Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29252 del 06/04/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29252 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TARASCIO SALVATORE N. IL 28/10/1988
PARTE CIVILE
avverso la sentenza n. 2980/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
20/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Generale in ,persona del D
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che ha concluso per
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Udito, per la pateivi1e, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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< 0)21)1 )\() D39 - ),\N) f)u, \IQP- Data Udienza: 06/04/2016 RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma di quella del G.I.P. del Tribunale di Pisa, previa esclusione della premeditazione contestata e riconoscimento delle attenuanti generiche, rideterminava la pena nei confronti di Tarascio Salvatore in anni quattro di reclusione. Tarascio è accusato del tentato omicidio di Nowotka Pawel, che era stato procedeva alla guida di un ciclomotore, urtando contro il parabrezza e poi cadendo a terra e riportando gravissime fratture. Il giudice di primo grado aveva già escluso l'aggravante dei motivi futili. I due giovani - entrambi fantini, appartenenti a due diverse scuderie pisane - avevano avuto in precedenza scontri: in una prima occasione Tarascio aveva percosso un amico di Nowotka che, due giorni dopo, lo aveva percosso per vendetta. Tarascio aveva promesso che gliela avrebbe fatta pagare. La sera del fatto, i due giovani avevano avuto un diverbio al telefono; al termine, gli amici di Nowotka lo avevano visto salire sul suo ciclomotore ed allontanarsi per andare all'incontro con Tarascio, nonostante essi lo avessero scongiurato di non farlo. I tre amici - due fratelli Migheli e Demuru - mentre stavano salendo sulla loro autovettura per intervenire, avevano visto passare la Fiat Punto bianca condotta da Tarascio ad alta velocità nella stessa direzione presa dal ciclomotore; si erano messi all'inseguimento della Fiat Punto e l'avevano visto urtare con violenza il ciclomotore in maniera assolutamente intenzionale. Secondo la persona offesa, l'autovettura aveva speronato il ciclomotore due volte, poiché, dopo la prima, egli era riuscito a mantenere l'equilibrio. La consulenza tecnica disposta dal P.M. aveva dimostrato la violenza dell'urto, ma aveva anche smentito che esso fosse stato duplice, fornendo una spiegazione tecnica sulla erronea percezione della persona offesa. L'imputato aveva reso spontanee dichiarazioni, ammettendo violenza e volontarietà dell'urto; aveva escluso di avere voluto uccidere Nowotka, ammettendo di averlo lievemente tamponato due volte perché gli facesse strada. La Corte territoriale riteneva che il mezzo usato, il tamponamento ad alta velocità, l'assenza di frenata e la successiva fuga integrassero una condotta tale da porre in pericolo la vita della persona offesa; riteneva, altresì, che la volontà di Tarascio fosse di provocare la morte della vittima. La versione dell'imputato veniva valutata come inverosimile mentre quanto riferito dagli amici della persona offesa che avevano visto il sinistro era ritenuto attendibile, anche perché 2 violentemente tamponato da tergo dall'autovettura dell'imputato mentre essi avevano raccontato che Nowotka era partito verso le scuderie di Tarascio con l'intenzione di "spaccargli la faccia" e che essi avevano deciso di seguirlo. Il dolo veniva ritenuto alternativo. La Corte escludeva l'attenuante della provocazione. 2. Ricorre per cassazione il difensore di Tarascio Salvatore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo del reato. attenuanti generiche, il comportamento successivo di Tarascio che, subito dopo l'incidente, aveva telefonato piangente ad un amico chiedendogli di recarsi sul posto per verificare le condizioni della persona offesa: si trattava di condotta che dimostrava che l'imputato non aveva intenzione di uccidere Nowotka. Il ricorrente richiama la sentenza delle Sezioni Unite 38343 del 2014, sottolineando che, per aversi dolo diretto, occorre che il soggetto si rappresenti con certezza od alta probabilità l'esito della condotta e voglia tale esito: non era possibile desumere tale dolo dalla semplice condotta, così come aveva fatto la Corte territoriale, perché in questo modo si ricorre ad un coefficiente probabilistico. In realtà, secondo il ricorrente, l'urto così come verificatosi non determinava con certezza o con elevata probabilità la morte del motociclista e la condotta complessiva dell'imputato