Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2937 del 07/12/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2937 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) FATIGATI CARMINE N. IL 04/10/1953
avverso la sentenza n. 9163/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
16/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 07/12/2012

1) Con sentenza del 16.122011 la Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza
del &UP del Tribunale di Napoli, emessa in data 14.2.2010, con la quale Fatigati
Carmine, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicata la
diminuente per la scelta del rito, era stato condannato, per il reato di cui all’art.73
DPR 309/90, alla pena di anni 2, mesi 8 di reclusione ed curo ed curo 12.000,00 di
multa.
Propone ricorso per cassazione Fatigati Carmine, a mezzo del difensore, denunciando
l’erronea applicazione dell’art.73 DPR 309/90, la violazione degli artt.125 c.p.p. e 111
Cost. e la omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza
attenuante speciale di cui al comma V.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n.28605 del 24.4.2008, hanno
ribadito, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale nettamente prevalente, il principio
secondo il quale costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non
autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti,
anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
“La condotta di “coltivazione”, anche dopo l’intervento normativo del 2006, non è
stata richiamata nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, ne nell’art. 75,
comma 1, ma solo nel del novellato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1. Il
legislatore, pertanto, ha voluto attribuire a tale condotta comunque e sempre una
rilevanza penale, quali che siano le caratteristiche della coltivazione e quale che sia il
quantitativo di principio attivo ricavabile dalle parti delle piante da stupefacenti.
Imprescindibile è, al riguardo, il rispetto delle garanzie di riserva di legge e di
tassatività, tenuto conto che il c.d. problema della droga presenta il pericolo effettivo
che la carica ideologica ad esso inerente, in senso vuoi libertario vuoi conservatore e
repressivo, induca a risolverlo con schemi di ampliamento e dilatazione ovvero per
contro riduttivi. Deve essere pertanto circoscritta al legislatore e ad esso soltanto la
responsabilità delle scelte circa i limiti, gli strumenti, le forme di controllo da
adottare”. Le sezioni unite hanno, però, sottolineato che in ossequio “al principio di
offensivitò inteso nella sua accezione concreta, spetterà al giudice verificare se la
condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente
inidoneo a porre a repentaglio il bene giuridico protetto risultando in concreto
inoffensiva. La condotta è “inoffensivo” soltanto se il bene tutelato non è stato leso o
messo in pericolo anche in grado minimo (irrilevante, infatti, è a tal fine il grado
dell’offesa), sicché con riferimento allo specifico caso in esame, la ‘offensività” non
ricorre soltanto sicché,se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a
produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile”.

1

OSSERVA

2.1.1) Tale verifica è stato effettuato dai giudici di merito (cfr. anche sentenza del
GUP, richiamata legittimamente per relationem) i quali hanno accertato che la
condotta posta in essere dal Fatigati non era certo inidoneo a porre in pericolo il bene
protetto, tenuto conto che dalle due piantine di marijuana si ricavava sostanza
drogante pura pari a gr. 4.737 (corrispondenti a 189 dosi). Peraltro, tale dato
ponderale escludeva di per sé un uso esclusivamente personale, tenuto conto anche
che nell’abitazione erano stati rinvenuti un bilancino di precisione e ben 34 bustine
di cellophane ritagliate.
2.2) Quanto alla circostanza attenuante di cui al comma V dell’art.73 la Corte
territoriale ha, correttamente, escluso che il fatto potesse essere di lieve entità in
considerazione della quantità considerevole della sostanza stupefacente sequestrata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “..il giudice è tenuto a
complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli
concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che
attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminoso), dovendo conseguentemente escludere
la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità…” (cfr ex multis
Cass.pen.sez.4 n.38879 del 29.9.2005; conf.Cass.sez.6 n.27052 del 14.4.2008; tale
indirizzo giurisprudenziale è stato ribadito dalle Sezioni Unite con la sent. n.35737
del 24.6.2010 e dalla sez.4 con la sent.n.43999 del 1211.2010).
2.3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento
della somma che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000,00.
Cos) deciso in Roma il 7 dicembre 2012
Il Consigli e est.

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