Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29322 del 29/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29322 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FOGAZZA ATTILIO PIERO N. IL 15/09/1971
avverso l’ordinanza n. 1589/2015 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del
09/12/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONCA BON3;,
-lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor vv.;

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Data Udienza: 29/04/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 9 dicembre 2015 il Tribunale di Palermo confermava
l’ordinanza emessa il 28 novembre 2015 dal G.i.p. del Tribunale di Sciacca, con la quale
era stata applicata a Piero Attilio Fogazza la misura cautelare della custodia in carcere, in
quanto gravemente indiziato del delitto di concorso nell’omicidio aggravato e dei
connessi reati in materia di armi, commessi in Partanna in data 21 maggio 2009 in danno
di Salvatore Lombardo, pregiudicato per reati contro il patrimonio, attinto da due colpi di

le ore 19.10 e le ore 19.15.
1.1 A fondamento della decisione il collegio del riesame indicava un compendio
indiziario grave, costituito da:
– due conversazioni intercettate in ambientale tra Giuseppe Tilotta e Giuseppe Bongiorno,
nel corso della prima, del 13 febbraio 2015 ) i due avevano discusso del fatto che il
Lombardo, indicato col suo soprannome di “Fungiazza”, aveva sottratto un camion di
merce dal supermercato di Mimmo Scimonelli, pagando il fatto con la vita, tanto da
essere morto con la faccia a terra per colpi di arma da fuoco esplosi al suo indirizzo in
luogo corrispondente alla sede dello “Smart Cafè”, dopo aver raggiunto quel punto
provenendo dalla sede della caserma dei Carabinieri, ove aveva adempiuto all’obbligo di
firma;
– dall’effettiva verificazione in data 18 dicembre 2008 di un furto in danno del
supermercato Despar di Partanna, gestito da Domenico Scimonelli, con sottrazione di
merce e di un autocarro, come denunciato dal titolare;
– dalla corrispondenza dell’appellativo “Fungiazza” al soprannome della vittima, secondo
quanto riferito dalla di lui moglie;
– dalla localizzazione del veicolo sul quale avevano viaggiato il Tilotta ed il Bongiorno il 13
febbraio 2015 quando era stata captata la conversazione indiziante nei pressi dello
“Smart Cafè” ove si era verificato l’omicidio, come rilevato dal sistema GPS;
– dall’effettiva appartenenza dello Scimonelli all’organizzazione mafiosa “cosa nostra”,
tanto da aver riportato condanne irrevocabili per il delitto di cui all’art. 416-bis quale
favoreggiatore della latitanza di Matteo Messina Denaro e per estorsione e
dell’inserimento in tale contesto criminoso anche del Tilotta, sottoposto ad indagini per
tale ragione;
– dalle dichiarazioni rese da Francesco Giammarinaro, pregiudicato come il Lombardo e
suo amico, secondo il quale questi aveva temuto di essere identificato quale autore di un
furto di generi alimentari in danno di un supermercato nella titolarità di un “pezzo
grosso” locale, per il quale gli erano state chieste spiegazioni da altri esponenti
dell’organizzazione mafiosa.
Ulteriori approfondimenti avevano condotto ad utilizzare dati investigativi emersi in
altra precedente indagine condotta nei confronti di Nicolò Nicolosi per azioni criminose
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arma da fuoco a canna lunga cal. 12 all’ingresso di un esercizio pubblico di Partanna tra

riconducibili al contesto mafioso, per le quali egli aveva riportato condanna in entrambi i
giudizi di merito per dedurne precisi elementi, indicativi del possesso in capo a costui ed
all’indagato del veicolo a bordo dei quali gli esecutori dell’omicidio avevano seguito la
vittima e poi realizzato la sparatoria.
1.2 Il Tribunale ravvisava altresì elementi sufficienti ed idonei per configurare le
circostanze aggravanti contestate della premeditazione e della commissione con modalità
mafiose e per agevolare l’associazione mafiosa al fine di punire il presunto autore del
furto subito pochi mesi prima da Domenico Scimonelli.

