Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29331 del 03/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29331 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1)Anglisani Paolo, nato 1’08/10/1961;

Avverso l’ordinanza n. 3512/2013 emessa il 15/07/2015 dalla Corte di
appello di Torino;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Aurelio
Galasso, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 03/05/2016

v

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 17/07/2015 la Corte di appello di Torino, quale
giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza finalizzata a ottenere la sospensione
dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti di Paolo Anglisani, presentata
ai sensi degli artt. 656, comma 5, cod. proc. pen., 90 e 94 del d.P.R. 9 ottobre
1990, n. 309.
Il provvedimento di rigetto veniva adottato dal giudice dell’esecuzione sul

tossicodipendenza, ma da ludopatia e che tale condizione soggettiva non
consentiva l’applicazione nei suoi confronti della disciplina derivante dal
combinato disposto degli artt. 656, comma 5, cod. proc. pen., 90 e 94 del d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309.
Né tantomeno la documentazione sanitaria allegata all’istanza risultava
idonea a comprovare l’esistenza di un programma di recupero terapeutico
dell’Anglisani, essendosi limitato l’istante a produrre una certificazione rilasciata
dall’ASL T04, nella quale si dava atto che era stato avviato un programma
consistente “in colloqui educativi e di sostegno”.
La Corte territoriale, in ogni caso, rilevava che il provvedimento sospensivo
richiesto non poteva essere concesso, atteso che il titolo per il quale era in corso
di esecuzione la pena detentiva di cui si chiedeva la sospensione terapeutica
riguardava un’ipotesi di reato ostativo compresa nella previsione dell’art. 4-bis
Ord. Pen.

2.

Avverso tale ordinanza l’Anglisani ricorreva personalmente per

cassazione, deducendo vizio di motivazione, in relazione agli artt. 656, comma 9,
cod. proc. pen. e 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, in riferimento alla ritenuta
insussistenza dei presupposti per la concessione della sospensione
dell’esecuzione della pena detentiva invocata in suo favore, che erano stati
valutati dalla Corte di appello di Torino con un percorso motivazionale
contraddittorio e manifestamente illogico, che disattendeva le emergenze
processuali.
Si evidenziava, in particolare, che il giudice dell’esecuzione aveva rigettato il
provvedimento sospensivo richiesto sulla base dell’erroneo presupposto che la
tossicodipendenza e la ludopatia non erano assimilabili sul piano nosografico,
trascurando che tale assimilazione conseguiva alla predisposizione di appositi – e
analoghi – programmi di recupero terapeutico presso le strutture sanitarie
territoriali.

2

presupposto che, nel caso di specie, il condannato non risultava affetto da

Sotto altro profilo, si evidenziava che il divieto di sospensione
dell’esecuzione della pena detentiva previsto dall’art. 656, comma 9, lett. a),
cod. proc. pen., pur avendo carattere generale non poteva ritenersi applicabile
nei confronti dei condannati affetti da tossicodipendenza, attesa la natura
eccezionale della previsione normativa contenuta nell’art. 94 del d.P.R. n. 309
del 1990.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento dell’ordinanza

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che la disciplina della sospensione
dell’esecuzione della pena detentiva di cui agli artt. 656, comma 5, cod. proc.
pen., 90 e 94 del d.P.R. n. 309 del 1990, atteso il suo carattere eccezionale, si
applica ai soli condannati affetti da tossicodipendenza. Ne consegue che tale
disciplina non è applicabile ai soggetti affetti da ludopatia o da dipendenze,
ancorché assimilabili, differenti dalla tossicodipendenza, conformemente alla
giurisprudenza consolidata di questa Corte in relazione all’art. 90 del d.P.R. n.
309 del 1990 (cfr. Sez. 1, n. 42562 del 06/11/2008, De Giovanni, Rv. 241719;
Sez. 1, n. 12372 del 21/03/2006, Sitzia, Rv. 233861).
Non sussistono, invero, precedenti giurisprudenziali specifici che, in tema di
ludopatia, consentano di avvalorare le conclusioni della Corte di appello di
Torino.
Tuttavia, a favore della soluzione ermeneutica posta a fondamento
dell’ordinanza impugnata milita un argomento sistematico decisivo, costituito dal
tenore univoco del disposto del primo periodo dell’art. 656, comma 4, cod. proc.
pen., secondo cui: «Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di
maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti
dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei
casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il
pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende
l’esecuzione […]».
Queste considerazioni di ordine sistematico appaiono dirimenti e
prescindono dall’inquadramento nosografico della ludopatia, rispetto al quale,
peraltro, lo stesso ricorso in esame si limita a prospettare genericamente
l’assimilazione di tale condizione soggettiva a quella della tossicodipendenza e

