Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29415 del 03/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29415 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE PAOLI GIOVANNI N. IL 21/01/1959
avverso la sentenza n. 2574/2011 TRIBUNALE di TORINO, del
21/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIULIO SARNO
…-Udito il Procuratore GenFrple in persona del
che ha concluso per
‘k~.5—–3,—-: -1— %”..

e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

,r„.)

Data Udienza: 03/05/2013

1. Il Tribunale di Torino, con la sentenza in epigrafe, all’esito di opposizione a
decreto penale di condanna, ha condannato De Paoli Giovanni alla pena di euro
4000 di ammenda per il reato di cui all’art. art. 16 comma 2 del D.Lgs 59/05
contestato per non avere—nella sua qualità di responsabile ambientale della
società FENICE S.p.A GRUPPO E.D.F. e gestore dell’impianto denominato IREO,
la cui funzione é il trattamento di emulsioni oleose prodotte da terzi e dalle ditte
presenti nel sito di Torino in co Settembrini n. 90 presso il comprensorio
industriale Fiat MirafiorirosservaM le prescrizioni autorizzative previste nell’AL4
(Autorizzazione Integrata Ambientale) n.161-782657/2007.
Nel corso del sopralluogo effettuato in data 8/5/2008 da personale dell’ARPA al
fine di verificare e controllare il rispetto delle prescrizioni dell’Autorizzazione
Integrata Ambientale (A.I.A.), rilasciata a “Fenice spa” anche in relazione
all’impianto IREO, inserito all’interno del comprensorio industriale FIAT
MIRAFIORI, era stato accertato:
– la presenza di serbatoi di stoccaggio delle emulsioni oleose in conto terzi
definiti in autorizzazione A,B,C e D che risultavano privi di etichette e targhe
indicanti la classificazione, stato fisico, tipologia e pericolosità dei rifiuti ivi
contenuti, in violazione al punto B2 allegato B dell’autorizzazione A.I.A.
– i 2 serbatoi da 25 mc di olio recuperato, risultavano privi delle etichette come
al punto a)
– le vasche esterne denominate n O e 2 contenenti emulsioni oleose, in arrivo
dal comprensorio industriale, risultavano anch’esse prive delle previste etichette
di identificazione ed erano inoltre riempite oltre il limite previsto, ovvero il 90%
della loro capacità; tale condizione era stata ottenuta occludendo le tubazioni di
“troppo pieno” con tappo metallico filettato, permettendo in tal modo il
riempimento oltre misura delle vasche.
1.1 Il tribunale ha in particolare evidenziato che come emerso dalla
documentazione e dalle deposizioni testimoniali emergeva chiaramente che, in
forza alla procura speciale acquisita in atti, l’imputato era responsabile in campo
ambientale in relazione alla gestione dell’impianto e che non vi erano ulteriori
deleghe che attribuivano ad altri soggetti compiti e/o responsabilità specifiche in
campo ambientale con riferimento alla gestione degli impianti ed in particolare
all’apposizione e al mantenimento delle etichette apposte sui serbatoi dello
stoccaggio delle emulsioni trattate dall’impianto in esame.
Inoltre ha sottolineato che l’impianto oggetto di AIA é destinato al trattamento
di emulsioni oleose provenienti sia dalle ditte presenti nel comprensorio sia da
soggetti terzi e che le prescrizioni dell’AIA concernono sia il trattamento delle
emulsioni oleose provenienti dalle officine meccaniche del comprensorio Fiat sia
quello delle emulsioni oleose provenienti da terzi.
E, dunque, sulla base di quanto detto, ha ritenuto che anche le vasche
denominate O e 2, che ricevono i reflui delle officine meccaniche, fanno parte
dell’impianto di trattamento e sono soggette alla prescrizioni dell’AIA.
2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo:
2.1 la erronea applicazione dell’art. 16 comma 2 del D.Igs. 59/2005, nonché
la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla ritenuta insussistenza di una delega che attribuiva a soggetto
diverso dall’imputato i compiti di vigilanza in ordine all’apposizione e al
mantenimento in vista delle etichette sui serbatoi .
Rileva in particolare il ricorrente che il ragionamento del tribunale non tiene
conto dei principi affermati da questa Corte secondo cui la delega di funzioni
nell’ambito di un’impresa articolata e complessa dai vertici aziendali ai
sottoposti non richiede necessariamente un atto scritto ed è idonea ad escludere

