Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29357 del 11/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29357 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ILARDI DOMENICO N. IL 11/01/1996
avverso l’ordinanza n. 1789/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
08/01/2016
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI; n l)
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Data Udienza: 11/05/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 8 gennaio 2016 il Tribunale del riesame di Palermo
confermava l’ordinanza emessa il 14 dicembre 2015 dal G.I.P. dello stesso Tribunale, che
aveva sottoposto Domenico Ilardi alla misura della custodia cautelare in carcere in
relazione ai delitti di concorso nell’omicidio aggravato di Salvatore Sciacchitano, nel
tentato omicidio di Antonino Arizzi e nel porto illegale di armi da fuoco, di cui una
clandestina ed oggetto di ricettazione.

censura difensiva che contestava la chiarezza ed intelligibilità delle immagini tratte dalle
videoriprese, poiché agli atti erano stati acquisiti fotogrammi colorati e nitidi, ritraenti i
veicoli e le persone che avevano effettuato il sopralluogo preliminare ai delitti, rilevava
l’acquisizione di un quadro indiziario grave a carico dell’indagato, ritenuto organizzatore
ed esecutore dell’uccisione di Salvatore Schiacchitano e del ferimento di Antonino Arizzi,
avvenuto in Palermo il 3 ottobre 2015 alle ore 19.42, mediante una spedizione armata,
compiuta da tre sparatori giunti a bordo di un’autovettura Fiat Panda rossa nei pressi
dell’agenzia di scommesse “Better”, quale ritorsione dopo l’agguato che la prima vittima,
unitamente a Francesco Urso, aveva compiuto contro Luigi Cona, attinto da plurimi colpi
di pistola al piede sinistro ed alla gamba destra mentre lo stesso giorno si era trovato
davanti al suo esercizio commerciale.
In particolare, avuta notizia del ferimento del Cona, le videoriprese effettuate
mediante impianti collocati nei pressi della friggitoria “Na za Nunzia” avevano filmato
incontri tra Natale Gambino e Salvatore Profeta, esponenti di vertice del mandamento
mafioso di Santa Maria di Gesù, durante i quali si riteneva fosse stata organizzata la
spedizione alla quale avevano preso parte Antonino Profeta, Domenico Ilardi e Francesco
Pedalino e Gabriele Pedalino. in conversazione registrata alle ore 18.41 il Gambino ed il
Profeta, -che durante l’esecuzione dell’azione sarebbero rimasti a distanza di circa cento
metri ed erano stati intercettati, permettendo di registrare pure il rumore degli spari-,
avevano suggerito a Francesco Pedalino come agire, scendendo da un veicolo e sparando
prima alle cosce, come in effetti si era poi verificato in danno dello Sciacchitano e
dell’Arizzi. L’Ilardi era risultato presente presso l’esercizio commerciale predetto durante
la fase preparatoria dei delitti, alle ore 19.06 transitare a bordo di una Fiat Panda di colore
rosso con a bordo Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino sino a raggiungere nuovamente
l’esercizio e trattenersi in conversazioni sino alle ore 19.19. In seguito era stata registrata
altra conversazione alle ore 19.34 all’interno dell’autovettura intestata ad Antonino
Profeta, ma in quel frangente condotta dalla di lui moglie Rosalia D’Amore con a bordo la
moglie e la figlia di Francesco Pedalino, rispettivamente madre e sorella di Gabriele, nel
corso della quale, dopo che le donne avevano consegnato a Lorenzo Scarantino un mazzo
di chiavi chieste da Francesco Pedalino, giunte presso l’abitazione di questi e del figlio

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1.1 A fondamento della decisione il Tribunale, riscontrata l’infondatezza della

