Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29355 del 11/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29355 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Grazioso Alfio, nato a Catania il 17/10/1982

avverso la ordinanza del 13/11/2015 del Tribunale di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mario
Pinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. In data 13 novembre 2015 il Tribunale di Catania, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., ha respinto, nel procedimento penale n. 14097/12
R.G.N.R., l’appello proposto da Alfio Grazioso avverso l’ordinanza emessa il 10
settembre 2015 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, che
aveva rigettato la richiesta di declaratoria di inefficacia, per scadenza dei termini,

Data Udienza: 11/05/2016

del titolo custodiate adottato nei suoi confronti, previa retrodatazione dei
medesimi ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
1.1. Il provvedimento impugnato evidenziava le seguenti circostanze:
– con ordinanza del 30 aprile 2013 era stata disposta, nel procedimento n.
6407/13 R.G.N.R., la misura della custodia cautelare in carcere net confronti di
Alfio Grazioso, a seguito di arresto in flagranza di reato, per i delitti di detenzione
di otto chilogrammi di marijuana (art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990) e di detenzione
di armi clandestine (artt. 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967);

sottoposto, nel procedimento penale n. 14097/12 R.G.N.R., ad altra misura
custodiate in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione di stampo
mafioso, detenzione di armi comuni da sparo di tipo clandestino, estorsione
aggravata in concorso, partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di
stupefacenti e detenzione finalizzata allo spaccio di cocaina e marijuana,
commessi dal 2012 all’aprile 2013;
– il Giudice per le indagini preliminari, con l’ordinanza impugnata, aveva
respinto la richiesta di retrodatazione dei termini del secondo titoto custodiate e
di conseguente declaratoria di perdita di efficacia della seconda misura per
decorrenza dei termini, non ricorrendo i presupposti per l’operatività della c.d.
contestazione a catena, in quanto, pur ipotizzandosi la connessione qualificata
tra i fatti oggetto dei due procedimenti, non sussisteva la condizione della
desumibilità dagli atti dei fatti oggetto del secondo titolo per essere stata
depositata la comunicazione di notizia di reato conclusiva del secondo
procedimento il 25 giugno 2014, quando per i fatti oggetto del primo
procedimento, per i quali il decreto di giudizio immediato risaliva all’8 giugno
2013, era già intervenuta il 24 ottobre 2013 sentenza di condanna di primo
grado.
1.2. Il Tribunale di Catanzaro, pronunciandosi in sede di appello, ha
sottolineato l’insussistenza della violazione, nella specie, del divieto di
contestazione a catena.
Il Tribunale, richiamati i precedenti e gli arresti giurisprudenziali in materia,
e condotta un’analisi delle fattispecie cui era applicabile l’istituto della
retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare disciplinato
dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., individuate dalla Corte di cassazione
anche a Sezioni Unite con sentenze n. 21957 del 22 marzo 2005 e n. 14535 del
19 dicembre 2006 e dalla Corte costituzionale con sentenza n. 408 del 24
ottobre 2005, rilevava, in particolare, che:

il caso oggetto di analisi andava ricondotto nel paradigma dell’ipotesi,

indicata come quarta nella svolta illustrazione, ricorrente in presenza di più

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– con successiva ordinanza del 16 giugno 2015 il Grazioso era stato

ordinanze emesse in procedimenti diversi in relazione a fatti diversi non legati da
connessione qualificata;

rilevava in tal senso la circostanza che, se era possibile la ipotizzabilità di

una tale connessione tra l’ipotesi del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990, per il quale l’appellante era stato arrestato in flagranza il 30 aprile 2013, e
il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e le altre ipotesi di
reato-fine di spaccio, contestati con il secondo titolo custodiale, non era
sicuramente ravvisabile la stessa connessione con riguardo agli altri reati pure

né evidenziati dalla difesa, dai quali fosse desumibile che l’episodio del 30 aprile
2013 fosse stato commesso in esecuzione di un unico originario disegno
criminoso con gli altri, del tutto eterogenei, reati;

