Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29304 del 01/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29304 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MINCHELLA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIINA SALVATORE N. IL 16/01/1930
avverso l’ordinanza n. 2541/2015 TRIB. SORVEGLIANZA di
BOLOGNA, del 11/06/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
• MINCHELLA;
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letteAseMitele conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 01/04/2016

RILEVATO IN FATTO

Con ordinanza in data 11.06.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna rigettava
l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena o di concessione della detenzione
domiciliare ex art. 47 ter, comma 1 ter, O.P. avanzate da Riina Salvatore, detenuto in
espiazione della pena dell’ergastolo.
Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che il Riina è affetto da patologie a carico di diversi

vasculopatia cerebrale cronica; tuttavia, si riteneva che dette patologie fossero trattabili in
ambiente carcerario: la neoplasia al rene destro era invariata dal dicembre 2014 e restava
sotto monitoraggio; l’insufficienza renale cronica risultava non più in fase di acuzie dal
2014 per la somministrazione di terapia antibiotica e di idratazione; era stato effettuato il
ciclo di FKT prescritto ed il detenuto aveva riacquistato un buon recupero funzionale del
cammino; i valori pressori erano da tempo nella normalità; non vi erano segni di
secondarismi ossei parenchimali né di lesioni emorragiche od ischemiche; si rilevava che il
detenuto aveva rifiutato di sottoporsi a trattamenti termo-ablativi proposti dagli specialisti.
Riteneva il Tribunale di Sorveglianza che il detenuto fosse sottoposto a continuo
monitoraggio e che le sue condizioni fossero stabili e che non fosse sottoposto a rischi
cardiovascolari differenti da quelli di qualunque persona della sua età (anzi, egli era
allocato in un Istituto di Pena con presenza di medici sempre reperibili); infine si
evidenziava il forte rischio di recidivanza per essere il detenuto un notorio elemento di
vertice della criminalità organizzata, ancora in grado di partecipare a delitti gravissimi e di
influenzare testimoni ed autorità giudiziarie nei processi ancora in corso a suo carico.
Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo dei suoi difensori,
deducendo ex art. 606, comma 1 lett c) ed e), cod.proc.pen. inosservanza di norme
processuali e illogicità della motivazione: si richiama la giurisprudenza della Corte
Suprema che considera non soltanto la mera compatibilità tra detenzione e terapie
effettuabili in carcere, ma anche la complessiva condizione del detenuto e la tutela dalle
sofferenze aggiuntive oltre che dell’età avanzata e si afferma che il Tribunale di
Sorveglianza avrebbe totalmente ignorato gli arresti giurisprudenziali in materia, non
considerando la risalenza dei reati commessi e preferendo utilizzare una motivazione
apparente rifugiandosi nel rischio comune a persone di medesima età e nella reperibilità
dei medici nell’Istituto di Pena; si evidenzia che sarebbe stato ignorato il lungo elenco di
patologie da cui è affetto il detenuto (cardiopatia,

insufficienza

mitralica,

epatosplenornegalia, piastrinopenia, calcolosi della colecisti, sindrome parkinsoniana,
arteriopatia agli arti inferiori, diverticoli al colon, anemia cronica, sindrome depressiva,
insufficienza renale ed altro ancora) e che il regime di detenzione ex art. 41 bis O.P. risulta
ormai contrario al senso di umanità, considerate le condizioni di salute che rendono
possibile un rischio di morte improvvisa a dispetto delle esigenze di cautela che non
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organi, in particolare di quelli cardiaco e renale, con sindrome parkinsoniana in

potrebbero essere compromesse da un uomo in tali condizioni: sul punto, le
argomentazioni sul rischio di recidivanza vengono definite come puramente congetturali.
Il P.G. chiede l’annullamento dell’ordinanza con rinvio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato poiché infondato.

corso della sua vita, diverse condanne per svariati e gravissimi delitti e per essere stato al
vertice di una forma pericolosa e pervasiva di criminalità organizzata.
In relazione ad alcune patologie da cui era risultato affetto

