Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29288 del 18/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29288 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GERACI ANNA MARIA N. IL 11/01/1931 parte offesa nel
procedimento
SEIDITA NINFA N. IL 31/03/1964 parte offesa nel procedimento
SEIDITA MARIA TERESA N. IL 05/01/1962 parte offesa nel
procedimento
c/
TERESI FRANCESCO PAOLO N. IL 30/12/1955
avverso l’ordinanza n. 383/2014 GIP TRIBUNALE di PALERMO, del
21/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
letteksentit1/4, le conclusioni del PG Dott. 5-.0..u,,re.
e,k,v:

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Udit uifensor Avv.;

Data Udienza: 18/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari di Palermo, con ordinanza del
21/02/15, si è pronunciato sull’opposizione proposta, ex art. 667, comma
4 cod. proc. pen., nell’interesse di Geraci Anna Maria, Seidita Ninfa e
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il

provvedimento emesso dal suddetto quale giudice dell’esecuzione, con il

già sottoposta a sequestro probatorlo nell’ambito del procedimento
conclusosi con l’applicatone di pena nei confronti di Teiesi Francesco
Paolo per associazione per delinquere, ex art.416 cod. pen., finalizzata
alla commissione di plurimi delitti di truffa, nonché per i delitti, ex art.
640 bis cod. pen., di truffa per il conseguimento di finanziamenti ed
erogazioni pubbliche. Il suddetto Giudice ha respinto l’opposizione,
confermando la confisca della somma di euro 50.000 sottoposta a
sequestro probatorio in data 17 giugno 2008.

2.

Geraci Anna Maria, Seidita Ninfa e Seidita Maria Teresa, tutte

quali eredi di Seidita Domenico, per il tramite del loro difensore,
propongono ricorso per cassazione, deducendo vizio di motivazione e
travisamento della prova.
Il ragionamento svolto dal G.i.p. di Palermo, secondo il difensore,
sarebbe fallace e la motivazione carente, illogica e contraddittoria,
laddove evince dalle modalità di rinvenimento dei 50.000 euro, sottoposti
a sequestro e poi confiscati, la riconducibilità degli stessi al Teresi
Francesco Paolo, anziché al Seidita Domenico e alla moglie quale frutto
dei loro risparmi (come documentato con riferimento al redditi dai
medesimi percepiti negli ultimi cinque anni prima del rinvenimento). Con
confusione anche del luogo del rinvenimento dell’armadio metallico al cui
interno era trovata detta somma, parlandosi di vano cantina anziché di
androne di ingresso dell’abitazione del Seidita Domenico ( deceduto nel
2010 ), peraltro non nella disponibilità esclusiva del Teresi, ma di tutti i
congiunti del suddetto, come del resto le chiavi di accesso ai restanti vani
dell’appartamento e le chiavi dello stesso armadio metallico.
Argomentazioni tutte non considerate minimamente, secondo la
difesa, in sede di opposizione dal giudice dell’esecuzione, che, partendo
da dati inesistenti e travisando il fatto, ritiene dirimente per il proprio
convincimento il rinvenimento, oltre che di documenti fiscali intestati alle
associazioni coinvolte nelle truffe, di appunti con annotazioni per euro
1

quale veniva disposta la confisca della somma di euro 50.000 in contanti,

49.700 e quindi per una somma vicina a quella confiscata, e

quindi

preferisce altre conclusioni a quelle prospettate. Dando vita ad “un
discorso giustificativo della decisione., illogico, posto che doveva esserci
assoluta corrispondenza tra la somma sequestrata e gli importi finanziati

e riportati negli appunti manoscritti nel retro della carpetta verde”, e che
gli inquirent non avevano specificato se l’importo di 49.700,00 euro
costituisse il totale dei singoli finanziamenti e se tale importo fosse il

invece, che l’armadietto metallico custodisse esclusivamente beni,
contanti e preziosi appartenenti al d’e cuTus Domenico Seidita, posti
lontano dalla propria camera da letto per sviare eventuali malintenzionati.
Con conseguente travisamento della prova.
Conclude,

pertanto,

il

difensore

per l’annullamento

del

provvedimento impugnato con ordine di restituzione alle aventi diritto
ovvero per l’annullamento con rinvio all’Ufficio del Giudice per le indagini
preliminari di Palermo.
3. Con memoria depositata l’11.3.2016 il difensore delle ricorrenti
replica alla richiesta di rigetto formulata dal P.g. ripercorrendo
nuovamente le argomentazioni del ricorso proposto nell’interesse delle
proprie assistite.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è inammissibile.

