Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29286 del 14/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29286 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EMANUELE BRUNO N. IL 3041/1972
avverso l’ordinanza n. 509/2015 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 15/09/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI;
4e4te/sentite le conclusioni del PG Dott. A
C.tt ‘14.4

Uditi difensor Avv.;

tsA )-c peero ot.d

c-o YTA-0

Data Udienza: 14/03/2016

IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ordinanza emessa in data 15 settembre 2015 il Tribunale di Catanzaro costituito ai sensi dell’art. 310 cod.proc.pen. – ha respinto l’appello proposto da
Emanuele Bruno avverso la decisione con cui la Corte di Assise d’Appello di
Catanzaro aveva negato l’applicazione della saldatura temporale tra più titoli
cautelari (art. 297 co.3 cod.proc.pen.).
In particolare, nei confronti di Emanuele Bruno risulta emesso un primo titolo
cautelare nel maggio del 2007 dal GIP del Tribunale di Napoli (per contestazioni

relative all’anno 2003) e un secondo titolo nell’ottobre del 2010 da parte del GIP
del Tribunale di Catanzaro (per concorso in due episodi di omicidio ed altro, fatti
del 2003 e 2004).
Ad avviso della difesa, il collaboratore di giustizia Falbo Domenico aveva reso
dichiarazioni sui fatti di omicidio già nell’aprile 2007, dunque in epoca
antecedente alla emissione della prima ordinanza da parte del GIP partenopeo.
Tali dichiarazioni erano note all’autorità procedente napoletana e potevano dar
luogo ad immediata e unica contestazione dei fatti diversi, pur non connessi,
trattandosi di fatti di reato commessi prima della adozione del provvedimento
iniziale.
Il Tribunale osserva che la consistenza indiziaria a carico del Bruno per i fatti di
concorso in omicidio è stata in realtà fortificata e asseverata da fonti successive
rispetto al Falbo, tra cui altri collaboranti ed in particolare Forastefano Antonio.
Inoltre si evidenzia che i due procedimenti che hanno visto l’emissione delle
diverse ordinanze erano pendenti presso due distinte autorità giudizarie (Napoli
e Catanzaro), il che determina la inapplicabilità – nel caso considerato – dei
principi normativi e giurisprudenziali in tema di retrodatazione degli effetti della
seconda misura alla prima in caso di fatti non connessi.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo dei
difensori – Emanuele Bruno.
La successiva rinunzia di uno dei difensori – non munito di procura speciale – non
comporta la inammissibilità del ricorso.
Ne va dunque illustrato, in sintesi, il contenuto.
Si deduce erronea applicazione della disciplina regolatrice e vizio di motivazione
dell’ordinanza reiettiva.
In sintesi, il ricorrente evidenzia che :
a) le iniziali dichiarazioni del Falbo, rese nel marzo 2007 al PM DDA di Catanzaro,
– ma trasmesse al P.M. DDA di Napoli – erano antecedenti alla emissione del

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correlate allo smercio di sostanze stupefacenti, anche in forma organizzata,

primo titolo cautelare e sufficienti ad integrare una concreta piattaforma
indiziaria a carico di Bruno Emanuele per il concorso nel duplice omicidio poi
contestato solo nel 2010 dall’A.G. di Catanzaro, trattandosi di chiamata in
correità. Le acquisizioni successive hanno solo consentito di incrementare le
conoscenze già acquisite fornendo un quadro probatorio più chiaro, ma il titolo
cautelare poteva fondarsi sulle sole dichiarazioni iniziali, non essendo necessari
riscontri individualizzanti ;
b) da ciò derivava la possibilità di emettere un unico titolo cautelare per i diversi

c) pur considerando, in tesi, l’assenza di connessione qualificata, si ritiene
applicabile il principio espresso da Sez. Un. n.21957 del 2005 ric. Rahulia e da
Corte Cost. n. 408 del 3.11.2005, in virtù del fatto che la pendenza dei due
procedimenti presso diverse autorità giudiziarie non può ritenersi di ostacolo. Il
Tribunale, sul tema, erroneamente disattende i rilievi difensivi circa il dovere di
coordinamento informativo tra le varie procure distrettuali antimafia, argomento
che porta a ritenere del tutto superabile la formale diversità delle attribuzioni
investigative.