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impugnata.

,

della alcool-dipendenza, senza fornire indicazioni scientifiche ed ermeneutiche
idonee a supportare la dedotta assimilazione.
Ne consegue che l’esclusione della ludopatia dal beneficio sospensivo di cui
agli artt. 656, comma 5, cod. proc. pen., 90 e 94 del d.P.R. n. 309 del 1990 non
discende dalla rilevanza nosografica di tale disturbo compulsivo – non essendo
contestabile il suo inquadramento come disturbo psichico alla stregua dei
parametri elaborati dal DSM V, che costituisce l’ultima versione del Manuale
diagnostico dei disturbi mentali, pubblicato a cura

dell’American Psychiatric

prevista per le sole ipotesi di dipendenza da sostanze stupefacenti.
Né tantomeno la documentazione allegata a supporto di tali deduzioni
appare idonea a ipotizzare, sul piano clinico, un’equiparazione di tali condizioni
patologiche – nei termini motivazionali correttamente esplicitati a pagina 2 del
provvedimento impugnato – limitandosi la certificazione rilasciata dall’ASL T04
ad attestare che era stato avviato un percorso di supporto psicologico
dell’Anglisani fondato su colloqui periodici, senza entrare nel merito del disturbo
psichico dal quale il condannato risultava affetto.
Queste ragioni processuali impongono di ritenere infondata la doglianza
difensiva esaminata.

2. Quanto alla residua doglianza difensiva, riguardante la sussistenza di una
preclusione processuale derivante dall’art. 4-bis Ord. Pen., deve rilevarsi che i
divieti previsti dall’art. 656, comma 9, cod. proc. pen., hanno carattere generale
e sono applicabili anche nei confronti dei condannati affetti da tossicodipendenza
che stiano seguendo un programma di recupero terapeutico.
.Sul punto, la motivazione del provvedimento impugnato risulta ineccepibile,
così come desumibile dal passaggio esplicitato a pagina 3, laddove si richiama la
giurisprudenza di questa Corte che esclude l’applicazione della disciplina dell’art.
656, comma 9, cod. proc. pen. nelle ipotesi in cui il titolo di reato in esecuzione
sia compreso nel novero dell’art. 4-bis Ord. Pen. (cfr. Sez. 1, n. 25310 del
17/06/2010, Santilli, Rv. 247731).
Né sussistono oscillazioni interpretative che impongano di ritenere
modificato il quadro ermeneutico di riferimento in tema di applicazione dell’art.
656, comma 9, cod. proc. pen., conformemente alla giurisprudenza consolidata
di questa Corte secondo cui: «Neanche nei confronti del tossicodipendente che
abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi può
essere disposta la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656
cod. proc. pen., allorché egli sia stato condannato per reato ostativo alla sua
concessione ai sensi del comma nono di detto articolo, in quanto i divieti di
4

Association (APA) – ma dalla natura della disciplina invocata, espressamente

sospensione sanciti dalla disciplina codicistica hanno carattere generale» (cfr.
Sez. 1, n. 39134 del 02/10/2008, De Giovanni, Rv. 241148).
Queste ragioni processuali impongono di ritenere infondata la doglianza
difensiva esaminata.
3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di Paolo Anglisani
essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 03/05/2016.

P.Q.M.

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