Gabriele e constatata la presenza di una Panda parcheggiata in modo da ostacolare la
sistemazione del veicolo sul quale le donne avevano viaggiato, Lorenzo Scarantino,
nuovamente incontrato sul luogo, aveva risposto che di lì a poco se ne sarebbero andati e
le donne avevano commentato che avrebbero utilizzato appunto la Panda che in quel
momento avevano “loro”. Nelle successive conversazioni captate la convivente di Gabriele
Pedalino, avvicinatasi all’autovettura con le congiunte a bordo, aveva loro riferito in modo
concitato ed allarmato di avere visto gli altri pronti per recarsi da qualche parte tanto da
avere parcheggiato all’interno anche i ciclomotori. Si era dunque avvicinato un soggetto

spostarla, ottenendone conferma, quindi, dopo che i coimputati erano scesi e si erano
allontanati a bordo della Panda, le donne avevano tentato di effettuare la manovra di
parcheggio ed osservato la presenza all’interno di tale veicolo sul sedile anteriore di
Gabriele e su quelli posteriori del di lui padre Francesco e di Antonino Profeta, reiterando i
loro timori e lasciando intendere che alla guida vi fosse Domenico, ossia !Mardi, unico
soggetto con quel nome ad essere stato in compagnia dei coimputati nel pomeriggio.
Ebbene, la corrispondenza per modello e colore con l’autovettura dalla quale, secondo
Antonino Arizzi, erano scesi gli esecutori dell’omicidio e del suo ferimento, la presenza a
bordo di quel mezzo di Francesco Pedalino, al quale il Gambino ed il Profeta avevano
suggerito come realizzazione l’azione criminosa, la stretta consecuzione temporale tra i
preparativi e la partenza dall’abitazione dei Pedalino e l’esecuzione dell’aggressione,
l’esplicito riferimento agli occupanti la Panda rossa erano considerati elementi
univocamente indicativi della partecipazione anche dell’indagato, che era stato filmato
mentre conduceva una Panda rossa analoga per colore e modello al veicolo che aveva
condotto i sicari a realizzare il progetto omicidiario. Inoltre, successivamente all’agguato,
Luigi Cona in data 2 novembre 2015 alle ore 13.38 aveva incontrato Francesco e Gabriele
Pedalino, Antonino Profeta e Lorenzo Scarantino, ai quali aveva offerto due bottiglie di
champagne ed un pranzo al ristorante, comportamento valutato quale manifestazione di
gratitudine nei confronti di coloro che avevano vendicato l’agguato di cui era stato vittima
ad opera proprio dello Sciacchitano, mentre la responsabilità dell’Arizzi era stata ravvisata
per avere prestato il proprio ciclomotore col quale la vittima e l’Urso si erano presentati
dal Cona e lo avevano ferito.
In punto di esigenze cautelari l’ordinanza riteneva che sussistessero tutte le
esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen. per le modalità violente e spietate, il contesto
di commissione e le finalità dei delitti posti in essere per riaffermare il predominio mafioso
sul quartiere, tanto che l’organizzazione criminosa in essi coinvolta potrebbe favorire la
fuga ed assicurare all’indagato la latitanza altrove qualora non sottoposto alla massima
misura coercitiva.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del suo
difensore per chiederne l’annullamento per i seguenti motivi:
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chiamato Domenico, al quale le stesse avevano chiesto se avesse lui la Panda e di

a) Violazione di norme processuali in relazione agli artt. 266, comma 2, 267, comma 2,
271 cod.proc.pen. in riferimento ai tre decreti di intercettazione n. 386/2015, n.
1986/2015 e n. 1987/2015 e violazione dell’art. 546 cod. proc. pen. per mancanza di
motivazione in riferimento alle doglianze contenute nelle memorie depositate nelle date
del 7 ed 8 gennaio 2016. Il decreto n.386/15 è dotato di motivazione apparente, che
ripete la formula normativa in modo incongruo rispetto al provvedimento che dovrebbe
giustificare, e redatta su un modulo prestampato contenente formule di stile e completato
con scarne informazioni su numero del procedimento, nota di p.g. e tipologia del reato per

