Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29361 del 29/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29361 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LARASPATA GIUSEPPE N. IL 01/04/1965
avverso la sentenza n. 841/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
17/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 29/04/2015

Motivi della decisione
Laraspata Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Lecce del 17.03.2014, con la quale è stata confermata la
sentenza di condanna resa dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Galatina in
data 18.10.2010, in relazione al reato di furto aggravato in fattispecie tentata.
La parte, con il primo motivo, contesta la valutazione espressa dalla Corte di
Appello, nel confermare la sentenza del Tribunale. A sostegno dell’assunto,
l’esponente si sofferma sulla dinamica del fatto per cui si procede.

dell’attenuante di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 56 cod. pen. Ritiene che la condotta
posta in essere dal Laraspata integri la desistenza volontaria.
Il ricorso è inammissibile.
Procedendo all’esame congiunto del primo e del secondo motivo di ricorso,
si osserva che la parte deduce censure non consentite nel giudizio di legittimità, in
quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure
l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva
competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la
Corte di Appello, soffermandosi sui temi di doglianza dedotti in sede di gravame,
ha del tutto conferentemente osservato che l’allontanamento improvviso da parte

Con il secondo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento

del Laraspata e del complice non era riconducibile all’ipotesi della desistenza
volontaria. Al riguardo, il Collegio ha considerato – sviluppando un percorso
argomentativo immune da aporie di ordine logico e saldamento ancorato
all’acquisito compendio probatorio – che l’intervenuta apertura del cancello
automatico dell’abitazione, da parte di un familiare della parte offesa, aveva
rappresentato un fattore di disturbo, rispetto alla perpetrazione del furto; e che
l’azione criminosa era stata perciò forzatamente interrotta.

ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 29 aprile 2015.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del

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