Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29347 del 11/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29347 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
POLIMENI DOMENICO N. IL 10/05/1943
avverso l’ordinanza n. 11744/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
MILANO, del 05/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
MINCHELLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. 4PAFti(“0

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 11/05/2016

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza in data 05.03.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Milano rigettava le istanza
volte ad ottenere il differimento dell’esecuzione per grave infermità o la detenzione
domiciliare, avanzate da Polimeni Domenico, detenuto in espiazione della pena
dell’ergastolo per omicidio, tentato omicidio ed altri reati, aggravati dalla finalità di
agevolazione delle attività di una cosca mafiosa.
Rilevava il giudice che il condannato era stato sottoposto dapprima ad intervento

chirurgico per l’asportazione di una neoformazione al rene sinistro e in seguito
all’asportazione del rene medesimo: tuttavia la documentazione sanitaria aveva attestato
che le complicanze post-operatorie erano state superate e il condannato risultava in buone
condizioni generali, con parametri vitali nella norma, esami ematochimici nella norma,
buon controllo del dolore con terapia adeguata; vi era stata una programmazione di visite
mediche ed esecuzione di accertamenti addominali, cardiologici, psichiatrici, dermatologici
ed ematici; non era emersa alcuna incompatibilità con la detenzione carceraria. Il
Tribunale di Sorveglianza osservava che non sussistevano le condizioni di grave infermità
che possono giustificare il differimento dell’esecuzione; che la struttura si era mostrata
adeguata ai bisogni; che erano somministrate congrue terapie ed era assicurato il rapido
accesso a presidi sanitari di eccellenza; infine si sottolineava il profilo di elevata
pericolosità sociale del condannato.
Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del suo difensore,
deducendo ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen l’erronea applicazione di
legge e l’illogicità della motivazione; si sostiene che la struttura carceraria non si era
dimostrata affatto capace, atteso che il primo ricovero per asportazione della
neoformazione era stata comunicata con ritardo al Magistrato di Sorveglianza poiché il
ricovero era stato deciso d’urgenza e poi era stato seguito da altro ricovero per
complicazioni, cui era seguita l’asportazione del rene; si afferma che il profilo di
pericolosità sociale non può prevalere sulla considerazione delle condizioni di salute.
Il P.G. chiede il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato poiché infondato.
Il ricorrente risulta essere sottoposto a detenzione dopo avere riportato la pena
dell’ergastolo per aver commesso gravissimi delitti.
In relazione ad una neoformazione al rene sinistro, egli era stato condotto più volte presso
luoghi di ricovero esterno, subendo anche l’asportazione del rene medesimo. Tuttavia il
giudice rilevava che le condizioni sanitarie generali del ricorrente erano buone e che i

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parametri vitali erano nella norma: pertanto riteneva non esservi alcuna condizione per
disporre il richiesto differimento dell’esecuzione.
Il ricorso si articola su due ordini di ragioni: in primo luogo, si contesta la competenza
della struttura sanitaria che si era occupata del condannato, sostenendo che egli era stato
costretto ad un ricovero di urgenza per l’asportazione della neoformazione e poi ad un
successivo ricovero a causa di complicazioni post-operatorie; in secondo luogo, si contesta
che il profilo di pericolosità sociale possa prevalere sulle considerazioni di ordine sanitario.
Ma tutte queste doglianze non possono trovare accoglimento.

ricorrere due autonomi presupposti. Il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva
della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di
altre rilevanti conseguenza dannose (gravità da intendersi in modo particolarmente
rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilità della pena sia del principio di
uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali:
principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta
esecuzione delle pene legittimamente inflitte). Il secondo requisito consiste nella possibilità
di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci
rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche
mediante ricovero in luoghi esterni di cura.
In altri termini, non è sufficiente che l’infermità fisica menomi in maniera anche rilevante
la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla
libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire
l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma
costituzionale.
Questo particolare rigore nella valutazione della gravità della infermità deriva dal
combinato disposto dei referenti di rango costituzionale cui la norma si richiama: essi sono
l’esigenza di certezza dell’esecuzione della pena e l’eguaglianza di fronte alla legge (art. 3
Cost.), il divieto di trattamenti disumani (art. 27 Cost.), il principio di legalità della pena
(art. 25 Cost.) e il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Ne consegue la necessità di un
bilanciamento degli interessi da parte del Giudice.
Quasi inutile, poi, sottolineare che non assume rilievo un carattere cronico della patologia,
dato che il requisito della guaribilità dell’infermità non è richiesta dalla norma (Sez. 1,
25.01.1991 n. 4363): per legittimare il differimento dell’esecuzione, la grave infermità
fisica deve od offrire una prognosi infausta quoad vitam o necessitare di cure e trattamenti
indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria
neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura (Sez. 1,
24.10.1995 n. 4727).
Sul punto, la motivazione dell’ordinanza impugnata è congrua, logica e conferente: essa
riporta tutti i particolari della positiva evoluzione clinica del ricorrente (complicazioni post2

