Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29353 del 11/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29353 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEDALINO GABRIELE N. IL 01/11/1996
avverso l’ordinanza n. 1752/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
30/12/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/sentite 1 conclusioni del PG Dott. lut ko,, ?Aaea
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Data Udienza: 11/05/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 30 gennaio 2016 il Tribunale del riesame di Palermo
confermava l’ordinanza emessa il 14 dicembre 2015 dal G.I.P. dello stesso Tribunale,
che aveva sottoposto Gabriele Pedalino alla misura della custodia cautelare in carcere
in relazione ai delitti di concorso nell’omicidio aggravato di Salvatore Sciacchitano, nel

clandestina ed oggetto di ricettazione.
1.1 A fondamento della decisione il Tribunale, riscontrata nell’ordinanza
applicativa della misura la presenza di motivazione effettiva ed autonoma rispetto alla
richiesta del p.m., così respingendo l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa,
rilevava l’acquisizione di un quadro indiziario grave a carico dell’indagato, ritenuto
organizzatore ed esecutore, unitamente al padre Francesco, ad Antonino Profeta e
Domenico Ilardi, dell’uccisione di Salvatore Schiacchitano e del ferimento di Antonino
Arizzi, avvenuto in Palermo il 3 ottobre 2015 alle ore 19.42, mediante una spedizione
armata, compiuta da tre individui giunti a bordo di un’autovettura Fiat Panda rossa
nei pressi dell’agenzia di scommesse “Better”, quale ritorsione dopo l’agguato che la
prima vittima, unitamente a Francesco Urso, aveva compiuto contro Luigi Cona,
attinto da plurimi colpi di pistola al piede sinistro ed alla gamba destra mentre lo
stesso giorno si era trovato davanti al suo esercizio commerciale.
In particolare, avuta notizia del ferimento del Cona, le videoriprese effettuate
mediante impianti collocati nei pressi della friggitoria “Na za’ Nunzia” avevano filmato
incontri tra Natale Gannbino e Salvatore Profeta, esponenti di vertice del mandamento
mafioso di Santa Maria di Gesù, durante i quali si riteneva fosse stata organizzata la
spedizione alla quale avevano preso parte Antonino Profeta, Domenico Ilardi e
Francesco Pedalino, padre di Gabriele, mentre quest’ultimo aveva partecipato ai
preparativi dell’agguato e poi alla sua attuazione: in conversazione registrata alle ore
18.41 il Gannbino ed il Profeta, -che durante l’esecuzione dell’azione erano rimasti a
distanza di circa cento metri ed erano stati intercettati, permettendo di registrare
pure il rumore degli spari-, avevano suggerito al Pedalino come agire, scendendo da
un veicolo e sparando prima alle cosce, come in effetti si era poi verificato in danno
dello Sciacchitano e dell’Arizzi. A carico di Gabriele Pedalino veniva considerato
quanto emerso dalla conversazione intercettata alle ore 19.34 all’interno
dell’autovettura intestata ad Antonino Profeta, ma in quel frangente condotta dalla di
lui moglie Rosalia D’Amore con a bordo la madre e la sorella dello stesso Pedalino, nel
corso della quale, dopo che le donne avevano consegnato a Lorenzo Scarantino le
chiavi chieste da Francesco Pedalino, giunte presso l’abitazione di questi e del figlio
Gabriele e constatata la presenza della Panda parcheggiata in modo da ostacolare la
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tentato omicidio di Antonino Arizzi e nel porto illegale di armi da fuoco, di cui una

sistemazione del veicolo sul quale le donne avevano viaggiato, Lorenzo Scarantino,
nuovamente incontrato sul luogo, aveva risposto che di lì a poco se ne sarebbero
andati e le donne avevano commentato che avrebbero utilizzato appunto la Panda.
Nelle successive conversazioni captate la convivente di Gabriele Pedalino, avvicinatasi
all’autovettura con le congiunte a bordo, aveva loro riferito in modo concitato ed
allarmato di avere visto gli altri pronti per recarsi da qualche parte tanto da avere
parcheggiato all’interno anche i ciclomotori, quindi, dopo che tali soggetti erano scesi

