Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29255 del 27/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29255 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GROP LEO N. IL 02/09/1941
avverso la sentenza n. 6492/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 27/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – La Corte d’appello di Milano ha confermato — quanto alla ritenuta
responsabilità penale — la sentenza del Tribunale di Milano, con la quale l’imputato era
stato condannato, per il reato di cui all’art. 10

ter del decreto legislativo n. 74 del

2000, per avere omesso di versare l’Iva per il periodo di imposta 2005 entro la data
del 27 dicembre 2006, per un ammontare di euro 595.032,00. La Corte d’appello ha
rideterminato in diminuzione il trattamento sanzionatorio, in sei mesi di reclusione,

2. — Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, rilevando la manifesta illogicità della motivazione, perché i giudici
d’appello non avrebbero considerato che la condotta doveva considerarsi non punibile,
per la forza maggiore consistente nell’oggettiva e sopravvenuta incapacità finanziaria
della società dell’imputato a far fronte al pagamento dell’Iva, manifestatasi come tale
in forza dell’accumulo operato dal precedente amministratore della società sull’ultimo
periodo d’imposta 2005, non evincibile neppure dall’analisi dei bilanci societari del
2005.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché generico.
La difesa si limita ad affermare che il debito tributario non risulterebbe dai
bilanci societari del 2005, ma non contesta sostanzialmente l’affermazione, condivisa
dei giudici di primo e secondo grado, secondo cui l’imputato era sicuramente a
conoscenza della sussistenza di detto debito in capo la società, perché esso risultava
chiaramente dalla relativa documentazione e, in particolare, dalla dichiarazione Iva.
Né emerge dagli atti — o anche solo dalla prospettazione del ricorrente — alcuna prova
della presunta incapacità finanziaria della società di far fronte all’obbligazione
tributaria.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
2

convertiti nella multa di euro 6848,00, oltre pene accessorie.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2015.

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