di considerare che la
stessa già operava nel settore medico-radiologico e che il titolo non avrebbe
potuto consentire alla medesima alcun avanzamento in carriera o altro
vantaggio. In sostanza, il ricorrente si duole del fatto che la Corte abbia
riconosciuto la natura patrimoniale del vantaggio conseguito dalla Durando,
nonostante che – all’epoca dei fatti – la Laurea in Scienze delle Professioni
Sanitarie Tecnico-diagnostiche non costituisse titolo idoneo all’accesso alla
posizione di coordinamento nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale con
attribuzione di funzioni non meramente esecutive. Infatti, in virtù della
normativa vigente nell’anno 2007, tale avanzamento di carriera sarebbe stato
possibile unicamente in virtù dell’accesso e del conseguimento del master di
I livello in Organizzazione e coordinamento delle professioni tecnico
sanitarie, al quale peraltro la Durando si è iscritta in data 22.10.2007
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, il difensore di Bessone Maurilio ha
dedotto vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il
reato di cui all’art.323 c.p., attesa la contraddittorietà e illogicità delle

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argomentazioni al riguardo sviluppate, nonché l’erronea applicazione della
norma in questione.
2. Ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio non assume
alcun rilievo, stante la sua natura di reato di evento, l’adozione di atti
amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, ma è
necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che

ed ingiusto deve essere l’evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non
spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia, o il danno che
quella condotta procura a terzi (Sez.VI, Sent.n. 36020/2011, Rv. 250776). La
violazione di legge, cui fa riferimento l’art. 323 c.p., riguarda non solo la
condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano
l’esercizio del potere, ma anche le condotte che siano dirette alla
realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è
conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione
(Sez.VI, Sent.n. 43789/2012, Rv. 254124), rispetto alla quale si configura
l’elemento soggettivo del dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la
volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta
dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito (Sez.VI, Sent.n.
35859/2008, Rv. 241210; Sez.V, Sent.n. 3039/2010, Rv. 249706). La prova
dell’intenzionalità del dolo esige quindi il raggiungimento della certezza che
la volontà dell’imputato sta stata orientata proprio a procurare il vantaggio
patrimoniale o il danno ingiusto. Tale certezza non può provenire
esclusivamente dal comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve
trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, quali la specifica
competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa
il provvedimento ed i rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti
che dal provvedimento ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno
(Sez.VI, Sent.n. 35814/2007, Rv. 237916; Sez.VI, n. 21192/2013, Rv. 255368).
Per giurisprudenza di questa Corte, integra il reato in questione anche il
favoritismo per il superamento di un esame di concorso funzionale al
conseguimento di un posto di lavoro o all’esercizio della professione (Cass.

ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge,

Sez. VI, Sent.n. 24663/2008, Rv. 240522; Sez.VI, Sent. n. 15158/2014 Rv.
261832).
3. Il giudice di rinvio, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, ha
fatto corretta applicazione della norma di legge che si assume violata, in
perfetta aderenza ai principi di diritto enunciati da questa Corte, e ribaditi
nella sentenza di annullamento con rinvio del 26.6.2013, con la quale è stata
censurata la prima sentenza in grado d’appello del 5.12.2011, sia in relazione

//

all’esclusione del requisito dell’ingiusto vantaggio patrimoniale (apparendo
espressione di un ulteriore violazione di legge l’avere escluso, nel caso di

specie, il carattere della patrimonialità del vantaggio conseguito dalla
Durando per effetto dell’ammisssione ad un corso universitario “a numero
chiuso”, alla cui conclusione ella avrebbe ragionevolmente subito ottenuto
un posto di lavoro corrispondente alla qualifica acquisita”, v.pag.5 della
sentenza di annullamento), che in ordine all’erronea interpretazione
dell’art.323 c.p. per l’asserita impossibilità che la fattispecie delittuosa in
questione possa essere integrata da una violazione del precetto dell’art.97 c.p.
(l’imparzialità dell’azione amministrativa di cui alla predetta norma
costituzionale consiste infatti nel divieto di favoritismi, nell’obbligo cioè della
Pubblica Amministrazione di trattare tutti i soggetti portatori di interessi
tutelati alla stessa maniera, e tale principio assume i caratteri precettivi
richiesti dall’art.323 c.p., in quanto impone al pubblico ufficiale o
all’incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di
immediata applicazione, v.pag.6 della sentenza di annullamento).
4. La motivazione della Corte territoriale, che va necessariamente
integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, si
appalesa poi completa, priva di vizi logici, del tutto aderente alle premesse
fattuali acquisite in atti, compatibile con il senso comune; di contro le
doglianze del ricorrente sono prive di consistenza e formulate in termini di
una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti.
5. Nella specie, il giudizio di responsabilità si fonda sulla duplice
valutazione del ruolo del Bessone, nel corso della procedura concorsuale in
esame, che oltre a concretare l’esercizio di un incarico di pubblico servizio,
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non fu marginale ed inifluente ai fini del corretto svolgimento della prova
(nei 32 quesiti di teoria/pratica è agevole individuare

ictu °culi

l’appartenenza di almeno 11 domande alle discipline di cui si occupò
personalmente il Bessone, ovvero fisica sanitaria, radioterapia e medicina
nucleare, v.pag. 10-11 della sentenza impugnata), e della natura patrimoniale
del vantaggio conseguito dalla Durando, convivente del Bessone, la quale
classificatasi prima nella prova concorsuale, per effetto dell’ammissione al

corso di laurea a numero chiuso, avrebbe ragionevolmente potuto ottenere
subito, al conseguimento della laurea, un posto di lavoro corrispondente alla
qualifica conseguita. Accanto al dolo intenzionale finalizzato a favorire la
convivente, è stato quindi ritenuto sussistente anche il dolo inteso a
danneggiare gli altri partecipanti al concorso a numero chiuso per
l’ammissione al corso di laurea triennale (v.pag.12 della sentenza
impugnata). Né vale obiettare che la Durando operava da circa venti anni nel
settore medico-radiologico, e che il titolo di laurea in Scienza delle
Professioni Sanitarie Tecniche diagnostiche non le avrebbe consentito alcun
avanzamento di carriera o alcun differente vantaggio, in quanto mentre è di
palmare evidenza il vantaggio patrimoniale dell’ammissione a un corso di
laurea a numero chiuso funzionale all’esercizio di una professione (e il danno
degli altri partecipanti), la dedotta inidoneità del titolo in questione
all’accesso a una posizione di coordinamento nell’ambito del Servizio
Sanitario Nazionale (con attribuzioni di funzioni non meramente esecutive
ed improntate ad indagini diagnostiche, bensì di gestione del personale e
delle attività di servizio, con esclusione dei turni di reperibilità ed ulteriori
vantaggi), è questione di merito, come tale preclusa in questa sede.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000), nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della

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Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata
in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle amrende.
Cos’

berato, il 18.3.2015.

Consi liere estensore
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al paga nto delle

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