Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29338 del 29/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29338 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI CARLO FRANCO N. IL 22/07/1968
MERLINI MARCELLO N. IL 01/04/1964
avverso la sentenza n. 7419/2013 GIP TRIBUNALE di TERAMO, del
28/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 29/04/2015

Motivi della decisione
Di Carlo Franco ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Teramo in data 28.03.2014, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti in ordine al reato di
furto aggravato in fattispecie plurisoggettiva di cui al capo a) e della
contravvenzione di cui al capo b).
La parte, in termini meramente assertivi, denuncia l’inosservanza di norme
processuali e la mancanza di motivazione.

deducendo censure di tenore conforme a quelle ora richiamate.
I ricorsi, che si esaminano congiuntamente, sono inammissibili.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può

Ha proposto ricorso per cassazione anche il coimputato Marcello Merlini,

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.
Tanto chiarito, deve poi osservarsi che i ricorrenti non deducono alcuna
censura che attinga l’apparato motivazionale posto a fondamento della sentenza
impugnata, limitandosi a rilevare, in termini assertivi, l’illogicità della motivazione.
E questa Suprema Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione i
cui motivi siano generici, ovvero non contenenti la precisa prospettazione delle

3, Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980).
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00
ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q. M .
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di € 1.500,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 29 aprile 2015.

ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica (vedi, da ultimo, Cass. Sezione

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