dimostrava che, al più, Tarascio poteva essersi rappresentato la remota possibilità di provocare la morte di Nowotka, ma senza avere la diretta convinzione di provocarla: non vi era volontà diretta, nemmeno alternativa. Il ricorrente mette in evidenza che la velocità differenziale dei due veicoli era stata calcolata in modo difforme dai due consulenti e che Nowotka indossava il casco; ricorda ancora che la persona offesa, secondo il consulente medico legale del P.M., non si era mai trovato in pericolo di vita. La telefonata all'amico Manuele immediatamente successiva all'urto era la dimostrazione che Tarascio non aveva affatto voluto la morte di Nowotka: non si trattava di pentimento - come aveva ritenuto la Corte territoriale - ma di elemento che dimostrava la mancanza di volontà di uccidere. Inoltre Tarascio non aveva inseguito Nowotka, se lo era trovato davanti, sapendo che egli si stava recando a cercarlo per picchiarlo: quindi aveva deciso di urtarlo in un attimo, senza alcuna premeditazione. Mancava, quindi, la certezza soggettiva che l'evento morte si sarebbe verificato in conseguenza del tamponamento. Al limite, il dolo avrebbe potuto essere riconosciuto come eventuale, con conseguente impossibilità di ipotizzare il tentativo. Tarascio voleva far cadere Nowotka, fargli del male, ma non voleva ucciderlo. 3 La Corte territoriale aveva valorizzato, al fine di concedere all'imputato le In un secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego dell'attenuante della provocazione. La Corte aveva escluso la circostanza nonostante il pestaggio subito da Tarascio il giorno precedente, nell'ambito di una spedizione punitiva all'interno dell'appartamento del ricorrente e benché, immediatamente prima del fatto, fosse stato Nowotka ad intimidire e minacciare Tarascio, circostanza confermata dagli amici della persona offesa. Era stato escluso lo stato d'ira, nonostante la motivazione facesse sussistevano tutti i presupposti per il riconoscimento dell'attenuante. In un terzo motivo, il ricorrente deduce illogicità della ricostruzione in fatto ed errata valutazione della prova tecnica. La Corte aveva liquidato la questione della ricostruzione del sinistro con poche parole, sposando la ricostruzione del primo giudice che, a sua volta, aveva aderito a quella del consulente del P.M.. La consulenza tecnica della difesa era stata ignorata nonostante le severe censure mosse dalla difesa a quella del P.M.. Il difensore ripercorre i rilievi tecnici che indicavano che la versione di Nowotka al centro della strada che cercava di impedire il passaggio dell'autovettura di Tarascio non era affatto assurda, ma riscontrata dai reperti rinvenuti; sottolinea, inoltre, che dopo l'urto il ciclomotore della persona offesa era stato rinvenuto in una fossetta adiacente al lato sinistro della carreggiata, dato che dimostrava come fosse impossibile che l'urto fosse avvenuto mentre il ciclomotore percorreva strettamente la destra della corsia, come ritenuto dal consulente tecnico del P.M.. In un quarto motivo, il ricorrente deduce vizio della motivazione per omessa disanima dei motivi di appello, con mero richiamo alla sentenza di primo grado. La Corte territoriale aveva affermato che il consulente della difesa aveva convenuto sull'inverosimiglianza della versione del doppio urto riferito da Nowotka, con ciò travisando del tutto le considerazioni del consulente, che aveva sostenuto il contrario. Del resto, Nowotka aveva, appunto, riferito di un doppio urto e solo la consulenza tecnica del P.M. lo aveva smentito. Più in generale, la motivazione della sentenza di appello era per relationem e i motivi di appello erano stati del tutto trascurati. Il ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza impugnata. 4 riferimento a "rancore e risentimento" che muovevano Tarascio: in realtà CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 1. Nell'affrontare il ricorso, non si può che prendere l'avvio dal terzo motivo, concernente la ricostruzione della dinamica dell'investimento e la illogicità e contraddittorietà della motivazione che ha aderito a quella proposta dal consulente del P.M., già recepita dal giudice di primo grado: in effetti, le diversa da quella accolta dalla Corte territoriale, fino a giungere anche a forzature interpretative della sentenza impugnata. Le spontanee dichiarazioni rese dall'imputato avevano spazzato via ogni dubbio sulla volontarietà dell'investimento: in effetti, Tarascio aveva sostenuto di avere suonato il clacson al ciclomotore che si era trovato davanti alla sua autovettura, di avergli dato un "piccolo colpetto" e poi, dopo