Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29318 del 29/04/2015


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 29318 Anno 2015
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

OIR:151Z~ -5-5A2FE ,t,‘A

sul ricorso proposto da:
ONYEKA ANTHONY N. IL 07/12/1977
avverso la sentenza n. 1333/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
03/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 29/04/2015

Ritenuto in fatto
Onyeka Anthony ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Napoli, in data 3.05.2013, con la quale è stata confermata
la sentenza di condanna resa dal G.i.p. presso il Tribunale di Napoli il 21.09.2012,
all’esito di giudizio abbreviato, in riferimento alla violazione dell’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990.
Con unico motivo il ricorrente contesta l’affermazione di responsabilità
penale, argomentando in termini del tutto generici ed aspecifici, rispetto al

Considerato in diritto
Il ricorso è in esame impone le considerazioni che seguono.
Il motivo di doglianza è inammissibile.
Invero, la parte non deduce alcuna censura che attinga l’apparato
motivazionale posto a fondamento della sentenza impugnata, limitandosi a rilevare,
in termini assertivi, l’illogicità della motivazione. Deve, allora, osservarsi che questa
Suprema Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi
siano generici, ovvero non contenenti la precisa prospettazione delle ragioni in
fatto o in diritto da sottoporre a verifica (vedi, da ultimo, Cass. Sezione 3,
Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980).
Tanto premesso, osserva il Collegio che la pena applicata al prevenuto, in
riferimento al reato per cui sì procede, risulta illegittima.
Invero, l’inammissibilità del ricorso originario non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle modifiche
normative che sono intervenute dopo il deposito del presente ricorso. Deve in
questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative sopravvenute,
l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una pronuncia di
annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n.
21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso
non ha impedito l’annullamento della sentenza impugnata, in conseguenza della
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata al caso di giudizio).
Nel caso di specie, è stata riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, fattispecie interessata dalle modifiche introdotte dall’art. 2,
comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10.
Ai fini di interesse, ci si limita a rilevare che la fattispecie di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, per effetto delle richiamate modifiche, deve
qualificarsi come autonoma ipotesi di reato. Invero, il testo della norma in esame,
per effetto delle modifiche introdotte dalla novella ora richiamata, stabilisce
espressamente che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque

contenuto della sentenza impugnata.

commette uno dei fatti previsti dal presene articolo che, per i mezzi, le modalità o
le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze è di lieve
entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da
euro 3.000 a euro 26.000”. Orbene, l’impiego della richiamata clausola di riserva
evidenzia che la disposizione integra una autonoma fattispecie di reato, rispetto alle
più gravi ipotesi previste dal medesimo art. 73, d.P.R. n. 309/1990.
Occorre poi considerare che la materia di interesse è stata oggetto di un
ulteriore intervento correttivo, ad opera della legge 16 maggio 2014, n. 79, di

Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,
prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego
di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale (pubblicata in
G.U. n.115 del 20.05.2014).
Per effetto del richiamato intervento normativo, il tenore dell’art. 73,
comma 5, d.P.R. n. 309/1990, è il seguente: “5. Salvo che il fatto costituisca più
grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che,
per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e
quantità delle sostanze, e’ di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da
sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329”. La cornice
sanzionatoria, per la fattispecie di cui al V comma, dell’art. 73, cit., pertanto,
risulta compresa – sia per le droghe leggere che per le droghe pesanti – tra il
minimo di sei mesi ed il massimo di quattro anni di reclusione, oltre la multa.
E bene, la cornice edittale applicabile alla fattispecie oggetto del presente
giudizio, in base al principio di retroattività della legge più favorevole, ex art. 2,
comma 4, cod. pen., prevede pene sensibilmente inferiori, rispetto a quelle alle
quali hanno fatto riferimento i giudici di merito nel determinare il trattamento
sanzionatorio, rispetto alla fattispecie di cui al V comma dell’art. 73, d.P.R. n.
309/1990. Ed invero il trattamento sanzionatorio in materia di sostanze
stupefacenti applicato dal G.i.p. e confermato dalla Corte di Appello è quello
prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione oggetto delle modifiche introdotte
dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21
febbraio 2006, n. 49 – di poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32 – di talché la pena, ai sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n.
309/1990, era compresa da uno a sei anni di reclusione, oltre la multa.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a rilevare
che le evidenziate sostanziali modifiche alla cornice edittale di riferimento risultano
rilevanti, rispetto alla valutazione sulla congruità della pena complessivamente
inflitta nel caso di specie, poiché i giudici di merito hanno irrogato, in riferimento

conversione, con modificazioni, del decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, recante

alla detenzione di gr. 3,759 di eroina, la pena di anni tre e mesi sei di reclusione,
oltre la multa e cioè in una misura che si colloca oggi in una diversa fascia dello
schema edittale applicabile, rispetto alla richiamata fattispecie in addebito.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio
alla Corte di Appello di Napoli per nuovo esame, limitatamente alla determinazione
del trattamento sanzionatorio. Nel resto il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi e
per gli effetti dell’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., rileva il Collegio che la

penale responsabilità dell’imputato, per il reato in addebito.
Si osserva che l’epilogo decisorio ora richiamato rientra nella sfera di
competenza della Settima sezione penale, alla luce delle recenti variazioni tabellari,
disposte dal Primo Presidente, con decreto immediatamente esecutivo del
26.02.2014.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio. Rinvia
sul punto alla Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto. V° l’art. 624 c.p.p.
dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine alla affermazione di responsabilità.
Così deciso in Roma, in data 29 aprile 2015.

sentenza impugnata è divenuta irrevocabile, in riferimento alla affermazione di

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