riguardava intercettazioni ambientali e non telefoniche, come, invece, autorizzato. I
medesimi rilievi valgono anche in riferimento agli altri decreti n. 1986 e 1987 del 2015,
redatti su modelli prestampati e, dunque, non consentiti dalla legge in assenza di
qualsiasi indicazione circa la indispensabilità assoluta della intercettazione ed all’urgenza
di procedere, da escludersi tanto più che le operazioni esecutive hanno avuto inizio in data
8 agosto 2014, ossia circa sei mesi dopo i provvedimenti autorizzativi. L’inutilizzabilità
delle conversazioni intercettate in esecuzione di detti provvedimenti comporta
l’annullamento senza rinvio dei provvedimenti cautelari che su di essi basati anche perché
la questione era stata sollevata con la memoria in data 7 gennaio 2016, al punto 5,
pag.12, senza che il Tribunale l’abbia presa in esame, dal che deriva altresì il vizio di
mancanza assoluta di motivazione.
b) Violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 546 cod. proc. pen. e dell’art. 292
cod. proc. pen., comma 2 lett. c). Gli indizi di reità a carico del ricorrente sono stati tratti
dalle immagini del sistema di videosorveglianza che ne ha ripreso la presenza nei pressi
dell’esercizio di rosticceria “Na za Nunzia”, ma non può escludersi si tratti di coincidenze
nell’assenza di prova della esatta corrispondenza tra la Fiat Panda rossa vista transitare
davanti all’agenzia di scommesse Better e quella sulla quale era stato visto l’Ilardi, che
viene affermata sulla base di una sorta di un automatismo probatorio; inoltre, il Tribunale
ha addebitato all’Ilardi la partecipazione a tutta la fase preparatoria, cosa che nemmeno il
g.i.p. aveva fatto, svolgendo funzione di integrazione del provvedimento genetico senza al
contempo supportare il relativo convincimento con adeguata motivazione.
c) Violazione di legge in relazione in relazione al disposto dell’art. 546 cod. proc. pen. in
riferimento alle deduzioni di cui alla memoria dei giorni 7 e 8 gennaio 2016. Si era dedotto
che le immagini estrapolate dalle videoriprese indicavano in orari diversi il passaggio dagli
stessi luoghi di due autovetture Fiat Panda di colore rosso, ma tale circostanza non è stata
presa in considerazione dal Tribunale difettando dunque l’individuazione certa del veicolo
utilizzato per l’omicidio.
d) Violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 546 cod. proc. pen. in riferimento
alle deduzioni di cui alla memoria dei giorni 7 e 8 gennaio 2016. La funzione di apripista
del veicolo che trasportava i sicari era stata ricostruita grazie alla deposizione del te te

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il quale viene chiesta l’intercettazione senza che il g.i.p. si sia avveduto che la domanda

Guglielmini, il quale aveva descritto alla guida dello scooter che precedeva l’autovettura
un giovane senza casco con i capelli biondi ed aveva visionato le fotografie di nove
soggetti diversi, tra le quali anche quella del ricorrente, che avrebbe potuto assumere
nella vicenda un ruolo differente da quello postulato nell’imputazione provvisoria senza
che il Tribunale abbia sul punto speso alcuna argomentazione.
e) Illogicità della motivazione laddove l’ordinanza ravvisa elementi indiziari del
coinvolgimento del ricorrente nei reati ascrittigli; anche la conversazione intercettata
all’interno dell’autovettura di Antonino Profeta non lo riguarda, dal momento che il suo

