Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29315 del 29/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29315 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CAIRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PADOVANI ANTONIO N. IL 18/03/1952
avverso l’ordinanza n. 21/2014 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 21/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 29/04/2016

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. Gioacchino Izzo
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, requisitoria
del 5 ottobre 2015 depositata il 6 ottobre 2015 con cui ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Caltanissetta con ordinanza in data 21 luglio 2015,
depositata il 22 luglio 2015, rigettava la richiesta avanzata da Padovani Antonio,

l’autorizzazione a trasferirsi a Catania ed a svolgere attività lavorativa di agente
di commercio con autorizzazione a rientrare presso il domicilio alle ore 22.00.
Nell’istanza veniva, altresì, da parte del sorvegliato riplta l’autorizzazione a
recarsi a Sant’Agata Li Battiati, presso l’abitazione di famiglia j le domeniche tra le
ore 10.00 e le ore 18.00 per mantenere i rapporti con la moglie e le figlie.
Quanto all’attività lavorativa veniva annotato che essa si sarebbe estrinsecata in
forme non suscettibili di controllo e che non risultava, tra l’altro, documentato
uno stato di indigenza tale da giustificare il compimento di quell’attività, che,
pertanto, non sarebbe stato possibile autorizzare. L’ulteriore richiesta di
trasferire il domicilio non era al pari suscettibile di accoglimento non essendo
stato autorizzato il trasferimento a Catania e dovendo mantenere il sorvegliato la
sua residenza in Sant’Agata Li Battiati.
2. Ricorre per cassazione Padovani Antonio a mezzo del difensore di fiducia.
Deduce la violazione di legge ed in particolare degli artt. 7 e 8 D. L.vo 6
settembre 2011, n. 159 per aver motivato il rigetto avendo indicato la mancata
documentazione dello stato di indigenza, che rendeva necessaria l’attività.
Lamenta il ricorrente, sul punto, che la legge non prevede che il lavoro cui
intende dedicarsi il sottoposto debba essere “gradito” ed autorizzato dall’A.G. La
normativa non impone che il luogo di residenza o di domicilio iniziali restino
immutati, né che occorre una condizione di indigenza per svolgere attività
lavorativa, là dove, piuttosto, obbligo siffatto

discende direttamente

dall’osservanza delle prescrizioni normativamente imposte e che accedono alla
misura di prevenzione.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1. Va premesso che già nel vigore della legge 27 dicembre 1956, n.1423 era
pacifica la limitazione del diritto a recarsi per ragioni di lavoro fuori dal Comune
di residenza o dimora abituale, a carico del soggetto sottoposto alla misura di
prevenzione. La Corte Costituzionale aveva ritenuto conforme a Costituzione la
previsione di una “soglia minima di sacrificio” a carico del sottoposto, resa
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sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, finalizzata ad ottenere

necessaria dalle esigenze per le quali è prevista ed applicata la misura di
prevenzione. Né si è ritenuto in contraddizione con la specifica prescrizione di
darsi, appunto, alla ricerca di un lavoro, il diniego allo svolgimento di una
determinata attività Ti—u4/3….sual~elat-o— in quanto l’obbligo va rapportato e
conformato alle esigenze collettive di sicurezza. In questa logica si è annotato
come non fosse precluso, appunto, in sede esecutiva e giurisdizionale, assicurare
un adeguato contemperamento tra tali esigenze e quelle particolari afferenti le

(Corte cost. sentenza n24 giugno 1997, n. 193).
1.2. La giurisprudenza di questa Corte sul tema aveva già avuto modo di
osservare che l’autorizzazione permanente alla persona sottoposta a trattenersi
fuori dalla propria abitazione per esigenze di lavoro, implicando necessariamente
un giudizio di diminuita pericolosità, comportava una modificazione dell’originario
provvedimento e, pertanto, era consentita solo nell’ambito delle previsioni di cui
all’art. 7, comma 2, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 (Sez 1, sentenza n.
9590 del 29/11/2000 Cc. (dep. 08/03/2001) Rv. 218551). Ancora, si era ritenuto
che la modifica, in senso favorevole al proposto, del provvedimento applicativo
della misura di prevenzione personale presupponesse un giudizio di diminuita
pericolosità, non identificabile ipso facto nell’esercizio di attività lavorativa da
parte del soggetto

(Sez.1,

sentenza n. 37487 del 18/09/2009 Cc.

(dep.24/09/2009) Rv.245355).
2. Il D. L.vo 6 settembre 2011, n. 159 (artt. 7, 8 e 11) ha sostanzialmente
replicato la disciplina precedente. Non sono state apportate modifiche o
innovazioni sostanziali al quadro normativo e non mutano, pertanto, i termini
giuridici della questione.
2.1. Nella specie si duole il ricorrente del rigetto dell’istanza presentata. Afferma
sussistente la violazione di legge nei termini descritti ed argomenta il profilo di
critica alla motivazione deducendo che, da un lato, il lavoro cui intende dedicarsi
il sottoposto non deve essere “gradito” ed autorizzato dall’A.G e dall’altro che
non è necessario che il luogo di residenza o di domicilio iniziali restino immutati.
Conclude asserendo la violazione di legge, poiché la normativa non postula una
condizione di indigenza per svolgere attività lavorativa.
Gli argomenti sviluppati non sono fondati.
In primo luogo, ed a parte la genericità del ricorso, va ribadito, secondo quanto
anticipato, che “l’autorizzazione al lavoro” è sottoposta alla valutazione
dell’Autorità in sede di giurisdizione, non ex se, ma in quanto può comportare
una modifica della misura di prevenzione in essere e delle sue modalità
esecutive. Intervenendo su prescrizioni che accedono al controllo di pericolosità è
necessario, dunque, un provvedimento di modifica. Esso discende da una
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necessità lavorative di colui che risultava sottoposto alla misura di prevenzione

valutazione di “merito”, rimessa al giudice della cognizione, che in un
bilanciamento tra le modalità esecutive dello svolgimento della prestazione
lavorativa e le prescrizioni accessorie alla misura stessa ne valuta la
compatibilità decidendo sulla possibilità di indurre una autorizzazione a
modificare luoghi di dimora, spostamenti sul territorio ed incontri del sottoposto,
oltre che l’orario di rientro presso il domicilio, in ragione delle modalità
esplicative della prestazione lavorativa.

per autorizzare il sottoposto alla misura di prevenzione allo svolgimento d’attività
incidente sulle prescrizioni, deve, tuttavia, annotarsi, come quel rilievo sia privo
del requisito di decisività.
Il riferimento nella struttura della motivazione a tale condizione, infatti, non è
tale da scalfire la logicità della decisone impugnata. Il giudice a quo ha infatti
fondato il rigetto della richiesta del sorvegliato ponderando il tipo di attività e la
prestazione che ad essa accede, annotandone la larga incontrollabilità, sia con
riferimento agli incontri con i soggetti terzi sia con riferimento alla necessità dei
controlli cui sottoporre il sorvegliato speciale. Valutazioni siffatte hanno
determinato il giudice a quo a non autorizzare una modifica del luogo di domicilio
in Catania e dell’orario di rientro presso l’abitazione.
La valutazione espressa è, pertanto, immune dai vizi denunciati ed il ricorso va
respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Condivisa la premessa che la normativa non postula una condizione di indigenza

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