3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.
3.1 Ad avviso del Collegio, il complesso tema delle regole in punto di
retrodatazione degli effetti di un titolo cautelare, con saldatura ai tempi di
emissione di un titolo antecedente (art. 297 co.3 codice di rito) necessita di
alcune precisazioni di tipo storico, posto che la stratificazione degli interventi
normativi e delle decisioni giurisprudenziali è comprensibile solo in tale
prospettiva.
3.2 La giurisprudenza di legittimità, vigente il Codice del 1930, ha affontato il
tema – già durante gli anni ’60 e ’70 – dei possibili casi di ‘artificiosa protrazione’
della carcerazione in virtù delle ricadute del principio della ‘autonomia’ (art. 271
codice Rocco) in punto di decorrenza temporale di diversi titoli emessi nei
confronti della stessa persona (già detenuta) per fatti ‘diversi’.
Le prime decisioni reperibili risalgono all’anno 1965 (Sez. H 23.2.1965, Sez. III
19.10.1965 ed altre). Si consolidò, in quel periodo, un filone giurisprudenziale
fortemente ‘creativo’, basato essenzialmente sulla verifica – in concreto – della
esistenza in atti degli elementi idonei (nel medesimo procedimento) ad emettere
il secondo titolo già all’atto della emissione del primo.
In tal caso, connotato dalla «colpevole inerzia» del magistrato procedente, si
affermò che il secondo titolo perde di autonomia sul piano della decorrenza e
che, pertanto, il computo dei termini resta ancorato al momento della esecuzione
del primo titolo.
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fatti, da parte del GIP del Tribunale di Napoli ;

Sono espressione di tale filone, limitandosi agli anni ’80 : Sez. H 16.3.’81, Sez. I
6.5.’82, Sez. H 7.10.83, Sez. H 18.5.84 (ove si precisa che il magistrato
istruttore è tenuto a dare spiegazione degli ostacoli che hanno determinato il
ritardo nella contestazione), Sez. I 30.7.1984 .
Nella maggior parte delle decisioni si precisa, peraltro, che non è sufficiente – per
ritenere la ‘colpevole inerzia’ – l’emersione generica della notitia criminis (sul
fatto ulteriore) al momento della emissione del primo titolo ma è necessario che
l’autorità giudiziaria disponga di ‘elementi idonei’ per contestare l’addebito sotto

catena’ lì dove gli elementi integrativi della originaria notizia di reato siano stati
acquisiti in epoca successiva alla emissione del primo titolo e non vi sia stato
particolare ritardo nella loro elaborazione e trasfusione nel mandato di cattura.
3.3 Il legislatore del 1988 perde l’occasione di ‘normativizzare’ il descritto
orientamento giurisprudenziale e si limita – nella stesura iniziale dell’art. 297
co.3 – ad integrare l’ ipotesi del 271 comma 3 codice abrogato, aggiungendo al
concorso formale (già previsto) i casi di

aberratio ictus e aberratio delicti

plurilesive.
Le applicazioni del principio della «colpevole inerzia» restano dunque affidate alla
opera concretizzatrice svolta dalla giurisprudenza sino all’intervento normativo
del 1995.
Il legislatore del 1995 (legge n.332) opera un tentativo di razionalizzazione dei
principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Ne viene fuori il dato normativo tuttora vigente, sia pure con le numerose
interpolazioni di cui si parlerà in seguito :
.. se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la
medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o
qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della
prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell’art. 12
co.1 lett. b e c – limitatamente ai reati commessi per eseguire gli altri – i termini
decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e
sono commisurati alla imputazione più grave, la disposizione non si applica
relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a
giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del
presente comma.
La norma, come è noto, non è di agevole lettura e, nel suo contenuto innovativo
(i fatti diversi ‘retrodatabili’) cerca di prescindere dalla verifica della ‘inerzia’ o
meno dell’autorità procedente, andando a determinare un effetto automatico di
retrodatazione (del secondo titolo al primo) in presenza di tre essenziali
presupposti:
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il profilo cautelare. Viene dunque esclusa – in molti casi – la cd. ‘contestazione a

