Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29316 del 26/02/2015


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Penale Sent. Sez. U Num. 29316 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BLAIOTTA ROCCO MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
De Costanzo Sergio, nato a Senigallia il 23/06/1951

avverso la sentenza del 04/06/2013 della Corte di appello di Ancona

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Rocco Marco Blaiotta;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Carmine Stabile,
che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata;
udito il difensore dell’imputato, avv. Rocco Alessandro, che ha concluso
chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Data Udienza: 26/02/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pesaro ha affermato la responsabilità di Sergio De
Costanzo in ordine ai reati seguenti, secondo la rubricazione riportata
nell’imputazione originaria:
A) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 9, comma 7, legge 14 dicembre
2000, n. 376 (ritenuti in esso assorbiti i reati di cui agli artt. 81, secondo
comma, 648 e 81, secondo comma e 348, cod. pen. contestati ai capi B ed E

farmaci e di sostanze farmacologicamente e biologicamente attive come
trenbolone, ossandrolone, drostanolone propionato, boldenone undecilenato,
nandrolone, efedrina, ormone della crescita, testosterone, medicinali
anabolizzanti in classe doping;
C) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 73, commi 1 e 1 bis lett. b), d.P.R.
n. 309 1990, con riferimento alla commercializzazione e detenzione illecita di
medicinali contenenti nandrolone, sostanza stupefacente e psicotropa indicata
nella tabella II, sez. A;
D) artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 70 d.P.R. n. 309 del 1990, in
relazione alla illecita detenzione ed alla commercializzazione di efedrina,
sostanza inserita nella categoria 1 dell’allegato I del d.P.R. medesimo;
G) artt. 81, secondo comma, cod. pen., 6 e 147, comma 2, d.lgs. 24 aprile
2006, n. 219, con riferimento alla commercializzazione di medicinali di
provenienza estera, in assenza di autorizzazione dell’Agenzia italiana per il
farmaco.
Fatti commessi in Fano sino al 22 agosto 2011.
Il Tribunale ha pure disposto la confisca dei veicoli e dei documenti in
sequestro nonché, ai sensi dell’art. 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992,
n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la
confisca dei beni immobili oggetto di sequestro preventivo disposto con decreto
del G.i.p. del Tribunale di Pesaro del 26 gennaio 2012, tutti elencati nel
dispositivo.
La Corte di appello di Ancona ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo D
per insussistenza del fatto e, ritenuta la continuazione tra i restanti reati, ha
rideterminato la pena; confermando nel resto la sentenza del Tribunale.

2. Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo diversi motivi.
2.1. Nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione degli
artt. 179, 178, comma 1, lett. b), 33-septies cod. proc. pen., perché, dopo
l’instaurazione del giudizio col rito immediato, e quindi senza udienza
2

dell’originaria imputazione), con riferimento all’acquisto ed al commercio di

preliminare, il giudice monocratico, rilevata la competenza per materia del
giudice collegiale, ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale in
composizione collegiale e non al pubblico ministero, così violando le norme
concernenti l’iniziativa del p.m. nell’esercizio dell’azione penale e privando
l’imputato della possibilità di accedere al rito abbreviato dinanzi al G.i.p.
2.2. Illegittimità del decreto del Ministro della salute in data 11 giugno 2010,
per genericità nell’indicazione delle caratteristiche del nandrolone in punto di
efficacia drogante. Quale conseguenza dell’illegittimità di tale decreto e di

sequestro preventivo e della confisca di beni disposta ai sensi dell’art. 12-sexies
d.l. n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992.
2.3. Erroneità dell’applicazione del richiamato art.

12-sexies,

attesa

l’assenza di nesso pertinenziale tra l’illecito di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990 ed i beni confiscati, acquistati in epoca anteriore all’inserimento del
nandrolone nella tabella II, sez. A, dell’art. 14 del citato d.P.R. n. 309.
Viene evocata la sentenza della Corte cost. n. 18 del 1996 per sollecitare
una interpretazione costituzionalmente orientata del ridetto art. 12-sexies.
Si deduce pure l’irrilevanza dell’assorbimento del reato di cui all’art. 648
cod. pen. in quello previsto dall’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n.
376, stante il principio di specialità: erroneamente il giudice di merito ha
collegato la confisca al reato assorbito.
2.4. Vizio della motivazione per la mancanza di congrua spiegazione in
ordine alla confisca di beni derivanti da attività lecita e comunque in misura non
proporzionata all’entità dei fatti; trascurando o erroneamente interpretando le
allegazioni difensive.
2.5. Violazione del divieto di reformatio in pejus: la Corte di appello, pur in
presenza dell’impugnazione del solo imputato, ha considerato quale pena-base la
stessa sanzione irrogata dal primo giudice, nonostante l’intervenuta assoluzione
dal reato di cui al capo D, concernente l’efedrina, che il Tribunale aveva
individuato quale reato più grave.
Analoga violazione si prospetta in ordine alla determinazione dell’aumento di
pena per la continuazione interna nella misura di sei mesi: il Tribunale aveva
operato gli aumenti in continuazione per i singoli reati-satellite e non
globalmente e quindi la Corte territoriale, intervenuta l’assoluzione per il reato di
cui al capo D, non avrebbe potuto «ritenere la sussistenza della configurazione
continuata della singola fattispecie, continuazione interna che non apparteneva
più al processo».
2.6. In via subordinata rispetto al secondo motivo, si propone questione di
costituzionalità dell’art. 4-bis della legge n. 49 del 2006 per ciò che attiene
3

pronunzia assolutoria in ordine al reato di cui al capo C, s’invoca la revoca del

all’eliminazione, ai fini sanzionatori, della differenza tra droghe “leggere” e
droghe “pesanti”.
Il ricorso, in tema d’incostituzionalità della normativa, evoca l’ordinanza
della Corte di cassazione dalla quale è scaturita la sentenza costituzionale n. 32
del 2014.
2.7. Quale censura subordinata rispetto a quella oggetto del quarto motivo,
viene sollevata questione di costituzionalità del richiamato art.