(supra più specificamente

riportate), egli aveva avanzato istanza di concessione del beneficio del differimento
dell’esecuzione o, in subordine, di quella forma particolare di detenzione domiciliare
conseguente all’apprezzamento della situazione di cui agli artt. 146 e 147 cod.pen.
All’esito del relativo procedimento, il giudice ha rigettato l’istanza, sottolineando, da un
lato, che le condizioni di salute del condannato, per quanto problematiche, non erano tali
da imporre un differimento dell’esecuzione; ed evidenziando, d’altro lato, che le
connotazioni di pericolosità sociale del predetto non avrebbero consentito una soluzione
differente da quella carceraria, almeno allo stato.
Il ricorso si articola su due ordini di ragioni: in primo luogo, si contesta la valutazione sullo
stato di salute del condannato, la quale non avrebbe considerato che la norma tende a
tutelare anche la restrizione in un alveo di dignità della persona; in secondo luogo, si
deduce l’inadeguatezza della motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto della
pericolosità sociale del ricorrente.
Ma tutte queste doglianze non possono trovare accoglimento.
Per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica devono
ricorrere due autonomi presupposti. Il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva
della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di
altre rilevanti conseguenza dannose (gravità da intendersi in modo particolarmente
rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilità della pena sia del principio di
uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali:
principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta
esecuzione delle pene legittimamente inflitte). Il secondo requisito consiste nella possibilità
di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci
rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche
mediante ricovero in luoghi esterni di cura.
In altri termini, non è sufficiente che l’infermità fisica menomi in maniera anche rilevante
la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla
libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire

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Il ricorrente risulta essere sottoposto a pena detentiva perpetua dopo avere riportato, nel

l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma
costituzionale.
Questo particolare rigore nella valutazione della gravità della infermità deriva dal
combinato disposto dei referenti di rango costituzionale cui la norma si richiama: essi sono
l’esigenza di certezza dell’esecuzione della pena e l’eguaglianza di fronte alla legge (art. 3
Cost.), il divieto di trattamenti disumani (art. 27 Cost.), il principio di legalità della pena
(art. 25 Cost.) e il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Ne consegue la necessità di un

Quasi inutile, poi, sottolineare che non assume rilievo un carattere cronico della patologia,
dato che il requisito della guaribilità dell’infermità non è richiesta dalla norma (Sez. 1,
25.01.1991 n. 4363): per legittimare il differimento dell’esecuzione, la grave infermità
fisica deve od offrire una prognosi infausta quoad vitam o necessitare di cure e trattamenti
indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria
neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura (Sez. 1,
24.10.1995 n. 4727).
Sul punto, la motivazione dell’ordinanza impugnata è congrua, logica e conferente: essa
riporta tutti i particolari della evoluzione clinica del ricorrente (neoplasia al rene destro
invariata da tempo; insufficienza renale cronica non più in fase di acuzie;
somministrazione adeguata di terapia antibiotica e di idratazione; avvenuta effettuazione
del ciclo di FKT prescritto; buon recupero funzionale del cammino; valori pressori nella
norma), rivelandosi esente dai vizi denunziati; con motivazione fondata su un complesso di
elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, tra loro logicamente
correlati e fondati su accertamenti clinici e sanitari, il giudice ha evidenziato le ragioni per
le quali le patologie da cui è ancora affetto il ricorrente possono essere adeguatamente
curate anche in costanza di regime detentivo carcerario.
D’altra parte, la doglianza del ricorso, secondo la quale l’allocazione del ricorrente in
ambiente esterno al carcere sarebbe foriero di miglioramenti clinici, si presenta come
infondata: il differimento della pena per motivi di salute può essere giustificato solo con
l’impossibilità di praticare utilmente le cure necessarie nel corso dell’esecuzione della pena,
non già dalla possibilità di praticarle meglio fuori della struttura penitenziaria (Sez. 1, n°
4960/1996, Rv 205750).
Il ricorso, inoltre, non contesta le circostanze di fatto riportate dal Tribunale di
Sorveglianza: si sottolinea, invece, che l’astratta compatibilità delle condizioni di salute con
lo stato detentivo non può ritenersi come unico parametro giustificativo della restrizione,
poiché andrebbe considerato anche l’aggravio di sofferenza prodotto su di un detenuto da
una sua difficile situazione sanitaria complessiva. Tuttavia, il ricorso medesimo non
segnala se, nel caso di specie, si verta in un caso di patologia implicante un pericolo per la
vita ovvero in uno stato morboso o uno scadimento fisico capace di determinare una
situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi pure nella

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bilanciamento degli interessi da parte del Giudice.