Bonafede. Altro profilo di illogicità è costituito dal coinvolgimento dell’Ilardi nella fase
preparatoria dei delitti affermato senza specificare in modo dettagliato quali rapporti
avrebbe intrattenuto con i soggetti coindagati, poiché non vengono registrati dialoghi
compromettenti, egli non è indagato per associazione mafiosa sicchè risulta anche
estraneo all’assetto di interessi sottostanti l’uccisione dello Sciacchitano ed il ferimento
dell’Arizzi.
3. Con memoria depositata in data 5 maggio 2016 l’avv.to Clementi, unitamente
all’avv.to Giovanni Aricò, deducevano ulteriore motivo d’impugnazione, col quale hanno
ribadito l’illogicità della decisione cautelare e di quella che l’ha confermata per avere
ritenuto, in difetto di elementi di sicura acquisizione, che l’autoveicolo Fiat Panda visto
transitare innanzi al luogo di commissione dei delitti fosse lo stesso a bordo del quale
l’indagato era stato visto alle ore 19.07, posto che nei riguardi del coindagato Scarantino
il Tribunale era pervenuto ad opposte conclusioni, revocando l’ordinanza applicativa con
decisione inconciliabile con quella assunta nei riguardi dell’Ilardi.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
1.L’ordinanza impugnata ha ravvisato la sussistenza di un compendio indiziario
grave, univocamente indicativo dell’elevata probabilità dell’effettiva partecipazione di
Domenico Ilardi all’azione armata che aveva condotto il 3 ottobre 2015 al ferimento di
Antonino Arizzi ed all’uccisione di Salvatore Sciacchitano e ha analiticamente indicato le
principali emergenze indizianti a carico del ricorrente, dedotte: a) dalle riprese registrate
dalle telecamere installate presso alcuni esercizi commerciali nel luogo delle azioni
criminose ed in altri d’interesse investigativo; b) dalle conversazioni intercettate quel
giorno nell’ambito del diverso procedimento nr. 3706/15 riguardante le indagini condotte
su esponenti del mandamento mafioso di S. Maria del Gesù; c) delle ulteriori
intercettazioni compiute all’interno dell’autovettura di Francesco Urso; d) delle prove
dichiarative acquisite nel presente procedimento. Nel percorso valutativo esposto in
motivazione l’ordinanza ha assegnato rilievo significativo ai dialoghi registrati
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nome non era stato incluso tra gli occupanti della Panda che si era allontanata da vicolo

immediatamente prima che l’equipaggio degli sparatori a bordo di veicolo Fiat modello
Panda di colore rosso partisse da vicolo Bonafede per raggiungere il luogo dell’agguato,
ravvisandovi positivo riscontro alla tesi accusatoria, che postula la presenza dell’Ilardi al
suo interno con i coindagati.
1.1 Emerge in primo luogo la fondatezza delle obiezioni difensive, che censurano la
compiutezza e la logicità dell’apparato giustificativo dell’ordinanza in esame in riferimento
all’omessa disamina e confutazione delle osservazioni critiche, articolate con le due
memorie depositate nelle date del 7 ed 8 gennaio 2016, non avendo il Tribunale replicato

filmata alle ore 19.11 nella Fiat Panda di colore rosso ripresa alle ore 19.06 in partenza
dal locale “Na za Nunzia” condotta dall’Ilardi, sulla pluralità di veicoli Panda di colore rosso
transitati per i luoghi d’interesse investigativo e sulla eventualità che il ricorrente avesse
svolto un ruolo diverso nella vicenda criminosa, avendo piuttosto condotto il motociclo che
aveva favorito la fuga della vettura con a bordo i sicari.
1.2 Oltre a tale carenza, effettivamente il provvedimento in verifica, pur avendo
dato prova di avere preso contezza di almeno una memoria difensiva depositata nelle
more dell’udienza camerale celebrata innanzi al Tribunale, ha totalmente omesso qualsiasi
considerazione in ordine alle doglianze ivi espresse, e riproposte col ricorso, riguardanti i
decreti autorizzativi delle operazioni intercettative. In particolare, con la memoria
depositata il 7 gennaio 2016 al punto 5) la difesa dell’Ilardi aveva contestato
l’inutilizzabilità dei colloqui registrati per carenze motivazionali dei decreti che ne avevano
autorizzato l’ascolto e la registrazione, redatti su moduli prestampati.
Trattasi di questione che i giudici del riesame avrebbero dovuto riscontrare in via
pregiudiziale, implicante una verifica attinente alla rituale acquisizione dei relativi esiti
informativi e condizionante la possibilità di avvalersene per l’emissione del titolo
cautelare. La prospettazione in tali termini dell’ “error in procedendo” rende ammissibile la
questione riproposta nel giudizio di legittimità, tanto più che la difesa ha prodotto in
allegato al ricorso i decreti autorizzativi censurati, assolvendo all’onere di autosufficienza
e ha dedotto l’assoluta rilevanza dei dati conoscitivi acquisiti per il tramite dell’attività
intercettativa nel ragionamento valutativo condotto dai giudici di merito. E’ dunque
riferibile al caso in esame il principio di diritto, secondo il quale la ritualità delle
intercettazioni sotto il profilo della esistenza e dell’efficacia dei decreti di autorizzazione
integra questione rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, qualora
contestata, deve essere riscontrata dal giudice procedente in termini di oggettiva certezza
al fine di garantire, tramite il controllo della legittimità delle intercettazioni stesse, la
legalità della prova ai fini del suo utilizzo anche per quanto richiesto dal giudizio cautelare.
1.3 Tanto premesso, deve escludersi la fondatezza della censura relativa
all’illegittimo ricorso della tecnica redazionale dei decreti n. 1986 e n. 1987 del 2015
mediante impiego di moduli prestampati. I due provvedimenti, aventi ad og etto la

