Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29396 del 14/04/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29396 Anno 2016
Presidente: ROSI ELISABETTA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

Sul ricorso proposto da :
Schinaia Daniele Vito, n. a Castellaneta il 16/10/1935;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto in data
17/02/2015;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale C. Angelillis, che ha concluso per l’annullamento limitatamente al
trattamento sanzionatorio con diminuzione di un terzo della penapAst.,( kt.etst •
udite le conclusioni dell’Avv. M. Giannone in sostituzione del Difensore di fiducia
Avv. R. Errico, che ha concluso per l’accoglimento;

RITENUTO IN FATTO

1.Schinaia Daniele Vito ha proposto ricorso nei confronti della sentenza della
Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, che, in riforma della sentenza del
Tribunale di Taranto, lo ha condannato alla pena di mesi tre e giorni cinque di
arresto ed euro 12.500 di ammenda per i reati di cui agli artt. 44, lett. c), del

Data Udienza: 14/04/2016

d.P.R. n. 380 del 2001 e 734 c.p. in relazione al riempimento e livellamento con
materiale inerte di un terreno di mq. 555 circa oltre alla realizzazione di una
pista carrabile lunga m.1.000 e larga m.3 in area sottoposta a vincolo
paesaggistico.

2. Lamenta con un primo motivo la manifesta illogicità della motivazione rispetto

16/04/2011, avendo la sentenza affermato la realizzazione di pista carrabile
pavimentata a fronte di diverso contenuto del verbale ove si riferiva unicamente
di lavori di consolidamento e ripristino di preesistenti cordoli in pietra locale e
conci di tufo siti lungo il tracciato di vecchie stradine utilizzate in epoche passate,
senza impatti e perturbazioni significative, aggiungendosi essere stati i lavori di
livellamento e trasformazione finalizzati alla realizzazione di un impianto di
oliveto.

3.

Con un secondo motivo lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione

dell’art. 44 lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 e la mancanza e manifesta illogicità
della motivazione rispetto alla testimonianza resa dell’architetto Dalò all’udienza
del 14/03/2013. Rileva che gli interventi risultati dal verbale del corpo forestale
dello Stato, finalizzati alla realizzazione di un oliveto, hanno costituito attività
edilizia libera ai sensi dell’art.6 lett. d) del d.P.R. n.380 del 2001, ovvero, a tutto
voler concedere, opere di risanamento conservativo ai sensi dell’art.3 comma 1
lett. c) del medesimo d.P.R.. L’architetto Dalò, nella veste di dirigente dell’area
tecnica del Comune di Castellaneta, esaminato come testimone, ha affermato
che l’intervento non era soggetto a permesso di costruire, potendo invece essere
inquadrato all’interno della allora d.i.a. e successivamente s.c.i.a., essendo tale
affermazione stata del tutto pretermessa dalla sentenza impugnata. In definitiva,
trattandosi di interventi soggetti a d.i.a. di cui al comma 1 dell’art. 22 del d.P.R..
n. 380 del 2001, non era configurabile il reato ascritto.

4.

Con un terzo motivo lamenta l’inosservanza dell’articolo 649 c.p.p. in

relazione alla già irrogata sanzione amministrativa di cui al verbale di
contestazione dell’illecito amministrativo del corpo forestale dello Stato, non
potendo l’imputato essere giudicato in sede penale per lo stesso fatto.

5. Con un quarto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 734 c.p. e la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto al
verbale di sopralluogo e alla testimonianza dell’architetto Dalò, essendo risultato
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al verbale di sopralluogo eseguito dal Corpo forestale dello Stato in data

che gli interventi in oggetto, lungi da determinare impatti e perturbazioni
significative, si erano risolti sostanzialmente nel ripristinare i sentieri già presenti
in zona da tempo.

6.

Con un ultimo motivo lamenta la violazione degli articoli 132 c.p. e 442,

comma 2, c.p.p. giacché, pur essendosi svolto il processo nelle forme del rito

sanzionatorio comunque illegittimo perché immotivatamente superiore al minimo
edittale, non ha operato neppure la riduzione prevista per legge.

7.