12-sexies in

riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., nell’interpretazione adottata dalla

CEDU: la natura sostanzialmente penale della confisca, secondo i parametri
interpretativi dettati dalla giurisprudenza europea, rende la disciplina
confliggente con la presunzione di innocenza prevista dall’art. 6, comma 2,
CEDU.
2.8. Con motivi nuovi depositati il 30 settembre 2014, muovendo dalla
sentenza della Corte cost. n. 32 del 2014, con cui è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del decreto-legge 30 dicembre
2005, n. 272, convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, si prospetta
l’intervenuta

aboliti° criminis

in relazione ai fatti contestati al capo C

dell’imputazione, afferenti a violazioni dell’art. 73, commi

1 e 1 bis, del ridetto

d.P.R. n. 309.
Si assume che è intervenuta la caducazione dell’intero sistema tabellare
delle sostanze stupefacenti e psicotrope, con reviviscenza del sistema tabellare
precedente alla novella del 2006. Tale caducazione riguarda in particolare il
nandrolone, inserito nelle tabelle I e II, sez. A, previste dalla legge del 2006 solo
con il d.m. 11 giugno 2010; e coglie le condotte contestate fino al 22 agosto
2011 e quindi poste in essere nella vigenza della disciplina di legge e tabellare
travolta dalla pronunzia d’incostituzionalità.
La deduzione, secondo la prospettazione difensiva, ha carattere preliminare
ed assorbente rispetto a tutti i motivi di ricorso, fatta eccezione per il motivo n.
1, che concerne una questione procedurale.
Il ricorrente osserva pure che in seguito alla declaratoria di incostituzionalità
è stato adottato il decreto-legge n. 36 del 20 marzo 2014, al fine di reinserire
nelle tabelle le sostanze che vi erano state introdotte dalla novella del 2006
oppure da decreti ministeriali successivi. Tale intervento, si assume, è volto ad
assicurare per il futuro la rilevanza penale di condotte aventi ad oggetto dette
sostanze, ma non ha effetto retroattivo, ostandovi il principio costituzionale
d’irretroattività della legge penale di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.
Si aggiunge che la volontà del legislatore di operare solo per il futuro risulta,
inoltre, dalla modifica apportata dalla legge di conversione del citato decreto4

A

C

giurisprudenza di legittimità, per contrasto con gli artt. 7 e 6, comma 2, della

legge: la formulazione «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente
decreto-legge continuano a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino
alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12
febbraio 2014» è stata modificata nel senso che il verbo “continuano” è stato
sostituito con “riprendono”. Tale tesi, si assume, trova conferma nel parere del
Comitato per la legislazione, che ha rappresentato l’opportunità di tale modifica
«sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione […] nel
presupposto che l’intento perseguito con l’art. 2 sia quello di agire

Senato, secondo il quale l’utilizzo dell’espressione “riprendono”, in luogo della
precedente formulazione, evidenzia che «quegli atti amministrativi – fra i quali
sono inclusi i decreti ministeriali che, a partire dal 2006, hanno provveduto
all’inclusione nelle tabelle delle nuove sostanze stupefacenti – hanno cessato di
produrre i loro effetti e, proprio per questo, si prevede che “riprendono” a
produrli. Ciò peraltro, in assenza di una disposizione espressa in senso diverso,
non potrebbe valere che per l’avvenire».
Infine, si rappresenta che anche l’incriminazione introdotta dalla nuova
disciplina presenta criticità interpretative, poiché per effetto del decreto-legge n.
36 del 2014 le sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della legge n. 49 del
2006 risultano tutte equiparate alle droghe “pesanti” non per le loro qualità
psicoattive ma per un dato formale, non essendo stato modificato l’apparato
sanzionatorio rispristinatosi per effetto della sentenza di illegittimità
costituzionale.
Nei motivi aggiunti sono state altresì formulate anche ulteriori
argomentazioni ad integrazione dei motivi dedotti con il ricorso iniziale.
2.9. Ha fatto seguito la presentazione di una memoria con la quale si espone
che le sostanze introdotte nelle tabelle di cui si discute nel vigore della disciplina
affetta da incostituzionalità sono solo 32.

3. Con ordinanza depositata in data 1° dicembre 2014, la Quarta Sezione
penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della perdurante rilevanza
penale delle condotte afferenti a stupefacenti commesse in epoca antecedente
all’entrata in vigore del richiamato decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36,
convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, aventi ad
oggetto sostanze droganti come il nandrolone, inserite per la prima volta nelle
tabelle introdotte nel vigore del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, caducate per
effetto della pronuncia della Corte cost. n. 32 del 2014.

5/L

esclusivamente pro futuro». Si cita, inoltre, il dossier del Servizio Studi del

Si rammenta che la Corte costituzionale ha chiaramente affermato la
reviviscenza, tra l’altro, dell’art. 73 T.U. stup. e delle relative tabelle, «in quanto
mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate
con le disposizioni impugnate». Hanno dunque ripreso vigore sia le norme
incriminatrici contenute nell’originario art. 73 citato (connotate dall’assai diversa
entità della risposta sanzionatoria stabilita nei commi 1 e 4, a seconda che
l’oggetto della condotta sia costituito, rispettivamente, da droghe “pesanti”
ovvero da droghe “leggere”), sia le sei correlate tabelle. Si rammenta che nelle

