Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29374 del 24/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29374 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE GREGORIO FRANCESCO N. IL 16/12/1967
avverso l’ordinanza n. 314/2014 CORTE ASSISE di SALERNO, del
01/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/seRtite le conclusioni del PG Dott. Shofe stai lok
014.3

Uditi difensor Avv.;

s-uoirb

-by,) (A)

Data Udienza: 24/05/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 1.12.2014 la Corte d’assise di Salerno, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha rigettato, per quanto qui interessa, l’istanza con cui
De Gregorio Francesco aveva chiesto l’applicazione della disciplina del reato
continuato in sede esecutiva, ex art. 671 cod.proc.pen., con riguardo all’omicidio
di Germano Gerardo aggravato dalla premeditazione e dall’art. 7 legge n. 203
del 1991, commesso 1’1.12.1991, da un lato, e ai fatti di partecipazione
all’associazione camorristica denominata clan Fontanella e di estorsione

prossima al dicembre 1994, dall’altro, giudicati con due diverse sentenze di
condanna.
Il giudice dell’esecuzione escludeva che la prova della riconducibilità delle
violazioni a un medesimo, identico, disegno criminoso potesse individuarsi nella
comunanza della causale allegata dal De Gregorio come fonte di ispirazione dei
singoli delitti, in quanto il solo fatto della partecipazione a un’associazione di tipo
camorristico non valeva a dimostrare che i reati commessi nel perseguimento
degli scopi del sodalizio costituissero oggetto di un’unica, originaria,
deliberazione volitiva, piuttosto che manifestazione di singole ed autonome
determinazioni delittuose ideate e attuate di volta in volta; rilevava che dalla
motivazione della sentenza di condanna per l’omicidio del Germano emergeva
che non aveva trovato conferma la causale secondo cui il delitto sarebbe stato
commesso per dare una lezione alla vittima, che avrebbe infastidito e insultato
l’allora fidanzata del De Gregorio (divenutane successivamente la moglie),
mentre l’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 era stata ritenuta
sotto il solo profilo del metodo mafioso che aveva connotato le concrete modalità
dell’omicidio (mediante prelievo della vittima dall’abitazione da parte di più
soggetti a volto scoperto per condurla nel luogo dell’esecuzione, dove era stata
uccisa con un colpo alla nuca), e non anche sotto quello finalistico di agevolare
l’associazione camorristica; rilevava che il mero inserimento dell’omicidio nella
logica delinquenziale di stampo mafioso non poteva indurre a ritenere
sussistente il vincolo della continuazione col reato associativo.
2. Ricorre per cassazione De Gregorio Francesco, personalmente, deducendo
vizio di motivazione e violazione di legge, in relazione all’art. 671 cod.proc.pen.,
censurando il diniego della continuazione nonostante l’omogeneità dei reati,
commessi nel medesimo arco temporale e nello stesso territorio, e costituenti
espressione dell’attività delinquenziale di un’unica associazione camorristica,
riconducibile alla manifestazione del programma criminale del clan Fontanella,
nel cui ambito l’omicidio del Germano era servito a rafforzare il potere del
sodalizio nel cui interesse era stato commesso.
1

continuata, commessi in permanenza a partire dal 1990 e in epoca anteriore e

3. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso, nonostante la formale deduzione di vizi di legittimità del

provvedimento, si esaurisce in una contestazione del merito della decisione
impugnata, basata su argomenti generici che non si confrontano con la puntuale
motivazione dell’ordinanza gravata, e non supera perciò la soglia
dell’a mm issi bi lità.

requisito dell’unicità del disegno criminoso, agli effetti dell’applicazione della
disciplina del reato continuato, costituisce una tipica questione di fatto rimessa
alla valutazione del giudice di merito (al giudice dell’esecuzione, nel caso di
specie), il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità ove sia
sorretto da un’adeguata motivazione (Sez. 6 n. 49969 del 21/09/2012, Rv.
254006; Sez. 4 n. 25094 del 13/06/2007, Rv. 237014): nel caso di specie,
l’ordinanza impugnata ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il
riconoscimento della continuazione tra reato associativo e (preteso) reato fine
sulla scorta di argomentazioni munite di intrinseca congruità logica, che non
sono scalfite dalle generiche doglianze del ricorrente.
In conformità al principio consolidato per cui l’identità del disegno criminoso,
postulata dall’istituto della continuazione, esige la prova che i reati
separatamente giudicati costituiscano la realizzazione di un medesimo
programma ideato e delineato fin dall’inizio, nelle sue linee essenziali, nella
mente del soggetto – nel senso che fin dal momento della commissione della
prima violazione le altre devono essere già state deliberate, così che le singole
manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme penali devono
esprimere l’attuazione, sia pure dilazionata nel tempo, di un’unica, originaria
determinazione volitiva della quale costituiscono parte integrante (Sez. 5 n.
49476 del 25/09/2009, Rv. 245833, imputato Notaro) – il provvedimento
impugnato ha coerentemente escluso che l’omicidio del Germano, determinato
da logiche criminali contingenti, per quanto caratterizzato da modalità di
esecuzione tipiche del contesto camorristico di appartenenza del ricorrente, fosse
stato programmato e voluto dal De Gregorio fin dal momento della sua adesione
al clan Fontanella (Sez. 1 n. 40318 del 4/07/2013, Rv. 257253; Sez. 1 n. 8451
del 21/01/2009, Rv. 243199), restando del tutto irrilevante, agli effetti dell’art.
81 capoverso cod. pen., che la determinazione a commettere l’omicidio fosse
insorta, in un momento successivo, nel contesto spazio-temporale delle attività
delinquenziale del sodalizio criminale, nonché il dato consequenziale che la sua
esecuzione fosse in concreto servita a rafforzare il potere del clan sul territorio.

2

2. Questa Corte ha affermato, con orientamento costante, che l’accertamento del

3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende
della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 1.000 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 24/05/2016

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