di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, anche la sussistenza in concreto j del pericolo
di recidivazione specifica e di inquinamento probatorio in relazione alle modalità feroci
del delitto omicidiario, all’inclinazione all’uso della violenza, al possibile condizionamento
dei testimoni in un contesto locale pervaso dalla presenza dell’organizzazione mafiosa.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato personalmente, il
quale ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:
a) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 5, per omessa
trasmissione dei supporti contenenti le intercettazioni ambientali e telefoniche utilizzate
per individuare i gravi indizi di reità: tale materiale non è stato fornito al Tribunale, che
quindi non ha udito le voci registrate e la difesa tecnica, pur avendone fatto richiesta, ha
ricevuto un supporto telematico privo delle intercettazioni di cui sopra, con la
conseguente nullità, invalidità ed inefficacia dell’ordinanza che riporta le intercettazioni.
b) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 273 cod. proc. pen.,
commi I e II e 274 cod. proc.pen. e contraddittorietà della motivazione.
Il Tribunale, senza offrire congrue risposte alle obiezioni contenute nell’atto di riesame,
non ha tenuto conto del fatto che la vittima dell’omicidio era un pregiudicato di tipo
comune, dedito a condotte delittuose contro il patrimonio e la famiglia, privo di interesse
per le sorti dell’organizzazione mafiosa e che nel 2009 il presunto mandante non aveva
assunto alcun ruolo apicale in tale associazione, come non lo ha neppure ora, essendo
stato tratto in arresto nell’agosto del 2015 e da allora in attesa di giudizio, sicché
l’omicidio non poteva aver agevolato “cosa nostra”. In ogni caso non è configurabile la
circostanza aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203/91 perché l’eventuale agevolazione
realizzata in favore di un esponente del sodalizio mafioso, quello Scimonelli al quale il
Lombardo aveva sottratto un camion, non equivale ad avvantaggiare tutto il consesso.
Le conversazioni intercettate nei confronti del Tilotta, soggetto della cui appartenenza al
sodalizio mafioso non vi è accertamento giudiziale, essendo soltanto sottoposto ad
indagini, non contengono alcun riferimento alla persona di esso ricorrente e non provano
il possesso di notizie, che non siano tratte dalla stampa. Quello addebitato non è un
omicidio di mafia, perché posto in essere nell’interesse del solo Scimonelli ed anche le
intercettazioni relative al procedimento n. 10944/08 RG.DDA. non offrono elementi a
proprio carico, in quanto:

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1.3 Quanto alle esigenze cautelari, veniva ravvisata oltre alla presunzione relativa

- i testi presenti al delitto hanno descritto zione compiuta da due soggetti privi di

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copricapo, viaggianti a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro, uno dei quali aveva
imbracciato un fucile a pallettoni;
-le immagini delle telecamere degli esercizi commerciali della zona non provano che il
veicolo raffigurato, viaggiante dietro al mezzo condotto dalla vittima, fosse una
Volkswagen Polo, nè che il primo fosse seguito, posto che gli orari indicati dalle
telecamere non collimerebbero tra di loro;
– i contatti tra il Nicolosi ed il Messina per il passaggio di proprietà relativo ad una

visto esso ricorrente a bordo della propria vettura data in permuta al Nicolosi, questa
circostanza non vera non è indiziante, essendo essi colleghi di lavoro, impegnati in quel
periodolkella vendita di autovetture;
– il parcheggio del veicolo nei pressi dell’abitazione di campagna di tale Mario Spata
costituisce un dato neutro, poiché lo Spata ha riferito di non essere stato preoccupato
per qualche cosa contenuta nell’autovettura e di averne chiesto la rimozione in quanto
era atteso l’arrivo imminente in Sicilia del figlio e dei suoi fannigliari che avrebbero
occupato quell’alloggio; inoltre, per avere lo Spata comunicato ad esso ricorrente di
essere stato convocato dalle forze dell’ordine in merito all’autovettura, ciò prova
l’assenza di qualsiasi inquinamento probatorio;
– le dichiarazioni rese in data 02/12/2011 da tale Salvatore Sciacca, genero della vittima,
erano diverse da quelle fornite nell’immediatezza dei fatti e comunque consentivano di
ricondurre l’omicidio a vicende criminose comuni, mentre soltanto a distanza di anni
aveva riferito di aver visto la mattina del delitto mentre era col suocero in campagna
transitare una Volkswagen Polo, particolare mai rivelato prima e smentito dal figlio della
vittima, secondo il quale l’episodio si era verificato quindici giorni prima della morte del
padre;
– anche i rilievi in ordine alla presenza del titolare dello “Smart Cafè”, Rosario Scalia,
intento a giocare a carte e bere con la vittima prima del delitto e di un autocarro Despar
nei pressi per agevolare la fuga dei sicari costituiscono circostanze non dimostrate, posto
che quanto riferito da Antonella Chiaramonte, moglie del Lombardo, sui sospetti insorti
per la posizione del mezzo a bloccare la strada non era stato affermato nella prima fase
delle indagini, allorchè aveva riferito degli incontri del marito con lo Scimonelli e del suo
successivo nervosismo;
– l’aggancio il giorno del delitto delle celle telefoniche di Partanna, Castelvetrano, Santa
Ninfa e Gibellina da parte dei cellulari degli indagati non è significativo, poiché tutti
vivevano e lavoravano in quest’area e sia prima, che dopo i fra di essi non erano incorsi
contatti sospetti e stranamente egli, nonostante gli ottimi esiti dell’operazione, non era
stato più impiegato per altre finalità dell’organizzazione;
– la conversazione intercettata il 17 maggio 2009 tra il Nicolosi ed esso ricorrente alla
presenza silenziosa anche dello Scimonelli non è comprensibile e non è riferita ad