ritenute in grado di produrre effetti sul sistema nervoso centrale e di
determinare dipendenza psico-fisica nell’assuntore; nelle tabelle II e IV,
richiamate dal comma 4 dell’art. 73, erano elencate le sostanze connotate da un
grado inferiore di dipendenza, nonché i prodotti di corrente impiego terapeutico
contenenti sostanze classificate nelle tabelle I e III, e perciò idonee a creare
dipendenza; nelle tabelle V e VI, erano invece inseriti preparati e prodotti
medicinali che, pur contenendo sostanze ad effetto stupefacente, erano
sottoposti a disciplina e controlli meno rigorosi. Il sistema tabellare della legge
del 2006 prevedeva, invece, due tabelle classificatorie: la I per le sostanze
stupefacenti e la II per i medicinali.
Si considera, altresì, che l’intervento del legislatore del 2014 ha reintrodotto
quattro tabelle inserendovi le sostanze che, sulla base della legge n. 49 del
2006, erano raggruppate nelle due tabelle caducate per effetto della sentenza
della Corte costituzionale, «in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo
il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico,
ripristinate dalla più volte richiamata sentenza» (come esplicitato dalla Relazione
di accompagnamento al disegno di legge di conversione). Tale risultato è stato
raggiunto sia attraverso modifiche agli artt. 13 e 14 del T.U. concernenti il
numero delle tabelle nonché i criteri di inclusione delle sostanze al loro interno,
sia attraverso la creazione delle nuove tabelle.
Si rammenta che le quattro tabelle vigenti prima della legge del 2006, e
tornate in vigore dopo la sentenza costituzionale, contenevano sia le sostanze
considerate sin dall’entrata in vigore del T.U., sia quelle che erano state man
mano incluse attraverso i procedimenti di revisione ed aggiornamento di cui agli
artt. 2 e 13 adottati fino al 27 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della
legge n. 49 del 2006). Le tabelle in questione non contenevano (né avrebbero
potuto contenere) le numerose sostanze che, dopo l’entrata in vigore della
normativa del 2006, sono state inserite nella tabella I in forza dei provvedimenti
di aggiornamento adottati fino al 5 marzo 2014, data di pubblicazione della
sentenza della Corte costituzionale. Da ciò la necessità di ripristinare l’inclusione
6

tabelle I e III, richiamate dal comma 1 dell’art. 73, erano incluse le sostanze

nel regime sanzionatorio di numerose sostanze, come il nandrolone,
tabellarmente classificate dopo il 27 febbraio 2006, coinvolte dalla caducazione
operata dalla sentenza della Corte costituzionale.
Dal susseguirsi di tali eventi, secondo l’ordinanza di rimessione, scaturiscono
delicate implicazioni in ordine alla rilevanza penale delle condotte, poste in
essere prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, aventi ad
oggetto le sostanze classificate a decorrere dall’entrata in vigore della disciplina
del 2006; alla luce del consolidato principio enunciato nella giurisprudenza della

di stupefacenti ove le condotte abbiano ad oggetto sostanze droganti non incluse
nel catalogo di legge, perché la nozione di sostanza stupefacente ha natura
legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione
solo le sostanze indicate nelle tabelle allegate al T.U. sugli stupefacenti.
L’ordinanza dà atto che in ordine alla permanente rilevanza penale di
condotte poste in essere dall’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e fino
all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36 del 2014, aventi ad oggetto sostanze
introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 27 febbraio 2006, non si registrano
pronunce della giurisprudenza di legittimità. Si rappresenta l’esistenza, tuttavia,
di orientamenti dottrinari e della giurisprudenza di merito che prospettano
differenti soluzioni.
3.1. Secondo una prima tesi, la caducazione della normativa del 2006 e del
relativo sistema tabellare ha determinato una serie di

abolitiones criminis

rispetto ai fatti concernenti le sostanze che sono state introdotte per la prima
volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi, con conseguenze sui processi in corso,
nonché sulle sentenze passate in giudicato, che andrebbero revocate in forza
dell’art. 673 cod. proc. pen. Il reinserimento delle sostanze in questione nelle
quattro tabelle attribuisce rilevanza penale solo alle condotte poste in essere
successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge n. 36, ma non ha effetto
retroattivo, ostandovi il principio di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.. La
stessa mutata formulazione dell’art. 2 del decreto-legge n. 36 in sede di
conversione ad opera della legge n.79 del 2014, con la previsione che gli atti
amministrativi adottati prima della sentenza della Corte costituzionale non già
“continuano” a produrre effetto ma piuttosto “riprendono” ad avere effetto,
conferma che il legislatore non aveva intenzione di introdurre una disciplina con
effetto retroattivo; come del resto esplicitato dal Comitato per la legislazione che
propose la modifica in questione.
L’ordinanza rammenta che tale approccio si rinviene in un provvedimento
della Procura della Repubblica di Busto Arsizio che ha richiesto al giudice
dell’esecuzione la revoca della sentenza di patteggiamento emessa per il delitto

(

Corte di cassazione, secondo cui non trova applicazione la normativa in materia

di illecita importazione della sostanza catha edulis essiccata, ricompresa proprio
tra le sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della normativa dichiarata
incostituzionale.
3.2. Un opposto orientamento, invece, ritiene la permanente rilevanza
penale delle condotte relative alle sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della
legge n. 49 del 2006.
Tale approccio è stato fatto proprio dalla Procura della Repubblica di
Lanciano, in base alla considerazione che il procedimento di inserimento delle

dalla legge ritenuta incostituzionale rispetto alla precedente legislazione, sicché i
decreti di aggiornamento delle tabelle non presuppongono la vigenza delle norme
incostituzionali e si basano su criteri di classificazione (quelli di cui all’art. 14 del
T.U.) coincidenti con quelli previgenti. Per questi motivi tali decreti sarebbero
tuttora validi. Peraltro, in una evidente ottica di favor rei, si è proposto di
ritenere che tali “nuove” sostanze siano da classificare tra le droghe “leggere”.
L’ordinanza dà atto che tale punto di vista è stato criticato in dottrina: si è
obiettato che tale impostazione si basa su un approccio sostanzialistico, mentre
la pronunzia costituzionale ha privilegiato un criterio formale per l’individuazione
delle conseguenze derivanti in concreto dalla declaratoria d’illegittimità
costituzionale. Dunque, secondo tale opinione, dalla “detabellizzazione” delle
sostanze di ultima generazione determinata dalla sentenza costituzionale
discende una vera e propria abolitio criminis.
Infine, l’ordinanza di rimessione dà atto dell’opinione dottrinale che, per
contrastare la tesi dell’abolitio criminis,

