Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29371 del 24/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29371 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Turturro Paolo, nato a Giovinazzo il 18/03/1946

avverso la ordinanza del 14/11/2014 del Tribunale di sorveglianza di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale dott. Roberto Aniello, che ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del
ricorso, con conseguente condanna del ricorrente alle spese del grado e alla
sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 cod. proc. pen.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14 novembre 2014 il Tribunale di sorveglianza di
Palermo ha dichiarato inammissibili le domande di affidamento in prova al
servizio sociale, detenzione domiciliare e semilibertà, proposte da Paolo Turturro
ai sensi degli artt. 47, 47-ter, commi 1 e 1-bis, 48-50 Ord. pen.

Data Udienza: 24/05/2016

Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– l’istante doveva scontare la pena di tre anni di reclusione per il reato di atti
sessuali con minore infradecenne, di cui agli artt. 61 n. 9, 609-bis, 609-ter,
comma 2, e 609-quater, ultimo comma, cod. pen., commesso prima dell’estate
2001;
– detto reato era stato accertato dal Tribunale di Palermo con sentenza del
17 luglio 2009, confermata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza del 20
ottobre 2011, che questa Corte, con sentenza del 27 novembre 2012, aveva

con rinvio per la rideterminazione della pena, conseguente alla dichiarata
prescrizione, con riguardo al reato di cui al capo a), comprensiva della nuova
valutazione dell’attenuante della minore gravità del fatto;
– con sentenza del 14 giugno 2013, irrevocabile il 9 maggio 2014, la Corte di
appello di Palermo, in sede di rinvio, aveva riconosciuto detta attenuante, in
aggiunta alle già concesse attenuanti generiche dichiarate equivalenti
all’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 cod. pen., rideterminando la pena in anni tre
di reclusione;

la Procura generale di Palermo aveva sospeso l’esecuzione,

contestualmente ordinata con decreto del 12 maggio 2014, ai sensi dell’art. 656,
comma 5, cod. proc. pen.;
– il titolo del reato accertato in sentenza, previsto dall’art. 609-quater, cod.
pen., precludeva l’ammissione ai chiesti benefici penitenziari, in mancanza del
requisito, richiesto dall’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen., dell’osservazione
collegiale annuale condotta con la partecipazione degli esperti di cui all’art. 80,
comma 4, Ord. pen.;
– l’obbligo dell’osservazione scientifica era escluso, avuto riguardo alla
espressione letterale della norma, solo per il delitto previsto dall’art. 609-bis cod.
pen. e per l’attenuante di minore gravità del fatto da esso contemplata, secondo
i richiamati principi di diritto;
– non rilevava, pertanto, il richiamo alla riconosciuta circostanza della
minore gravità del fatto e non era pertinente il riferimento alle riconosciute
attenuanti generiche;
– l’indicazione nella norma dei “detenuti o internati”, quali destinatari
dell’osservazione annuale, non escludeva dall’obbligo di tale osservazione i
“liberi” in sospensione, poiché di detta sospensione, pur concessa dal Pubblico
ministero, il condannato non avrebbe potuto fruire per condivisa giurisprudenza;
– era inconferente anche il richiamo all’ordinanza n. 29 del 2013 della Corte
costituzionale, che aveva ordinato la restituzione degli atti al giudice rimettente
alla luce della sopravvenuta legge n. 172 del 2012 e dell’introdotto comma 1-

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annullato senza rinvio limitatamente al reato dì cui al capo b) perché prescritto e

quiquies dell’art. 4-bis Ord. pen., introduttiva di una limitazione ulteriore ai
benefici penitenziari, rappresentata dal trattamento psicologico con finalità di
recupero e sostegno e dalla positiva partecipazione allo stesso;
– sussistevano anche ulteriori cause d’inammissibilità con riguardo alle
domande subordinate, ostando il titolo del reato alla detenzione domiciliare,
prevista dall’art. 47-ter, commi 1 e 1-bis, Ord. pen., e non potendo avvenire
l’accesso alla semilibertà che supponeva l’espiazione di due terzi della pena.