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Volkswagen Polo non provano nulla in quanto, sebbene il Messina abbia riferito di aver

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omicidio poiché il primo aveva cercato di procurarsi una moto, mezzo non utilizzato per il
delitto, mentre il 16 maggio non erano stati nella disponibilità delle “pillole”;
-le conversazioni delle ore 19.38 del 21 maggio 2009 avevano agganciato la cella di
Castelvetrano Ovest e via Tagliata e quindi l’autovettura sulla quale avevano viaggiato gli
indagati non poteva essere stata sul teatro della sparatoria alle ore 19.17 avendo dovuto
affrontare il traffico cittadino per cui le quattro possibili vie di fuga per circa otto km. non
collimano con i tempi e le celle agganciate durante il percorso.
Inoltre, poiché il delitto risale a sei anni orsono ed egli non è stato coinvolto in altre

fuga, avendo lavoro e famiglia a Gibellina ed abitudini di vita regolari, non alterate
nemmeno dopo aver saputo dallo Spata dell’interesse investigativo per l’auto
parcheggiata nelle sue campagne. Pertanto, non sussistono ragioni per mantenere la
custodia in carcere, ben potendo essere idonea anche quella domiciliare con braccialetto
elettronico, tanto più che egli è incensurato, un onesto lavoratore, non pericoloso.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi, il primo manifestamente
infondato, i restanti inerenti la valutazione del materiale probatorio e basati su un
percorso critico indifferente al ragionamento valutativo esposto nell’ordinanza
impugnata.
1.In primo luogo, l’eccezione preliminare in rito non è stata correttamente
formulata e postula un assunto che non trova fondamento in alcuna norma processuale,
poiché non è imposto all’autorità giudiziaria, chiamata a vario titolo a valutare i risultati
dell’attività di intercettazione, di procedere all’ascolto diretto e personale dei supporti
magnetici contenenti le registrazioni realizzate, ben potendo nel sub-procedimento
cautelare avvalersi delle trascrizioni effettuate dal personale di polizia giudiziaria,
ancorchè non realizzate nella forma di una perizia. In linea generale, potrebbe porsi la
necessità o l’opportunità di procedere all’ascolto o alla visione dei nastri soltanto qualora
fosse dedotta, -e nel caso non lo è-, in modo specifico e puntuale da parte della difesa,
che abbia proceduto in via privata all’audizione o alla visione dei supporti, la difformità
tra quanto registrato ed in essi contenuto e quanto l’accusa pretenda di ricavarne e
riportato negli atti attestanti le investigazioni condotte; soltanto a fronte di siffatta
specifica attività deduttiva spetta al Tribunale l’obbligo di accertamento e di offrire
congrua risposta nella motivazione del proprio provvedimento.
1.1 Oltre a tale preliminare rilievo, il ricorso lamenta la violazione del disposto
dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 5, per non avere “l’autorità giudiziaria che aveva
nella materiale disponibilità tutti gli atti a sostegno del provvedimento gravato”
trasmesso al Tribunale del riesame tale materiale, comprensivo dei supporti contenenti le
conversazioni registrate. Ebbene, così formulata, la doglianza assume che tali sypporti
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vicende, non può definirsi soggetto pericoloso, né affermarsi che potrebbe darsi alla

