Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29280 del 20/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29280 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
NICASTRO FABIO nato a Gela il 01/03/1972
NICASTRO DARIO nato a Gela il 09/09/1975
avverso il decreto n. 67/2013 della CORTE APPELLO di MILANO del
06/03/2014

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale dott. Antonio Gialanella, che ha chiesto
rigettarsi il ricorso presentato nell’interesse del prevenuto Nicastro
Fabio e dichiararsi inammissibile il ricorso presentato personalmente
dal terzo Nicastro Dario, con ogni consequenziale statuizione ex art.
616 cod. proc. pen.

Data Udienza: 20/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 26 aprile 2013 il Tribunale di Varese ha applicato a
Nicastro Fabio la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni
quattro, proposta dalla Questura di Varese ai sensi degli artt. 1 e 2 legge n. 575
del 1965 e dell’art. 3 legge n. 1423 del 1956.
Con lo stesso decreto il Tribunale ha ordinato la confisca di beni immobili,

a terzi, e della totalità delle quote e dell’intero patrimonio aziendale della
Imprefin S.r.l., facente capo allo stesso proposto, accertando il difetto di buona
fede di Intesa San Paolo S.p.A. – filiale di Busto Arsizio in relazione alla ipoteca
iscritta, in forza di mutuo erogato con atto registrato il 18 aprile 2006,
sull’immobile sito in Olgiate Olona, oggetto di confisca.

2. La Corte di appello di Milano con decreto del 6 marzo 2014, depositato il
21 marzo 2014, in parziale riforma del decreto di primo grado, che ha
confermato nel resto, ha revocato la misura di prevenzione personale applicata
nei confronti di Nicastro Fabio e ha dichiarato la buona fede di Intesa San Paolo
S.p.A. – filiale di Busto Arsizio in relazione alla indicata ipoteca.
2.1. La Corte, dopo aver ripercorso le ragioni poste dal Tribunale a
fondamento del decreto di primo grado e aver sintetizzato le doglianze mosse
dagli appellanti Nicastro Fabio, Nicastro Dario e Banca Intesa San Paolo con le
rispettive impugnazioni, rilevava, a ragione della decisione, che era fondato
l’appello di Nicastro Fabio attinente all’aspetto personale della misura di
prevenzione, avuto riguardo alla insussistenza nell’attualità del requisito della
pericolosità sociale qualificata -già ritenuta per essere il proposto indiziato di
appartenenza ad associazione mafiosa-, attestata dalla sua ammissione al
programma di protezione stabilito per i collaboratori di giustizia, ai sensi dell’art.
10 legge n. 82 del 1991, e dalla fruizione in più procedimenti per reati di mafia
della speciale attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991 per il contributo
collaborativo fornito.
2.2. Quanto agli aspetti patrimoniali della disposta misura di prevenzione, la
Corte di appello:
– rilevava che già nel vigore della legislazione antecedente alla disciplina
dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011, e applicabile in regime transitorio al
procedimento in corso, la confisca poteva essere disposta indipendentemente
dalla pericolosità sociale attuale del proposto, se tale pericolosità fosse sussistita
in epoca precedente sì da potersi desumere la illecita e ingiustificata acquisizione
dei beni patrimoniali sottoposti a confisca;

2

che specificava, ritenuti nella disponibilità del proposto anche se in parte intestati

- rimarcava la certa sussistenza nella specie di tale pericolosità, avuto
riguardo agli elementi indiziari attinenti all’appartenenza di Nicastro Fabio a
sodalizio mafioso di notevole pericolosità, evidenziati dal Tribunale e non
contestati dallo stesso Nicastro, che in atto di appello aveva opposto solo la
carenza del requisito dell’attualità della pericolosità, la cui accertata
insussistenza non comportava di per sé il venire meno dei presupposti di
applicabilità della misura patrimoniale della confisca;
– giudicava condivisibili le conclusioni del Tribunale che aveva disposto la