doveva, pertanto, essere verificato, ai fini della operatività della

retrodatazione, se i fatti oggetto del secondo titolo custodiale, commessi in
epoca antecedente o prossima a quelli oggetto del primo titolo custodiale,
fossero desumibili dagli atti al momento dell’adozione del primo titolo e se la
separazione (o non riunione) dei due procedimenti fosse il frutto di una scelta
arbitraria del Pubblico ministero, tenendo conto dell’univoco dato che la
comunicazione di notizia di reato conclusiva delle indagini del secondo
procedimento era stata depositata quando, come rilevato dal Giudice per le
indagini preliminari, era già intervenuta la sentenza di condanna di primo grado
per i fatti oggetto del primo titolo;

la desumibilità dagli atti, indicata dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.,

era da intendere, contrariamente ai rilievi difensivi che la collegavano alla mera
anteriorità dei fatti oggetto del secondo titolo, come riguardante la sussistenza,
in seno al procedimento nel cui ambito era stata emessa la prima ordinanza
custodiale, delle condizioni per emettere la seconda misura per l’emergenza dagli
atti degli elementi fondanti la prognosi di concludenza e gravità delle fonti
indiziarie e delle esigenze cautelari, che la giustificavano, e andava apprezzata,
pertanto, non solo in termini quantitativi come complesso degli elementi di prova
da poter valutare ai fini dell’adozione della misura cautelare, ma anche in termini
qualitativi, nel senso della interpretazione e decodificazione dei dati in modo
coordinato e unitario;

rilevava, quindi, nel caso di indagini delegate alla polizia giudiziaria, come

nella specie, il deposito della infoMiati’và’finale, che, senza essere meramente
reiterativa di precedenti annotazioni, già depositate in atti nel corso delle
indagini, compendiava l’esito delle varie attività investigative compiute e
consentiva la valutazione complessiva, con una lettura unitaria, di tutti gli

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contestati con il secondo titolo, in mancanza di elementi, né emergenti dagli atti

elementi di prova acquisiti, non convergenti ictu ()culi con gli atti investigativi e
gli elementi di prova con essi acquisiti nel primo procedimento;

poiché il primo arresto dell’appellante era avvenuto nella fragranza di

reato non erano all’evidenza nella disponibilità del Pubblico ministero atti di
indagine inerenti i fatti di cui al secondo titolo custodiale, compendiati nella già
indicata comunicazione di notizia di reato conclusiva, con la conseguente non
ascrivibilità allo stesso Pubblico ministero di alcuna scelta di indebita separazione
dei due procedimenti.

denunciato meccanismo, non era comunque superato in concreto il termine
massimo di fase, da computarsi per fasi omogenee, secondo i condivisi principi di
legittimità, e inferiore nella specie, secondo i ripercorsi calcoli, al termine di un
anno di cui all’art. 303, comma 1, lett. a), n. 3, cod. proc. pen.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, con atto
personale, Alfio Grazioso, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico
motivo, con il quale deduce inosservanza della legge processuale penale e
mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b) ed e), cod.

proc. pen. in relazione agli artt. 297, comma 3, e 303 cod. proc. pen.
2.1. Secondo il ricorrente, che ripercorre le sue vicende cautelari, l’intero
impianto indiziario, che è alla base dell’ordinanza applicativa della seconda
misura del 8 giugno 2015, è fondato su dati ed elementi relativi al solo periodo
compreso tra il 30 novembre 2012 e il 30 aprile 2013, data del suo arresto in
flagranza del reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e della detenzione di
un fucile marca Beretta, e conosciuti alla detta data.
Tale arresto, infatti, seguito dall’adozione del primo titolo custodiale, in forza
del quale egli è rimasto in regime di custodia cautelare per il periodo di anni due
e mesi due, è stato preceduto dalla sua iscrizione nel registro degli indagati il 29
novembre 2012, nell’ambito di questo procedimento (n. 14097/12 R.G.N.R.), e
da un servizio di intercettazioni telefoniche e ambientali, accompagnato da
videoriprese, che hanno monitorato la sua posizione e quella degli altri indagati,
sì come emerge da tutti gli atti e dalla stessa ordinanza impugnata che non ha
contestato la sussistenza di una connessione qualificata tra i reati, con
conseguente totale completezza della sùa posizione indiziaria per tutti i reati, ora
contestati -in relazione alle indagini che hanno portato al primo arresto- con la
seconda ordinanza, emessa a oltre due anni di distanza dalla prima, a richiesta
del medesimo Ufficio di Procura, dal medesimo Ufficio del Giudice per le indagini
preliminari.