all’interno di tale veicolo sul sedile anteriore di Gabriele e su quelli posteriori del di lui
padre Francesco e di Antonino Profeta, reiterando i loro timori. Ebbene, la
corrispondenza per modello e colore con l’autovettura dalla quale, secondo Antonino
Arizzi, erano scesi gli esecutori dell’omicidio e del suo ferimento, la presenza a bodo
di quel mezzo di Francesco Pedalino, al quale il Gannbino ed il Profeta avevano
suggerito come realizzazione l’azione criminosa, la stretta consecuzione temporale tra
i preparativi e la partenza dall’abitazione dei Pedalino e l’esecuzione dell’aggressione,
l’esplicito riferimento agli occupanti la Panda rossa erano considerati elementi
univocamente indicativi della partecipazione anche dell’indagato. Inoltre,
successivamente all’agguato, Luigi Cona in data 2 novembre 2015 alle ore 13.38
aveva incontrato Francesco e Gabriele Pedalino, Antonino Profeta e Lorenzo
Scarantino, ai quali aveva offerto due bottiglie di champagne ed un pranzo al
ristorante, comportamento valutato quale manifestazione di gratitudine nei confronti
di coloro che avevano vendicato il delitto da lui subito ad opera proprio dello
Sciacchitano, mentre la responsabilità dell’Arizzi era stata ravvisata per avere
prestato il proprio ciclomotore col quale la vittima e l’Urso si erano presentati dal
Cona e lo avevano ferito.
In punto di esigenze cautelari l’ordinanza riteneva che sussistessero tutte le esigenze
di cui all’art. 274 cod. proc. pen. per le modalità violente e spietate, il contesto di
commissione e le finalità dei delitti posti in essere per riaffermare il predominio
mafioso sul quartiere, tanto che l’organizzazione criminosa in essi coinvolta potrebbe
favorire la fuga ed assicurare all’indagato la latitanza altrove qualora non sottoposto
alla massima misura coercitiva.
2. Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del
suo difensore per chiederne l’annullamento per i seguenti motivi:
a) erronea applicazione della legge penale e mancata o manifesta illogicità della
motivazione in relazione al disposto dell’art. 273 cod. proc. pen. quanto a tutti i reati
configurati; sebbene specificamente contestato dalla difesa, il Tribunale ha respinto
l’eccezione sollevata con la memoria del 30 dicembre 2015 con vuote clausole di stile
prive di riferimenti concreti senza riuscire a dimostrare che l’ordinanza applicativa era
dotata di autonoma valutazione in ordine agli elementi indiziari emersi nel corso dell

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e si erano allontanati a bordo della Panda, le donne avevano osservato la presenza

indagini preliminari; a tal fine non è sufficiente considerare l’avvenuta trascrizione del
decreto di fermo e la sintesi degli elementi indiziari, poiché prive di personali
considerazioni, mentre in realtà il g.i.p. si era limitato a riportare pedissequamente
l’informativa dei Carabinieri modificando soltanto il carattere.
b) Violazione di norme processuali in relazione agli artt. 266, comma 2, 267, comma
2, 273 cod.proc.pen. Il Tribunale non ha rilevato l’inutilizzabilità delle intercettazioni
eseguite in forza del decreto n.386/15 int., oggetto dapprima della richiesta di

9/3/2015 dal p.m. nell’ambito del procedimento penale n.370672015 R.G.N.R.,
avente ad oggetto attività da effettuare all’interno dell’autovettura Mercedes Classe B
con targa CT273KJ, quindi del decreto del g.i.p., che però riguardava operazioni di
intercettazione telefoniche di cui alle utenze specificate nella richiesta, quindi un
diverso oggetto, mancando di correlazione con la richiesta.
c) Vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 56, 575, 577 comma 10 n.3
cod.pen., 7 D.L.152/91, 273 cod. proc. pen.. L’ordinanza, muovendo dal presupposto
che i delitti oggetto del presente procedimento sarebbero stati commessi quale forma
di reazione decisa da esponenti apicali del “mandamento” di Santa Maria di Gesù al
ferimento di Luigi Cona, ritiene il ricorrente “contiguo” ad esponenti apicali di “cosa
nostra”, senza indicare specifici e concreti elementi dai quali poter trarre tale
convincimento. E, pur avendo preso atto che il riferimento alla sua persona,
contenuto nella conversazione ambientale intercettata in data 17/10/2015 tra
Francesco Urso, la moglie e la nonna di questi, è equivoco e non può fondare un
indizio di colpevolezza certo, ha egualmente ravvisato gravi indizi di colpevolezza in
ragione di altri elementi. In realtà le espressioni pronunciate nel corso della
conversazione captata all’interno del veicolo Mercedes classe B alle ore 19.37 sono
incerte sulla presenza all’interno del veicolo che le donne avevano visto partire
dell’indagato e nessun altro elemento convince della sua partecipazione come
esecutore e non quale mero connivente ai delitti ascrittigli.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
1.11 primo motivo contesta il rigetto dell’eccezione preliminare incentrata sul
difetto di autonoma valutazione da parte del giudice cautelare dei presupposti
applicativi della misura coercitiva senza in realtà contraddire i puntuali rilievi esposti
nell’ordinanza impugnata, con la quale si è riscontrata l’esistenza nell’ordinanza
genetica della considerazione da parte del giudice degli elementi indiziari indicati nella
domanda e delle ragioni di affermata sussistenza dei pericoli cui la misura ha posto
cautela. In particolare, il g.i.p. ha condotto l’analisi dei dati probatori offerti dai ezzi
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autorizzazione alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti emesso in data

