Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29270 del 19/05/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29270 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Genise Antonio Rosario, nato il 06/10/1946;

Avverso la sentenza n. 5564/2012 emessa il 23/04/2015 dalla Corte di
appello di Milano;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Francesco Mauro
Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 19/05/2016

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza emessa il 04/05/2012 il Tribunale di Milano, in

composizione monocratica, giudicava Antonio Rosario Genise colpevole del reato
di cui all’art. 3-bis della legge 31 marzo 1965, n. 575, condannandolo alla pena
di mesi sei di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali; i fatti in
contestazione venivano accertati a Milano il 05/11/2010.

Con sentenza emessa il 23/04/2015 la Corte di appello di Milano

confermava la sentenza impugnata, condannando l’appellante al pagamento
delle ulteriori spese processuali.

3. Entrambe le sentenze di merito ritenevano incontroversa la ricostruzione
dei fatti illeciti in contestazione, evidenziando che il Genise, dopo che gli era
stata irrogata la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e il
pagamento della somma di 50.000,00 euro a titolo di cauzione dal Tribunale di
Milano, aveva lasciato l’Italia, trasferendosi a Santo Domingo senza pagare tale
somma, che era stata quantificata sulla base delle risorse finanziarie e
immobiliari di cui il prevenuto disponeva.
Sulla scorta di tale compendio probatorio il Genise veniva condannato alla
pena di cui in premessa.

4.

Avverso tale l’imputato ricorreva personalmente per cassazione,

deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del
provvedimento impugnato che, secondo la difesa del ricorrente, risultava
sprovvisto di un percorso motivazionale che desse adeguatamente conto degli
elementi probatori acquisiti nei sottostanti giudizi di merito, con specifico
riferimento al reato contestato all’imputato ai sensi dell’art. 3-bis della legge n.
575 del 1965 e al requisito dell’impossibilità di adempiere all’obbligazione
cauzionale impostagli.
In tale ambito, si evidenziava che la valutazione dell’impossibilità di
adempimento del Genise era correlata all’onere di dimostrare tale condizione
soggettiva, dimostrata dal fatto che tutti i beni del prevenuto erano stati
sottoposti a sequestro dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Milano.
Con il secondo motivo di ricorso si deduceva il vizio di motivazione della
sentenza impugnata, in correlazione con la doglianza difensiva proposta quale
primo motivo di ricorso, conseguente al fatto che la Corte territoriale si era
2

2.

limitata a recepire acriticamente la ricostruzione degli accadimenti criminosi
compiuta dal giudice di primo grado, senza esaminare le censure giurisdizionali
sottoposte alla sua cognizione.
Né la Corte territoriale aveva compiuto alcuna integrazione motivazionale,
utile a esplicitare il percorso argomentativo seguito nel confermare la sentenza
impugnata.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo di ricorso, con cui la sentenza impugnata veniva
censurata sotto il profilo degli elementi costitutivi del reato contestato
all’imputato ai sensi dell’art. 3-bis della legge n. 575 del 1965, con specifico
riferimento all’impossibilità di adempiere all’obbligazione cauzionale, se ne deve
rilevare l’infondatezza.
Deve, in proposito, rilevarsi che la giurisprudenza consolidatasi in tema di
versamento della cauzione diretta ad assicurare l’osservanza delle prescrizioni
relative alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di
soggiorno, alla luce della sentenza della Corte costituzionale 19 giugno 1998, n.
218, ha affermato il principio di diritto secondo cui l’art. 3-bis della legge n. 575
del 1965 ha una funzione rafforzativa dell’obbligo connesso a questa fattispecie
ed è soggetto alle regole ordinarie in tema di colpevolezza (cfr. Sez. 1, n. 13575
del 06/02/2001, Varriale, Rv. 218785).
Si consideri, in particolare, che la Corte costituzionale, in occasione
dell’intervento richiamato, rilevava l’erroneità dell’assunto interpretativo secondo
cui la sanzione dell’art. 3-bis della legge n. 575 del 1965 deve applicarsi anche
alle omissioni incolpevoli, commesse da persone non abbienti. Se così fosse, si
determinerebbe un’inammissibile responsabilità oggettiva, costituendo
condizione di validità del provvedimento di sottoposizione alla cauzione la
valutazione delle effettive condizioni economiche dell’imputato ed essendo
consentito che, per comprovate necessità personali o familiari, l’imposizione della
cauzione possa essere revocata.
Da tale inquadramento della fattispecie deriva che, costituendo la possibilità
di adempimento un presupposto del reato contestato, la sua sussistenza, qualora
l’imputato abbia dedotto l’impossibilità di versare la cauzione, deve essere
verificata anche nel processo penale, indipendentemente «dalle verifiche
compiute dal giudice della prevenzione al momento della determinazione della
3

impugnata.