Per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica devono

operatorie superate, esami ematochimici nella norma, discrete condizioni generali, buon
controllo del dolore, terapia farmacologica impostata, cicatrice addominale in ordine;
nessuna condizione sanitaria non fronteggiabile in carcere; nessun pericolo particolare;
quadro clinico tranquillizzante), rivelandosi esente dai vizi denunziati; con motivazione
fondata su un complesso di elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di
legittimità, tra loro logicamente correlati e fondati su accertamenti clinici e sanitari, il
giudice ha evidenziato le ragioni per le quali la condizione sanitaria complessiva del
ricorrente può essere adeguatamente trattata anche in costanza di regime detentivo

D’altra parte, la doglianza del ricorso, secondo la quale l’allocazione del ricorrente in
ambiente esterno al carcere sarebbe foriero di miglioramenti clinici, si presenta come
infondata: il differimento della pena per motivi di salute può essere giustificato solo con
l’impossibilità di praticare utilmente le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena,
non già dalla possibilità di praticarle meglio fuori della struttura penitenziaria (Sez. 1, n°
4960/1996, Rv 205750).
Il ricorso, inoltre, si limita ad una diffusa doglianza sulla asserita incapacità della struttura
sanitaria, senza considerare che, nel caso di specie, la stessa struttura ha consentito al
ricorrente di superare le complicazioni post-operatorie. Il giudice ha ben spiegato che la
struttura carceraria ha dimostrato, nella fattispecie, di sapere realizzare sia adeguati
approcci diagnostici, con tempestivo trasporto in un luogo di cura esterno, sia eventuali
improvvise condizioni di peggioramento, con altrettanto tempestivo intervento di strutture
ospedaliere specialistiche, alla medesima stregua di quanto potrebbe avvenire se la
persona interessata fosse libera o ristretta in condizioni di detenzione domiciliare.
In altri termini, risulta dalla motivazione impugnata che la situazione concreta non
determina uno stato morboso o uno scadimento fisico capace di determinare una
situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella
condizione di restrizione carceraria: al contrario, il Tribunale di Sorveglianza ha operato un
congruo richiamo agli atti, dando conto delle patologie riscontrate e della circostanza che
gli esiti clinici non forniscono indicazioni tali da supporre un pericolo di vita o conseguenze
dannose intollerabili per il ricorrente.
Ciò premesso, va allora evidenziato che il Tribunale di Sorveglianza ha sviluppato, con
argomenti coerenti, le ragioni per le quali ha ritenuto che non vi siano condizioni di salute
di gravità tali da giustificare il differimento dell’esecuzione e, quindi, il regime di
detenzione domiciliare.
Resta infine da esaminare l’ulteriore motivo di doglianza, e cioè quello relativo al profilo di
pericolosità sociale del ricorrente: premesso che l’assenza di ragioni sanitarie tali da
giustificare un differimento dell’esecuzione rende il secondo profilo di doglianza
pleonastico, è tuttavia doveroso rilevare come il Tribunale di Sorveglianza abbia dato atto,
con corretto criterio e osservanza di canoni logici, della peculiare pericolosità sociale del

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carcerario.

condannato, giungendo alla conclusione – alla stregua della sua condotta di vita connotata
da condanne per reati gravissimi e della sua contiguità ad una organizzazione di criminalità
organizzata – che si trattava di persona di elevatissima pericolosità sociale, escludendo
così che le condizioni di salute potessero elidere questa connotazione.
Si tratta di una conclusione legittimamente desunta, con ragionevole esposizione delle
motivazioni che inducono a bilanciare le esigenze della salute (comunque assicurate dai
presidi di cui all’art. 11 0.P.) con quelle della tutela della collettività.
Quasi inutile sottolineare che l’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione

l’applicabilità della detenzione domiciliare per un periodo di tempo determinato previsto
dall’art. 47 ter, comma 1 ter, della Legge n. 354 del 1975, poichè questa è istituto privo di
un ambito applicativo autonomo, in quanto concedibile, in via surrogatoria, a condizione
che ricorrano i presupposti legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e
147 cod.pen.
Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese “9(.49Cehhul..
Così deciso in Roma, il dì 11 maggio 2016.

del rinvio facoltativo od obbligatorio della esecuzione della pena preclude automaticamente

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