valorizza la originaria formulazione

dell’art. 2 del decreto-legge n. 36 del 2014, che prevedeva, come accennato, che
dalla sua entrata in vigore gli atti amministrativi adottati prima della sentenza
della Consulta “continuano” a produrre effetti.
Secondo tale opinione la norma in questione, per ciò che riguarda i decreti
ministeriali che hanno aggiornato la tabella I nel vigore della normativa del
2006, includendovi sostanze “nuove”, avrebbe derogato «non al principio di
irretroattività e all’assoluto dovere che grava sul giudice penale di applicare le
nuove incriminazioni per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge»,
bensì solo «al principio della retroattività degli effetti delle sentenze
d’incostituzionalità di una norma penale per i processi pendenti e finanche oltre il
giudicato di condanna (efficacia iperretroattiva sancita dall’art. 30, quarto
comma, della legge n. 87 del 1953)». La questione che dovrebbe porsi, in tale
prospettiva, sarebbe quindi quella dell’ammissibilità di una “eccezione legislativa”
al principio della retroattività della lex mitior per effetto di una declaratoria di
illegittimità costituzionale, qualora si renda necessario operare un bilanciamento

sostanze nelle relative tabelle non risulta modificato nel suo nucleo sostanziale

con altri principi e valori di rango costituzionale. Secondo tale dottrina, la
risposta dovrebbe essere positiva. I referenti costituzionali della retroattività
della lex mitior non sono oggi più limitati ai soli principi “interni” (eguaglianza,
ragionevolezza delle scelte legislative, proporzione tra disvalore della condotta e
sanzione), essendosi aggiunto, dopo la sentenza Scoppola c. Italia della Corte di
Strasburgo, anche l’art. 7 CEDU in relazione all’art. 117 Cost. Nonostante tale
nuovo inquadramento “convenzionale”, il principio di retroattività della lex mitior
non avrebbe comunque assunto le connotazioni assolute e inderogabili proprie

spazio per il legislatore per limitare o derogare alla retroattività della lex mitior,
laddove – come nella specie – si renda necessario un bilanciamento ragionevole
di interessi di rilevanza costituzionale. Secondo tale opinione, il legislatore
avrebbe inserito nell’art. 2 del decreto-legge n. 36 del 2014 una vera e propria
disposizione transitoria, a garanzia della persistenza dell’efficacia degli atti
amministrativi adottati sino alla sentenza della Corte costituzionale.
3.3. In presenza delle riportate possibili opzioni ermeneutiche, la Quarta
Sezione ha rimesso la decisione della questione alle Sezioni Unite per la sua
rilevanza e tenuto conto della mancanza di qualsiasi punto di riferimento
riscontrabile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, al fine di prevenire
eventuali contrasti.

4. Il Primo Presidente, con decreto del 9 dicembre 2014, ha assegnato il
ricorso alle Sezioni unite fissandone la trattazione per la odierna udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo pregiudiziale motivo di ricorso è infondato.
L’art.

33-septies

cod. proc. pen. regola, nell’ambito del Capo sui

provvedimenti sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, i casi di

del principio di irretroattività della legge sfavorevole: residuerebbe pertanto uno

inosservanza delle disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione
collegiale o monocratica nel dibattimento di primo grado. Nel comma 1 si
prevede che, nel caso in cui il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad
udienza preliminare, il giudice se ritiene che il reato appartiene alla cognizione
del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti al giudice competente.
Nel comma 2, invece, con riguardo ai casi diversi da quelli previsti dal comma 1,
si prevede che, se il reato appartiene alla cognizione del giudice collegiale, il
giudice monocratico investito del processo dispone con ordinanza la trasmissione
degli atti al pubblico ministero.

t

La portata della disciplina è stata condivisibilmente chiarita da questa Corte
in un caso identico a quello in esame (Sez. 1, n. 34163 del 15/07/2014, Santoro,
n.m.). La Corte, accogliendo il ricorso proposto dal pubblico ministero, che
deduceva l’abnormità del provvedimento, ha osservato che «l’art.

33-septies

cod. proc. pen. non può che essere interpretato nel senso che l’accertamento
dell’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al giudice
collegiale o al giudice monocratico comporta, per regola generale, la mera
trasmissione degli atti al giudice competente, senza alcuna regressione di fase e,

residuale, in cui all’imputato spettava il passaggio alla fase processuale
dell’udienza preliminare e tale passaggio gli sia stato arbitrariamente negato, il
giudice del dibattimento deve invece trasmettere gli atti al pubblico ministero,
così che l’imputato possa essere rimesso nella condizione di accedere alla
udienza preliminare e di avanzare richiesta di riti alternativi nella sede che era
per essi propria»; sicché il comma 2 dell’art.

33-septies

va «riferito

esclusivamente all’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi non solo che il
reato è stato erroneamente ritenuto tra quelli attribuibili alla cognizione del
giudice in composizione monocratica anziché collegiale, ma che a causa di tale
errore é stata altresì erroneamente omessa l’udienza preliminare».
Si veda inoltre, per lo stesso principio, in analoghe fattispecie, Sez. 1, n.
4770 del 15/04/2010, Carella, Rv. 247204; Sez. 6, n. 31758 del 15/06/2006,
Carta, Rv. 234864.
Dunque correttamente nel caso in esame gli atti sono stati trasmessi al
Tribunale in composizione collegiale; senza che ciò abbia recato pregiudizio
alcuno al ricorrente.

2. Il motivo nuovo afferente agli effetti della sentenza costituzionale n. 32
del 2014 è fondato ed assorbente.
Esso chiama in causa la questione devoluta alle Sezioni Unite, che può
essere enunciata nei seguenti termini:
“Se, a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt.

4-bis e 4-

vicies-ter del decreto-legge n. 272 del 2005, come modificato dalla legge n. 49
del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014,
debbano ritenersi penalmente rilevanti le condotte che, poste in essere a partire
dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-legge
n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle
tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo novellato dalla richiamata legge n. 49 del 2006”.

