Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29291 del 18/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29291 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRECO GUGLIELMO N. IL 04/05/1972
avverso l’ordinanza n. 45/2014 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 31/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 18/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa in data 31.3.2015, la Corte di Appello di Caltanissetta,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata nell’interesse
di GRECO Guglielmo, volta ad ottenere, nell’ambito del provvedimento di cumulo emesso
dalla Procura Generale di Caltanissetta il 19.1.2012, l’applicazione della pena di trent’anni di

Caltanissetta con sentenza del 23.9.2000, irrevocabile il 26.7.2002.
La Corte nissena osservava che la vicenda del GRECO si poneva decisamente al di
fuori dei parametri indicati dalla giurisprudenza nazionale (di legittimità e costituzionale),
nonché da quella sovranazionale, con particolare riferimento alla decisione assunta dalla
Corte EDU nel noto caso SCOPPOLA c/Italia (sentenza del 17.9.2009).
L’istante, infatti, non era mai stato ammesso al rito abbreviato, in quanto la richiesta
da lui avanzata nel giudizio di appello, prima nell’atto d’impugnazione, poi all’udienza del
18.1.2000, venne rigettata.
2. Ha proposto ricorso per cassazione GRECO Guglielmo, per il tramite del difensore
di fiducia, deducendo violazione di legge in relazione all’art. 30 L. n. 479/99, atteso che,
come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 210/2013, la successione delle
norme avvicendatesi in tema di giudizio abbreviato atteneva a una disposizione di carattere
sostanziale e, pertanto, andava applicata la norma più favorevole al reo.
Il GRECO aveva presentato istanza di rito abbreviato nel vigore della legge “Carotti” e
aveva, quindi, diritto alla riduzione di pena richiesta.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha
concluso per il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1.1. Ed invero, sui temi oggetto della presente decisione sono già intervenute in
modo approfondito due fondamentali decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte, entrambe
pronunciate in data 19.04.2012, la n. 34233, in proc. Giannone (dep. il 7.9.2012) e la n.
34472, in proc. Ercolano (dep. il 10.9.2012), peraltro ribadite e completate dalla più recente
decisione n. 18821 del 24.10.2013, dep. 7.5.2014, Ercolano, Rv. 258649, emessa, ancora
dalle Sezioni Unite, dopo l’intervento della Corte costituzionale (investita proprio dal
Supremo consesso con la citata ordinanza n. 34472/2012) che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 7, comma 1, D.L. 24.11.2000, n. 341, convertito dalla L.
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reclusione in sostituzione di quella dell’ergastolo, inflittagli dalla Corte di Assise di Appello di

19.1.2001, n. 4, per contrasto con l’art. 117, comma primo, Cost., in relazione all’art. 7
CEDU (sent. n. 210 del 2013).
Per quel che qui rileva, è sufficiente richiamare e ribadire i seguenti principi – che il
Collegio condivide e ribadisce – affermati con le menzionate pronunce, nel senso che:
– le decisioni della Corte EDU che evidenziano una situazione di oggettivo contrasto
della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza – con le

intervenuta la pronuncia della predetta Corte (ordinanza Ercolano cit., Rv. n. 252933);
– l’art. 442 c.p.p., disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di
condanna secondo il rito abbreviato, è norma di diritto sostanziale e, tenuto conto che la
stessa – con specifico riferimento ai reati punibili con la pena dell’ergastolo – ha subìto, nel
tempo, varie modifiche per interventi della Corte costituzionale e del legislatore, deve
soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, così come
interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa
(principio già contenuto nell’art. 25, comma secondo, Cost.), ma anche, e implicitamente,
retroattività o ultrattività della previsione meno severa;
– in conseguenza, la pena dell’ergastolo inflitta all’esito del giudizio abbreviato,
richiesto dall’interessato in base all’art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 479 del 1999, ma
conclusosi nel vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dall’art. 7, comma 1,
D.L. n. 341 del 2000 e in concreto applicata, non può essere ulteriormente eseguita,
essendo stata quest’ultima norma ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al
principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, come interpretato dalla Corte
EDU, e dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 117, comma primo Cost. (cfr. Sez.
U del 24.10.2013, dep. il 7.5.2014, Ercolano, cit., con la quale si è affermato che il divieto di
dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata
incostituzionale dal Giudice delle leggi esprime un valore che prevale su quello della
intangibilità del giudicato e trova attuazione nell’art. 30, quarto comma, della legge 11
marzo 1953, n. 87);
– lo strumento processuale di eventuale adeguamento interno, al fine di garantire
concreta applicazione al principio della legalità della pena, anche nella sua valenza
convenzionale ex art. 7 della Carta dei Diritti dell’Uomo quale interpretato dalla Corte EDU,
va individuato nell’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p., nell’ambito del quale superare se del caso – il giudicato (il valore della cui intangibilità viene considerato recessivo rispetto
a quello, fondato sull’art. 30, quarto comma della L. 11.3.1953, n. 30, che inerisce al
divieto di dare esecuzione ad una sanzione penale contemplata da una norma dichiarata