detto Nicastro e alla moglie Tordo Solange, ritenendo l’acquisto del tutto
ingiustificato in relazione ai modesti redditi leciti dichiarati dal predetto, senza
che le corrette argomentazioni svolte nel decreto fossero state fondatamente
contestate dalle deduzioni prive di alcun supporto logico e fattuale, opposte con
l’atto di appello;
– riteneva, invece, fondato l’appello del terzo Banca Intesa relativo al diritto
reale di garanzia ipotecaria vantato sullo stesso immobile, sussistendo la buona
fede nella erogazione del mutuo fondiario, esclusa dal Tribunale con pronuncia
contraddittoria;
– condivideva, con riguardo alla disposta confisca dell’appartamento sito in
via Monguelfo di Busto Arsizio, intestato a Nicastro Dario e a Fazio Tiziana,
oggetto degli appelli proposti dallo stesso Nicastro Dario e da Banca Intesa, le
considerazioni svolte dal Tribunale, che avevano già disatteso le ripercorse
contrarie deduzioni dei terzi appellanti;
– riteneva, infine, mere asserzioni, contrastanti con i dati di fatto e con le
argomentazioni del decreto impugnato, le deduzioni dell’appellante Nicastro
Fabio in ordine alla mancata corresponsione da parte sua di alcuna somma di
denaro per gli acquisti del detto immobile, intestato al fratello Dario e alla
moglie, e dell’altro sito in via Cantosanto s.n.c. di Busto Arsizio, anche
sottoposto a confisca, intestato alla sorella Nicastro Miriam e al coniuge Nastasi
Luigi Mario, non appellanti.

3. Avverso detto decreto hanno proposto ricorso per cassazione, con distinti
atti, Nicastro Fabio e Nicastro Dario.

4.

Nicastro Fabio ricorre per mezzo dell’avv. Cinzia Valnegri e chiede

l’annullamento del decreto sulla base di unico motivo, con il quale denuncia
violazione ed erronea interpretazione degli artt. 2, 200, 202 e 203 cod. pen., 6 e
7 Cedu in relazione agli artt. 11 e 12 r.d. n. 262 del 1942, 25 Cost., 2-bis e 2-ter
legge n. 575 del 1965 e 117 d.lgs. n. 159 del 2011.

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confisca dell’immobile sito in Via Monte Generoso di Olgiate Olona, intestato al

4.1. Secondo il ricorrente, è illegittima la confisca disposta nei suoi confronti
perché applicata nonostante il riconoscimento della mancanza della sua
perdurante pericolosità sociale, avendo la Corte di appello riformalo il decreto di
primo grado con riguardo all’applicazione della misura di prevenzione personale,
che ha revocato, per avere ritenuto che esso ricorrente, collaboratore di giustizia
ammesso al programma di protezione, avesse tenuto una condotta
univocamente indicativa di una totale dissociazione e di una definitiva e
irreversibile interruzione con il sodalizio criminale, beneficiando anche della

La possibilità di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della
confisca indipendentemente dalla pericolosità sociale attuale, richiamata a
fondamento della decisione, è in contrasto con i principi di diritto in tema di
irretroattività della disciplina dettata in tema di prevenzione dalla legge n. 94 del
2009, che ha introdotto nell’ordinamento detta possibilità con l’aggiunta del
comma 6-bis nell’art. 2-bis legge n. 575 del 1965, mentre la legge vigente
all’epoca dell’acquisto dell’immobile oggetto di confisca, avvenuto nel 2003,
richiedeva il requisito dell’attualità della pericolosità sociale, ritenuto immanente
alla disciplina delle misure di prevenzione e delle misure di sicurezza dalla
pacifica interpretazione giurisprudenziale, confortata dalla giurisprudenza
costituzionale.
4.2. La questione attinente alla retroattività della nuova disciplina, che ha
avvicinato il procedimento di prevenzione a una vera e propria actio in rem, è
stata rimessa alle Sezioni Unite, cui è stato demandata anche

“una presa di

posizione a monte sulla natura stessa della confisca antimafia”, in correlazione

con la sua, non escludibile, natura oggettivamente sanzionatoria, che, in linea
con le prescrizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i principi
costituzionali, richiede il rispetto delle garanzie del processo penale e la vigenza,
al momento della commissione del fatto sanzionato, della legge che prevede ogni
intervento sanzionatorio, che non abbia prevalentemente la funzione di
prevenzione patrimoniale.