Successivamente, con memoria depositata il 31/03/2016, l’imputato ha

reiterato i motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

8. Il primo e secondo motivo di ricorso sono inammissibili venendo dedotte con
gli stessi, nonostante la formale evocazione dei vizi di mancanza e
contraddittorietà della motivazione e di violazione della legge penale, doglianze
volte a pretendere in realtà da questa Corte una lettura dei fatti diversa da
quella già operata dai giudici di merito attraverso una non consentita rinnovata
valutazione del materiale probatorio.
Con il primo motivo infatti, non si contesta, a ben vedere, la logicità e coerenza
della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla configurabilità dei
reati contestati, quanto una pretesa difformità di valutazione dei lavori effettuati
rispetto al contenuto del verbale di sopralluogo del Corpo forestale; e tuttavia, la
sentenza impugnata, non limitandosi evidentemente all’esame del verbale del
16/04/2011 del Corpo forestale dello Stato, indicato dalla Difesa come
inesattamente letto, e peraltro precedente alla stessa data del 25/05/2011 di
accertamento dei fatti come indicata in imputazione ma procedendo altresì a
valutare il “dettagliato verbale” del 15/04/2011 sempre del Corpo forestale, la
documentazione fotografica “che rende di evidenza palmare gli illeciti
commessi”, e soprattutto il verbale di sequestro del 16/06/2011, ha affermato
essere stata realizzata una pista carrabile pavimentata e illuminata con lampioni
con materiale stabilizzato e calcestruzzo cementizio, percorribile con automezzi
previo riempimento con terra e roccia e successivo livellamento di una superficie
in forte pendenza di forma pressoché rettangolare per un’altezza media di metri
2 senza alcuna opera di contenimento, in una zona compresa nel parco regionale
“Terre delle gravine” (vedi pagg. 4 – 5 nella loro complessiva, necessaria,

abbreviato condizionato, la Corte d’appello, nel determinare il trattamento

lettura); di qui la conseguente affermazione in ordine alla intervenuta alterazione
sostanziale della primitiva consistenza del tratturo del tutto in linea con gli
approdi sul punto della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la
modificazione, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, di una preesistente
strada sterrata mediante innalzamento del piano e copertura del manto con
massetto di cemento non rientra tra gli interventi di manutenzione straordinaria

autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, comportando una
modificazione di carattere stabile ed incidente sull’assetto urbanistico stante il
potenziale incremento del traffico veicolare (da ultimo, Sez. 3, n. 1442/13 del
06/11/2012, Pallone, Rv. 254264).
Per la consistenza dei lavori eseguiti come risultanti dalla sentenza erano
dunque necessari nella specie entrambi i titoli abilitativi dovendo escludersi,
sotto un primo profilo, la possibilità di ricondurre le opere a quelle di
manutenzione straordinaria, perché tanto per la disciplina urbanistica che per
quella paesaggistica detti ultimi interventi, in quanto riferiti al recupero del
patrimonio edilizio esistente, presuppongono la preesistenza di un edificio sul
quale eseguire le opere di manutenzione (cfr. Sez. 3 n. 33002 del 05/08/2003,
Franchin, Rv. 225764, e, con riferimento proprio alla realizzazione di una strada
in zona vincolata, Sez. 3, n. 26110 del 10/06/2004, Forte, Rv. 228694)
ricavandosi chiaramente dall’art.3 del d.P.R. n. 380 del 2001 che dette opere
devono intervenire su edifici preesistenti e, ovviamente, ultimati e devono inoltre
riguardare parti (ancorché strutturali) e non, pertanto, l’intero edificio.
Inoltre, avuto riguardo al disposto del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149,
l’autorizzazione paesaggistica non è richiesta per gli interventi di manutenzione
ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo a
condizione che gli stessi non alterino lo stato dei luoghi, ciò che, come si è visto,
è

stato

motivata mente

escluso

dalla

sentenza

impugnata.

Si tratta, dunque, di un intervento che, per struttura ed estensione, è senz’altro
modificativo dell’assetto urbanistico del territorio e negativamente incidente su
quello paesaggistico.
Le caratteristiche dell’intervento come sopra individuate escludono poi, sotto un
secondo profilo, anche l’applicabilità, invocata con il secondo motivo di ricorso,
dell’art.6 del d.P.R. n. 380 del 2001. Si è infatti già avuto modo di rilevare da
questa Corte, con riferimento appunto all’attività edilizia libera disciplinata dal
predetto art. 6cit., come la stessa riguardi alcune tipologie di opere che si
ritiene non abbiano alcun impatto sull’assetto territoriale e, come tali, non
soggette ad alcun titolo abilitativo. La disposizione richiamata prevede inoltre
4

e deve essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire e dalla

che siano fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e che
non si prescinda dal rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza
sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, dalle norme antisismiche, di
sicurezza, antincendio, igienico- sanitarie, di quelle relative all’efficienza
energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004.