Ritenuto in fatto

Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1 In relazione al primo motivo il ricorrente mostra di essere pienamente
consapevole della evenienza che il motivo di ricorso possa essere ricondotto ad
una censura di merito, inammissibile come tale in questa sede, riguardando la
validità e l’attualità della delega.
Ritiene tuttavia di ovviare a tale possibile contestazione per un verso deducendo
l’omessa applicazione dei principi generali in materia di delega e, per altro
verso, l’omessa motivazione da parte del primo giudice in ordine alla rilevanza
di prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Nessuno dei due rilievi è tuttavia fondato.
In relazione al primo profilo questa Corte ha più volte affermato che in materia
ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è

la responsabilità penale del delegante, purchè inequivoca nel contenuto e
finalizzata ad investire persona dotata delle necessarie nozioni e capacità
tecniche, alla quale devono essere attribuiti poteri decisionali e di intervento
anche finanziario nel settore di competenza. Al riguardo si ritiene pretermessa la
testimonianza di Cosimo Longo, responsabile degli impianti della FENICE S.p.A.
presso il comprensorio FIAT Mirafiori, Il quale ha riferito che l’organizzazione
aziendale della società prevede che per gli impianti vi siano dei responsabili
specifici e che nel caso dei trattamenti di specie, questi è l’ingegnere Chimico
che si interessa di tutti gli impianti di trattamento e che il compito di occuparsi
delle etichette era affidato all’Ing. Milena Castello, all’epoca dei fatti
“responsabile dell’impianto”. Il dato avrebbe trovato conferma, secondo il
ricorrente, anche nelle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento da uno degli
ufficiali di polizia giudiziaria, Fiore, il quale ha riferito in dibattimento che,
partecipando al sopralluogo, aveva avuto contatto con i due responsabili da
ultimo citati.
2.2 l’erronea applicazione dell’art. 16 comma 2 del D.Igs. 59/05, nonché per
la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento alla ritenuta assoggettabilità delle vasche denominate O (ZERO) e 2
alle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata alla Società
FENICE S.p.A.. La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, sarebbe viziata da
un errore di fondo in quanto fondata sull’assunto che quando la società ha
deciso di trattare anche reflui provenienti da terzi, ha sostituito la precedente
autorizzazione rilasciata ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo N.
22/97 per l’esercizio dell’attività di trattamento dei reflui che provenivano dalle
officine meccaniche, con quella integrata ambientale e che, pertanto,
quest’ultima copriva entrambe le attività. Al riguardo rappresenta che le vasche
in questione erano già presenti nell’impianto originario destinato a trattare i
reflui delle lavorazioni meccaniche del comprensorio FIAT Mirafiori e che in esse
non confluiscono emulsioni oleose classificabili come rifiuti, ma soltanto reflui
derivanti dal ciclo produttivo delle officine meccaniche di FIAT Mirafiori.
Sostiene il ricorrente l’impossibilità di assoggettare alle prescrizioni dell’AIA le
vasche n. O e 2 in quanto quest’ultima attiene unicamente al trattamento dei
rifiuti e che l’attività in questione non poteva nemmeno essere oggetto della
autorizzazione di cui agli artt. 28 e 29 citati in quanto rientrante nella disciplina
sull’inquinamento delle acque. A riprova si rileva che la data della deliberazione
con cui la Giunta provinciale ha rilasciato alla Società l’autorizzazione ai sensi
del D.Igs. 22/97 è quella del 19 aprile 2005 e che sarebbe contrario alla logica
pensare che soltanto nel 2005 sia stata chiesta l’autorizzazione per un’attività di
smaltimento e recupero rifiuti che veniva svolta, con le stesse modalità, già
prima dell’entrata in vigore del decreto medesimo. Infine si rileva che il
tribunale avrebbe omesso di considerare che l’A.I.A. può essere anche parziale.

necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale
ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo
discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e
professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il
trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle
dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa;
d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri
decisionali e di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente
provata in modo certo. (da ultimo Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007 Rv. 238980).
Nell’occasione si è evidenziato come tale orientamento – dapprima limitato al
campo dell’inquinamento idrico – è stato successivamente esteso anche al
settore dei rifiuti, pervenendo a conclusioni analoghe a quelle elaborate in tema
di sicurezza sul lavoro.
E, dunque, solo l’esistenza di una prova compiuta in relazione a tutti gli aspetti
indicati si sarebbe potuta ritenere decisiva per elidere la responsabilità del
ricorrente.
In mancanza di essa non è possibile escludere, come correttamente ritenuto dal
tribunale, la responsabilità dell’imputato quantomeno concorrente con quella di
altri soggetti.
I riferimenti a questi ultimi sono peraltro del tutto generici.
Non è dato sapere con certezza da chi ed in quali forme sia stata conferita a
quest’ultimi la delega né le ragioni per le quali non sia stata contestualmente
revocata all’imputato.
Correttamente pertanto il tribunale, in mancanza di allegazioni sul punto il cui
onere non poteva che ricadere su chi conestava la situazione formalmente
accertata, ha ritenuto dì non attribuire decisività alle dichiarazioni citate nel
motivo di ricorso.
Né è prospettabile alcun profilo di illogicità della motivazione al riguardo.
Va anzitutto premesso al riguardo che “dedurre il vizio di manifesta illogicità
della motivazione significa dimostrare che il testo del provvedimento è
macroscopicamente carente di logica e non già opporre alla logica valutazione
degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa valutazione degli stessi,
magari altrettanto logica” (ss.uu., 19 giugno 1996, Di Francesco) e ciò per la
evidente ragione che la interpretazione e valutazione degli atti è quaestio facti
riservata al giudizio di merito, soltanto nel quale, dunque, è legittimo
contrapporre, nella dialettica delle parti, logica a logica. Ne consegue che il
giudice di legittimità deve limitarsi ad accertare se il giudice di merito abbia
fatto propria, logicamente, con correttezza logica, una delle possibili
interpretazioni o valutazioni degli atti e, accertato il rispetto delle regole della
logica, non può che disattendere la censura di manifesta illogicità che sia stata
proposta affermandosi – ed è quod plerumque accidit – che alla interpretazione o
valutazione degli atti data dal giudice di merito è possibile opporne un’altra.
Ciò posto deve ritenersi correttamente motivata la decisione che si limita ad
evidenziare l’esistenza di una delega formale solo in capo all’imputato.
E ciò in quanto l’esistenza di deleghe attribuite al solo imputato e la mancata
iniziativa per formalizzare l’attribuzione di compiti a terzi esonerando il primo,
proprio sotto il profilo logico, ben può trovare spiegazione nella volontà della
società di mantenere una responsabilità concorrente per l’imputato
quantomeno a titolo di vigilanza sul comportamento di altri incaricati.
3.2 Sostanzialmente inammissibile è invece il secondo motivo.
Non è riscontrabile nella specie alcun travisamento probatorio.
Il tribunale ha motivato l’assoggettamento delle vasche O e 2 alle prescrizioni
dell’AIA desumendola dal fatto che, “proprio dopo i rilievi formulati a seguito del
sopralluogo dell’8.5.2008, era stato emesso in data 16.7.2008 dal dirigente
servizio gestione rifiuti e bonifiche delle Provincia di Torino un provvedimento di
diffida che faceva specifico riferimento alle vasche O e 2 e in data 11.12.2008