5. Nicastro Dario ricorre con atto personale, chiedendo l’annullamento del
decreto sulla base di due motivi.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli art. 24 e
111 Cost. e dell’art. 6 Cedu a garanzia del giusto processo per la mancata
notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza per la discussione, prevista per il
6 marzo 2014 dinanzi alla Corte di appello.
5.1.1. Secondo il ricorrente, il decreto è incorso nel dedotto vizio per non
essersi rilevato che -a seguito del rinvio dell’udienza, fissata originariamente per
il 30 gennaio 2014, in dipendenza della omessa notifica dell’avviso a esso
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speciale attenuante prevista per i collaboratori di giustizia.

ricorrente e al proprio difensore, non comparsi per tale ragione- alla nuova
udienza del 6 marzo 2014 è comparso solo il sostituto del difensore, mentre egli,
non avvisato e detenuto, sì come dichiarato dal fratello Nicastro Fabio nel corso
dell’udienza, è stato impossibilito a esercitare il diritto di difesa.
Tale violazione ha comportato la nullità dell’intero procedimento celebrato a
suo carico.
5.1.2. Peraltro, la Corte europea ha più volte censurato la previsione della
procedura camerale per la celebrazione del procedimento per l’applicazione delle

della Convenzione, e la Corte costituzionale con sentenza n. 93 del 2010 ha
dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 4 legge n. 1423 del 1956 e
dell’art. 2-ter legge n.575 del 1965 nella parte in cui non prevedono che, su
istanza dell’interessato, il detto procedimento si svolga, davanti al tribunale o
alla corte di appello, nelle forme dell’udienza pubblica.
In tal senso il ricorrente dichiara di effettuare “sin d’ora” istanza di udienza
pubblica.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea
interpretazione dell’art. 2-bis legge n. 575 del 1975.
5.2.1. Secondo il ricorrente, la confisca è stata illegittimamente disposta nei
suoi confronti, senza un rigoroso vaglio sull’esistenza di tutti i presupposti di
legge come interpretati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.
In particolare, è mancata totalmente la valutazione della sua pericolosità
sociale, a nulla valendo le considerazioni in base alle quali è stata introdotta
nell’ordinamento, con legge n. 94 del 2009, la possibilità di applicare la misura di
prevenzione patrimoniale indipendentemente dalla verifica dell’attuale
pericolosità del proposto “ampliando ingiustificatamente la platea dei soggetti

destinatari dell’ablazione in prevenzione nonché l’aggressione dei beni acquistati
precedentemente all’entrata in vigore di tali novità legislative”.
5.2.2. Inoltre, mentre la questione sulla retroattività della novella legislativa
e sulla natura della misura della prevenzione patrimoniale della confisca è stata
rimessa alle Sezioni Unite, deve tenersi conto del pregresso e prevalente
orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il
provvedimento ablatorio deve essere ancorato a un preciso collegamento
temporale tra la pericolosità del soggetto e l’acquisto del bene, mentre, nella
specie, il decreto impugnato, ad avviso del ricorrente, si è fondato sulla
pericolosità, nemmeno attuale, del fratello Nicastro Fabio, senza analizzarsi la
sua situazione soggettiva, né accertarsi in via pregiudiziale l’effettiva
interposizione fittizia tra lui e il fratello, e neppure considerarsi l’antecedenza
dell’acquisto dell’immobile, intestato a lui e alla moglie Fazio Tiziana, rispetto al
momento in cui è stato contestato e ritenuto l’ingresso del fratello nella

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misure di prevenzione, che ha ritenuto in contrasto con l’art. 6, paragrafo 1,

compagine mafiosa, e le sue deduzioni e allegazioni in merito a tempi e modalità
di pagamento del prezzo.

6. Il Procuratore generale ha depositato il 15 gennaio 2015 requisitoria
scritta, concludendo per il rigetto del ricorso presentato nell’interesse di Nicastro
Fabio per la sua infondatezza e per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso
presentato personalmente dal terzo Nicastro Dario, e non da difensore titolare di
procura speciale, sulla base di osservazioni dedotte come assorbenti rispetto a

motivo, comunque infondata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da Nicastro Fabio è infondato.
1.1. Si rileva in diritto che l’art. 10, comma 1, lett. c), n. 2, del di. 23
maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n.
125, recante “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”,

ha aggiunto

all’art. 6 della legge 31 maggio 1965, n. 575, dopo il comma 6, il comma 6-bis,
secondo il cui primo periodo “le misure di prevenzione personali e patrimoniali
possono essere richieste e applicate disgiuntamente”,

scindendo il nesso di

necessaria accessorietà caratterizzante, sino a quel momento e salvo tipizzate
situazioni (di cui all’art. 3-ter, commi 6, 7 e 8, legge n. 575 del 1965), i rapporti
tra misure di prevenzione personale e misure patrimoniali.
Con l’art. 2, comma 22, legge 15 luglio 2009, n.94, recante “disposizioni in
materia di sicurezza pubblica”,