condizione di restrizione carceraria: ma, ad ogni modo, anche su questo versante il
Tribunale di Sorveglianza ha operato un congruo richiamo agli atti, dando conto delle
patologie riscontrate e della circostanza che le relazioni sanitarie recenti non forniscono
indicazioni tali da supporre un pericolo di vita o conseguenze dannose intollerabili per il
ricorrente.
Ciò premesso, va allora evidenziato che il Tribunale di Sorveglianza ha sviluppato, con
argomenti coerenti, le ragioni per le quali ha ritenuto che non vi siano condizioni di salute

detenzione domiciliare.
Non può poi ignorarsi che il giudice ha sottolineato che il ricorrente non presenta lesioni
emorragiche od ischemiche né secondarismi ossei parenchimali; si evidenzia il costante
rrionitoraggio clinico, strumentale ed ematochimico specialistico nonché la stabilità delle
condizioni cliniche del predetto, pur nella complessità delle stesse.
Ed ancora il Tribunale di Sorveglianza non ha mancato di rilevare come il detenuto abbia
rifiutato di sottoporsi a trattamenti sanitari proposti dagli specialisti, con quanto ne
consegue in termini di valutazione sulla richiesta di differimento dell’esecuzione, che non
può essere accolta allorquando il condannato rifiuti, senza giustificato motivo, di sottoporsi
ad adeguata terapia e quando l’infermità da cui è affetto sia curata con terapia medica,
non risolutiva ma regolarmente effettuata in regime di detenzione (Sez. 1, 21.02.1996 n.
266).
Ne deriva che non è affatto fondata la doglianza circa l’asserita noncuranza del giudice in
ordine alle patologie da cui è affetto il detenuto: esse sono state riportate analiticamente
ed esaminate nel loro rapporto con le condizioni concrete della restrizione. Né può
affermarsi che, in se stesso, il pur rigido regime detentivo di cui all’art. 41 bis O.P. sia un
trattamento contrario al senso di umanità: le sospensioni di alcune regole del trattamento
non inficiano il percorso rieducativo e, se è vero che il regime detentivo differenziato in
questione contribuisce a realizzare una vera e propria disciplina severa, tuttavia, lo stesso
non integra un regime di violenza fisica e morale né, comunque, un trattamento contrario
alla dignità minima umana, doverosamente non ammessi dalla Carta costituzionale. Né
può fondatamente sostenersi che il predetto regime detentivo non tenda in alcun modo
alla rieducazione del condannato, tenuto conto che anche nei confronti dei detenuti
sottoposti alle limitazioni di cui all’art. 41 bis O.P. viene svolta l’osservazione scientifica
della personalità e viene effettuato il trattamento rieducativo di cui all’art. 13 0.P: il
differente regime penitenziario trova ragionevole giustificazione in una differente
condizione personale del detenuto al quale il detto regime viene in concreto applicato.
Naturalmente, l’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione del rinvio
facoltativo od obbligatorio della esecuzione della pena preclude automaticamente
l’applicabilità della detenzione domiciliare per un periodo di tempo determinato previsto
dall’art. 47 ter, comma 1 ter, 0.P., poichè questa è istituto privo di un ambito applicativo
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di gravità tali da giustificare il differimento dell’esecuzione e, quindi, il regime di

autonomo, in quanto concedibile, in via surrogatoria, a condizione che ricorrano i
presupposti legittimanti il differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod.pen.
(Sez. 1, n° 25841 del 29.04.2015, Rv 263971).
Resta infine da esaminare l’ulteriore motivo di doglianza, e cioè quello relativo al profilo di
pericolosità sociale del ricorrente: premesso che l’assenza di ragioni sanitarie tali da
giustificare un differimento dell’esecuzione rende il secondo profilo di doglianza
pleonastico, è tuttavia doveroso rilevare come il Tribunale di Sorveglianza abbia dato atto,

condannato, giungendo alla conclusione – alla stregua della sua condotta di vita connotata
da condanne per reati gravissimi, del suo ruolo apicale assoluto in una organizzazione di
criminalità organizzata, della sua capacità di influenzare ancora i processi a suo carico
grazie al suo fosco prestigio criminale – che si trattava di persona di elevatissima
pericolosità sociale, escludendo così che le condizioni di salute potessero elidere questa
connotazione.
Si tratta di una conclusione legittimamente desunta, con ragionevole esposizione delle
motivazioni che inducono a bilanciare le esigenze della salute (comunque assicurate dai
presidi di cui all’art. 11 0.P.) con quelle della tutela della collettività.
Il ricorso va dunque rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 01 aprile 2016.

con corretto criterio e osservanza di canoni logici, della peculiare pericolosità sociale del

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