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in alcun modo alle deduzioni incentrate sull’impossibilità di individuare l’autovettura

convalida del decreto d’urgenza emesso dal p.m. per la captazione di conversazioni
telefoniche che sarebbero intercorse sulle utenze di familiari di Franceco Urso e di dialoghi
tra presenti all’interno della vettura in uso al medesimo, risultano effettivamente
compilati mediante il riempimento manoscritto di un modulo prestampato, ma, al di là
della veste grafica, presentano una motivazione effettiva, ancorchè redatta col richiamo
“per relationem” alla richiesta del p.m. ed alla annotazione di servizio dei Carabinieri del
R.O.S. del 12/10/2015, con la quale si evidenzia la sussistenza di gravi indizi di reità in
ordine a delitti di criminalità organizzata e l’indispensabilità di fare ricorso a tale mezzo di

formulazione dei decreti rivela la positiva delibazione dei presupposti legittimanti il ricorso
alle intercettazioni ed assolve al dovere motivazionale che grava sul decidente secondo lo
schema procedurale ritenuto consentito e sufficiente nella costante interpretazione di
questa Corte di Cassazione. La tematica delle modalità di assolvimento all’onere di
motivazione dei decreti di intercettazione è stata da tempo risolta mediante numerose
pronunce di legittimità (Sez. U, n. 919 del 26/11/2003, Gatto, rv. 226486 e successive
conformi, tra le quali: sez. 4, n. 9439 del 16/12/2010, Ciccia, rv. 249807; sez.1, n. 9764
del 10/2/2010, Femia, rv. 246518; sez. 6, n. 12722 del 12/2/2009, P.M. in proc.
Lombardi Stronati, rv. 243241; sez. 6, n. 46056 del 14/11/2008, Montella, rv. 242233;
sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, rv. 242418), che hanno ammesso come
valido e sufficiente sotto il profilo contenutistico il richiamo per “relationem” alle note di
polizia o ad altri atti processuali con esplicito giudizio di adesione a quanto in essi esposto.
Si è però precisato che tale tecnica redazionale è legittima a condizione che ricorrano le
seguenti condizioni: a) richiamo, recettizío o di semplice rinvio, ad un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione
propria al provvedimento di destinazione; b) dimostrazione che il decidente ha preso
cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le ha
meditate e ritenute coerenti alla sua decisione; c) conoscibilità dell’atto di riferimento,
quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, da parte
dell’interessato, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di
valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo
dell’organo della valutazione o dell’impugnazione.
Infine, non è superfluo considerare che anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo
con la decisione 10 aprile 2007 ( sez. 2, del 10/4/2007, Panarisi c/ Italia ) ha escluso la
sussistenza della violazione dell’art. 8 della CEDU nel caso in cui il giudice per le indagini
preliminari abbia autorizzato l’esecuzione d’intercettazioni ambientali mediante un
provvedimento motivato per “relationem”, ossia richiamando una nota della polizia
giudiziaria, menzionata nella richiesta del pubblico ministero, in una situazione
processuale del tutto sovrapponibile a quella verificatisi nel caso in esame.