sono state inserite dopo la parola

“disgiuntamente”, indicata nel predetto comma 6-bis, le seguenti “e, per le
misure di prevenzione patrimoniale, indipendentemente dalla pericolosità sociale
del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della
misura di prevenzione”.
1.2. La questione posta dal ricorrente attiene alla contestata retroattività di
tale disciplina alla fattispecie in esame, in dipendenza dell’antecedenza delle
acquisizioni patrimoniali oggetto di confisca, avvenute nella vigenza del testo
originario dell’art. 2-bis legge n. 575 del 1965, poi riformato, e alla non condivisa
decisione della Corte di appello che -dopo avere riformato il decreto di primo
grado limitatamente alla misura della prevenzione personale, che ha revocato
per difetto dell’attualità della pericolosità sociale- ha fatto espressa applicazione
della legislazione vigente, antecedente all’intervento riformatore attuato con il
d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e applicabile in regime transitorio, secondo la
disciplina di cui all’art. 117 del medesimo decreto.

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ogni considerazione ulteriore riguardante la doglianza proposta con il primo

Sul tema, diffusamente illustrato dal ricorrente anche sotto il profilo della
natura della misura della prevenzione patrimoniale e della sua disciplina in
rapporto a quella parallela ovvero assimilabile, in alcuni punti, delle misure di
sicurezza, sono intervenute, in data successiva al deposito del ricorro, le Sezioni
unite (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2015, dep. 2015, Spinelli), in risposta al
quesito di diritto, in relazione al quale ne era stato richiesto l’intervento
regolatore dalla sesta sezione penale (con ordinanza n. 11751 del 30/01/2014,
Spinelli), come pure rilevato dal ricorrente.

normative, introdotte nell’art. 2-bis dalla legge n. 575 del 1965 dalle leggi n. 125
del 2008 e n. 94 del 2009, non hanno modificato la natura preventiva della
confisca emessa nell’ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane
tuttora valida l’assimilazione dell’istituto alle misure di sicurezza e, dunque,
l’applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui
all’art. 200 cod. pen. (Rv. 262602), alla cui stregua “le misure di sicurezza sono
regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”,

e non del

principio di irretroattività della legge penale dettato dall’art. 2 cod. pen., con la
conseguenza che la previsione contenuta nella legge n. 94 del 2009, che,
modificando l’art. 2-bis legge n. 575 del 1965, consente al giudice di irrogare le
misure di prevenzione patrimoniali anche prescindendo dalla verifica della
pericolosità attuale del proposto, si applica anche alle fattispecie realizzatesi
prima dell’entrata in vigore della legge citata.
Secondo le Sezioni Unite, che hanno riaffermato la compatibilità della
confisca di prevenzione, in sé, con i parametri costituzionali e convenzionali, la
possibilità di applicazione disgiunta della confisca dalla misura di prevenzione
personale, così come emerge dalle indicate riforme normative, non ha, infatti,
introdotto nel nostro ordinamento

un’actio in rem,

restando presupposto

ineludibile di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale la pericolosità
del soggetto inciso, in particolare la circostanza che questi fosse tale al momento
dell’acquisto del bene, poiché la pericolosità si trasferisce alla res per via della
sua illecita acquisizione da parte di un soggetto socialmente pericoloso, in
quanto rientrante in una delle categorie previste dalla normativa di settore, e a
essa inerisce in via permanente e tendenzialmente indissolubile (Rv. 262604).
1.4. È coerente con tali condivisi, e qui riaffermati, principi la decisione della
Corte di appello, che è pervenuta alla conferma della confisca di prevenzione nei
confronti del ricorrente sulla base delle suddette novelle, che, posta
l’antecedenza della illecita e ingiustificata acquisizione dei beni patrimoniali
sottoposti a confisca, ha applicato retroattivamente, correttamente enunciando
la irrilevanza del requisito dell’attuale pericolosità sociale e congruamente

7

1.3. Le Sezioni Unite hanno, in particolare, affermato che le aggiunte

rimarcando la certa pregressa pericolosità, sulla cui sussistenza, non contestata
dall’appellante, ha ragionevolmente argomentato.
1.5. Segue il rigetto del ricorso di Nicastro Fabio.