siano stati offerti dall’Ufficio requirente alla valutazione del G.i.p. a sostegno della
domanda di applicazione della misura custodiale, ma non indica nemmeno a livello di
allegazione alcun elemento che ne offra dimostrazione.
1.1.1 Del resto, la disposizione di cui all’art. 291 cod. proc. pen., comma 1, non
impone al p.m. di trasmettere al giudice tutti gli atti d’indagine sino a quel momento
compiuti nella loro integrità, ma soltanto quanto è necessario a dar conto dei
presupposti, quanto agli indizi di reità ed alle esigenze cautelari, pretesi dall’ordinamento
per l’accoglimento della propria domanda: con particolare riferimento alle intercettazioni

l’obbligo di trasmettere, ai sensi e per gli effetti dell’art. 309 cod.proc.pen., comma 5, i
supporti informatici contenenti captazioni o videoriprese utilizzate ai fini dell’imposizione
delle misure cautelari quando i relativi esiti siano riportati nell’annotazione di polizia
giudiziaria o nei “brogliacci”, intesi quali sintesi informali e sommarie del contenuto delle
conversazioni o delle immagini registrate, compiute dal personale di polizia addetto
(Cass. sez. 1, n. 15895 del 09/01/2015 Riccio, rv. 263107; sez. 6, n. 37014 del
23/09/2010, Della Giovarnpaola e altri, rv. 248747). Pertanto, i risultati delle
intercettazioni sono utilizzabili nel procedimento cautelare anche se il pubblico ministero
non abbia allegato i relativi supporti (sez. 3, n. 19198 del 05/02/2015, Fiorenza, rv.
263798; sez. 1, n. 33819 del 20/06/2014, Iacobazzi, rv. 261092; sez. 1, n. 34651 del
27/5/2013, Ficorri, rv. 257440; sez. 2, n. 8837 del 20/11/2013, Chinzeagulov e altro, rv.
258788; sez. 5, 17 luglio 2008, n. 37699), né la mancata trasmissione della
documentazione relativa alle operazioni di ascolto di intercettazioni telefoniche o
ambientali può determinare la perdita di efficacia della misura cautelare applicata ma,
eventualmente, l’inutilizzabilità degli esiti delle attività di captazione, se eseguita in
violazione dell’art. 267 cod. proc. pen. e dell’art. 268 cod. proc. pen.,commi 1 e 3, (sez.
3, n. 19101 del 07/03/2013, D., rv. 255117), circostanza quest’ultima in alcun modo
dedotta dal ricorrente.
1.1.2 I superiori principi, ribaditi sino alle più recenti pronunce di questa Corte, non
ricevono smentita dalle sentenze della Corte costituzionale n. 336/2008 e delle Sezioni
Unite di questa Corte n. 20300 del 22/4/2010, Lasala, rv. 246908, che non hanno affatto
stabilito l’obbligatoria trasmissione da parte del p.m., anche in esito a richiesta della
difesa, dei brogliacci o dei “files audio”, né l’obbligo in via generale del Tribunale per il
riesame di acquisire tali atti e di ascoltare le registrazioni. La Corte costituzionale ha
riconosciuto come spetti al difensore ad ottenere la trasposizione su nastro magnetico
delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini
dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate e ciò al fine di
acquisire la materiale possibilità di formulare contestazioni relative al loro utilizzo quale
fonte di prova; le Sezioni unite hanno esaminato le medesime tematiche in riferimento
alla sorte di quelle intercettazioni in ordine alle quali la difesa abbia tempestivamente
richiesto al p.m. i “files audio” e non li abbia ottenuti in assenza di una spiegazio e valida