di prova acquisiti, ricostruendo cronologicamente la sequenza dei movimenti degli
indagati nelle fasi antecedenti ed immediatamente successive all’agguato compiuto in
danno dello Sciacchitano e dell’Arizzi, ne ha vagliato il significato e la concludenza al
fine di ritenere acquisito un compendio probatorio utilizzabile, ha argomentato in
ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91 e ha
selezionato anche le singole posizioni, tanto da aver respinto la richiesta di
applicazione della misura custodiale nei confronti di Arizzi Emanuele Gino.

presupposti di legge per sottoporre il ricorrente a misura coercitiva riposa dunque su
dati fattuali concreti, desunti dalla comparazione tra il testo della domanda del p.m. e
quello dell’ordinanza gravata di riesame e sulla compiuta selezione delle misure da
applicare, il che di per sé implica, non soltanto l’assolvimento dell’onere di esposizione
degli elementi rilevanti ed integranti i presupposti per l’emissione del provvedimento,
ma anche l’esercizio in funzione critica del controllo di legalità su tali condizioni e
sull’adeguatezza alle situazioni individuali delle forme coercitive imposte. Sul punto
può richiamarsi il condivisibile principio di diritto, secondo il quale “La diversificazione,
a fini cautelari, delle singole posizioni degli indagati rispetto anche alle richieste del
pubblico ministero, è circostanza dalla quale non irragionevolmente può trarsi il
convincimento che il giudice abbia effettuato un’autonoma valutazione del quadro
indiziario-cautelare sottoposto alla sua valutazione” (Cass. sez. 3, n. 31944 del
19/3/2014, Germinelli, non massimata). Inoltre, si ricorda che la previsione
dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza,
pretesa dall’attuale formulazione dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 1 lett. c), non
ha carattere innovativo e non esige la riscrittura originale di ciascuna circostanza di
fatto rilevante, essendo stata solo esplicitata la necessità che, dall’ordinanza, emerga
l’effettivo apprezzamento della vicenda da parte del giudicante (Cass. sez. 1, n. 8323
del 15/12/2015, Cosentino, rv. 265951; sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015, Carpentieri,
rv. 266050; sez. 5, n. 11922 del 02/12/2015, Belsito, rv. 266428).
2.

La

seconda

eccezione

preliminare

verte

sull’inutilizzabilità

delle

conversazioni, intercettate in base al decreto n. 386/15 int., per avere detto
provvedimento riguardato attività captativa differente da quella in concreto svolta,
che, pertanto, sarebbe stata condotta in assenza dell’imprescindibile autorizzazione
giudiziale.
2.1 Va premesso che la tematica non era stata dedotta nella fase del riesame,
sicché alcuna censura può muoversi al Tribunale per non avervi dedicato la dovuta
attenzione sotto il profilo del difetto o dell’insufficienza della motivazione
dell’ordinanza qui impugnata; le contestazioni difensive si appuntano piuttosto sul
profilo dell’omesso rilievo della violazione delle disposizioni processuali che
disciplinano il legittimo ricorso alle intercettazioni, artt. 266 e 267 cod. proc. pen.,
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1.111 giudizio positivamente espresso dal Tribunale sulla sussistenza dei