denominate rispettivamente “O” e “2”, poste sotto una tettoia adiacente all’impianto
sono coinvolte nell’attività di trattamento.
E, dunque, non può essere in questa sede sindacata la riconducibilità
dell’attività svolta utilizzando anche le vasche in questione.
Peraltro, come logicamente sottolineato dal tribunale, non solo non risulta che la
società Fenice abbia mai sollevato questioni sul punto dinanzi ai competenti organi
amministrativi ma emerge anzi che in realtà la società stessa si sia attivata per la
regolarizzazione delle vasche secondo le prescrizioni impartite per rimuovere gli
aspetti di non conformità all’autorizzazione, ottemperando così alla diffida che ha
fatto seguito al sopralluogo..
Al rigetto del ricorso consegue l’onere per la ricorrente del pagamento delle
spese processuali.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta Il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 3.5.2013

un provvedimento di aggiornamento dell’AIA, che prende atto delle modifiche
effettuate da Fenice spa in ottemperanza al provvedimento di diffida ed in più
punti fa specifico riferimento alle vasche O e 2 sia in relazione alle etichette sia
in relazione alla copertura. Al riguardo cita documenti e le dichiarazioni di Melis
a pag. 10-11 delle trascrizioni, che ha sottolineato come la stessa Fenice S.p.A.
ottemperando alla diffida, abbia implicitamente riconosciuto che le vasche O e 2
sono coperte dall’AIA, nonché la circostanza che l’AIA in numerosi passi, fa
esplicito riferimento al trattamento delle emulsioni oleose raccolte nelle officine
meccaniche appartenenti al comprensorio industriale dello stabilimento Fiat
Mirafiori, oltre a quelle provenienti da terzi.
Si tratta di rilievi di carattere fattuale che l’esame diretto della documentazione
citata – di cui la tipologia dell’eccezione legittima il riscontro diretto – consente
di poter confermare senza timore di smentita.
Le considerazioni del ricorrente prescindono dalla situazione fattuale descritta e
si incentrano sulla riconducibilità della fattispecie in esame alla disciplina
dell’inquinamento idrico piuttosto che a quella dei rifiuti nel tentativo di
dimostrare che l’attività contestata con riferimento alle vasche O e 2 non era
assoggettabile all’A.I.A. ed, in precedenza, alla autorizzazione di cui agli artt. 27
e 28 Dlgs 22/97.
Ora a prescindere da ogni altra considerazione e, fermo restando che, come più
volte affermato da questa Corte, sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido i
reflui stoccati in attesa di un successivo smaltimento, fuori del caso delle acque
di scarico, ossia quelle oggetto di diretta immissione nel suolo, nel sottosuolo o
nella rete fognaria mediante una condotta o un sistema stabile di colletta mento
(così, ad esempio, Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010 Rv. 247627), non si può
non rilevare in questa sede che l’individuazione della disciplina da applicare in
concreto è evidentemente legata all’accertamento di aspetti fattuali che non può
essere rimesso a questa sede.
Il tribunale, con motivazione certamente congrua ha evidenziato che le
emulsioni oleose prodotte nelle varie unità del comprensorio sono
temporaneamente immagazzinate e stoccate in tre serbatoi dislocati in
prossimità dei luoghi di produzione, mentre le emulsioni conferite da terzi sono
stoccate in 4 serbatoi dislocati in area diversa e che le due vasche esterne

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