cauzione e dalla possibilità per l’interessato di chiedere, in ogni momento, in
tutto o in parte, la revoca della cauzione» (cfr. Sez. 1, n. 34019 del 22/09/2006,
Ursino, Rv. 234861).
Ne discende che la configurazione del reato di cui all’art. 3-bis della legge n.
575 del 1965, presuppone quanto meno la colpa nell’imputato, con la
conseguenza che la materiale impossibilità di provvedere al versamento della
cauzione, causata da mancanza di disponibilità economica in capo al prevenuto
comporta l’esenzione da responsabilità, che deve essere concretamente

presuntive.
In questa cornice, deve osservarsi che la motivazione della sentenza
impugnata risulta ineccepibile, avendo la Corte territoriale rilevato che la
condizione di inadempienza all’obbligo cauzionale impostogli dal Tribunale di
Milano, discendeva dalla condotta tenuta dal Genise, inequivocabilmente tesa a
sottrarsi all’esecuzione del provvedimento impositivo della misura della
sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno applicata nei suoi confronti,
trasferendosi a Santo Domingo senza pagare tale somma.
Quanto alla circostanza, dedotta dalla difesa del ricorrente, che l’intero
patrimonio del Genise era stato sottoposto a sequestro dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Milano, la Corte territoriale nel passaggio
argomentativo esplicitato a pagine 4 del provvedimento in esame evidenziava
che tale assunto difensivo risulta smentito dalle evidenze processuali, dalle quali
emergeva che, oltre ai beni sequestrati, il ricorrente disponeva di «cespiti ben
diversi dai beni sottoposti a sequestro nella Repubblica Dominicana cui fa
riferimento l’appellante».
Nel valutare le risorse finanziarie di cui disponeva il Genise occorreva
considerare ulteriormente le quote sociali di sette società che non erano state
sequestrate né nel procedimento penale né nel procedimento di prevenzione e i
sette conti correnti intestati all’imputato e alla sua ex convivente, il cui sequestro
era stato revocato dalla stessa Procura della Repubblica presso il Tribunale di
Milano. Su nessuno di tali elementi reddituali il Genise forniva elementi idonei a
ritenere incongruo il percorso compiuto nel giudizio di primo grado in ordine alle
risorse finanziarie di cui l’imputato disponeva.
Senza considerare, per altro verso, che, come correttamente evidenziato nel
passaggio motivazionale esplicitato a pagina 2 della sentenza di primo grado, il
tenore di vita del Genise risultava incompatibile con il reddito dichiarato
dall’imputato, rendendo ulteriormente evidente l’aggiramento doloso degli
obblighi prescrizionali che gli erano stati imposti dal Tribunale di Milano con il
decreto presupposto.
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riscontrata dal giudice, che non potrà ricorrere a valutazioni meramente

Queste ragioni processuali impongono di ritenere infondato il primo motivo
di ricorso.

2. Parimenti infondata deve ritenersi l’ulteriore doglianza difensiva, con cui
si evidenziava che la Corte territoriale aveva disatteso le doglianze difensive,
recependo acriticamente il percorso argomentativo posto a fondamento della
sentenza di primo grado.
Deve, invero, osservarsi che, nel vagliare la congruità del giudizio di

tenere conto dell’unitarietà del complesso motivazionale costituito da entrambe
le sentenze di merito. Tali decisioni, infatti, si sviluppano secondo linee logiche e
giuridiche concordanti, con la conseguenza che – sulla base dell’orientamento
consolidato di questa Corte – la motivazione della sentenza di primo grado si
salda con quella della sentenza di appello, formando un corpo motivazionale
unitario e inscindibile, a prescindere da eventuali richiami a singoli passaggi
argomentativi del provvedimento, effettuati dalla difesa del Genise allo scopo di
evidenziarne l’incongruità motivazionale (cfr. Sez. 3, n. 13926 dell’01/12/2011,
Valerio, Rv. 252615).
Ne discende che il passaggio motivazionale esplicitato a pagina 4 della
sentenza impugnata deve necessariamente integrarsi con l’omologo passaggio
esplicitato a pagina 2 della sentenza di primo grado, componendo entrambi i
provvedimenti decisori un percorso argomentativo ineccepibile rispetto alla
condizione di inadempienza del Genise, sulla quale ci si è diffusamente
soffermati nel paragrafo precedente, cui si deve rinviare. Tale percorso
argomentativo, dunque, risulta adeguato rispetto alle emergenze processuali e
conforme ai parametri ermeneutici consolidati di questa Corte, secondo i quali:
«Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura
giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per
formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del
gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a
quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico
giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento della decisione» (cfr. Sez. 3, n. 44418 del
16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Queste ragioni processuali impongono di ritenere infondato il secondo
motivo di ricorso.

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colpevolezza espresso nei confronti del Genise nella sentenza impugnata, occorre

3. Per queste ragioni processuale, il ricorso proposto nell’interesse
dell’imputato Antonio Rosario Genise deve essere rigettato, con la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 19/05/2016.

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