Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29472 del 29/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29472 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Cilione Roberta
avverso l’ORDINANZA del tribunale della libertà di Reggio Calabria
del 25.1.2012;
udita la relazione del consigliere dr. Antonio Prestipino
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Antonio Gialanella che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso; sentita, per la ricorrente, ravv.ssa Valeria Marsano, in sostituzione dell’avv. Daniela Minniti, che ha
conduso per raccoglimento del ricorso.

Data Udienza: 29/05/2013

Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 26.1.2012, il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria rigettava la richiesta di
riesame proposta da CHione Roberta contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal gip dello
stesso tribunale nell’ambito del procedimento penale a carico della stessa istante per il reato di cui
all’art. 640 bis c.p., e 56 e 640 bis c.p.
Secondo l’accusa, la Cilione, attraverso la produzione di documenti falsi aveva indebitamente
percepito una prima tranche contributo regionale ex D.D.G nr. 344 del 27.3. 2003, per investimenti
nel partenariato “allevamento Pollo Carne”, allegando spese mai sostenute, e aveva quindi tentato,
senza riuscire nel proprio intento per cause indipendenti dalla sua volontà, di ottenere il
completamento della sovvenzione.
Ha proposto ricorso per cessazione la Cilione per mezzo del proprio difensore, lamentando
il vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato in relazione agli artt. 321 c.p.p., 640 bis,
640 quater e 320 ter c.p. , in ordine alla sussistenza del fumuscommissidelicti dm, comunque, con
riguardo all’effettiva qualificazione giuridica del fatto.
Sotto il primo profilo, lo stesso Tribunale del riesame avrebbe in sostanza ammesso che i lavori
ammessi a contributo erano stati effettivamente eseguiti, non essendo nemmeno in contestazione
che i costi dichiarati fossero superiori a quelli correnti di mercato, e potendo al più ipotizzarsi la
semplice violazione di norme fiscali, non riconducibile alla ricorrente;
sotto il secondo profilo, il fatto andrebbe al più ricondotto alla diversa fattispecie dell’art. 316 ter c.p.
Considerato in diritto
I motivi di ricorso sono caratterizzati da accentuati profili di merito, incompatibili con i limiti
dell’impugnazione di legittimità contro provvedimenti in materia di misure di cautela reale.
Il ricorso per cessazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o
probatorio e’ ammesso infatti solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere
sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da
rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Cass. S.U.,29 maggio 2008 n. 25933,
Malgioglio; Sez. 2, Sentenza n. 3103 del 18/12/2007)
Tanto non può certo ritenersi per le argomentazioni del provvedimento impugnato sicuramente non
censurabili nei termini radicali richiesti dallo specifico rimedio processuale, considerando che
l’accertata inesistenza di alcune delle ditte che risultano avere eseguito parte dei lavori ammessi a
contributo, se può non escludere l’effettiva esecuzione delle opere, induce peraltro più che fondati
dubbi sull’ammontare reale dei costi sostenuti. Più che approfondite sono poi le valutazioni dei
giudici su tutti gli altri presupposti del sequestro.
Le censure in punto di qualificazione giuridica del fatto, poi, scontano già un evidente difetto di
interesse in relazione allo specifico oggetto del ricorso, essendo il sequestro preventivo applicabile,
per l’espressa previsione dell’art. 322 ter c.p., anche per i fatti previsti dall’art. 316 ter c.p.. E, ciò,
senza dire, che l’identificazione della corretta figura di reato è ovviamente suscettibile di ulteriori
approfondimenti, a partire dal presupposto di base di una condotta comunque fraudolenta e
penalmente rilevante.
Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella
determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma 1i euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così d ‘
Ilre
Roma, nellacamera
mera di consiglio, il 29.5.2013.

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