comma 2, che i giudici del riesame avrebbero dovuto riscontrare in via pregiudiziale in
quanto verifica attinente la rituale acquisizione dei relativi esiti informativi e
condizionante la possibilità di avvalersene per l’emissione del titolo cautelare. La
prospettazione in tali termini dell’ “error in procedendo” rende ammissibile la
questione ancorchè sollevata per la prima volta nel giudizio di legittimità, tanto più
che la difesa ha prodotto in allegato al ricorso il decreto autorizzativo censurato,
assolvendo all’onere di autosufficienza e ha dedotto l’assoluta rilevanza dei dati

valutativo condotto dai giudici di merito. E’ dunque riferibile al caso in esame il
principio di diritto, secondo il quale la ritualità delle intercettazioni sotto il profilo della
esistenza e dell’efficacia dei decreti di autorizzazione integra questione rilevabile di
ufficio in ogni stato e grado del procedimento e, qualora contestata, deve essere
riscontrata dal giudice procedente in termini di oggettiva certezza al fine di garantire,
tramite il controllo della legittimità delle intercettazioni stesse, la legalità della prova
per il suo utilizzo anche per quanto richiesto dal giudizio cautelare.
2.2 Rileva questo Collegio che effettivamente il decreto emesso dal G.i.p. del
Tribunale di Palermo in data 13 marzo 2015 è stato redatto mediante il riempimento
manoscritto di un modulo prestampato, recante nell’epigrafe l’indicazione di
“intercettazione di comunicazioni e conversazioni telefoniche”, ha richiamato nella
premessa la richiesta del p.m. pervenuta in data 10 marzo 2015 come riguardante
l’autorizzazione a svolgere intercettazioni telefoniche su “utenze telefoniche meglio
indicate in detta richiesta” e nel dispositivo ha autorizzato operazioni di quella
tipologia. Al contrario, il p.m. aveva chiesto di procedere ad intercettazione delle
conversazioni tra presenti che si sarebbero svolte all’interno dell’autovettura Mercedes
classe B tg. CT273K3, dal che discende l’effettiva divergenza tra le operazioni
specificate nell’istanza e quelle autorizzate dal giudice e poi in concreto eseguite.
2.3 Il Procuratore Generale presso questa Corte all’udienza di discussione ha
prodotto copia dell’ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Palermo ha

conoscitivi acquisiti per il tramite dell’attività intercettativa nel ragionamento

provveduto ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen. alla correzione del decreto in
questione mediante eliminazione dal suo testo della parola “telefoniche” e sostituzione
dell’indicazione “sulle utenze telefoniche” con l’inserimento in loro luogo
dell’indicazione che l’attività si sarebbe dovuta svolgere all’interno del veicolo
specificato nella richiesta. Si tratta dunque di verificare, a fronte delle obiezioni
difensive che negano validità a tale intervento, se l’ordinanza di rettifica sia idonea
allo scopo e quindi consenta di superare la fondatezza del secondo motivo di ricorso.
2.3.1 Osserva questa Corte che in linea generale e secondo il proprio pacifico
orientamento, alla procedura di correzione di errore materiale, prevista all’art. 130
cod. proc. pen. in riferimento a sentenze, ordinanze e decreti “inficiati da errori od
omissioni che non determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una

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//14/

modificazione essenziale dell’atto”, il giudice può fare ricorso per porre rimedio ad
imprecisioni o alla carenza di elementi che debbano necessariamente essere
ricompresi nel provvedimento, in modo tale, quanto al primo profilo, da adeguare
l’espressione formale ed esteriorizzata della decisione assunta al suo effettivo
contenuto e, quanto al secondo, da inserire mediante integrazione dati necessari, non
ricavati dall’esercizio postumo di un potere discrezionale. Non è consentito, invece,
apportare modifiche all’atto con inserimento di elementi non inclusi nella “ratio