poche decine di metri, un secondo "colpettino per farlo cadere dal motorino e per riuscire a passare". Ben si comprende, quindi, che quello oggetto del presente giudizio non è affatto uno dei tanti sinistri stradali, come annota il ricorrente, ma un investimento volontario operato dal conducente di un'autovettura con lo scopo di provocare la caduta a terra del conducente del ciclomotore investito. Si intuisce, cioè, per quale motivo il ricorrente ammetta esplicitamente la possibile sussistenza del dolo eventuale di omicidio: le conseguenze di un urto e di una caduta a terra con il ciclomotore possono essere anche letali, come purtroppo l'esperienza comune insegna. Ciò premesso, la sentenza impugnata affronta il contenuto delle due consulenze tecniche - del P.M. e della difesa - nonché gli altri elementi probatori disponibili così da giungere ad una decisione effettivamente - e non apparentemente - motivata. Le due ricostruzioni alternative differivano sul punto dell'impatto (secondo la difesa dell'imputato, avvenuto al centro della strada in conseguenza del tentativo posto in essere da Nowotka di impedire il passaggio dell'autovettura di Tarascio; secondo la tesi del consulente del P.M., alla destra della carreggiata), sul numero degli urti (due secondo l'imputato, uno solo secondo l'accusa), sulla loro violenza (lieve in entrambi gli impatti, secondo l'imputato, devastante secondo l'accusa) e, di conseguenza, sulla velocità - assoluta e differenziale - tenuta dai due veicoli. Ebbene, la Corte territoriale ha optato per la ricostruzione dell'accusa 5 argomentazioni esposte nei primi due motivi di ricorso si basano su una dinamica menzionando le testimonianze raccolte oltre che le conclusioni del consulente del P.M., ed indicando che la prova della violenza dell'urto e la forte velocità dell'automobile si deducevano dall'assenza della frenata, dal lungo scarrocciarnento del ciclomotore (che, a causa dell'urto, aveva perso la ruota posteriore), dai danni materiali ai mezzi e dalle lesioni riportate dalla vittima (nonostante indossasse il casco); ha ritenuto inverosimile la versione opposta. Si tratta di riferimenti sintetici della motivazione che, peraltro, non fanno che richiamare il contenuto degli atti riportati integralmente nella prima parte del In effetti, le dichiarazioni dei testimoni oculari del sinistro (gli amici di Nowotka che si erano messi all'inseguimento della Fiat Punto condotta da Tarascio, vista sfrecciare immediatamente prima) erano esplicite sull'altissima velocità dell'autovettura, sulla intenzionalità dell'investimento, sull'assenza di qualsiasi frenata e sulla violenza dell'urto. La sentenza riportava le dichiarazioni di Migheli Alessandro (ripetute davanti al P.M.) che affermava con decisione che l'autovettura si era spostata sul margine destro della carreggiata per meglio prendere di mira il ciclomotore che procedeva all'estrema destra: versione corrispondente a quella di Nowotka. Si noti che si tratta di versione - per quello che si comprende dalla lettura degli atti - compatibile con la circostanza che l'autovettura aveva colpito il ciclomotore con la parte frontale sinistra, esistendo a destra della carreggiata una pista ciclabile che l'autovettura poteva avere parzialmente invaso. Non vi è dubbio che l'individuazione del punto d'urto tra i due mezzi - se al centro della carreggiata o al suo margine destro - era un passaggio decisivo, perché la seconda ipotesi smentiva la condotta di ostruzionismo posto in essere da Nowotka per impedire di farsi superare dall'autovettura: ebbene, il ricorrente evidenzia la contraddittorietà della scelta della Corte con gli atti di polizia giudiziaria, sostenendo che "i detriti, i pezzi di vetro dei fari e gli schizzi di olio sono stati rinvenuti in prossimità del centro della carreggiata". Il motivo, su questo punto, manca palesemente di autosufficienza, non essendo stati prodotti i verbali cui il ricorrente fa menzione; ma, in realtà, il ricorrente non si avvede che la motivazione riferisce il contrasto sullo stesso punto tra l'atto di appello (che sosteneva le stesse circostanze) e la relazione del P.M. che, specificamente richiesto di chiarire il punto, ribadiva (nota 8, pag. 24) che "non risultano elementi oggettivi utili a stabilire con certezza l'esatta posizione dei veicoli nei tempi dell'unico urto". La motivazione, in precedenza, aveva riportato un estratto del verbale di accertamento dei Vigili Urbani, il quale annotava che "sul piano stradale, eccetto il liquido fuoriuscito probabilmente dal 6 provvedimento. ciclomotore, il quale per l'urto ricevuto aveva patito