Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29292 del 18/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29292 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRUSCA VITO N. IL 16/12/1942
avverso l’ordinanza n. 6/2015 CORTE ASSISE di PALERMO, del
11/05/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

cue

Uditi difensor Avv.;

,

,

Data Udienza: 18/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 11.5.2015, la Corte di Assise di Palermo, in funzione di
giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da BRUSCA Vito, volta ad ottenere
l’applicazione della pena di 30 anni di reclusione in sostituzione di quella dell’ergastolo
irrogata dalla medesima Corte di Assise con sentenza dell’1.10.2002, irrevocabile il

sentenza 18.3.2000 della Corte di Assise di Appello di Palermo, riportata sub 2) nel
certificato del casellario giudiziale).
Il giudice dell’esecuzione, mutuando recente giurisprudenza di legittimità
pronunciatasi in un caso del tutto sovrapponibile, osservava che l’intervenuta revoca non
poteva ritenersi “viziata” in funzione dell’introduzione dell’art. 7 D.L. n. 341/2000, atteso che
l’imputato era stato posto in grado di esercitare una libera e consapevole scelta tra le
maggiori garanzie derivanti dalla celebrazione del dibattimento e i benefici premiali
scaturenti dalla scelta del rito abbreviato.
2. Avverso la suddetta ordinanza BRUSCA Vito ha proposto ricorso per cassazione
tramite il difensore di fiducia, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 442,
comma 2, c.p.p., 30 L. n. 479/99, 8 D.L. n. 341/2000, convertito in L. n. 4/2001, 3, 25, 111
e 117 Cost., 6 e 7 CEDU.
Assume il difensore che la rinuncia al rito abbreviato da parte del suo assistito non
era stata affatto libera, ma influenzata dal novum legislativo del D.L. n. 341/2000, sicché
penalizzare l’interessato per una scelta che aveva compiuto per ragioni del tutto contingenti
e condizionate dal legislatore si configurava come violazione del principio di difesa e di quello
di eguaglianza sostanziale.
Il principio del favor rei, posto a fondamento degli artt. 2, comma 4, c.p. e 7 CEDU,
avrebbe dovuto operare tenendo conto delle peculiarità del caso concreto e non secondo una
lettura solo formale di essi, di cui si censurava l’erroneità.
Il difensore chiede, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità
costituzionale dell’art. 8 D.L. n. 341/2000 per violazione degli artt. 3, 10, 25, 111, 117
Cost., e 6 e 7 della Convenzione EDU.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha
concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2

17.5.2004 (l’esame degli atti pervenuti consente di ritenere errata l’indicazione della

2. Ed invero, sul tema proposto dall’odierno ricorrente, deve essere ricordato come la
giurisprudenza di questa Corte abbia in modo unanime e costantemente» insegnato che il
principio discendente dalla sentenza 17.9.2009 della CEDU sul caso Scoppola c. Italia si può
applicare solo a coloro che abbiano chiesto e ottenuto l’accesso al rito abbreviato nel periodo
di vigenza della L. n. 479 del 1999 (quindi, tra il 2.1.2000 e il 24.11.2000), perché solo in
quel caso l’intervenuta modifica legislativa ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a