10

dunque, senza alcuna restituzione degli atti al pubblico ministero. Solo nel caso,

L’ordinanza di rimessione espone chiaramente i temi posti all’attenzione
delle Sezioni Unite, sicché ad essa occorre aggiungere solo alcune brevi note.
Con la richiamata sentenza n. 32 del 2014 la Corte costituzionale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Il primo articolo aveva modificato
l’art. 73 del T.U., unificando il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite
afferenti alle diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Il secondo articolo aveva

collocando nella prima tabella tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope e nella
seconda tabella, ripartita in cinque sezioni, i medicinali contenenti tali sostanze.
Le nuove tabelle sono state allegate all’atto normativo.
In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte
in sede di conversione del decreto-legge, difettino manifestamente di
connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto-legge, e
debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei
presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi
dell’art. 77, secondo comma, Cost.
La stessa sentenza ha esplicitato che la caducazione della indicata normativa
determina la reviviscenza con effetto ex tunc della disciplina contenuta nella
originaria versione del T.U. mai validamente abrogata, basata, come è noto,
sulla distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti”.
La pronunzia ha evocato i conseguenti problemi di diritto intertemporale
afferenti alla necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole, in
aderenza ai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo espressi
dell’art. 2 cod. pen.
La Corte ha pure chiarito che rientra nei compiti del giudice comune
individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili
perché divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni
caducate; e quali, invece, debbano continuare ad aver applicazione in quanto
non presuppongono la vigenza degli articoli dichiarati incostituzionali.

3. La disciplina del 2014 è esplicitamente dettata dal proposito di far fronte
alle criticità dovute al venir meno dalle innovazioni recate dalla legislazione del
2006 ed afferenti, tra l’altro, ai numerosi provvedimenti amministrativi adottati
in applicazione delle disposizioni caducate, relativi anche all’inserimento di nuove
sostanze, come il nandrolone, nelle tabelle già più volte evocate.
La nuova normativa ha inteso ridare coerenza alla disciplina, riordinando
anche il sistema tabellare, in sintonia con l’impianto sanzionatorio risultante dalla
11

coerentemente modificato gli articoli 13 e 14 del medesimo atto normativo,

sentenza costituzionale. Con l’art. 1 del decreto-legge sono stati pertanto
modificati gli artt. 13 e 14 del T.U. Sono state previste quattro tabelle
corrispondenti al modello legale espresso dalla originaria, rivissuta disciplina
sanzionatoria; ed è stata altresì introdotta una quinta tabella dedicata ai
medicinali. Tale ultima tabella, conviene subito segnalarlo, non è richiamata dal
ridetto art. 73. Il tema sarà ripreso più avanti. Qui occorre porre in luce che la
disciplina dei medicinali presenta particolare interesse, perché la sentenza
impugnata ha chiarito che la contestazione mossa e ritenuta afferisce al

aggiunto che si tratta di principio collocato nella sez. A della II tabella, quella dei
medicinali, sicché il reato commesso è quello di cui all’art. 73, comma 1-bis,
lettera b), d.P.R. n. 309. A conferma di tale approccio, nel determinare la
sanzione, è stata applicata la riduzione di pena prevista dal richiamato comma 1bis.

La novella, per quel che qui maggiormente interessa, ha inserito nelle nuove
evocate tabelle anche le sostanze collocate nel novero dei principi illeciti per
effetto di decreti adottati nelle vigore della caducata disciplina del 2006. Tale
inserimento trova giustificazione, come emerge dagli atti che hanno
accompagnato l’introduzione della normazione, nella constatazione che la
sentenza n. 32 ha travolto anche i provvedimenti amministrativi adottati in
applicazione della disciplina incostituzionale, che hanno aggiornato le tabelle
introducendovi nuove sostanze come il nandrolone.
E’ pure da segnalare che la legge di conversione ha aggiunto il comma 1-bis
all’art. 2 del decreto-legge, enunciando che nei decreti applicativi del T.U. sugli
stupefacenti adottati dalla data di entrata in vigore della legge n. 49 del 2006
fino alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale n. 32, ogni richiamo
alla tabella II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali allegata al
decreto-legge n. 36 del 2014.

4. Poste tali premesse, la prima questione problematica da esaminare è se
la più volte evocata caducazione della disciplina del 2006 abbia pure travolto i
provvedimenti amministrativi che, nel vigore di tale normativa, hanno introdotto
nelle tabelle nuove sostanze.
Si è visto che tale effetto è stato escluso alla luce di una visione per così dire
sostanzialistica del problema. Tale opinione non può essere accolta. Essa si pone
in contrasto con principi fortemente consolidati. Nell’attuale ordinamento penale
vige, infatti, una nozione legale di stupefacente: sono soggette alla normativa
che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate
negli elenchi appositamente predisposti. In tal senso si sono espresse le Sezioni
12
\

nandrolone ed al medicinale Deca Durabolín, contenente tale sostanza. Si è

Unite (sent. n. 9973 del 24/06/2011, Kremi, Rv. 211073) e la costante
giurisprudenza successiva. Si è pure affermato che «la definizione legislativa di
sostanza stupefacente configura una qualificazione proveniente da fonte
subprimaria integratrice del disposto penale; per cui, a tale fonte integrativa
vanno applicati i principi di cui all’art. 2 cod. pen., ed in specie quello di non
retroattività della legge penale sostanziale. Ne discende che l’utilizzazione di una
sostanza contenente principi stupefacenti, ma non inserita nella tabella, non
costituisce reato prima del suo formale inserimento nel catalogo» (Sez. 4, n.

Le oscillazioni che si rinvengono in alcune pronunzie a proposito della
rilevanza penale di determinate sostanze non toccano l’indicato principio, ma
attengono alle caratteristiche di particolari formulazioni delle sostanze stesse o di
derivati che costituiscono passaggi intermedi del processo di trasformazione di
sostanze tabellate (ad es. Sez. 3, n. 11853, del 07/02/2013, Cassotta, Rv.
255026; Sez. 6, n. 14431 del 01/04/2011, Qotbi, Rv. 249396). Si tratta,
insomma, di incertezze scientifiche e d’impronta applicativa.
L’individuazione della norma incriminatrice e delle sostanze cui essa si
riferisce è frutto, in alcuni casi, dell’integrazione tra la disciplina espressa dalla
legge e gli atti amministrativi che contribuiscono a definire l’area del penalmente
rilevante attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle cui si è
ripetutamente fatto riferimento. Tali tabelle, come pure si è accennato,
costituiscono esplicazione delle direttive di carattere generale contenute negli
articoli 13 e 14 del Testo Unico.
A tale riguardo occorre rammentare che nelle novelle del 2006 e del 2014 le
tabelle, conformi ai criteri di cui agli artt. 13 e 14 del T.U., sono state allegate
agli atti normativi. Nell’originario assetto della normativa (art. 13 del T.U.),
invece, è stato demandato all’Autorità ministeriale di formare le tabelle in
conformità ai criteri di cui all’art. 14. In ogni caso, sono state previste procedure
per il tempestivo aggiornamento delle ridette tabelle attraverso atti ministeriali
come quello di cui si discute, anche in base a quanto previsto dalle convenzioni e
dagli accordi internazionali ovvero a nuove acquisizioni scientifiche.
Tale struttura dell’incriminazione dà luogo ad una fattispecie penale
parzialmente in bianco nei casi in cui la specificazione del precetto avviene per
effetto di fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute. Si tratta di
un metodo che, specialmente per ciò che attiene all’aggiornamento delle tabelle
che qui interessa, non reca violazione del principio di legalità espresso dall’art.
25 Cost., giacché corrisponde all’esigenza di pronto adeguamento della
normativa al divenire scientifico e criminologico, cui la legge potrebbe non essere
in grado di far fronte con la tempestività e puntualità dovute. La Corte
13

