Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29423 del 27/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29423 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ACETO ALDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FELICE GIUSEPPE N. IL 18/07/1967
avverso la sentenza n. 5657/2014 GIP TRIBUNALE di CATANIA, del
14/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO ACETO;

Data Udienza: 27/11/2015

RGN 38047/2014

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con sentenza del 14/04/2014 resa ai sensi degli artt. 444 e segg., cod.
proc. pen., il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania ha applicato, nei confronti del sig. Felice Giuseppe, imputato dei reati di cui agli artt.
416-bis, commi 1, 2, 4 e 6, cod. pen., e 81, cpv., cod. pen., 73, d.P.R. n. 309 del
1990, aggravato ai sensi dell’art. 7, di. n. 152 del 1991, commessi in Catania

lo di continuazione con i reati oggetto di precedenti condanne.

2.Propone ricorso per cassazione l’imputato chiedendo l’annullamento della
sentenza per violazione dell’art. 444, cod. proc. pen., e vizio di motivazione in
ordine alla sua responsabilità, affermata in base a prove dichiarative prive di riscontri.

3.11 ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato e proposto per
motivi non consentiti dalla legge.

4. Ricorda la Suprema Corte che, secondo un ormai consolidato principio,
«facendo richiesta di applicazione della pena, l’imputato rinuncia ad avvalersi
della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri termini, non nega la sua responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della prova; la sentenza che accoglie la detta
richiesta contiene, quindi, un accertamento ed un’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato, e pertanto l’accertamento della responsabilità non va
espressamente motivato, così come l’affermazione di responsabilità non va
espressamente dichiarata» (Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992, Di Benedetto). Di
conseguenza, «la motivazione della sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti a norma dell’art. 444 comma secondo cod. proc. pen. si esaurisce in
una delibazione ad un tempo positiva e negativa. Positiva a quanto all’accertamento: 1) della sussistenza dell’accordo delle parti sull’applicazione di una determinata pena; 2) della correttezza della qualificazione giuridica del fatto nonché della applicazione e della comparazione delle eventuali circostanze; 3) della
congruità della pena patteggiata, ai fini e nei limiti di cui all’art. 27, terzo comma, Cost.; 4) della concedibilità della sospensione condizionale della pena, qualora l’efficacia della richiesta sia stata subordinata alla concessione del beneficio.
Negativa quanto alla esclusione della sussistenza di cause di non punibilità o di
non procedibilità o di estinzione del reato. Le delibazioni positive debbono essere
necessariamente sorrette dalla concisa esposizione dei relativi motivi di fatto e di
diritto, mentre, per quanto riguarda il giudizio negativo sulla ricorrenza di alcuna

fino all’aprile 2010, la pena concordata di un anno e sei mesi di reclusione a tito-

delle ipotesi previste dall’art. 129 cod. proc. pen., l’obbligo di una specifica motivazione sussiste, per la natura stessa della delibazione, soltanto nel caso in cui
dagli atti o dalle dichiarazioni delle parti risultino elementi concreti in ordine alla
non ricorrenza delle suindicate ipotesi. In caso contrario, è sufficiente la semplice
enunciazione, anche implicita, di aver effettuato, con esito negativo, la verifica
richiesta dalla legge e cioè che non ricorrono gli estremi per la pronuncia di sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen..» (Sez. U, Di Benedetto,
cit.).

re, prima della verifica dell’osservanza dei limiti di legittimità della proposta di
pena concordata, gli atti del procedimento al fine di riscontrare l’eventuale esistenza di una qualsiasi causa di non punibilità, la cui operatività, giustificando il
proscioglimento dell’imputato e creando un impedimento assoluto all’applicazione della sanzione, è necessariamente sottratta ai poteri dispositivi delle parti.
Tale operazione preliminare consiste in una ricognizione allo stato degli atti, che
può condurre a una pronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen. soltanto se le risultanze disponibili rendano palese l’obiettiva esistenza di
una causa di non punibilità, indipendentemente dalla valutazione compiuta dalle
parti e senza la necessità di alcun approfondimento probatorio e di ulteriori acquisizioni» (Sez. U, n. 3 del 25/11/1998, Messina).
4.2.Nel caso di specie, il G.i.p. ha correttamente ratificato l’accordo processuale sull’affermato rilievo della mancanza di elementi “ictu ()culi” rilevabili ai fini
del proscioglimento ai sensi dell’art. 129, cod. proc. pen., elementi che non possono consistere, come inammissibilmente propone il ricorrente, in una pregnante
valutazione di attendibilità dei testimoni d’accusa poiché con l’accettazione del
rito egli ha rinunciato a tale opzione difensiva.
4.3.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod.
proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente
(C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento
nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che
si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 1500,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 27/11/2015

4.1.Unico dovere indeclinabile del giudice resta perciò quello di «esamina-

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