Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29329 del 29/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29329 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RISTESKI GOLUB N. IL 08/03/1977
GORGEVIK ZORANO N. IL 25/07/1985
RISTESKI LUKA N. IL 19/04/1984
RISTEVSKI ZORAN N. IL 01/04/1975
avverso la sentenza n. 7308/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
14/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 29/04/2015

Motivi della decisione
Risteski Gulob, Gorgevik Zorano, Risteski Luca e Risteski Zoran, a mezzo del
difensore, hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di
Appello di Roma del 14.06.2012, con la quale, in parziale riforma della sentenza di
condanna resa dal Tribunale di Roma in data 17.12.2007, nei confronti dei
prevenuti, in relazione al reato di furto aggravato di energia elettrica, esclusa la
recidiva per tutti gli imputati, è stata rideterminata la pena loro originariamente
inflitta.

riferimento alla affermazione di responsabilità penale. Le parti reiterano la
doglianza, dedotta in sede di appello, relativa al mancato apprezzamento del fatto
che le baracche in uso agli imputati fossero pure dotate di generatori di corrente, al
fine di escludere la prova del furto di energia elettrica.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che i ricorrenti deducono censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la
Corte di Appello si è espressamente soffermata sulla questione sopra richiamata,

Gli esponenti, con unico motivo, deducono il vizio motivazionale, in

osservando: che la dotazione di un generatore elettrico non era emersa all’esito
dell’accesso della polizia giudiziaria presso il campo nomadi; e che, nel verbale di
arresto degli imputati, si dà atto della presenza di 15 cavi elettrici, della lunghezza
totale di metri 180, utilizzati per il collegamento abusivo alla rete di fornitura della
società ACEA.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00
ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 29 aprile 2015.

P.Q.M.

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