Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29399 del 10/05/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29399 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: DI STASI ANTONELLA

SENTENZA
sui ricorso proposto da:
BISSO ENRICO, nato a Uscio il 27/5/1952

avverso la sentenza del 12/4/2013 del Tribunale di Genova

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 10/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12.4.2013, il Tribunale di Genova dichiarava Bisso Enrico
colpevole del reati di scarico acque reflue industriali in assenza di autorizzazione,
inosservanza di provvedimento dell’Autorità e disturbo delle occupazioni e del
riposo delle persone e, ritenuta la continuazione e concesse le attenuanti

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello Bisso Enrico, a mezzo del
difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati.
Con un primo motivo deduce l’insussistenza del reato di cui all’art. 137 del
dIgs 152/2006 per omessa od errata valutazione delle prove assunte, in quanto,
contrariamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, il Bisso era, ed è
tuttora, titolare di idonea autorizzazione per lo scarico di acque reflue derivanti
dall’immobile ove esercita l’attività di lavabiancheria costituita dal provvedimento
autorizzatorio n. 938/93 del sindaco di Avegno, perfettamente valido ed efficace e
in quanto mai sospeso e revocato né assoggettato ad alcun termine.
Con un secondo motivo deduce l’insussistenza del reato di cui all’art. 137 del
dIgs 152/2006 per omessa od errata valutazione delle prove assunte in relazione
all’elemento psicologico del reato, in quanto il provvedimento autorizzatorio
rilasciato al Bisso, pur se ritenuto inadeguato, aveva determinato l’affidamento del
Bisso nella validità ed efficacia della autorizzazione.
Con un terzo motivo deduce l’insussistenza del reato di cui all’art.650 cp per
omessa od errata valutazione delle prove assunte, in quanto, contrariamente a
quanto rilevato nella sentenza impugnata, il Bisso aveva tempestivamente
ottemperato all’ordinanza sindacale del 11.2.2008, prot. 852, provvedendo allo
spegnimento dell’estrattore d’aria; argomenta che non avendo più provveduto
all’utilizzazione del macchinario aveva proceduto alla disattivazione dello stesso,
non potendosi condividere quanto ritenuto in sentenza circa il carattere di non
irreversibilità della disattivazione.
Con un quarto motivo deduce l’insussistenza del reato di cui all’art.659
comma 2 cp per omessa od errata valutazione delle prove assunte, in quanto alcun
riscontro probatorio vi era circa la riferibilità dei rumori riferiti dal teste escusso
all’attività di lavanderia di cui era titolare il Bisso.
Con sentenza emessa dalla Corte d’appello di Genova in data 12.12.2013,
previa qualificazione dell’appello come ricorso per cassazione è stata disposta la
trasmissione degli atti a questa Corte, trattandosi di sentenza di condanna alla
sola pena dell’ammenda.
2

generiche, lo condannava alla pena di euro 6.000,00 di ammenda.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
2.Va ricordato che l’impugnazione proposta come appello, riqualificata dalla
Corte territoriale come ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 568 comma 5,
cod.proc.pen. in base al principio di conservazione degli atti, determina
unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice

comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione
correttamente qualificato, ciò comportando che l’atto convertito deve avere i
requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto
essere proposta (ex multis: Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 – dep. 09/07/1999,
Annibaldi R, Rv. 213835).
Nel caso in esame, l’impugnazione è stata proposta da difensore
cassazionista, sicché la stessa è ammissibile ex art. 613 cod. proc. pen; la stessa,
tuttavia, è inammissibile perché proposta per motivi diversi da quelli consentiti
dalla legge ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen, atteso che, come sì desume dal
tenore dei motivi dell’originario gravame, la stessa articola esclusivamente
censure di merito all’impugnata sentenza, riguardanti, da un lato la rivalutazione
del compendio probatorio e dall’altro la ricostruzione in fatto della vicenda, ambiti
che esulano dal sindacato di legittimità.
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
3. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. peri,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella mìsura, ritenuta equa, indicata in
dispositivo.
4.

L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta

infondatezza del motivo proposto non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez. U.
del 25.3.2016 n. 12602; Sez.2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463;
Sez.U,n.23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).

P.Q.M.

3

competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 10/05/2016

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