27771 del 14/04/2011, Cardoni, Rv. 250693).

costituzionale, a partire dalla sentenza n. 26 del 1966, ha in numerose occasioni
affermato che l’indicato principio costituzionale è rispettato quando sia una
legge ad indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il
contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa.
Tale enunciazione è stata espressa pure in riferimento alla disciplina degli
stupefacenti: non contrasta con il principio di riserva di legge la funzione
integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi
normativi del fatto sottratti alla possibilità di un’anticipata indicazione

della fonte subordinata, quando il contenuto dell’illecito e la sottesa scelta di
politica criminale sia comunque definito dalla fonte primaria, come appunto nel
caso degli elenchi delle sostanze psicotrope e stupefacenti contenuti in un
decreto ministeriale, correlati ad un divieto i cui essenziali termini normativi
risultano legalmente definiti (così la sentenza Corte cost. n. 333 del 1991 che
richiama le precedenti, consonanti, sentenze nn. 36 del 1964 e 9 del 1972).
Alla luce di quanto precede emerge con forza l’inscindibile e biunivoco
legame che connette la legge agli atti amministrativi che ne costituiscono
espressione. L’atto amministrativo individua l’oggetto del reato in base al
divenire delle conoscenze, adeguandosi alle direttive di carattere generale
espresse dalla legge. In conseguenza, caduta la legge, ne segue con ineluttabile
ed evidente necessità il venir meno dei provvedimenti ministeriali che di quella
legge costituiscono attuazione.
Una diversa soluzione d’impronta sostanzialistica, determinando la
sopravvivenza di atti amministrativi non più sorretti dalle norme di carattere
direttivo che li avevano ispirati, determinerebbe sicura violazione del principio di
legalità. Tale conclusione, imposta dai principi dell’ordinamento, è ulteriormente
corroborata dalla constatazione che le direttive legali in tema d’individuazione
delle sostanze stupefacenti, quali si rinvengono nelle diverse formulazioni dei
citati artt. 13 e 14, sono mutate ripetutamente, sia per ciò che attiene
all’individuazione e catalogazione delle sostanze, sia per quanto riguarda le
procedure amministrative volte alla concreta individuazione dei principi droganti
ed i soggetti pubblici chiamati a concorrere alle pertinenti valutazioni. Pertanto
non sarebbe neppure testualmente corretto istituire una connessione derivativa
tra i provvedimenti amministrativi adottati nel vigore della disciplina del 2006 e
le differenti direttive espresse dalla originaria disciplina recata dal T.U.
Occorre dunque pervenire alla conclusione che il decreto ministeriale dell’Il
giugno 2010, che ha collocato il nandrolone nelle Tabelle I e II, lettera A,
allegate alla novella del 2006, è stato travolto dalla caducazione della legge di

14

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particolareggiata da parte della legge e demandati alla determinazione tecnica

cui costituiva espressione. In conseguenza la fattispecie legale afferente a tale
sostanza è venuta meno.

5. Constatata dunque l’ablazione della normativa concernente il nandrolone,
resta da intendere se l’illecito afferente a tale sostanza sia stato nuovamente
introdotto dalla disciplina del 2014; e, in caso affermativo, se tale nuova
normazione possa applicarsi retroattivamente al caso in esame. Giova a tale
proposito rammentare nuovamente che l’illecito ritenuto afferisce a medicinale

medicinali, allegata al T.U. come novellato nel 2006.
Il primo interrogativo, contrariamente a quanto potrebbe a tutta prima
ritenersi, non è per nulla di agevole soluzione. Occorre partire dalla
considerazione che, come si è già accennato, la normativa del 2006, modificando
gli artt. 13 e 14 del T.U. aveva previsto e creato due tabelle: una relativa alle
sostanze stupefacenti o psicotrope; l’altra afferente ai medicinali ed alle
composizioni medicinali, ripartita in cinque sezioni.
In parallelo con tale innovazione, gli illeciti afferenti ai medicinali erano stati
oggetto di una distinta disciplina sanzionatoria, prevista dai commi

1-bis, lett.

8), e 4 dell’art. 73, introdotti con l’art. 4-bis della legge del 2006.
La caducazione della normativa che aveva introdotto tali innovazioni ha
prodotto, naturalmente, il venir meno dei detti commi.
Occorre allora comprendere se la novella del 2014 abbia introdotto una
nuova disciplina penale dei medicinali. Come si è già accennato, essa ha creato
cinque tabelle. L’ultima è per l’appunto dedicata ai medicinali ed è divisa in
cinque sezioni. Tale distinta tabella è chiaramente espressione della volontà di
creare, al riguardo, continuità con la previgente disciplina che, come si è detto,
aveva dedicato ai medicinali un’autonoma tabella. Tale volontà è del resto
documentata dalla già evocata norma introdotta dalla legge di conversione del
decreto-legge, che all’art. 2 ha aggiunto il comma 1-bis.
Il nandrolone compare sia nella tabella I sia nella sezione A della V,
afferente appunto ai medicinali, che qui interessa. Si tratta, allora, di
comprendere se e quale disciplina penale della novella riguardi i detti medicinali.
La disamina della nuova normazione suscita al riguardo interrogativi
rilevanti.
Il testo dell’art. 73, quale risulta dall’intricato susseguirsi di modifiche, non
reca più la disciplina sanzionatoria in precedenza enunciata negli indicati commi
1-bis e 4. La nuova normazione, derivante dalle modifiche introdotte nel 2014, fa
riferimento solo alle sostanze di cui alle prime quattro tabelle; e non reca più
alcuna menzione dei medicinali di cui alla quinta tabella. Una prima, testuale
15