254524, 254212, 254096, 251857, 253093, 252211 e altre).
In particolare, va rammentato come, sui temi in discussione, siano già intervenute in
modo approfondito due fondamentali decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte, entrambe
pronunciate in data 19.04.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (dep. il 7.9.2012) e la n.
34472, in proc. Ercolano (dep. il 10.9.2012), peraltro ribadite e completate dalla più recente
decisione n. 18821 del 24.10.2013, dep. 7.5.2014, Ercolano, Rv. 258649, emessa, ancora
dalle Sezioni Unite, dopo l’intervento della Corte costituzionale (investita proprio dal
Supremo consesso con la citata ordinanza n. 34472/2012) che aveva dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 1, D.L. 24.11.2000, n. 341, convertito dalla L.
19.1.2001, n. 4, per contrasto con l’art. 117, comma primo, Cost., in relazione all’art. 7
CEDU (sent. n. 210 del 2013).
Per quel che qui rileva, è sufficiente richiamare e ribadire i seguenti essenziali principi
– cui il Collegio aderisce – affermati con le menzionate pronunce, nel senso che:
– le decisioni della Corte EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto
della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza – con le
precisazioni che seguono – anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è
intervenuta la pronuncia della predetta Corte (ordinanza Ercolano cit., Rv. n. 252933);
– l’art. 442 c.p.p., disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di
condanna secondo il rito abbreviato, è norma di diritto sostanziale e, tenuto conto che la
stessa – con specifico riferimento ai reati punibili con la pena dell’ergastolo – ha subìto, nel
tempo, varie modifiche per interventi della Corte costituzionale e del legislatore, deve
soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, così come
interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa
(principio già contenuto nell’art. 25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente,
retroattività o ultrattività della previsione meno severa;
– in conseguenza, la pena dell’ergastolo inflitta all’esito del giudizio abbreviato,
richiesto dall’interessato in base all’art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, ma
conclusosi nel vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dall’art. 7, comma 1,
D.L. n. 341 del 2000 e in concreto applicata, non può essere ulteriormente eseguita,
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carico dell’imputato (sul punto, assolutamente pacifico, cfr. Rv. 258272, 256257, 255388,

essendo stata quest’ultima norma ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al
principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, come interpretato dalla Corte
EDU, e dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 117, comma primo Cost. (cfr. Sez
U del 24.10.2013, dep. il 7.5.2014, Ercolano, cit., con la quale si è affermato che il divieto di
dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata
incostituzionale dal Giudice delle leggi esprime un valore che prevale su quello della

marzo 1953, n. 87);
– lo strumento processuale di eventuale adeguamento interno, al fine di garantire
concreta applicazione al principio della legalità della pena, anche nella sua valenza
convenzionale ex art. 7 della Carta dei Diritti dell’Uomo quale interpretato dalla Corte EDU,
va individuato nell’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p., nell’ambito del quale superare se del caso – il giudicato.
Ancora la Corte Costituzionale, nella recente sentenza n. 235 del 2.7.2013 – con la
quale ha dichiarato manifestamente inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4-ter del d.l. 7 aprile 2000, n. 82 (convertito, con modificazioni, dalla
legge 5 giugno 2000, n. 144), sollevata dal Tribunale di Lecce, in veste di giudice
dell’esecuzione, con riferimento agli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6
e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha ribadito che alla suddetta sentenza 17.9.2009 della Corte EDU sul caso Scoppola c. Italia
si può fare riferimento soltanto nell’ipotesi relativa ad un caso che sia “identico a quello
deciso” e “non richieda la riapertura del processo”.
Con riguardo al tema dell’adeguamento concreto a tali principi nel diritto interno, la
citata sentenza n. 34233, ric. Giannone, ha precisato che l’individuazione della pena
sostitutiva da applicare in sede di giudizio abbreviato per i reati punibili in astratto con
l’ergastolo, con o senza isolamento diurno, è subordinata al verificarsi di una “fattispecie
complessa” integrata dalla commissione di reati per i quali sia prevista tale sanzione e dalla
richiesta di accesso al rito speciale avanzata dall’interessato, elementi questi che, in quanto
inscindibilmente connessi tra loro, devono concorrere entrambi, affinché possa trovare
applicazione, in caso di condanna, la comminatoria punitiva prevista dalla legge al momento
della richiesta: è quest’ultima, infatti, che cristallizza, in rapporto al reato o ai reati per i
quali si procede, il trattamento sanzionatorio vigente al momento di essa.
Tutto ciò premesso e ritenuto, va, ancora una volta, affermata la concreta
inapplicabilità del principio discendente dalla sentenza della CEDU 17.9.2009 (nel caso
Scoppola c. Italia) a tutte quelle situazioni che non siano sovrapponibili, nei loro elementi