- il fatto diverso contestato con il titolo ‘successivo’ deve essere stato commesso
prima della emissione dell’ordinanza che genera la privazione di libertà ;
– il fatto diverso deve essere legato al fatto già contestato da un

nesso

qualificato (concorso formale, continuazione, nesso finalistico di strumentalità) ;
– i dati indizianti devono essere emersi in epoca antecedente al rinvio a giudizio
relativo al fatto contestato con il primo titolo (in tale ultima previsione vi è un
richiamo implicito al principio della colpevole inerzia, ma in senso diverso dal
passato; non si richiede più che i dati fossero presenti già all’atto della emissione

ipotizza rapido – segna il limite di rilevanza di tale sopravvenienza).
Nella norma non viene recepita l’idea ‘intermedia’ – pure affacciatasi in
giurisprudenza – di una retrodatazione ‘parziale’ (al momento di effettiva
emersione dei dati indizianti) ma sì realizza – in presenza delle suddette
condizioni – la saldatura di effetti temporali tra i due (o più) titoli.
Nella norma non viene altresì precisato il cd. ‘limite implicito’ alla retrodatazione,
ossia – come era ritenuto pacifico in giurisprudenza – il fatto che le plurime
ordinanze fossero state emesse nel medesimo procedimento (ciò apre ad ipotesi
di saldatura della durata del titolo emesso in epoca successiva al primo anche in
procedimento diverso).
La Corte Cost. (sent. 89 del 1996), posta di fronte al dubbio di ragionevolezza
della nuova disciplina (specie per quanto riguarda l’ipotesi di contestazione
successiva dipendente da dati emersi, per fatti connessi, durante le indagini ma
prima del rinvio a giudizio sul fatto ‘genetico’ della custodia) lo respinge.
In motivazione non si nega che la ‘traduzione normativa’ degli approdi giurisprudenziali sul tema della ‘colpevole inerzia’ si sia spinta ben oltre i confini
tracciati nelle antecedenti sentenze di legittimità, ma il punto non è questo.
Il punto è che non si ravvede irragionevolezza nella scelta legislativa (il principio
dì eguaglianza va sempre espresso nell’ambito di un giudizio di relazione) lì dove
si sia optato per la valorizzazione di specifiche ipotesi (nesso tra reati) che più di
altre presentano elementi di correlazione contenutistica di spessore tale da
consentirne una valutazione unitaria agli effetti del trattamento cautelare.
Ciò, peraltro, in rapporto a quanto avviene durante la fase delle indagini
preliminari, affidata alle iniziative investigative del pubblico ministero, fase che
mal si presta a controlli successivi sul sempre opinabile terreno della
tempestività delle acquisizioni (dunque è ritenuta ragionevole la previsione del
limite del rinvio a giudizio come ‘tempo’ entro cui assume rilievo l’acquisizione
dei dati contestati nel secondo titolo, sempre che sussista il nesso di connessione
qualificata).