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ricerca della prova per individuarne i responsabili. In tal modo, la pur sintetica

Deve, dunque escludersi che i decreti predetti siano affetti da nullità e che i risultati
probatori conseguitine siano inutilizzabili.
1.4 A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto al decreto n. 386/15 int. che
effettivamente è stato redatto mediante il riempimento manoscritto di un modulo
prestampato, recante nell’epigrafe l’indicazione di “intercettazione di comunicazioni e
conversazioni telefoniche”, ha richiamato nella premessa la richiesta del p.m. pervenuta in
data 10 marzo 2015 come riguardante l’autorizzazione a svolgere intercettazioni
telefoniche su “utenze telefoniche meglio indicate in detta richiesta” e nel dispositivo ha

ad intercettazione delle conversazioni tra presenti che si sarebbero svolte all’interno
dell’autovettura Mercedes classe B tg. CT273KJ, dal che discende l’effettiva divergenza tra
le operazioni specificate nell’istanza e quelle autorizzate dal giudice e poi in concreto
eseguite.
1.4.1 n Procuratore Generale presso questa Corte all’udienza di discussione ha
prodotto copia dell’ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Palermo ha provveduto
ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. alla correzione del decreto in questione mediante
eliminazione dal suo testo della parola “telefoniche” e sostituzione dell’indicazione “sulle
utenze telefoniche” con l’inserimento in loro luogo dell’indicazione che l’attività si sarebbe
dovuta svolgere all’interno del veicolo specificato nella richiesta. Si tratta dunque di
verificare, a fronte delle obiezioni difensive che negano validità a tale intervento, se
l’ordinanza di rettifica sia idonea allo scopo e quindi consenta di superare la fondatezza
del secondo motivo di ricorso.
1.4.2 Osserva questa Corte che in linea generale e secondo il proprio pacifico
orientamento, alla procedura di correzione di errore materiale, prevista all’art. 130 cod.
proc. pen. in riferimento a sentenze, ordinanze e decreti “inficiati da errori od omissioni
che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione
essenziale dell’atto”, il giudice può fare ricorso per porre rimedio ad imprecisioni o alla
carenza di elementi che debbano necessariamente essere ricompresi nel provvedimento,
in modo tale, quanto al primo profilo, da adeguare l’espressione formale ed esteriorizzata
della decisione assunta al suo effettivo contenuto e, quanto al secondo, da inserire
mediante integrazione dati necessari, non ricavati dall’esercizio postumo di un potere
discrezionale. Non è consentito, invece, apportare modifiche all’atto con inserimento di
elementi non inclusi nella “ratio decidendi” e tali da alternare il contenuto essenziale della
decisione già adottata (Cass. sez. 1, n. 6784 del 25/01/2005, Canalicchio, rv. 232939;
Sez. U., n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, rv. 238426). In ogni caso l’errore deve essere
“materiale”, ossia non attinente alla volontà decisoria estrinsecata nel provvedimento, ma
soltanto alla sua manifestazione all’esterno e, come tale, deve presentarsi come di
immediata rilevazione e soluzione attraverso un semplice intervento di adeguamento
sostitutivo o integrativo, con la precisazione che in questo secondo caso l’emenda sarà
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autorizzato operazioni di quella tipologia. Al contrario, il p.m. aveva chiesto di procedere

consentita soltanto se i dati inseriti siano in rapporto di stretta dipendenza logico-giuridica
con il contenuto della decisione e corrispondano ad una statuizione necessitata a
contenuto predeterminato, perché soltanto a questa condizione l’integrazione mantiene
intangibile il contenuto essenziale del giudizio, lo rende coerente con i parametri normativi
di riferimento e non trasforma il rimedio della correzione in un anomalo mezzo
d’impugnazione, che surrettiziamente consenta di pervenire ad una diversa modulazione
della decisione compiuta.
1.4.3 Il caso di specie non si presta agevolmente ad essere risolto alla luce del