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intangibilità del giudicato e trova attuazione nell’art. 30, quarto comma, della legge 11

essenziali aventi rilievo nello schema sopra illustrato, alla situazione valutata dall’anzidetta
Corte sopranazionale.
In particolare, come in precedenza accennato, la conversione della pena dell’ergastolo
in quella di anni trenta deve reputarsi possibile, in sede esecutiva, solo ove il rito abbreviato
sia stato chiesto e sia stato ammesso tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000, e cioè nella
vigenza della L. n. 479 del 1999, art. 30, comma 1, lett. b, (che prevedeva che, in esito al

decisione definitiva sia stata pronunciata dopo il 24.11.2000, con applicazione del più severo
trattamento sanzionatorio introdotto con l’art. 7 D.L. n. 341 del 2000 (che ripristinava
l’ergastolo senza isolamento diurno: norma giudicata dalla Corte costituzionale, nella citata
decisione n. 210/2013, non di “interpretazione autentica” dell’art. 442, comma 2, ult.
periodo, c.p.p., come esplicitamente enunciato dal legislatore, ma norma sostanzialmente
innovativa, che andava a modificare in malam partem il contenuto sanzionatorio della
disposizione suddetta e non poteva, perciò, avere efficacia retroattiva).
Tutti i casi diversi da quello appena delineato, siccome strutturalmente non
riconducibili a quello per cui è stato espresso il principio, non possono, dunque, trovare
soluzione positiva (vedi, tra le più recenti, Sez. 1, n. 6004 del 10/1/2014, Papalia, Rv.
250026; Sez. 1, n. 4008 del 10/1/2014, Ganci, Rv. 258272; Sez. 1, n. 23931 del
17/5/2013, Lombardi, Rv. 256257).
3. Tanto premesso in ordine al contesto normativo e giurisprudenziale in cui si colloca
la questione, il Collegio osserva che il BRUSCA venne ammesso al rito abbreviato in forza
dell’art. 30 L. n. 479/99 (vigente dal 2.1.2000), che reintroduceva l’ammissibilità del giudizio
abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo, stabilendo genericamente che, in caso di
condanna, la pena perpetua doveva essere sostituita con quella di trent’anni di reclusione.
Successivamente, l’interessato revocò la richiesta di giudizio abbreviato, in
precedenza formulata, avvalendosi del disposto di cui al D.L. n. 341 del 2000, art. 8.
Tale revoca, per come meglio verrà precisato, non poteva che precludere al giudice
dell’esecuzione l’apprezzamento della originaria richiesta di rito abbreviato.
4. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non può, invero, riconoscersi
natura sostanziale alla disciplina applicata dal giudice della cognizione che, preso atto
dell’intervenuta revoca della richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato, dispose
la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie (si veda, in relazione a caso analogo, Sez.
1, n. 15748 del 21/1/2014, Riina, Rv. 259417).
Il legislatore, infatti, in presenza del mutato quadro ordinamentale e delle profonde
innovazioni che avevano contrassegnato l’intero scenario, sul piano dei presupposti e delle
cadenze, del rito alternativo, consentiva, in via transitoria e in presenza di precisi
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rito speciale, all’ergastolo si sostituisse la pena di anni trenta di reclusione), mentre la

presupposti tassativamente elencati (astratta punibilità dei reati contestati all’imputato con
la pena dell’ergastolo con isolamento diurno; precedente formulazione della domanda in
base alle modifiche introdotte all’art. 442 c.p.p., comma 2, dalla L. n. 479 del 1999, art. 30
comma 1, lett. b, ovvero in base al D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 4-ter, nel testo modificato
dalla Legge di Conversione 5 giugno 2000, n. 144; rispetto del termine di trenta giorni
decorrente dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto-legge) la revoca della