Invero, l’ordinanza del Giudice a quo si confronta in modo senza
dubbio esaustivo, oltre che non manifestamente illogico, con la tesi
difensiva secondo cui la somma di euro 50.000 di cui al summenzionato
verbale di sequestro apparterrebbe al Seidita Domenico e, quindi,
spetterebbe alle ricorrenti, ivi compresa la moglie, quali suoi eredi.
Evidenzia, invero, il suddetto provvedimento come, diversamente dalle
prospellazioni difensive, detta somma sia certamente riconducibile
all’attività delittuosa svolta da Francesco Paolo Teresi, il quale aveva
promosso, costituito ed organizzato – insieme ad altri soggetti – un vero e

proprio sodalizio criminale, finalizzato alla realizzazione di molteplici truffe
dello stesso genere, attraverso le quali il suddetto ed i suoi complici
miravano a conseguire ingiuste erogazioni di finanziamenti pubblici in
pregiudizio del Comune di Palermo e di altri enti territoriali.
L’organizzazione, invero, sfruttava i medesimi schemi, che prevedevano
puntualmente la proposta inoltrata alle predette pubbliche
2

maggiore degli importi o l’ultimo in ordine di tempo. E non considerando,

amministrazioni, di programmi di rilievo sociale e culturale,
apparentemente destinati alle fasce più deboli della città; dopo, quindi,
l’approvazione dei finanziamenti da parte degli enti pubblici e la
presentazione dei preventivi di spesa, gli stessi programmi in realtà non
venivano mai realizzati, ovvero erano portati a termine con modalità
differenti rispetto a quanto documentato nei progetti e nei resoconti di
spesa finale. Il Teresi ed i suoi complici avevano sfruttato lo schermo

essi erano legati a vario titolo, in modo da portare avanti e vedersi
approvare il maggior numero di proposte di progetto ed ottenere
fraudolentemente i finanziamenti, destinati invece al loro personale
profitto. Le truffe erano articolate in modo complesso in quanto il Teresi
ed i complici si avvalevano sulla carta di contributi forniti da “terzi”
esterni alle associazioni che volta per volta proponevano i progetti da
finanziare, come altri enti ONLUS o titolari di alcune ditte commerciali o
erogatrici di servizi, e facevano poi in modo di far loro documentare, ed
attestare falsamente, oneri e spese in realtà mai sostenuti. I predetti
documenti fiscali e contabili – parzialmente o integralmente fittizi entravano poi a far parte dei rendiconti consuntivi, in cui si attestavano
falsamente le spese sostenute e l’avvenuta esecuzione dei progetti. I
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ricevevano; e nonostante ciò, dopo l’approvazione e la presunta
esecuzione dei programmi approvati, spese e costi figuravano
fraudolentemente nei rendiconti a consuntivo, trasmessi presso gli enti

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L’ordinanza, quindi, dopo aver analizzato i meccanismi truffaldini
posti in essere anche dal Teresi, evidenzia come lo stesso avesse la
disponibilità del vano di proprietà del Seidita, tanto da custodirci il suo
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del quale era stata occultata la somma di euro 50.000, come emerso
dagli atti investigativi del procedimento conclusosi con la sentenza di
applicazione della pena nei suoi confronti. Ed invero, la stessa ordinanza
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primaria o pressoché esclusiva dell’armadio era stata quella di custodire
gli oggetti più preziosi ed i risparmi in contanti di quella famiglia (che non
è mai stata coinvolta, peraltro, nelle indagini sulle truffe attribuite a
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genero’, circostanza pacificamente ammessa dalle odierne ricorrenti,