2. Il ricorso di Nicastro Dario è inammissibile, perché proposto
personalmente, e non per il tramite di procuratore speciale, da soggetto che, nel
procedimento in esame, riveste il ruolo di terzo interessato, in quanto ritenuto
fittizio intestatario (unitamente alla moglie Fazio Tiziana) di appartamento,

fratello Nicastro Fabio.
2.1. Questa Corte ha più volte affermato che per i soggetti portatori di un
interesse meramente civilistico, quali sono i terzi interessati che propongono
ricorso contro il decreto che dispone la misura di prevenzione della confisca (tra
le altre, Sez. 6, n. 46429 del 17/09/2009, Pace, Rv. 245440; Sez. 6, n. 13798
del 20/01/2011, Bonura, Rv. 249873; Sez.1, n. 18234 del 02/04/2014, Tropea,
Rv. 259441; Sez. 5, n. 12220 del 12/12/2013, dep. 2014, Siccone, Rv. 259861),
o contro il decreto di sequestro funzionale alla confisca per equivalente ai sensi
dell’art. 322-ter cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 13154 del 19/03/2010, Arango
Garzon, Rv. 246692), o contro il decreto di sequestro preventivo destinato alla
confisca disposto dal giudice per le indagini preliminari (tra le altre, Sez. 5, n.
21314 del 09/04/2010, Di Stefano, Rv. 247440; Sez. 3, n. 8942 del 20/10/2011,
dep. 2012, Porta Tenaglia S.r.l., Rv. 252438; Sez. 5, n. 10972 del 11/01/2013,
Cassa di risparmio della provincia di Teramo, Rv. 255186; Sez. 1, n. 15097 del
19/03/2014, Guagliardi, Rv. 259429), deve trovare applicazione la regola dettata
dall’art. 100 cod. proc. civ. per la parte civile, il responsabile civile e la persona
civilmente obbligata per la pena pecuniaria, secondo la quale tali soggetti

“stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale”.
La posizione processuale del terzo interessato è, infatti, nettamente distinta,
sotto il profilo difensivo, da quella dell’indagato e dell’imputato (la cui posizione è
estesa al soggetto assoggettato a misure di prevenzione, ai sensi dell’art. 4,
ultimo comma, legge n. 1423 del 1956), che, in quanto assoggettati all’azione
penale, possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di
un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege e che è titolare di un
diritto di impugnazione nell’interesse del proprio assistito per il solo fatto di
rivestire la qualità di difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, che è
imposta solo per i casi riservati espressamente dalla legge a:Ia iniziativa
personale dell’imputato.
Invece, il terzo interessato, che, come i soggetti indicati dal richiamato art.
100 cod. proc. pen., è portatore di interessi civilistici, non può stare in giudizio
personalmente, avendo un onere di patrocinio che è soddisfatto attraverso il

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sottoposto a confisca, la cui titolarità e disponibilità sono state ricondotte al

conferimento di procura al difensore, secondo quanto previsto per il processo
civile dall’art. 83 cod. proc. civ.
2.2. Tali principi sono stati di recente confermati dalle Sezioni Unite (Sez. U,
n. 47239 del 30/10/2014, Borrelli), che, nell’affrontare la questione oggetto del
contrasto, in ragione della quale il ricorso era stato rimesso, afferente al se, “nel
caso di impugnazione proposta in mancanza di procura speciale dal difensore del
terzo interessato contro un provvedimento di confisca, il giudice debba
assegnare alla parte un termine perentorio per sanare il difetto di

ha

riaffermato la inammissibilità del ricorso per cassazione proposto, avverso il
decreto che dispone la misura di prevenzione della confisca, dal difensore del
terzo interessato non munito di procura speciale, ex art. 100 cod. proc. pen., e
la inapplicabilità, in tal caso, della disposizione di cui all’art. 182, comma 2, cod.
proc. civ., per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (Rv. 280894).
2.3. La inammissibilità del ricorso di Nicastro Dario per la mancata
osservanza delle forme previste dall’art. 100 cod. proc. civ., riguardando la
stessa legittimazione processuale del ricorrente e avendo carattere originario, ha
rilievo assorbente rispetto a ogni altra considerazione pertinente alle doglianze di
rito e di merito, opposte con i motivi proposti.

3. Al rigetto del ricorso di Nicastro Fabio e alla inammissibilità del ricorso di
Nicastro Dario segue la condanna di entrambi al pagamento delle spese
processuali.
Il ricorrente Nicastro Dario deve essere anche condannato al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, equitatívamente
fissata in ragione dei contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a
escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di Nicastro Fabio e dichiara inammissibile il ricorso di
Nicastro Dario.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché Nicastro
Dario anche al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2015

Il Consigliere estensore

bEPOSI TATA

Il Presidente

rappresentanza o, invece, dichiarare immediatamente l’inammissibilità”,

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