Tale scelta costituiva un ragionevole bilanciamento tra il mutato quadro normativo di
riferimento e le esigenze di deflazione insite – anche in regime transitorio – nel giudizio
abbreviato rispetto all’ordinario epilogo dibattimentale con conseguente speciale diminuzione
della pena in ipotesi di condanna.
Da tali considerazioni derivano due evidenti corollari.
Per un verso, infatti, risolvendosi la diminuente di pena in un trattamento premiale
accessorio che scaturisce dalla scelta, ormai unilaterale, di un rito che si configura a
struttura probatoria eventuale e contratta, è evidente che un siffatto trattamento
sanzionatorio vive e trae la propria ragione d’essere esclusivamente nell’alveo del rito cui
accede, senza pertanto assumere – come pure il ricorrente pretenderebbe – l’autonomia
tipica di una disciplina di natura sostanziale.
Sotto altro profilo, è del tutto evidente che il riconoscimento della diminuente del rito
pur in presenza dell’intervenuta revoca della domanda di accesso allo stesso in precedenza
avanzata, sarebbe del tutto eccentrica rispetto ad un ipotetico “recupero” di facoltà ormai
naturalmente precluse, attesa l’omessa rinuncia al diritto alla prova nel contraddittorio di
merito, essendo stato tale diritto per definizione già integralmente esercitato.
Paradossalmente, non accedendo a tale ipotesi ricostruttiva, si assisterebbe ad un incoerente
“privilegio”, giacché, senza alcuna giustificazione, si dovrebbe applicare una diminuente di
pena, totalmente disancorata da qualsiasi riconducibilità al rito speciale ed alle “limitazioni”
probatorie che da esso conseguono.
5. Non può neppure ritenersi che l’intervenuta revoca della richiesta di giudizio
abbreviato sia stata “viziata” dalla disciplina contenuta nel D.L. 24 novembre 2000, n. 341,
art. 7, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, atteso che l’imputato è
stato posto in grado di esercitare una libera e consapevole scelta tra le maggiori garanzie
derivanti dalla celebrazione del dibattimento e i benefici premiali scaturenti dalla scelta del
rito abbreviato.
6. Una conclusione del genere appare, del resto, coerente con i principi elaborati dalla
giurisprudenza di questa Corte in tema di “preclusione”, istituto che assolve la funzione di
scandire i singoli passaggi della progressione del processo e di regolare i tempi e i modi
6

domanda di giudizio abbreviato in precedenza presentata.

dell’esercizio dei poteri delle parti e del giudice, dai quali quello sviluppo dipende, con la
conseguenza di rappresentare il presidio apprestato dall’ordinamento per assicurare la
funzionalità del processo in relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte
del legislatore e, pertanto, di impedire l’esercizio di un potere del giudice o delle parti in
dipendenza dell’inosservanza delle modalità prescritte dalla legge processuale, o del
precedente compimento di un atto incompatibile, ovvero del pregresso esercizio dello stesso

Nel caso di specie, il ricorrente, revocando la domanda di giudizio abbreviato in
precedenza avanzata, ha compiuto un atto inconciliabile con la volontà di avvalersi del
suddetto rito semplificato e delle conseguenze premiali da esso derivanti, avendo già
“consumato” l’esercizio delle facoltà a lui assegnate.
Tali principi, come autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale (sentenze n.
236 del 2011 e n. 210 del 2013), non sono estranei alla Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo, come si desume dalla sentenza Scoppola che vi ha ravvisato un limite
all’espansione della legge penale più favorevole.
È, quindi, da ritenere e riaffermare che, in linea di principio, l’obbligo di adeguamento
alla Convenzione, nel significato attribuitole dalla Corte di Strasburgo, non concerne i casi,
diversi da quello oggetto della decisione nel caso Scoppola – connotato da significative
diversità rispetto a quello oggetto del presente scrutinio – nei quali (come quello in esame)
per l’ordinamento interno si è formato il giudicato, e che le deroghe a tale limite vanno
ricavate, non dalla CEDU, che non le esige, ma nell’ambito dell’ordinamento nazionale (Corte
Cost., sent. n. 210 del 2013).
Per tali consideraziong; deve ritenersi manifestamente infondata la questione di
costituzionalità dell’art. 8 D.L. n. 341/2000, oltre che irrilevante, atteso che non si può, in
ogni caso, attribuire alla sentenze della Consulta che dichiarassero illegittime norme
processuali efficacia retroattiva su rapporti nei quali si siano formate, in tutto o in parte,
statuizioni irrevocabili e, come tali, insuscettibili di subire l’influenza del giudicato
costituzionale (in termini, Sez. U, Sentenza n. 44895 del 17/7/2014, Pinna, Rv. 260925;
Sez. 1, Sentenza n. 5305 del 25/9/1997, Buiarelli, Rv. 208629).
7. In definitiva, il ricorso, manifestamente infondato, e dimentico di principi affermati
anche dalle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte, deve essere dichiarato
inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché
al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo indicare
in euro 1.000,00.

P.Q.M.
7

potere.

aL

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2016

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