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In ogni caso, secondo il Tribunale, anche a voler ritenere ricorrente il

2.2. In tal modo, si è violato il divieto di contestazione a catena ed è, in ogni
caso, decorso il termine massimo di custodia cautelare di fase di un anno,
sommando al periodo compreso tra il 28 marzo 2014 (data della sentenza di
secondo grado del primo procedimento) e il 19 febbraio 2015 (data della
irrevocabilità della stessa) il periodo, riferito alla seconda ordinanza, compreso
tra il 16 giugno 2015 (data della seconda ordinanza) e il 27 settembre 2015
(data del decreto che ha disposto il giudizio).
2.3. La disciplina relativa alla contestazione a catena, inoltre, si applica,

sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato prima dell’adozione
della seconda misura, e la desumibilità dagli atti deve essere riferita al
complesso probatorio posto a fondamento della seconda ordinanza.
Il Tribunale, limitandosi a richiamare i principi dell’istituto, ha, invece,
omesso alcun riferimento al caso concreto e non ha reso conto

dell’iter logico

seguito per pervenire al dispositivo non riproduttivo delle pur giuste premesse.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, che svolge censure manifestamente infondate ovvero non
consentite o generiche, deve essere dichiarato inammissibile.

2. Le Sezioni Unite (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato,
Rv. 235909/235910/235911) hanno ricostruito lo stato della giurisprudenza di
legittimità e costituzionale intervenuta in merito all’art. 297, comma 3, cod.
proc. pen., partendo da propria precedente decisione (Sez. U, n. 21957 del
22/03/2005, Rahulia, Rv. 231057/231058/231059), che aveva ripercorso le
vicende dell’istituto della retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure
disposte con le ordinanze successive dalla sua introduzione giurisprudenziale,
attraverso l’elaborazione di regole per contrastare le c.d. contestazioni a catena,
fino alla sua ricezione legislativa da ultimo con l’art. 297, comma 3, cod. proc.
pen. nel testo modificato dall’art. 12, legge 8 agosto 1995, n. 332, e aveva
chiarito che:
– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento, per lo
stesso fatto o per fatti diversi, commessi anteriormente all’emissione della prima
ordinanza e legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera
indipendentemente dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento della
emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi idonei a giustificare le
misure adottate con la seconda ordinanza (Rv. 231057);

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fif

secondo richiamati principi, anche nel caso in cui per i fatti della prima ordinanza

- nel caso di ordinanze cautelari emesse in procedimenti diversi per fatti
legati da una connessione qualificata, la retrodatazione opera solo per i fatti
desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata
emessa la prima ordinanza cautelare (Rv. 231058);
– nel caso di ordinanze cautelari emesse nello stesso procedimento per fatti
non legati da connessione qualificata, la retrodatazione opera solo se al
momento dell’emissione della prima ordinanza esistevano elementi idonei a
giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza (Rv. 231059).

sentenza n. 408 del 2005 della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimità
costituzionale dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. «nella parte in cui non si
applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per
emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento
dell’emissione della precedente ordinanza», determinando il sorgere del dubbio
circa la possibile applicazione del principio non solo a fatti diversi relativi allo
stesso procedimento ma anche a fatti diversi relativi a diversi procedimenti.
La decisione delle Sezioni Unite sul punto distingue tra il caso in cui i diversi
procedimenti pendono davanti ad autorità giudiziarie diverse da quello in cui i
diversi procedimenti pendono davanti alla stessa autorità giudiziaria, e rileva
che:
– nel primo caso, la retrodatazione non ha alcuna ragione di operare, poiché
la diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di
competenza e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti
e che, quindi, la sequenza dei provvedimenti cautelari non è il frutto di una
scelta per ritardare la decorrenza della seconda misura;
– nel secondo caso, se per i fatti oggetto del secondo provvedimento
cautelare il procedimento aveva avuto inizio, o avrebbe dovuto averlo, al
momento dell’emissione della prima ordinanza, può ritenersi che l’adozione della
seconda misura sia stata il frutto di una scelta del pubblico ministero, pur
essendo gli elementi già desumibili dagli atti. In tale secondo caso la
retrodatazione opera automaticamente se i fatti sono collegati da connessione
qualificata, mentre in mancanza di connessione, non giustifica la retrodatazione
il fatto che l’ordinanza emessa nel secondo procedimento si fondi su elementi già
presenti nel primo, atteso che in molti casi gli elementi probatori non
manifestano immediatamente il loro significato.
Pertanto, la circostanza che alcuni elementi siano stati in possesso degli
organi delle indagini non dimostra che ne fosse stata individuata la portata
probatoria, potendo l’elaborazione di alcuni atti di indagine, quali ad esempio le