ma esemplificativa, con la conseguenza che deve ritenersi richiesto il rispetto di
tutta la normativa di settore, ancorché non menzionata, che abbia comunque
rilevanza nell’ambito dell’attività edilizia, con la conseguenza che devono essere
esclusi dall’applicazione di tale particolare regime di favore tutti gli interventi
eseguiti in contrasto con le disposizioni precettive degli strumenti urbanistici
comunali ed in violazione delle altre disposizioni menzionate (Sez. 3 n. 19316 del
17/05/2011). Deve dunque escludersi che l’intervento di specie possa comunque
rientrare nell’ambito dell’attività edilizia libera anche perché eseguito senza il
rispetto della normativa di settore ed, inoltre, perché non rientrerebbe
comunque, in generale, in nessuna delle categorie di interventi contemplate dal
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 ed, in particolare, tra gli interventi di
manutenzione straordinaria di cui al comma 2, lett. a) in quanto, come si è detto
sopra, quello eseguito non appartiene a tale categoria che, anche nella
disposizione in esame, è palesemente riferita agli edifici e neppure tra le opere di
pavimentazione e di finitura di spazi esterni di cui alla lett. c) del medesimo
comma, perché trattasi di interventi chiaramente riguardanti le aree esterne
poste in relazione con preesistenti edifici e non suscettibili di autonoma
destinazione.
Né il fatto che le opere siano state realizzate, secondo la prospettazione
difensiva, su quello che originariamente era un tratturo di campagna, è
evidentemente idoneo a condurre ad una diversa conclusione rispetto a quella
tratta dai giudici dell’appello sulla base delle considerazioni fin qui riportate.

9. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile : la pretesa violazione
dell’art. 649 c.p.p. è stata dedotta sulla base della semplice considerazione che
nei confronti del ricorrente sarebbe stato elevato verbale di illecito
amministrativo.
Va tuttavia considerato come questa Corte abbia già affermato che, a
prescindere da ogni altra considerazione, presupposto per l’invocazione del
divieto di bis in idem è l’allegazione al ricorso della prova della definitività della
sanzione amministrativa irrogata, (così, da ultimo, Sez. 3, n. 19334 del
5

Dal tenore letterale del testo si è così desunto che l’elencazione non sia tassativa

11/02/2015, Andreatta, Rv. 264810; Sez. 6, n. 44484 del 30/09/2009, P., Rv.
244856), non bastando, dunque, la mera deduzione di un procedimento in corso.

10.

Anche il quarto motivo è inammissibile incorrendo nuovamente il ricorso

nella non deducibile pretesa di “rilettura” del materiale probatorio già
correttamente valutato dai giudici di merito, unicamente potendo prospettarsi

Sotto tale aspetto va tuttavia rammentato che ai fini dell’integrazione del reato
di cui all’art. 734 c.p., non è necessaria l’irreparabile distruzione o alterazione
della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico,
essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi
modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla
natura (così, da ultimo, Sez. 3, n. 10030 del 15/01/2015, Anselmo e altro,
Rv.263011).
Ciò posto, la sentenza impugnata ha spiegato che gli interventi realizzati su area
ricompresa nel parco regionale “Terra delle gravine”, e dunque sottoposta a
speciale protezione, hanno comportato indubbiamente, inserendosi nel quadro
naturale rappresentato dal territorio calcareo contraddistinto da bacini carsici, il
predetto turbamento della sensazione di godimento estetico che il vecchio
tratturo offriva in origine alla vista; né, certamente, il giudice è tenuto a farsi
carico non già della rappresentazione di fatti oggettivi bensì della valutazione e
del giudizio circa la natura e l’entità dell’intervento operata da un testimone sia
pure qualificato.

11. Quanto sin qui complessivamente rilevato non trova poi ostacoli nel fatto che
la sentenza di primo grado fosse pervenuta ad assoluzione dell’imputato dai reati
ascrittigli : i giudici dell’appello, osservando in primo luogo che il Tribunale ebbe
ad incorrere in un “grossolano errore in diritto” laddove aveva fatto riferimento
al reato di lottizzazione abusiva, in realtà mai contestato, ed esponendo in
secondo luogo, come già visto sopra, le ragioni per le quali l’intervento in
oggetto, a differenza di quanto immotivatamente ritenuto in primo grado, non
poteva essere classificato come di mera manutenzione, ha esaustivamente
adempiuto all’onere di “motivazione rafforzata” costantemente richiesto da
questa Corte per legittimare un epilogo difforme rispetto a quello assolutorio di
primo grado.

12.

E’ invece fondato l’ultimo motivo non avendo in effetti la Corte territoriale

tenuto conto, nel determinare la pena per i reati ascritti, del fatto che l’imputato
6

vizi motivazionali, violazioni di legge o travisamento della prova

era stato ammesso, in primo grado, al rito abbreviato condizionato e dunque non
avendo operato la diminuente di cui all’art. 442 c.p.p.. A tale omissione può
peraltro procedere direttamente questa Corte trattandosi di calcolare la
diminuzione prevista per legge automaticamente nella misura di un terzo sicché
la pena finale deve essere rideterminata in quella di mesi due e giorni tre di

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione
della pena senza la riduzione per il rito abbreviato , pena che determina in mesi
due e giorni tre di arresto ed euro 8.334,00 di ammenda. Rigetta nel resto il
ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016

DEPONFATA N CA’s4CELLERiA

arresto ed euro 8.334 di ammenda.

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