3

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costituito da alcune associazioni socio-culturali e di volontariato, alle quali

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inoltra come sia evid.antia cha. il contenitora metallico

fosse condiviso da Seidita e Teresi e come “la contemporanea presenza di
altri oggetti di proprietà del primo” non sia “sufficiente – in sé e per sé a fare escludere la presenza di documenti e contanti, riconducibili
unicamente all’altro”. E come i! rinvenimento, accanto ai 50.000 euro
custoditi nella busta, di documenti riguardanti tutti le attività e la
contabilità delle associazioni di volontariato ed enti ONLUS risultati

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documenti fiscali intestati alle associazioni coinvolte nelle truffe o
contenenti gli organigrammi delle stesse, di bozze di progetto destinate
ad essere inoltrate agli enti locali, di richieste di finanziamento e di
anni enti infrermali ecrifil a mann in ri gi ennn rinnrtati rifrra

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enti coinvolti, tra cui una “carpetta di colore verde, recante la dicitura
PROGETTI, contenente richieste di contributi simili a quelle di cui sopra,
ed un appunto manoscritto riportato sul retro della stessa carpetta,
rip.ortante

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affiancati da sornrn.- di danaro,

con importo massimo di euro 49.700”. Sottolinea, quindi, l’ordinanza
impugnata come l’accertata disponibilità delle chiavi dell’armadio
metallico da parte del Teresi vada “letta e valutata con il contenuto
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degli appunti contabili informali sopra descritti, che riportano – tra l’altro
– una cifra complessiva (49.700 euro) quasi integralmente coincidente
con quella sequestrata dalla p.g.”; – come proprio “l’articolata
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ed il numero dei soggetti coinvolti nelle truffe, abbia fatto avvertire al
condannato, l’esigenza di custodire – accanto ai proventi illecitamente
accumulati – prospetti contabili ed appunti informali, scritti a mano, sui
q. ..ali potar fare 2 fficinrn ,a nto, come pro-memoria” e come sia “singolare,
invece, che nessun appunto dello stesso genere, riconducibile al padrone
di casa, sia stato rintracciato dagli inquirenti, accanto alla busta con le
banconote”: – come dette circostanze obiettive costituiscano “indizi gravi
e pràcisi, che rinviano in modo imivoco a! fatto che ba somm.a in
sequestro costituivano invece prodotto o profitto dei progetti fraudolenti”;
– come la versione prospettata dalle eredi di Seidita Domenico si basi
“unicamente su dati di fatto (la residenza nell’appartamento perquisito) e
sulie labiali affermazioni delle opponenti (sulla natura e proprietà.
esclusiva del denaro), che vanno reputate senz’altro superati alla luce di

4

coinvolti nelle truffe in oggetto, consentano di ricollegare detto denaro

te etti gli altri eb.rnenti obicttivi c«rn..rsi “. r^riclud%

l ‘ordinanzn

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impugnata per il rigetto dell ‘opposizione e per la conferma della confisca,
vedendosi in tema di confisca obbligatoria di beni che costituiscono il
prodotto, ovvero il profitto, del reato. Dopo avere, invero, rilevato che “a
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640 co.II. numero 1, 640 bis e 640 ter co.II cod pen. si osservano, in
quanto applicabili, le disposizioni di cui all’ad. 322 ter cod. pen. ” e che “il

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ipotesi di confisca obbligatoria (estesa, tra l ‘altro, ai casi di definizione
con sentenza di applicazione pena) per i beni che costituiscono il profitto
o il prezzo del reato “.
Tanto esaminato è di tutta e •tidenza l’inarnrnissibilità delle dogiianze
difensive.
Invero, con l’impugnazione proposta solo formalmente è prospettato
un vizio di motivazione, ma in realtà viene richiesta un’ inammissibile
rivn in t n,ione delle circost n n,e attentamo,nt., e congr . amente ins n min nt.,
dal Giudice per le indagini preliminari di Palermo. Invero, come da
consolidato orientamento di questa Corte (si veda per tutte Sez. 2, n.
32839 del 09/05/2012, di cui si ripercorrono le argomentazioni), in
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1.0

fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi i! giudice della legittimità !imitarsi e. controllare