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2.1. Il nuovo intervento delle Sezioni Unite è conseguito alla pronuncia della

intercettazioni, dare ragione dell’intervallo di tempo trascorso tra l’acquisizione
delle fonti di prova e l’inizio del procedimento.
Le Sezioni unite hanno, quindi, fissato il principio che «in tema di
“contestazione a catena”, quando nei confronti di un imputato sono emesse in
procedimenti diversi più ordinanze cautelari per fatti diversi in relazione ai quali
esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall’art. 297,
comma terzo, cod. proc. pen. opera per i fatti desumibili dagli atti prima del
rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Nel

invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi
giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della
emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in
cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due procedimenti sono in
corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere
frutto di una scelta del pubblico ministero» (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006,
citata, Rv. 235909).
2.2. In linea con il detto arresto si è più volte affermato, che, in tema di
retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, il momento in
cui dagli atti possono desumersi i gravi indizi di colpevolezza idonei a giustificare
l’adozione della misura cautelare coincide non con la materiale disponibilità della
informativa di reato, ove questa riassuma i dati investigativi e gli elementi di
prova progressivamente acquisiti, ma va riferita al momento valutativo,
risultante dal tempo obiettivamente occorrente al pubblico ministero per una
lettura ponderata del materiale e per mettere in rapporto un determinato dato
con le altre risultanze investigative, senza che rilevi il parametro rigorosamente
temporale, ossia relativo alla mera presenza in atti di quel dato (tra le altre, Sez.
2, del 07/12/2011, dep. 2012, Astro, Rv. 251754; Sez. 1, n. 1906 del
17/03/2010, Cava, Rv. 246839; Sez. 5, n. 2724 del 04/11/2009, dep. 2010,
Fracasso, Rv. 245921; Sez. 6, n. 49326 del 21/12/2009, Amicuzi, Rv. 245423;
Sez. 2, n. 11133 del 12/12/2008, dep. 2009, Macrì, Rv. 243421).

3. Di tali condivisi principi il Tribunale ha fatto esaustiva ricostruzione,
corretta interpretazione e precisa applicazione, evidenziando e correlando
logicamente i dati fattuali disponibili e svolgendo un articolato

iter

argomentativo, non astratto dalle risultanze processuali e dalle argomentazioni
difensive sviluppate con i motivi di appello.
3.1. L’ordinanza, esclusa preliminarmente la ravvisabilità di una
connessione, rilevante ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., tra tutti i
reati contestati con la seconda ordinanza e l’ipotesi di reato di cui all’art.73

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caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino

d.P.R. n. 309 del 1990, oggetto dell’arresto in flagranza di reato del 30 aprile
2013, ha, in particolare, evidenziato -quale rilievo risolutivo per escludere, nel
caso di specie, la ricorrenza, dedotta dalla difesa, degli estremi della
retrodatazione- che, pur sussistendo il requisito dell’anteriorità, richiesto dal
richiamato art. 297 cod. proc. pen., in quanto i fatti contestati con l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere del 16 giugno 2015, di cui si è chiesta la
retrodatazione, erano anteriori alla data di emissione della prima ordinanza
custodiate, in quanto commessi a partire dal 2012 e fino all’aprile 2013, gli