nella sua interezza presenta coerenza di riferimenti, quanto all’oggetto dell’autorizzazione
concessa, a conversazioni e comunicazioni telefoniche in difformità dalla richiesta. Si
tratta dunque di verificare se l’intervento correttivo sul decreto sia ammissibile per avere
fatto semplicemente emergere la reale volontà e l’intenzione decisoria del giudice che lo
ha pronunciato senza intaccarne la natura e la statuizione assunta, e, nella conduzione di
tale indagine, diviene essenziale poter considerare gli atti investigativi compiuti ed il
tenore e la quantità delle istanze di autorizzazione di intercettazioni, rivoltegli dal
magistrato inquirente in quel procedimento e sino a quel momento. In altri termini, si
pongono due alternative possibili: può essere accaduto che per trascuratezza del g.i.p. sia
stato semplicemente impiegato nella redazione del decreto uno stampato precompilato
afferente a diversa tipologia di attività intercettativa, ma che l’intento del giudice fosse
quello di aderire alla domanda, unica di quel tenore, rivoltagli nella ravvisata sussistenza
di tutti i presupposti di legge per consentire l’attuazione concreta di quel mezzo di ricerca
della prova ed in tal caso dovrebbe essere consentito il ricorso alla procedura di
correzione di errore non concettuale, perché non incidente sul procedimento volitivo e
valutativo seguito; diversamente, il g.i.p. potrebbe aver inteso consentire attività
investigativa da espletarsi con uno strumento diverso da quello richiesto, perché
individuato in via autonoma, oppure in conseguenza di una lettura inadeguata e travisante
del contenuto dell’istanza rivoltagli, ipotesi in cui l’errore avrebbe investito l’attività
cognitiva e percettiva, non emendabile nel suo risultato decisorio, per la nullità del
provvedimento, emesso in difformità dallo schema legale dettato dall’art. 267 cod. proc.
pen., comma 1. Siffatta disposizione pretende, infatti, che per procedere ad
intercettazione il p.m. debba rivolgere una richiesta motivata al g.i.p., al quale sono
consentite soltanto due opzioni decisorie, ovvero accogliere o respingere l’istanza, in
assenza di qualsiasi margine discrezionale di apprezzamento per disporre attività
differente quanto all’oggetto o alle modalità esecutive, la cui individuazione appartiene
alle scelte esclusive del magistrato che conduce le indagini.
1.4.4 Ebbene, l’esito della verifica postulata dall’ordinanza di correzione implica il
possesso di un dato conoscitivo -l’unicità o meno della richiesta di autorizzazione a
condurre intercettazioni nel procedimento nr. 3706/2015 R.G.-, nonché l’interpretazi ne

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meccanismo di eliminazione degli errori materiali in relazione al fatto che il provvedimento

della volontà del g.i.p. di aderire esattamente alla richiesta di cui era investito,
informazione cui questa Corte non ha accesso ed operazione a condurre in base a dati
fattuali, quindi interdettale per i limiti intrinseci del proprio potere cognitivo; sebbene la
costante lezione interpretativa ammetta che, a fronte della deduzione di questione di
natura processuale, il giudice di legittimità è giudice del fatto e quindi può procedere alla
lettura degli atti presupposto per l’applicazione della disposizione di legge processuale in
conformità alla previsione dell’art. 187 cod. proc. pen., comma 2, quando la verifica
richiesta riguardi un fatto storico oggettivo, accaduto nel corso del procedimento e la sua