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del primo titolo, ma il rinvio a giudizio sui fatti contestati nel primo titolo – che si

3.4 L’assetto legislativo del 1995 – nei suoi aspetti innovativi rispetto alla genesi
giurisprudenziale del principio della retrodatazione – apre numerosi fronti
interpretativi, come ampiamente previsto in dottrina.
Per limitarsi ai più rilevanti va ricordato quanto segue:
a) ci si interroga sulla concretizzazione del presupposto della ‘desumibilità dagli
atti’, e la giurisprudenza successiva al 1995 tende a specificare – senza
particolari oscillazioni – che con ciò si vuole intendere non la mera emersione
della notizia di reato ma l’esistenza obiettiva di dati con

effettiva portata

b)

ci si interroga – in profondità – sulla necessità o meno della ‘unicità’ del

procedimento nel cui ambito vengano ad esistenza i titoli, visto che il dato
normativo – art. 297 co.3 – non chiarisce in modo espresso tale rilevante
aspetto.
Il conflitto interpretativo dà luogo alla decisione Sez. Unite del 25.6.1997 ric.
Atene ove si afferma la possibilità di applicazione della norma (dunque in caso di
connessione qualificata tra i diversi fatti) anche in ipotesi di procedimenti diversi
.. il divieto della cosiddetta “contestazione a catena” di cui al terzo comma
dell’art. 297 cod. proc. pen. trova applicazione in tutte le situazioni caute/ari
riferibili allo stesso fatto o a fatti diversi tra cui sussista connessione ai sensi
dell’art. 12, comma primo, lett. b) e c), stesso codice, limitatamente ai casi di
reati commessi per eseguire gli altri, a nulla rilevando che esse emergano
nell’ambito di un unico procedimento o di più procedimenti, pendenti dinanzi allo
stesso giudice, e quindi innanzi ad esso cumulabili, ovvero a diversi giudici, e
quindi cumulabili nella sede giudiziaria da individuare a norma degli artt. 13, 15
e 16 cod. proc. pen.. Tale divieto si applica a condizione che siano desumibili
dagli atti, entro i limiti temporali rispettivamente previsti dal primo e dal secondo
periodo del citato art. 297, terzo comma, per le diverse situazioni in essi
previste, tutti gli elementi apprezzabili come presupposti per l’emissione delle
successive ordinanze caute/ari i cui effetti sono da retrodatare, non essendo
sufficiente, ai fini della sua operatività, la mera notizia del fatto di reato.
In tale arresto le Sezioni Unite di questa Corte evidenziano che il testo normativo
introdotto nel 1995 prescinde dalla antecedente impostazione ‘giurisprudenziale’
della colpevole inerzia vista come ‘rimproverabilità’ (della condotta tesa alla
artificiosa protrazione dei termini) e sposa – come si è evidenziato – una nozione
oggettivistica del legame tra i fatti/reato, in presenza della condizione di
‘desumibilità’ anteriore al rinvio a giudizio. Dunque, lo spirito della norma è
proprio quello di rendere unico il termine di decorrenza – in tali casi – anche ove
le ordinanze cautelari siano state emesse in procedimenti diversi (ed anche
davanti ad autorità diverse). Peraltro la diversità di procedimenti nel nuovo
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indiziante a carico, tali da poter determinare l’emissione del titolo cautelare;

sistema processuale ben può essere frutto di scelte discrezionali del soggetto
investigante, il che rafforza l’interpretazione adottata.
Tra l’altro, nel trattare il caso oggetto del ricorso, le Sezioni Unite precisano
anche che non è necessario (per applicare la norma) che il soggetto destinatario
dei più titoli sia rimasto ininterrottamente in carcere, ben potendosi ‘saldare’ e
dunque ‘cumulare’ i periodi di custodia cautelare sofferti nei diversi procedimenti
(anche se interrotti) al fine di verificare se l’ordinanza da ultimo emessa abbia
ancora uno spazio di operatività temporale nell’ambito del limite massimo di fase

