Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29260 del 27/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29260 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARRIERO ANTONIO N. IL 25/11/1966
avverso la sentenza n. 3844/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
16/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 27/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari,
con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di euro 600,00 di multa, in
relazione al reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen., per avere detenuto, ai fini della
vendita, all’interno dei magazzini del suo pastificio, pasta di semola di grano duro, in
vari formati aventi indicazioni ingannevoli sul luogo di confezionamento e di
produzione, nonché sulla scadenza.

per cassazione, rilevando l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice,
nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione,
perché non si sarebbe tenuto conto della deposizione del teste Lorè, il quale avrebbe
affermato che il pastificio dell’imputato svolgeva lavorazioni per conto terzi; inoltre, si
sarebbero erroneamente interpretate le fatture in atti, dalle quali invece sarebbe
emerso che il prodotto lavorato era stato ceduto al committente, a sua volta
produttore di pasta. La norma incriminatrice sarebbe stata, dunque, inapplicabile,
perché la stessa si riferisce al solo caso in cui i prodotti siano destinati al consumatore
finale o ad utilizzatori commerciali intermedi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché diretto a sollecitare a questa Corte non
un sindacato sulla logicità del processo logico-argomentativo seguito dalla Corte
d’appello, ma una rivalutazione, in punto di fatto, del compendio istruttorio ai fini della
responsabilità penale.
Con motivazioni pienamente adeguate e coerenti e, dunque, insindacabili in
questa sede, i giudici di primo e secondo grado hanno puntualmente smentito la
ricostruzione alternativa dei fatti proposta dalla difesa – e meramente ribadita nel
ricorso per cassazione – evidenziando che la società destinataria della pasta non la
utilizzava a sua volta in un nuovo e diverso processo produttivo, ma semplicemente la
poneva in commercio, e che la pasta in questione aveva certamente caratteristiche
diverse da quelle descritte sulla confezione. Correttamente, dunque, la fattispecie è
stata ricondotta, sotto il profilo del tentativo, all’ambito di applicazione dell’articolo
515 cod. pen. Tale disposizione trova infatti applicazione in ogni caso in cui,
nell’esercizio di un’attività commerciale, si consegni all’acquirente una cosa mobile per
un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa
da quella dichiarata o pattuita, dovendosi intendere per acquirente non solo il

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2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso

consumatore finale, ma anche un qualunque utilizzatore commerciale intermedio (ex
multis, Cass., sez. 3, 15 febbraio 2011, n. 22313, rv. 250473).
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2015.

dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

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