In
14.1

motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace
di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Quindi, non possono
avere rilevanza le censure volte ad offrire una lettura alternativa delle
prob ztori ,., da! momento ch .- i! sind 2c2to chall z cod.., d i
cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica
sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite.
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l’ordinanza impugnata non si confronti con le argomentazioni difensive,
atteso che le stesse vengono ampiamente esaminate e respinte in quanto
smentite, come sopra visto, da “tracce ” documentali che consentono di
ricondurre, i?.. somma rinvenuta nel!’ armadio di disponibilità congiunta de!

5

richiamo a tale ultima disposizione introduce, quindi, pure per i reati

de! Teresi

illecita di questsultimo e, quindi, di far

ritenere giuridicamente corretta la confisca disposta.
Sviluppando, in tal modo, un iter argomentativo scevro da vizi logici
e giuridici. Coerente, invero, quanto a quest’ultimo profilo con il dato
norrnntivo cd i principi stnbiiiti da q..c.st rorb in tema di conficca
obbligatoria ex artt. 640 quater e 322 ter cod. pen., avendo il Giudice a
quo, con motivazione articolata, richiamato gli elementi emersi nel

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l’erogazione di finanziamenti pubblici, circa la disponibilità immediata e
personale da parte sua delle chiavi dell’armadio ove erano rinvenuti la
somma, i documenti di associazioni ed enti coinvolti nelle truffe realizzate
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riconducibilità del denaro a quest’ultimo come prodotto/profitto delle
truffe, e non invece al Seidita, alla stregua di quanto sostenuto dalle
ricorrenti, e come tale assoggettabile a confisca obbligatoria ai sensi
&agli dico!:

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A fronte di dette argomentazioni, il riproporre la tesi dei risparmi del
Seidita Domenico, compatibili con i redditi documentati, il parlare di
confusione anche del luogo del rinvenimento dell’armadio metallico ( che
nnn sarebbc. ..n vano c.ntina ma lui, andron ,. di ingr4isso ) c.c.! 1

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contestare le conclusioni cui giunge il Giudice dell’esecuzione, nonostante
la non perfetta coincidenza tra la somma sequestrata e gli importi
riportati negli appunti manoscritti nel retro della carpetta verde, significa
non solo non confrontarsi con !e spancifich ,. e.rgoriv.nta ,ioni dc.l
provvedimento impugnato, ma, altresì, invitare ad una diversa lettura
degli elementi fattuali, preclusa in questa sede. Lettura che, in presenza
di un corretto metodo valutativo come quello sopra esposto e di un iter
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esser presa in considerazione in questa sede, non integrando vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972
dm n711)/1990 , Albi:Irti ,

Re

)1 R221

1 , n 1.49A

cp.rnin-4/1995:2 ,

Marrazzo, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv.
199391 ). Questa Corte, infatti, “non deve accertare se la decisione di
merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
C e questa giiistific. ,1 ,mc, ein

reit ectifir-a7innta ma limitarci a Iharifirann

compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità

processo di cognizione e posti a base della sentenza di applicazione della

di appreznmento” ( si vo.da per CC.- c.-7. 4, n. 4 54 9 de! nyppnrn ,
Elia). Verifica, che, nel caso di specie, risulta esser stata positiva,
dovendosi conseguentemente dichiarare inammissibile il ricorso proposto.
2 . A !la

An”I nrni-Arin Ai innime-niceihilif; Ani

rir.nren cetnnies

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In r•ehrbAnnrtn
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delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento
alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare
sentc.n7a n. 1.RA d..! lnnn .

P. Q. M.

ni”hinra inzrnmissibile il ricerco e c^ndanna le ricorrenti

2

pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro
1000 (mille) ciascuna alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2016.

!

in euro 1.000,00, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale

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