3.5 II quadro sin qui illustrato muta – in parte – con le due note decisioni
dell’anno 2005 delle Sezioni Unite e della Corte Costituzionale.
Va precisato che con tali decisioni viene affrontato il tema dei ‘fatti diversi non
connessi’ (oggetto di plurime ordinanze) , tema di notevole rilievo anche perchè

le interpretazioni maturate sul testo dell’art. 297 post1995 risultano alquanto
rigide nel riconoscere, già in sede cautelare, i presupposti della connessione
qualificata, il che – in una con la segnalata posizione sul tema della ‘desumibilità
piena’ (elementi consistenti) prima del rinvio a giudizio – tende di fatto a
depotenziare l’ambito applicativo della norma.
Nell’affrontare il tema, dunque, le Sezioni Unite 22 marzo 2005 n.21957, ric.
Rahulia rievocano espressamente la giurisprudenza formatasi durante la vigenza
del codice Rocco e quella del periodo 1989-1995.
Precisano altresì che un consistente filone giurisprudenziale anche dopo il 1995
ha continuato a ritenere che per i fatti diversi non connessi potesse applicarsi la
regola della retrodatazione al primo titolo, lì dove si fosse accertato in modo
incontestabile che al momento della emissione del primo titolo erano già a
disposizione della autorità giudiziaria presenti gli indizi di colpevolezza ( riemerge
la teoria della colpevole inerzia).

Precisano altresì che per le ipotesi di

connessione qualificata il momento in cui rileva la desumibilità è ‘fino al
momento’ del rinvio a giudizio disposto per il fatto ‘principale’. Confermano che,
in tal caso (connessione qualificata) i procedimenti possono essere diversi tra
loro (e lo definiscono

unico caso

Convalidano, per quanto riguarda i

di possibile diversità di procedimenti).
fatti diversi non connessi,

tale filone

«creativo» (non essendo un caso previsto dalla norma regolatrice) che impone la
retrodatazione del secondo titolo al primo lì dove gli elementi da cui si desume il
‘secondo’ reato erano tutti presenti all’atto della emissione del primo titolo .
La decisione, dunque, parlando di «continuità» con la giurisprudenza degli anni
’70 (ove limite della unicità del procedimento era pacifico) in qualche modo lo
ritiene sottinteso. Che si tratti di un caso di giurisprudenza ‘creativa’ è
innegabile, dato che il legislatore del 1995 aveva, sul punto, taciuto.
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(e tenendo conto dei periodi già sofferti in precedenza).

Ne è conferma la sentenza ‘additiva’ della Corte Costituzionale, intervenuta pochi
mesi dopo (n. 408 del 3.11.2005). La decisione afferma che la regola della
retrodatazione del secondo titolo al primo – già prevista dal legislatore per i fatti
connessi emersi nel corso delle indagini – debba a fortiori essere affermata lì
dove si dimostri che, anche per fatti non connessi, l’autorità giudiziaria
disponeva degli elementi indizianti già all’atto della emissione del primo titolo .
Ciò che rileva è che viene interpolata la norma .. nella parte in cui non si applica

anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la

precedente ordinanza.
In entrambe le decisioni si sposa, dunque, il paradigma classico della ‘colpevole
inerzia’ (indizi consistenti, esistenti all’atto della emissione del primo titolo).
Di poco successivo, il nuovo intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (n.
14535 del 19.12.2006) anche per dirimere i contrasti immediatamente sorti sulle
ricadute di tali decisioni .
La decisione è così massimata .. in tema di contestazione a catena, quando nei
confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze
cautelari per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata,
la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma terzo, cod. proc. pen. opera per i
fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è

stata emessa la prima ordinanza. Nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate
in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta

connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli
atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza
decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima, solo se i due

procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro
separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero.. .
L’elemento di reale novità di tale decisione è dunque la specificazione espressa,
nel caso di fatti diversi non connessi, circa la possibile diversità dei procedimenti,
ma con il limite della pendenza di entrambi innanzi alla medesima autorità