cassazione ha, infatti, la possibilità di esaminare direttamente gli atti del processo per
verificare l’esistenza della violazione di legge denunciata, ma non può spingersi sino ad
interpretare in modo diverso, rispetto a quanto compiuto dal giudice di merito, oppure a
farlo direttamente, i fatti storici posti alla base del dato processuale, se non nei limiti della
mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
1.4.5 L’applicazione di tali principi al caso di specie induce a ritenere che la
produzione dell’ordinanza di correzione degli errori materiali contenuti nel decreto n.
386/2015 R.G. int. in sé non consenta di superare le doglianze difensive sull’illegittima
conduzione di attività captativa in esecuzione di provvedimento non afferente a
conversazioni o comunicazioni ambientali, ma telefoniche e ciò, non tanto per
l’inammissibilità in linea teorica di un intervento postumo di eliminazione di errori o
omissioni da un decreto di autorizzazione di intercettazioni, non ravvisandosi alcun
ostacolo normativo al riguardo, quanto per la difficoltà di rintracciare nel provvedimento
stesso il reale pensiero ed intento del decidente, questione di fatto che deve essere
demandata al giudice a ciò preposto. Per il rilievo dirimente che assume la questione in
relazione all’elevata capacità rappresentativa delle conversazioni captate, dalle quali sono
stati desunti indizi di reità alla base dell’emissione del titolo custodiale, l’ordinanza
gravata va annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Palermo, che, previa verifica
con gli atti trasmessigli, dovrà accertare se le intercettazioni siano state validamente
compiute in base a provvedimento autorizzativo e se lo stesso sia stato ritualmente
emendato con l’ordinanza del 10 maggio 2016. In caso di esito negativo di tale
accertamento, in sede di rinvio dovrà essere altresì riscontrato se le specifiche
conversazioni registrate il 3 ottobre 2015 all’interno dell’autovettura Mercedes classe B tg.
CT273KJ siano state legittimamente captate in esecuzione del decreto di proroga delle
operazioni già consentite e se detto ultimo provvedimento possa essere inteso ed operare
effetti quale autonomo decreto autorizzativo.
Si richiama a tal fine l’interpretazione già offerta dalla Suprema Corte, secondo la
quale “In materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, il decreto formalmente
qualificato “di proroga”, intervenuto dopo la scadenza del termine originario o già
prorogato, può avere natura di autonomo provvedimento di autorizzazione
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valutazione, tale operazione deve essere condotta dal giudice di merito. La Corte di

all’effettuazione delle suddette operazioni, se dotato di autonomo apparato giustificativo,
che dia conto della ritenuta sussistenza delle condizioni legittimanti l’intromissione nella
altrui sfera di riservatezza” (Cass. sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, Ambroggio, rv.
265746; nei termini vedi altresì sez. 5, n. 10090 del 21/1/2002, Allegra, rv. 221832; sez.
1, n. 668 del 26/01/1999, Rasciale, rv. 212593). A favore di tale affermazione di principio
milita la considerazione, per la quale, analogamente a quanto accade ad un
provvedimento di proroga intempestivo, inidoneo a consentire la protrazione in continuità
dell’attività intercettativa, anche nel caso in cui il decreto originario sia nullo ed inefficace,

grado di offrire titolo per il valido compimento delle captazioni passate, che restano
inutilizzabili ai sensi dell’art. 271 cod. proc. pen., può legittimare quelle future, sempre
che possieda i requisiti di forma e sostanza pretesi per una valida autorizzazione ai sensi
dell’art. 267 cod. proc. pen., ossia riveli un autonomo apparato giustificativo che, anche
mediante richiamo “per relationem” al contenuto di altri atti, dia conto dell’avvenuto
apprezzamento dei gravi indizi di reità in ordine alle fattispecie criminose indicate dagli
artt. 266 e 266 bis cod.proc.pen. e della assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai
fini della prosecuzione delle indagini.
All’esito di tale ordine graduale di accertamenti ed in caso di risposta negativa agli
stessi, il Tribunale dovrà impegnarsi nell’eventuale prova di resistenza, ossia nella
considerazione dei dati indiziari previa espunzione da tale compendio delle conversazioni
registrate in esecuzione del decreto originario o di quello di proroga al fine di individuare
se le residue risultanze indiziarie siano sufficienti a giustificare l’identico convincimento,
offrendo comunque congrua risposta anche alle ulteriori obiezioni difensive, contenute
nelle memorie depositate nelle date del 7 ed 8 gennaio 2016 ed indicate in premessa.

P. Q. M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo,
sezione per il riesame, cui dispone trasmettersi integralmente gli atti. Dispone
trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore
dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, 1’11 maggio 2016.

quello formalmente volto a disporre la prosecuzione delle operazioni, senza essere in

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