collocato, con il già indicato decreto ministeriale del 2010, nella tabella II dei

lettura del dettato normativo conduce, dunque, alla conclusione che la disciplina
penale si disinteressa dell’ambito di cui si discute. Si tratta di esito che suscita
interrogativi di non poco conto, se solo si considera che nella tabella V si
rivengono, per esemplificare, sostanze come codeina, norcodeina, etilmorfina,
metadone.
Non meno problematica appare la lettura dell’art. 75 del T.U., riscritto dalla
novella del 2014, che disciplina gli illeciti amministrativi. Il comma 1, in
simmetria con l’art. 73, riguarda le condotte illecite finalizzate all’uso personale

Tuttavia il successivo comma 1-bis indica le circostanze rilevanti ai fini
dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della
«sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1». Tra
l’altro si tiene conto della circostanza che «i medicinali contenenti sostanze
stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e
D, non eccedano il quantitativo prescritto». La norma sembra voler alludere a
situazioni nelle quali il medicinale, prescritto per l’uso terapeutico che gli è
proprio, venga destinato ad uso personale non terapeutico. La disciplina è però
testualmente incoerente. Infatti si fa riferimento ai medicinali di cui al comma 1
che, però, in tale comma non sono affatto menzionati.
Tentare di comprendere il senso della nuova normazione è impresa difficile.
Si tenta il limite della vocazione all’interpretazione delle Sezioni Unite. L’intricato
sovrapporsi di norme, di cui non si è conseguito il completo coordinamento,
determina una situazione lontana dall’ideale di chiarezza del precetto penale e
del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti
dell’ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità,
determinatezza, tassatività, prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale
situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per cercare di cogliervi
un’univoca indicazione di senso.
Nella versione originale dell’art. 13 del T.U. è enunciato che le tabelle delle
sostanze stupefacenti o psicotrope «devono contenere l’elenco di tutte le
sostanze e dei preparati» indicati nelle convenzioni e negli accordi
internazionali.
Nel successivo art. 14 viene chiarito che nelle tabelle devono essere
compresi «tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri,
esteri ed eteri, nonché gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti,
relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi nelle tabelle, salvo sia fatta espressa
eccezione».
Le medesime formule compaiono nei testi dei detti articoli riscritti dalla
novella del 2006.

16

relative alle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV.

Invece, nella normativa del 2014 la disciplina muta. Nell’art. 14, comma 1,
con riferimento al contenuto delle tabelle I, II, III e IV, compare, tra l’altro, la
inedita dizione «le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera
in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lettera
e)».
Nell’art. 14, comma 2, si enuncia che nelle tabelle di cui al comma 1 sono
compresi «tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri,
esteri ed eteri, nonché gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti,

tabelle dei medicinali, salvo sia fatta espressa menzione».
Anche negli articoli 42, 46 e 47 del T.U. modificati dalla normativa del 2014
il termine “preparazioni” è sostituito dal termine “medicinali”.
Di certo neppure la valorizzazione di tali novità induce elementi di giudizio
immediatamente risolutivi ai fini dell’interpretazione della disciplina penale.
Infatti l’espressione «in conformità alle modalità indicate nella tabella dei
medicinali» non è di limpida chiarezza per il comune lettore. Tuttavia alcune
indicazioni si possono trarre. Il legislatore ha abbandonato il classico riferimento
alle preparazioni, interessandosi alla regolamentazione delle sostanze e dei
medicinali. Le preparazioni rilevano solo in quanto contengano le sostanze
indicate nelle tabelle I, II, III e IV, con le modalità descritte nella tabella dei
medicinali. Dunque, si fa in fin dei conti riferimento a preparazioni ed a
medicinali che sono oggetto della disciplina penale in quanto contengano
sostanze riportate nelle indicate quattro tabelle: sono le tabelle delle sostanze
psicotrope e stupefacenti alle quali si riferisce la disciplina sanzionatoria di cui ai
richiamati artt. 73 e 75. In breve, conclusivamente, i medicinali rientrano
nell’area penale in quanto contengano principi di cui alla ridette tradizionali
tabelle. Tale soluzione interpretativa è l’unica che consente di superare la
vaghezza ed indeterminatezza della disciplina legale, ancorando saldamente la
repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle tabelle oggetto
della normativa sanzionatoria di cui all’art. 73.
Il nandrolone compare sia nella tabella I che in quella dei medicinali, con la
conseguenza che nella sua formulazione medicinale è oggetto della disciplina
penale di cui all’art. 73 relativa alle sostanze elencate nella detta tabella I.

6. Resta infine da chiarire se la nuova incriminazione possa applicarsi
retroattiva mente.
Una tesi dottrinale, ampiamente evocata dall’ordinanza di rimessione,
ammette tale possibilità. Essa, in sintesi, reputa che la novella del 2014 sia
ispirata dal proposito di evitare una frattura tra il prima ed il dopo la sentenza n.

relativi alle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III e IV e ai medicinali inclusi nelle