giudiziaria.
La decisione, nel ricostruire la ratio del ‘recupero’ del vecchio orientamento della
‘colpevole inerzia’ pone l’accento sul fatto che, in tal caso (non dipendendo la
saldatura dei titoli dal legame tra i fatti di cui all’art. 297 co.3) vi è un evidente
aspetto di trimproverabilità’ verso l’autorità procedente che pur conoscendo
l’intero materiale probatorio ne ha contestato – in prima battuta – una sola parte.
Da ciò deriva che per poter essere applicata la regola della retrodatazione a fatti
diversi non connessi o il procedimento deve essere unico (il vecchio

limite

implicito) oppure la stessa separazione (da cui la possibile diversità) deve
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nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della

derivare da una ‘scelta’ del pubblico ministero procedente, il che comporta
quantomeno l’unicità di ‘sede procedente’. Testualmente, in motivazione … è
chiaro che la retrodatazione non ha ragione di operare, come invece è stato
talvolta sostenuto, quando la seconda misura viene disposta in un procedimento
pendente davanti a un diverso ufficio giudiziario. In questo caso infatti la
diversità delle autorità giudiziarie procedenti indica una diversità di competenza,
e fa ritenere che i procedimenti non avrebbero potuto essere riuniti e che quindi
la sequenza dei provvedimenti caute/ari non è il frutto di una scelta per ritardare

4. Le precisazioni sin qui compiute portano a ritenere che l’attuale ‘quadro di
riferimento’ sovrappone e contiene due diverse ‘filosofie di fondo’ : quella
oggettivistica correlata al legame qualificato tra i fatti (art. 297 co.3 nel testo
della legge n.332 del ’95) e quella soggettivistica, basata sulla colpevole inerzia
(la vecchia giurisprudenza degli anni ’60 riemersa nel 2005 in virtù della
saldatura interpretativa tra Sezioni Unite di questa Corte e Corte Costituzionale).
A tali due filosofie corrispondono, come si è notato, due diversi regimi giuridici di
rilevabilità (fermo restando che i fatti tra loro diversi devono essere commessi
prima della emissione del primo titolo) :
a) per quanto riguarda lo stesso fatto e i fatti avvinti da connessione qualificata i
procedimenti possono essere diversi, possono pemdere in sedi diverse e la
regola della desurnibilità dagli atti di indagine opera in modo oggettivo con il
limite del rinvio a giudizio per il ‘primo fatto’ ;
b) per quanto riguarda i fatti diversi non connessi, la desumibilità deve essere
evidente e contestuale alla emissione del primo titolo e il procedimento deve
essere lo stesso o, al più, pendente presso la medesima autorità gudiziaria .
Tale «doppio binario» è spesso ignorato nelle prospettazioni difensive, posto che
si tende a sovrapporre le regole di rilevabilità della prima ipotesi – di maggior
favore, in virtù del fatto che gli episodi delittuosi sono legati dal particolare nesso
di connessione qualificata – con quelle della seconda ipotesi, più rigide perchè
riguardano i fatti diversi non correlati dalla connessione qualificata.
5. Il caso in esame, come si è detto, fa parte del ‘secondo gruppo’ – fatti diversi
non connessi – e pertanto la retrodatazione tra i titoli non risulta possibile.
In particolare, la diversità delle autorità procedenti è un fattore di ostacolo non
superabile, secondo le linee interpretative prima ricordate.
Inoltre, non vi è alcuna prova – che è compito del proponente fornire – circa il
fatto che all’atto della emissione del primo titolo da parte dell’autorità giudiziaria
di Napoli (nel 2007) fossero emersi elementi (gravi indizi di colpevolezza) a
carico del Bruno aventi connotazioni tali da consentire la emissione di una
ordinanza di custodia cautelare per i fatti poi contestati nell’anno 2010
9

la decorrenza della seconda misura.

dall’autorità di Catanzaro. La nuda indicazione di un collaborante non può infatti
– pur se già acquisita – essere ritenuta idonea alla emissione del titolo cautelare,
alla luce della evoluzione giurisprudenziale in tema di gravi indizi di cui all’art.
273 cod.proc.pen.
Al rigetto del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1

ter.

Così deciso il 14 marzo 2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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