del suo difensore avv. Antonino Reina, l’interessato Turturro, che ne chiede
l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia violazione ed
errata applicazione degli artt. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., 656, cod. proc.
pen. e 4-bis, commi 1-ter, quater e quinquies, Ord. pen.
Secondo il ricorrente, l’ordinanza impugnata si fonda sull’erroneo
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presupposto giuridico che egli sia stato condannato per il reato di cui all’art. 609quater, ultimo comma, cod. pen., mentre, come da dispositivo della sentenza del
17 luglio 2009 del Tribunale di Palermo, egli è stato condannato per il reato
continuato, in esecuzione, di cui al capo a) e per il reato di atti sessuali con
minorenne, di cui al capo b), dichiarato prescritto con sentenza di questa Corte,
che ha annullato sul punto senza rinvio la sentenza impugnata.
La Corte di appello, decidendo in sede di rinvio con sentenza del 14 giugno
2003, ha riconosciuto la diminuente della minore gravità di cui all’art. 609-bis
cod. pen., rideterminando la pena, senza che sia intervenuta condanna definitiva
per l’autonoma fattispecie di reato di cui all’art. 609 quater, ultimo comma, cod.
pen.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per
la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, avuto riguardo alle indicazioni
contenute nelle stesse sentenze allegate alla istanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

2. Nel sistema processuale penale, la nozione d’interesse a impugnare,
richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione della
impugnazione e requisito soggettivo del relativo diritto, non è basata sul
concetto di soccombenza, posto a base delle impugnazioni civili, che

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i,

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo

presuppongono un processo di tipo contenzioso e, quindi, una lite intesa come
conflitto di interessi contrapposti.
Essa deve essere, invece, individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia
nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una
situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in
quella, positiva, del conseguimento di una utilità, ossia di una decisione più
vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente
coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012,

Il requisito dell’interesse deve, in particolare, configurarsi in maniera
immediata, concreta e attuale, e sussistere oltre che al momento della
proposizione del gravame anche in quello della sua decisione, perché questa
possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione
giuridica devoluta alla verifica del giudice della impugnazione (Sez. U, n. 10272
del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani,
Rv. 203093; Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 7 del
25/06/1997, Chiappetta, Rv. 208165).
A tale riguardo si è presa in specifica considerazione la categoria della
“carenza d’interesse sopraggiunta”,

individuandosi il suo fondamento

giustificativo nella valutazione negativa della persistenza, al momento della
decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità sia venuta meno a
causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore,
assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa ha già
trovato concreta attuazione, ovvero in quanto ha perso ogni rilevanza per il
superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, citata, Rv.
251694).

3. Alla luce di questi consolidati e condivisi principi non sussiste, nel caso in
esame, l’interesse al ricorso, poiché dalla svolta interrogazione, attraverso il
sistema informativo del Ministero della Giustizia, è risultato che il ricorrente è
stato scarcerato, per concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale, il
16 febbraio 2016.
Tale emergenza esclude che possa ritenersi comunque sussistente un
interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione, avendo lo stesso già ottenuto
il beneficio penitenziario massimo, cui tendeva la sua richiesta.

4. Alla sopravvenienza alla proposizione del ricorso per cassazione della
carenza d’interesse alla sua definizione, che non configura una ipotesi di
soccombenza e non è determinata da ragione imputabile al ricorrente, non
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Marinaj, Rv. 251693).

consegue la condanna del medesimo né al pagamento delle spese del
procedimento né al versamento della sanzione pecuniaria a favore della Cassa
delle ammende (tra le altre, Sez. 6, n. 44805 del 05/11/2003, Scarpelli, Rv.
227168; Sez. 2, n. 30669 del 17/05/2006, De Mitri, Rv. 234859; Sez. 3, n. 8025
del 25/01/2012, n. Oliverio, Rv. 252910; Sez. 6, n. 19209 del 31/01/2013,
Scaricaciottoli, Rv. 256225).

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse.
Così deciso il 24/05/2016

P.Q.M.

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