(Cass. sez. 1, n. 6784 del 25/01/2005, Canalicchio, rv. 232939; Sez. U., n. 7945 del
31/01/2008, Boccia, rv. 238426). In ogni caso l’errore deve essere “materiale”, ossia
non attinente alla volontà decisoria estrinsecata nel provvedimento, ma soltanto alla
sua manifestazione all’esterno e, come tale, deve presentarsi come di immediata
rilevazione e soluzione attraverso un semplice intervento di adeguamento sostitutivo
o integrativo, con la precisazione che in questo secondo caso l’emenda sarà
consentita soltanto se i dati inseriti siano in rapporto di stretta dipendenza logicogiuridica con il contenuto della decisione e corrispondano ad una statuizione
necessitata a contenuto predeterminato, perché soltanto a questa condizione
l’integrazione mantiene intangibile il contenuto essenziale del giudizio, lo rende
coerente con i parametri normativi di riferimento e non trasforma il rimedio della
correzione in un anomalo mezzo d’impugnazione, che surrettiziamente consenta di
pervenire ad una diversa modulazione della decisione compiuta.
2.3.2 D caso di specie non si presta agevolmente ad essere risolto alla luce del
meccanismo di eliminazione degli errori materiali in relazione al fatto che il
provvedimento nella sua interezza presenta coerenza di riferimenti, quanto all’oggetto
dell’autorizzazione concessa, a conversazioni e comunicazioni telefoniche in difformità
dalla richiesta. Si tratta dunque di verificare se l’intervento correttivo sul decreto sia
ammissibile per avere fatto semplicemente emergere la reale volontà e l’intenzione
decisoria del giudice che lo ha pronunciato senza intaccarne la natura e la statuizione
assunta, e, nella conduzione di tale indagine, diviene essenziale poter considerare gli
atti investigativi compiuti ed il tenore e la quantità delle istanze di autorizzazione di
intercettazioni, rivoltegli dal magistrato inquirente in quel procedimento e sino a quel
momento. In altri termini, si pongono due alternative possibili: può essere accaduto
che per trascuratezza del g.i.p. sia stato semplicemente impiegato nella redazione del
decreto uno stampato precompilato afferente a diversa tipologia di attività
intercettativa, ma che l’intento del giudice fosse quello di aderire alla domanda, unica
di quel tenore, rivoltagli nella ravvisata sussistenza di tutti i presupposti di legge per
consentire l’attuazione concreta di quel mezzo di ricerca della prova ed in tal caso
dovrebbe essere consentito il ricorso alla procedura di correzione di errore non
concettuale, perché non incidente sul procedimento volitivo e valutativo seguito;

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decidendi” e tali da alternare il contenuto essenziale della decisione già adottata

seguito; diversamente, il g.i.p. potrebbe aver inteso consentire attività investigativa
da espletarsi con uno strumento diverso da quello richiesto, perché individuato in via
autonoma, oppure in conseguenza di una lettura inadeguata e travisante del
contenuto dell’istanza rivoltagli, ipotesi in cui l’errore avrebbe investito l’attività
cognitiva e percettiva, non emendabile nel suo risultato decisorio, per la nullità del
provvedimento, emesso in difformità dallo schema legale dettato dall’art. 267 cod.
proc. pen., comma 1. Siffatta disposizione pretende, infatti, che per procedere ad

consentite soltanto due opzioni decisorie, ovvero accogliere o respingere l’istanza, in
assenza di qualsiasi margine discrezionale di apprezzamento per disporre attività
differente quanto all’oggetto o
alle modalità esecutive, la cui individuazione appartiene alle scelte esclusive del
magistrato che conduce le indagini.
2.3.3 Ebbene, l’esito della verifica postulata dall’ordinanza di correzione implica
il possesso di un dato conoscitivo -l’unicità o meno della richiesta di autorizzazione a
condurre intercettazioni nel procedimento nr. 3706/2015 R.G.-, nonché
l’interpretazione della volontà del g.i.p. di aderire esattamente alla richiesta di cui era
investito, informazione cui questa Corte non ha accesso ed operazionech condurre in
base a dati fattuali, quindi interdettale per i limiti intrinseci del proprio potere
cognitivo; sebbene la costante lezione interpretativa ammetta che, a fronte della
deduzione di questione di natura processuale, il giudice di legittimità è giudice del
fatto e quindi può procedere alla lettura degli atti presupposto per l’applicazione della
disposizione di legge processuale in conformità alla previsione dell’art. 187 cod. proc.
pen., comma 2, quando la verifica richiesta riguardi un fatto storico oggettivo,
accaduto nel corso del procedimento e la sua valutazione, tale operazione deve essere
condotta dal giudice di merito. La Corte di cassazione ha, infatti, la possibilità di
esaminare direttamente gli atti del processo per verificare l’esistenza della violazione
di legge denunciata, ma non può spingersi sino ad interpretare in modo diverso,
rispetto a quanto compiuto dal giudice di merito, oppure a farlo direttamente, i fatti
storici posti alla base del dato processuale, se non nei limiti della mancanza o
manifesta illogicità della motivazione.
2.3.4 L’applicazione di tali principi al caso di specie induce a ritenere che la
produzione dell’ordinanza di correzione degli errori materiali contenuti nel decreto n.
386/2015 R.G. int. in sé non consenta di superare le doglianze difensive
sull’illegittima conduzione di attività captativa in esecuzione di provvedimento non
afferente a conversazioni o comunicazioni ambientali, ma telefoniche e ciò, non tanto
per l’inammissibilità in linea teorica di un intervento postumo di eliminazione di errori
o omissioni da un decreto di autorizzazione di intercettazioni, non ravvisandosi alcun
ostacolo normativo al riguardo, quanto per la difficoltà di rintracciare nel
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intercettazione il p.m. debba rivolgere una richiesta motivata al g.i.p., al quale sono