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o alle registrazioni filmate, alcuna norma e tanto meno l’art. 291 citato, prescrive

ed apprezzabile come tale nella sua fondatezza da parte del Tribunale del riesame e
hanno affermato che quando tale situazione si verifichi l’attività di formazione della prova
è colpita da nullità generale a regime intermedio con la conseguente inutilizzabilità delle
conversazioni intercettate, i cui supporti magnetici non siano stati resi disponibili per la
parte richiedente.
1.1.3 Nel caso specifico il ricorrente non ha dato prova in alcun modo di avere
richiesto la consegna di copia dei “files audio” e che il supporto rilasciatogli fosse privo
delle registrazioni da ascoltare, il che è tanto più rilevante in quanto l’impugnazione

contestare la conformità al vero di quanto riportato nelle trascrizioni utilizzate per le
decisioni cautelari. Pertanto, è generica, oltre che priva di fondamento giuridico, la
censura incentrata sull’omesso ascolto diretto delle registrazioni da parte del Tribunale,
al quale non risulta nemmeno fosse stata posta la questione, che è stata articolata con le
modalità inidonee sopra riscontrate soltanto con il ricorso all’odierno esame.
2. Col secondo motivo il ricorrente contesta il procedimento di valutazione del
compendio indiziario, che a suo dire il Tribunale avrebbe risolto mediante la pedissequa
conferma delle argomentazioni contenute nell’ordinanza applicativa della misura, pur
nell’assenza di un quadro indiziario sufficiente ed idoneo, contestato con specifici rilievi
scritti con l’atto di riesame. Al contrario, il collegio del riesame ha offerta un’attenta
disamina del materiale indiziario, che ha sottoposto a verifica con metodo analitico
riguardante ciascun indizio, saggiato individualmente nella sua certezza e nella sua
capacità rappresentativa, quindi in una valutazione globale e coordinata che risponde
esattamente ai criteri dettati dall’art. 192 cod. proc. pen., comma 2.
2.1 In particolare, il ricorrente nega la matrice mafiosa dell’omicidio per non essere
stata la vittima intranea a quel contesto e non avere il presunto mandante ricoperto un
ruolo apicale nell’organizzazione mafiosa, sicchè il delitto non avrebbe agevolato la
compagine di “cosa nostra”. In realtà l’ordinanza impugnata, sulla scorta di quanto
affermato nelle conversazioni intercettate tra tale Tilotta ed il suo dipendente Bongiorno,
nonché di quanto riferito dal teste Giammarinaro, che aveva raccolto le confidenze della
vittima di cui era amico, ha evidenziato come la causale dell’uccisione del Lombardo
avesse natura ritorsiva e punitiva per essere stato costui identificato quale autore di un
furto commesso qualche mese prima in danno di Domenico Scimonelli, soggetto già
condannato irrevocabilmente per partecipazione ad associazione di stampo mafioso,
incendio, danneggiamento ed estorsione e considerato tuttora personaggio di rispetto,
tale da non tollerare azione criminosa di tal natura in danno della sua attività
commerciale. Pertanto, non è dato comprendere il rilievo sull’assenza del ruolo di
dirigente del sodalizio mafioso locale del presunto mandante; l’ordinanza in verifica ha
già posto in evidenza come, nella logica tipicamente mafiosa e negli interessi della
consorteria a mantenere il controllo sul territorio d’influenza, non fosse ammissibile che
uno “sgrarro” di quella natura e che aveva causato tale pregiudizio economico restasse

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sviluppa plurimi rilievi in ordine al contenuto delle conversazioni senza peraltro

impunito. Inoltre, si rileva che la circostanza aggravante dell’art. 7 L. n. 203/91 è stata
contestata in relazione ad entrambi i profili possibili, quindi anche al metodo mafioso
impiegato nella realizzazione del delitto, che il collegio del riesame ha ravvisato nelle sue
modalità spietate ed eclatanti, altamente dimostrative, per l’avvenuta esecuzione a volto
scoperto da parte di due sicari in pieno giorno ed in luogo pubblico, frequentato da
numerose persone, tant’è che ancora nel 2015 il Tilotta ne aveva parlato descrivendone
la dinamica.
2.2 Risponde poi al vero che nella conversazione del Tilotta nel 13/2/2015 non era