32. Gli atti che “riprendono” a produrre effetti sono i provvedimenti
amministrativi travolti dalla sentenza costituzionale. Tale “ripresa” non può che
essere orientata alla permanenza della pregressa efficacia degli atti
amministrativi. Si tratta di una disposizione transitoria volta a derogare ai
principi di diritto intertemporale e segnatamente alla retroattività della norma
penale più favorevole.
Si ritiene, in particolare, che nel caso in esame la caducazione della norma
non sia il frutto di abrogazione, cioè di un nuovo atto normativo che abbia

bensì discenda dall’art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, che
fa divieto di applicare la legge dichiarata incostituzionale rispetto a situazioni
sostanziali o processuali preesistenti. Ciò determina una modificazione in mitius
della disciplina penale; e la novella del 2014 costituisce una deroga
all’operatività del principio di retroattività della lex mitior generata dalla sentenza
costituzionale. Tale deroga, d’altra parte, è consentita quale frutto del
ragionevole bilanciamento, compiuto dal legislatore, tra diversi principi e valori
costituzionali. Infatti, si rammenta conclusivamente, il principio di retroattività in
mitius, pur trovando base costituzionale e comunitaria, non è assoluto ed
inderogabile.
Tale opinione, sebbene apprezzabilmente ispirata dal proposito di arginare
gli effetti della frattura determinata dalla sentenza n. 32, non può essere
condivisa.
Non vi è dubbio che il principio di retroattività della legge più favorevole
possa essere derogato dal legislatore per effetto del razionale bilanciamento con
altri principi e valori costituzionali. Il fatto è, tuttavia, che nel caso in esame la
pronunzia costituzionale non ha determinato la semplice reviviscenza di una lex
mitior. Essa, al contrario, come si è già esposto, ha prodotto l’ablazione della
fattispecie con riferimento alle sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della
disciplina del 2006. In relazione a tali fattispecie è venuto meno l’oggetto
materiale del reato, cioè il suo nucleo essenziale. E’ ben vero che tale escissione
è frutto non di abrogazione normativa ma della pronunzia costituzionale, i cui
effetti sono disciplinati dalla richiamata legge n. 87 e dall’art. 673 cod. proc. pen.
Tuttavia, ai fini che qui interessano, le due situazioni non differiscono, come è
eloquentemente dimostrato dalla comune disciplina prevista dall’art. 673. Esse
sono regolate dai medesimi principi di diritto intertemporale, del resto evocati
dalla sentenza costituzionale.
D’altra parte, il principio della lex mitior si riferisce a situazioni nelle quali la
disciplina penale, in epoca successiva a quella di commissione del fatto, abbia
subito mere modifiche in melius di qualunque genere (Corte cost., sent. n. 236
18/J

determinato Vabolitio criminis per effetto di una nuova scelta politico-criminale;

del 2011). Al contrario, come si è ripetutamente esposto, per effetto della
pronunzia costituzionale le fattispecie aventi ad oggetto il nandrolone e le altre
sostanze introdotte nelle tabelle nel vigore della disciplina del 2006, sono venute
meno radicalmente. Ne discende che la novella del 2014, che ha rinnovato
l’inserimento di tali sostanze nelle tabelle di legge, ha creato nuove
incriminazioni che, con tutta evidenza, non possono essere applicate
retroattivamente, ostandovi l’art. 25, secondo comma, Cost.
Così stando le cose, risultano prive di dirimente rilievo le discussioni sul

“riprendono”, cui si è ripetutamente fatto cenno. Il problema di cui si discute,
infatti, trova la sua soluzione nel principio costituzionale d’irretroattività della
legge penale incriminatrice.

7. Va dunque enunciato il seguente principio di diritto:
“A seguito della dichiarazione d’incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-viciester del decreto-legge n. 272 del 2005, come modificato dalla legge n. 49 del
2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014,
deve escludersi la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire
dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del decreto-legge
n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle
tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo novellato dalla richiamata legge n. 49 del 2006”.

8. Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio,
quanto al reato di cui al capo C, perché il fatto non è previsto dalla legge come
reato.

9. Il venire meno di tale illecito determina altresì la caducazione della
confisca dei beni che ne discendeva per effetto dell’art.

12-sexies del decreto-

legge n. 306 del 1992.
E’ ben vero che la pronunzia d’appello ha collegato tale confisca anche al
reato di ricettazione, originariamente contestato al capo B, afferente all’acquisto
o comunque alla ricezione di farmaci e sostanze farmacologicannente attive
ricomprese nella classi di cui all’art. 2 della legge n. 376 del 2000, oggetto di
illecita commercializzazione. Si è considerato che il reato di ricettazione non è
stato ritenuto inesistente ma solo assorbito nella più ampia fattispecie di cui
all’art. 9, comma 7, della richiamata legge n. 376, rubricato al capo A.
Il tema è stato esaminato funditus ed modo non criticabile dal Tribunale. Si
è considerato che il delitto punito dall’art. 9 della legge n. 376 e quello di
19

significato e sulla portata della variazione lessicale da “continuano” a

ricettazione possono in astratto concorrere perché diversi sono la struttura ed il
bene giuridico tutelato. Tuttavia, il concorso non può essere ravvisato quando,
come nel caso in esame, l’imputato ha condotto un’attività organizzata e
continuativa che integra un vero e proprio commercio di farmaci in senso
civilistico. L’approvvigionamento illecito delle sostanze rivendute è
necessariamente ricompreso nell’art. 9 comma 7 richiamato, oggetto
dell’imputazione di cui al capo A, che assorbe, consumandola, la condotta di cui
all’art. 648 cod. pen. Infatti, prosegue il Tribunale, le sostanze che l’imputato

commercializzazione vietata. L’attività dell’acquistare per vendere non integra
una condotta distinta e comprende l’approvvigionamento finalizzato alla cessione
a titolo oneroso.
In breve, dalla pronunzia di merito emerge che la condotta imputata al reato
di ricettazione non ha autonomia giuridica e costituisce un mero frammento del
fatto che integra l’altro reato. Ne discende, ai fini che qui interessano, che, non
configurandosi un autonomo illecito di ricettazione, dall’indicato frammento della
fattispecie ritenuta non si può far discendere la confisca di cui si discute.
La statuizione in questione va dunque annullata; e deve essere per l’effetto
disposta la restituzione dei beni all’avente diritto.

10. Gli atti vanno rinviati alla Corte di appello di Perugia per la
rideterminazione della pena in ordine ai residui illeciti di cui ai capi A e G.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo C, perché
il fatto non è previsto dalla legge come reato; e alla confisca dei beni disposta ai
sensi dell’art. 12- sexies del d.l. n. 306 del 1992 e ordina la restituzione degli
stessi beni all’avente diritto.
Rinvia alla Corte d’appello di Perugia per la determinazione della pena in
ordine ai reati di cui ai capi A e G.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 26/02/2015.

vendeva pervenivano nella sua disponibilità in un medesimo contesto di

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