acquisiti dopo l’adozione della prima e addirittura dopo che per i fatti oggetto del
primo titolo custodiale era intervenuta sentenza di condanna di primo grado.
Con valutazioni di merito e correttamente argomentate il Tribunale ha
rimarcato che la comunicazione di notizia di reato, conclusiva delle indagini del
secondo procedimento, è stata depositata agli atti il 25 giugno 2014 e che, avuto
riguardo alla genesi del primo procedimento (nel quale è stato operato un
semplice arresto in flagranza di reato), alla tempistica investigativa del secondo
procedimento e alla operata delega di indagini alla polizia giudiziaria, tale
informativa finale ha compendiato l’esito dei risultati delle investigazioni delegate
compiute e consentito al Pubblico ministero di disporre degli atti inerenti i fatti
posti a fondamento della sua nuova richiesta cautelare.
3.2. È del tutto logico e ragionevole l’iter argomentativo del Tribunale, che
ha individuato la desunnibilità dagli atti, richiesta dalla legge, non nella mera
anteriorità dei fatti “fenomenologicamente e oggettivamente considerati”, né
nella sola conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali, ma nella
condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o
dichiarativo, degli elementi relativi a un determinato fatto-reato, che -già
presenti nel procedimento nel cui ambito è stata emessa la precedente ordinanza
custodiate- possono essere processualmente significativi e finalisticamente
orientati a valutazioni di natura cautelare.

4. Il ricorrente -a fronte dei principi di diritto suindicati e delle articolate
valutazioni svolte dal Tribunale- oppone del tutto infondatamente una lettura
parziale dei principi di diritto pertinenti al chiesto istituto e svolge censure che si
risolvono in critiche in linea di fatto e di puro merito, non consentite in sede di
legittimità, ovvero non collegate alle ragioni argomentate della decisione
impugnata.
4.1. La censura, che attiene all’anteriorità dei fatti contestati con la seconda
ordinanza si riferisce a questione non risolutiva alla luce dei principi di diritto pur
(anche se solo in parte) richiamati e dell’analisi condotta dal Tribunale, rilevante

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elementi gravemente indizianti posti a base della seconda ordinanza sono stati

essendo, quando, come nella specie, le ordinanze cautelari siano state emesse
non nello stesso procedimento, ma in procedimenti diversi, non la questione
dell’anteriorità del fatto o dei fatti di un procedimento all’altro, ma la possibilità
di rilevare tra i fatti una connessione qualificata e la possibilità di desumere dagli
atti, al momento della emissione della prima ordinanza, l’esistenza di elementi
idonei a giustificare la misura adottata con la seconda ordinanza.
4.2. Né la doglianza svolta con riferimento all’affermazione del Tribunale che
gli elementi, posti a fondamento della seconda misura, non potevano desumersi

idonea a contrastare gli apprezzamenti svolti nell’ordinanza sulla necessaria
interpretazione, elaborazione e valutazione da parte del Pubblico ministero degli
elementi acquisiti, nel loro complesso e nella loro concatenazione, prima di
avanzare idonea istanza cautelare, mentre non si è neppure sindacata la
questione risolutiva rappresentata dalla data (25 giugno 2014), nella quale, con
la nota informativa finale della polizia giudiziaria, è stato portato a conoscenza
del Pubblico ministero il quadro completo degli esiti delle indagini, necessario,
non per operare un arresto in flagranza (quale quello del 30 aprile 2013 eseguito
nel corso di un’attività investigativa in fase di svolgimento), ma per conferire una
piattaforma indiziaria alle plurime ipotesi di reato poi delineata e contestata,
oltre che dalla distanza temporale tra detta data e quella (24 ottobre 2013) nella
quale intervenuta sentenza di condanna di primo grado per i fatti di reato, di cui
all’arresto del 30 aprile 2013.

5. La questione relativa al superamento del termine di fase, che il Tribunale
ha giudicato infondata, esaminandola -con cumulo di periodi relativi a fasi
omogenee dei due procedimenti- per l’ipotesi, che ha comunque escluso, della
operatività del meccanismo della retrodatazione della decorrenza dei termini del
secondo titolo custodiale, è assorbita dalla esclusa retrodatabilità di detta
decorrenza, precludendo l’esame delle deduzioni difensive, che contrappongono
la tesi del frazionamento delle fasi ai fini della retrodatazione.

6. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, valutato il contenuto del
ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione
dell’impugnazione, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della
somma che si determina nella misura ritenuta congrua di euro mille.

7. La Cancelleria provvederà all’adempimento di cui all’art. 94, comma 1-

bis, disp. att. cod. proc. pen.

9

dagli atti, al momento dell’emissione della prima misura, si pone quale censura

I•

i

i

trasmessa copia ex art 23
n, .1 ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, n ……11.14…20.,-,_-,4,,
P.Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della
Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma

1-ter, disp. att.

Così deciso il 11/05/2016

cod. proc. pen.

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