riferimenti allo svolgimento dell’azione, alla causale ed al mandante, che ha posto in
relazione con le ulteriori emergenze investigative incentrate sul ruolo di organizzatore ed
esecutore, unitamente al ricorrente, svolto nella vicenda da Nicolò Nicolosi, soggetto già
condannato in via definitiva per tentato danneggiamento aggravato ed inserito nella
criminalità organizzata trapanese, risultato in stretti rapporti nei giorni antecedenti e
successivi all’omicidio, sia con lo Scimonelli, sia col Fogazza. Dalle conversazioni
intercettate i giudici cautelari con uno sviluppo argomentativo logico e coerente, oltre
che fedele ai dati probatori acquisiti, di cui hanno diffusamente dato conto in
motivazione, hanno inferito: l’avvenuta organizzazione anticipata del delitto da parte del
Nicolosi e del Fogazza con la ricerca del mezzo e delle armi per poterlo eseguire, oltre
che mediante studio delle più opportune modalità; l’avvenuta decisione di impiegare
l’autovettura intestata a Valeria Messina ed affidata dal di lei padre in conto permuta al
Nicolosi, risultata corrispondere per modello, marca, colore, dimensioni al veicolo di
piccola cilindrata di colore nero a bordo del quale, secondo due testi oculari, che ne
avevano fornito la descrizione, si erano allontanati gli autori della sparatoria letale; il suo
previo occultamento presso l’abitazione di campagna di Mario Salta nell’interesse del
Nicolosi e del Fogazza che avevano condiviso l’esigenza di non dimostrare la disponibilità
del mezzo; il prelievo la mattina dell’omicidio; il transito, dimostrato dalle videoriprese,
di un veicolo con quelle caratteristiche ed una targa prova in andata e ritorno lungo lo
stesso tragitto percorso dal Lombardo a bordo dell’autovettura di un amico per
raggiungere la caserma dei Carabinieri e poi lo “Smart Cafè”, ove immediatamente dopo
era stato ucciso. Dagli esiti dell’attività captativa si è dedotto altresì l’interessamento del
Nicolosi nei giorni immediatamente successivi all’omicidio per effettuare il passaggio di
proprietà della Volkswagen Polo, intestata alla Messina, adempimento non effettuato in
precedenza nonostante la consegna in permuta alla concessionaria di Gino Verderame e
Nicolò Nicolosi, avvenuta tempo prima. Oltre a tali già significative risultanze, l’ordinanza
in verifica ha evidenziato come dall’analisi dei dati relativi al traffico telefonico fosse
possibile affermare che il Nicolosi, il Fogazza e lo Scimonelli si erano trovati a Partanna
nelle ore immediatamente precedenti l’omicidio e durante la sua esecuzione, che i primi
due erano stati assieme verso le ore 18.00, avendo il Fogazza utilizzato il telefono
cellulare del Nicolosi per effettuare una chiamata, così come lo erano i.ti subito dopo
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stato pronunciato il nome del Fogazza, ma il Tribunale ne ha dedotto ampi ed attendibili

alle ore 19.21. In questi frangenti entrambi mediante chiamate distinte a tale Giuseppe
Genna avevano richiesto di fornire loro immediatamente un’autovettura col pretesto di
essere rimasti a piedi, cosa non verificatasi, ed avevano convenuto tra loro sulla
necessità di pulire qualcosa e rimuovere le targhe al fine di non utilizzare il mezzo a
bordo del quale si erano trovati, rivelando così l’urgenza di dismettere l’uso di quel
veicolo nella condivisa consapevolezza del valore indiziante di quella presenza perchè a
bordo dello stesso era stato commesso il delitto e di eliminare anche le targhe che
avrebbero potuto condurre alla sua individuazione e, tramite l’identificazione del mezzo,

possibili tragitti praticabili tra il luogo dell’omicidio e la zona coperta dalle celle
telefoniche agganciate dal cellulare del Nicolosi alle ore 19.21 sono state indicate come
significative della possibilità di effettuare quei percorsi dopo aver realizzato la sparatoria,
mentre le circostanze indicate a confutazione nel ricorso non possono essere
direttamente apprezzate dal giudice di legittimità e non sono nemmeno riscontrate dalla
produzione degli atti di p.g. richiamati, risultando lo stesso anche privo di
autosufficienza.
2.3 Ebbene, con l’impugnazione il ricorrente propone una lettura alternativa dei dati
informativi acquisiti, cui attribuisce un valore non significativo in chiave minimizzante,
che comunque questa Corte, per i limiti intrinseci della propria cognizione, non può
apprezzare, riguardando l’attitudine dimostrativa del materiale probatorio e le
conseguenze che si pretende di ricavarne e che comunque è metodologicamente errata,
perché volta ad esaminare ciascun elemento in modo isolato e frammentario nell’omesso
doveroso esame complessivo, il tutto in contrasto con i criteri legali di valutazione dettati
dall’art. 192 cod. proc. pen..
Pertanto, poco importa che i contatti tra il Nicolosi ed il Messina per il passaggio di
proprietà relativo ad una Volkswagen Polo riguardassero una trattativa lecita di permuta
e che il primo ed il Fogazza si fossero occupati della vendita di autovetture, poiché
l’ordinanza impugnata ha esposto precisi elementi probatori per desumere che essi per
tali ragioni avevano avuto la disponibilità ed avevano fatto uso prima, in concomitanza e