provvedimento stesso il reale pensiero ed intento del decidente, questione di fatto che
deve essere demandata al giudice a ciò preposto. Per il rilievo dirimente che assume
la questione in relazione all’elevata capacità rappresentativa delle conversazioni
captate, dalle quali sono stati desunti indizi di reità alla base dell’emissione del titolo
custodiale, l’ordinanza gravata va annullata con rinvio al Tribunale del riesame di
Palermo, che, previa verifica con gli atti trasmessigli, dovrà accertare se le
intercettazioni siano state validamente compiute in base a provvedimento

maggio 2016. In caso di esito negativo di tale accertamento, in sede di rinvio dovrà
essere altresì riscontrato se le specifiche conversazioni registrate il 3 ottobre 2015
all’interno dell’autovettura Mercedes classe B tg. CT273K3 siano state legittimamente
captate in esecuzione del decreto di proroga delle operazioni già consentite e se detto
ultimo provvedimento possa essere inteso ed operare effetti quale autonomo decreto
autorizzativo.
Si richiama a tal fine l’interpretazione già offerta dalla Suprema Corte, secondo
la quale “In materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, il decreto formalmente
qualificato “di proroga”, intervenuto dopo la scadenza del termine originario o già
prorogato, può avere natura di autonomo provvedimento di autorizzazione
all’effettuazione delle suddette operazioni, se dotato di autonomo apparato
giustificativo, che dia conto della ritenuta sussistenza delle condizioni legittimanti
l’intromissione nella altrui sfera di riservatezza” (Cass. sez. 5, n. 4572 del
17/07/2015, Ambroggio, rv. 265746; nei termini vedi altresì sez. 5, n. 10090 del
21/1/2002, Allegra, rv. 221832; sez. 1, n. 668 del 26/01/1999, Rasciale, rv.
212593). A favore di tale affermazione di principio milita la considerazione, per la
quale, analogamente a quanto accade ad un provvedimento di proroga intempestivo,
inidoneo a consentire la protrazione in continuità dell’attività intercettativa, anche nel
caso in cui il decreto originario sia nullo ed inefficace, quello formalmente volto a
disporre la prosecuzione delle operazioni, senza essere in grado di offrire titolo per il
valido compimento delle captazioni passate, che restano inutilizzabili ai sensi dell’art.
271 cod. proc. pen., può legittimare quelle future, sempre che possieda i requisiti di
forma e sostanza pretesi per una valida autorizzazione ai sensi dell’art. 267 cod. proc.
pen., ossia riveli un autonomo apparato giustificativo che, anche mediante richiamo
“per relationem” al contenuto di altri atti, dia conto dell’avvenuto apprezzamento dei
gravi indizi di reità in ordine alle fattispecie criminose indicate dagli artt. 266 e 266
bis cod.proc.pen. e della assoluta indispensabilità delle intercettazioni ai fini della
prosecuzione delle indagini.
All’esito di tale ordine graduale di accertamenti ed in caso di risposta negativa
agli stessi, il Tribunale dovrà impegnarsi nell’eventuale prova di resistenza, ossia nella
considerazione dei dati indiziari previa espunzione da tale compendio delle
8

autorizzativo e se lo stesso sia stato ritualmente emendato con l’ordinanza del 10

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ter L. 8 8 95 n. 332

“3 orna, lì

là.b. 2016

fine di individuare se le residue risultanze indiziarie siano sufficienti a giustificare
l’identico convincimento.

P. Q. M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo,
sezione per il riesame, cui dispone trasmettersi integralmente gli atti. Dispone

dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, 1’11 maggio 2016.

trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore

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