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precisazioni che seguono – anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è

incostituzionale dal Giudice delle leggi: tale è il principio affermato nella recente Sez. U, n.
18821/2014, cit.).
Ancora la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 235 del 2.7.2013 – con la quale ha
dichiarato manifestamente inammissibile, per irrilevanza, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4-ter del d.l. 7 aprile 2000, n. 82 (convertito, con modificazioni, dalla
legge 5 giugno 2000, n. 144), sollevata dal Tribunale di Lecce, in veste di giudice

e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha ribadito che alla suddetta sentenza 17.9.2009 della Corte EDU sul caso Scoppola c. Italia
si può fare riferimento soltanto nell’ipotesi relativa ad un caso che sia “identico a quello
decíso” e “non richieda la riapertura del processo”.
Con riguardo al tema dell’adeguamento concreto a tali principi nel diritto interno, la
citata sentenza n. 34233, Giannone, ha precisato che l’individuazione della pena sostitutiva
da applicare in sede di giudizio abbreviato per i reati punibili in astratto con l’ergastolo, con
o senza isolamento diurno, è subordinata al verificarsi di una “fattispecie complessa”
integrata dalla commissione di reati per i quali sia prevista tale sanzione e dalla richiesta di
accesso al rito speciale avanzata dall’interessato, elementi questi che, in quanto
inscindibilmente connessi tra loro, devono concorrere entrambi, affinché possa trovare
applicazione, in caso di condanna, la comminatoria punitiva prevista dalla legge al momento
della richiesta: è quest’ultima, infatti, che cristallizza, in rapporto al reato o ai reati per i
quali si procede, il trattamento sanzionatorio vigente al momento di essa.
1.1.1. Tutto ciò premesso e ritenuto, va, ancora una volta, affermata la concreta
inapplicabilità del principio discendente dalla sentenza della CEDU in data 17. 9.2009 (nel
caso Scoppola c. Italia) a tutte quelle situazioni che non siano sovrapponibili, nei loro
elementi essenziali aventi rilievo nello schema sopra illustrato, alla situazione valutata
dall’anzidetta Corte sopranazionale.
In particolare, facendo sempre riferimento a quanto è dato leggere nella citata
sentenza Giannone delle SS. UU., la conversione della pena dell’ergastolo in quella di anni
trenta è possibile, in sede esecutiva, solo ove il rito abbreviato sia stato chiesto e sia stato
ammesso tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000, e cioè nella vigenza della L. n. 479 del
1999, art. 30, comma 1, lett. b, (che prevedeva che, in esito al rito speciale, all’ergastolo si
sostituisse la pena di anni trenta di reclusione), mentre la decisione definitiva sia stata
pronunciata dopo il 24.11.2000, con applicazione del più severo trattamento sanzionatorio
introdotto con l’art. 7 D.L. n. 341 del 2000 (che ripristinava l’ergastolo senza isolamento
diurno: norma giudicata dalla Corte costituzionale, nella citata decisione n. 210/2013, non di
“interpretazione autentica” dell’art. 442, comma 2, ult. periodo, c.p.p., come esplicitamente
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dell’esecuzione, con riferimento agli artt. 3 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6

enunciato dal legislatore, ma norma sostanzialmente innovativa, che andava a modificare in
malam partem il contenuto sanzionatorio della disposizione suddetta e non poteva, perciò,
avere efficacia retroattiva).
Tutti i casi diversi da quello appena delineato, siccome strutturalmente non
riconducibili a quello per cui è stato espresso il principio, non possono, dunque, trovare
soluzione positiva (vedi, tra le più recenti, Sez. 1, n. 6004 del 10/1/2014, Papalia, Rv.

17/5/2013, Lombardi, Rv. 256257; Rv. 255388, 254524, 254212, 254096, 251857, 253093,
252211 e altre).
1.2. E’ evidente, pertanto, in base alle risultanze già messe in rilievo nella superiore
esposizione in fatto, la non sovrapponibilità della situazione del GRECO, mai ammesso al rito
abbreviato, a quella dello SCOPPOLA, sicché del tutto correttamente il giudice
dell’esecuzione ha rigettato la sua istanza ed ha, altrettanto correttamente, ritenuto
assorbite dal giudicato le ragioni sottese al diniego di accesso al rito opposte in sede di
cognizione che avrebbero dovuto formare oggetto di specifica censura in sede di legittimità.
2. In definitiva, il ricorso, manifestamente infondato, e dimentico di principi affermati
anche dalle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte, deve essere dichiarato
inammissibile ex artt. 591 e 606, comma 3, c.p.p..
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del
disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille)
in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente
infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

250026; Sez. 1, n. 4008 del 10/1/2014, Ganci, Rv. 258272; Sez. 1, n. 23931 del

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