anche a collegarli all’omicidio. Infine, le verifiche sui tempi di percorrenza lungo tutti i

subito dopo l’omicidio di un veicolo corrispondente alle caratteristiche del mezzo usato
per la sparatoria contro il Lombardo e che sino a quel giorno avevano occultato per
finalità illecite pressoObitazione dello Spata, mostratosi preoccupato per la presenza ”
della vettura e per quanto in essa contenuto. Del pari che i coindagati e lo Scirnonelli
siano residenti ed operino nella zona di Partanna, Castelvetrano, Santa Ninfa e Gibellina
non smentisce sul piano fattuale e logico che i loro telefoni cellulari avessero agganciato
celle compatibili con la fuga dal luogo del delitto, così come anche l’altra obiezione sul
fatto che la conversazione intercettata il 17 maggio 2009 tra il Nicolosi ed il Fogazza alla
presenza dello Scimonelli non sarebbe comprensibile, né riferibile ad un omicidio poiché
relativa alla ricerca di una moto, mezzo non utilizzato per il delitto, non considera che
nella valutazione dei giudici cautelari, del tutto logica e ben argomentata, il ialogo era
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intervenuto nella fase preparatoria dell’omicidio quando i soggetti coinvolti stavano
ancora studiando le più opportune modalità esecutive ed avevano avuto il tempo di
scegliere altri mezzi, rilevando piuttosto il loro coinvolgimento nel medesimo progetto
criminoso e la ricerca dei necessari strumenti operativi.
Infine, non possono valutarsi i richiami in chiave critica, contenuti
nell’impugnazione, alle dichiarazioni rese da tale Salvatore Sciacca, genero della vittima
ed alle circostanze relative al gioco a carte tra il Lombardo ed il titolare dello “Smart
Cafè”, Rosario Scalia, all’autocarro Despar collocato a bloccare il traffico per agevolare la

trattasi di circostanze fattuali di cui l’ordinanza in verifica non si occupa per non averli
ritenuti rilevanti e che quindi non sono state incluse nel ragionamento valutativo
condotto dal Tribunale, non potendo dunque scalfirne la logicità e l’aderenza ai dati
informativi disponibili.
3. Anche in punto di esigenze cautelari, il Tribunale ha correttamente riscontrato
l’operatività della presunzione di sussistenza dei pericoli indicati dall’art. 274 cod. proc.
pen. in relazione al titolo del reato investigato, non superata da contrarie valide
deduzioni. Ed anche sul piano concreto, l’ordinanza ha evidenziato con ampi riferimenti
alle circostanze del fatto, al contesto di maturazione, alle causali ed alle modalità
realizzative il pericolo di recidivazione specifica e d’inquinamento probatorio in relazione
alla necessità di preservare le fonti di prova anche al fine di individuare ulteriori soggetti
coinvolti. Al riguardo il ricorso oppone obiezioni sulla mancata dimostrazione del suo
coinvolgimento in altri fatti delittuosi, tanto meno sanguinosi come quello oggetto del
procedimento, sulla sua indimostrata appartenenza al sodalizio mafioso, sul mancato
compimento di attività atta a condizionare il teste Spata, circostanze che non elidono gli
elementi già valutati dai giudici cautelari per affermare la proporzionalità ed adeguatezza
della più afflittiva misura a fronte di delitto commesso con modalità brutali e con assoluto
disprezzo della vita altrui e per escludere anche l’adeguatezza alle esigenze del caso della
misura domiciliare.
Per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente
condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di
colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento della somma
di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P. Q. M.

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fuga dei sicari ed alle preoccupazioni del Lombardo dopo l’incontro con lo Scimonelli:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore
dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 comma 1-ter disp. att.cod. proc. pen..

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2016.

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