Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29312 del 19/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29312 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONACO SIMONE N. IL 30/04/1975
avverso l’ordinanza n. 49/2014 CORTE ASSISE APPELLO di LECCE,
del 16/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PALMA TALERICO;
lette/stzei4e. le conclusioni del PG Dott. iku
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 19/04/2016

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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 febbraio 2015, la Corte di Assise di appello di Lecce, quale
giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod.
proc. pen., la richiesta formulata nell’interesse di Monaco Simone di applicazione della
disciplina del reato continuato.
A ragione, rilevava che con ordinanza della medesima Corte del 16.12.2010, in
parziale accoglimento della richiesta allora proposta dal Monaco, erano stati unificati in
continuazione i reati di cui alle sentenze 24.1.2006, 27.2.2007 della Corte di appello di
Lecce e 10.3.2008 della Corte di Assise di appello di Lecce, limitatamente, in relazione a
quest’ultima pronuncia, ai reati di cui alle lettere a), b), c) ed e1) e che la suddetta
ordinanza aveva rigettato la richiesta difensiva in relazione ai reati di cui ai capi u) ed u1)
della sentenza della Corte di Assise di appello di Lecce del 10.3.2008, evidenziando che
quest’ultima sentenza, pur unificando tra loro detti reati, aveva escluso che gli stessi
fossero unificabili per continuazione con i restanti reati di cui ai capi a), b), c) ed e1).
Riteneva, quindi, che la nuova istanza era una mera riproposizione della precedente,
già disattesa dal giudice dell’esecuzione, in quanto basata sui medesimi elementi.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Monaco, per il tramite
del suo difensore di fiducia, avvocato Ladislao Massari per violazione di legge in relazione
agli artt. 666, comma 2, 671 cod. pen e 81 cod. pen., nonché per motivazione illogica e
contraddittoria.
Ha sostenuto il ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto, l’istanza non sarebbe
stata una mera riproposizione della precedente basata sui medesimi elementi e che, in
particolare, con essa si rappresentava che le sentenze di merito non avevano
espressamente escluso il vincolo della continuazione tra i reati di cui ai capi u) e ul) con
gli altri, sicché non sussisteva alcuna preclusione ex art. 666, comma 2, e 671 cod. proc.
pen..
3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale di questa Corte, dott. Aurelio
Galasso, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’ordinanza impugnata, sorretta da congrua e logica motivazione, appare coerente
con il dato normativo e con i principi fissati, in materia, da questa Corte.
Come ha puntualmente osservato il Procuratore generale nella requisitoria scritta, nel
caso in questione ricorrono due diverse situazioni preclusive: l’una “fissata dall’art. 671
cod. proc. pen. laddove si chiarisce che la continuazione può applicarsi in sede esecutiva
2

4

sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione”, l’altra “fissata
dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. laddove si afferma che deve ritenersi
inammissibile una richiesta che costituisca mera riproposizione di una richiesta già
rigettata”.
E, in vero, quanto alla prima preclusione, è stato evidenziato che la sentenza della
Corte di assise di appello di Lecce del 10.3.2008 aveva escluso la continuazione tra i reati

Quanto all’altra preclusione, è stato evidenziato che il medesimo giudice
dell’esecuzione, con ordinanza del 16.12.2010 aveva riconosciuto la disciplina della
continuazione tra tutti i reati di cui alle indicate sentenze, esclusi quelli di cui ai capi u) e
u1) della sentenza della Corte di assise di appello di Lecce del 10.3.2008; e ciò in quanto
l’esclusione del medesimo disegno criminoso tra questi ultimi delitti e gli altri giudicati
con la stessa pronuncia sostanzialmente riverberava i suoi effetti anche sui reati delle
altre sentenze; è stato, altresì, evidenziato che avverso detta ordinanza non era stata
proposta impugnazione con formazione di un giudicato sia pure rebus sic stantibus e che
il condannato nel riproporre l’istanza non aveva allegato e dedotto elementi nuovi e
diversi tali da giustificare una nuova valutazione.
Né col ricorso il ricorrente riesce a individuare detti elementi, limitandosi a citare
principi di diritto pienamente condivisi ma del tutto inconferenti rispetto alle
argomentazioni dell’ordinanza impugnata.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 19 aprile 2016

di cui ai capi u) e u1) e gli altri reati giudicati con la medesima sentenza.

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