il distacco totale del motore, non si registravano tracce di frenatura o altro da potersi mettere in relazione con l'accaduto". Il vizio denunciato, quindi, non sussiste: la polizia giudiziaria intervenuta non solo non aveva rinvenuto detriti o altri oggetti o tracce che indicassero il punto dell'impatto, ma si era astenuta da proporre al P.M. una esatta ricostruzione del sinistro (come abitualmente avviene nei sinistri stradali). ricostruzione operata dal consulente del P.M. dimostravano la sostanziale disintegrazione del ciclomotore, da cui si erano staccate ruote e motore; la mancanza di frenata da parte dell'imputato era a sua volta - oltre che attestata dai testimoni - riscontrata dalla mancanza di tracce sull'asfalto; così come le dichiarazioni dei testimoni sulla alta velocità della Fiat Punto erano riscontrate dai danni al ciclomotore. In definitiva, la conclusione nel senso della inverosimiglianza della versione proposta dall'imputato (e accreditata dalla persona offesa, le cui dichiarazioni, peraltro, erano state giustificate dal consulente del P.M.) è sostenuta dalla Corte territoriale sulla base di una congerie di dati univoci ed eclatanti (si pensi all'analisi delle tracce dell'urto sulla carrozzeria della Fiat Punto operata dal consulente del P.M., pag. 22, che dimostrava l'impossibilità fisica di un doppio urto) oltre che sulla considerazione che Nowotka non sapeva che l'autovettura che si stava avvicinando al suo ciclomotore fosse condotta da Tarascio e, quindi, non aveva alcun motivo di impedirle il sorpasso. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato, al limite dell'inammissibilità: in effetti - si deve ricordare - la difesa del ricorrente si muove sulla differenza tra dolo alternativo di omicidio e lesioni (ritenuto dalla Corte) e dolo eventuale di omicidio, ipotizzato dal ricorrente, sostenendo che - in base al principio del ragionevole dubbio - la Corte avrebbe dovuto optare per la soluzione più favorevole all'imputato. E' evidente che - ritenuta logica la ricostruzione proposta dal consulente del P.M. - questa soluzione è molto meno sostenibile, essendosi in presenza di un automobilista che, ad altissima velocità, "punta" il ciclomotore che lo precede e lo travolge con grandissima violenza (che disintegra il mezzo tamponato) per poi darsi alla fuga. Secondo la Corte, Tarascio aveva previsto e voluto, indifferentemente, sia il grave ferimento della vittima che la sua morte, entrambi collegati al tamponamento che aveva posto in essere. 7 Quanto alla violenza dell'urto, lo stesso verbale dei Vigili Urbani nonché la Il ricorrente fa leva sull'esclusione dell'aggravante della premeditazione da parte della Corte territoriale per giungere ad una ricostruzione che il giudice di appello non ha affatto recepito: sostiene, infatti, che l'incontro tra Tarascio e Nowotka era stato casuale, repentino, così da rendere impossibile per l'imputato qualsiasi prognosi circa l'esito del tamponamento; in altre parole, l'esclusione dell'aggravante da parte del giudice di appello avrebbe significato che "l'incontro tra i due giovani era stato casuale ed improvviso, solo perché l'imputato - dopo la chiusura della telefonata con il Nowotka - si era trovato a transitare nei pressi Nowotka (...) Tarascio si è visto, all'improvviso, dinanzi il Nowotka; sapeva che costui lo stava cercando per picchiarlo e, in un attimo, in un solo frangente, ha deciso di urtarlo". In realtà, la Corte territoriale, pur escludendo la premeditazione che il Giudice di primo grado aveva ritenuto sussistente, non abbraccia affatto questa ricostruzione: non solo la motivazione ironizza sulla versione della presenza casuale in quel punto dell'imputato (pag. 31), ma in un passaggio successivo chiarisce che ciò che non poteva essere provato era un agguato da parte di Tarascio nei confronti di Nowotka; tuttavia l'imputato - precisa la Corte - aveva visto uscire Nowotka dal ristorante Le Scuderie, nei pressi del quale anch'egli si trovava e lo aveva visto partire con il ciclomotore. In effetti, in precedenza la sentenza (pag. 10) riporta un passaggio delle dichiarazioni di Nowotka alla Questura di Pisa nelle quali la persona offesa riferiva di avere detto a Tarascio, nel corso della telefonata, dove si trovava in quel momento ("Alla mensa, ho risposto, perché quel ristorante è la nostra mensa"). In definitiva, la Corte supera i sospetti degli amici di Nowotka - che, avendo visto sfrecciare la Fiat Punto di Tarascio subito dopo la partenza del ciclomotore di Nowotka, avevano creduto che il primo avesse spinto il secondo a partire avendo già deciso di investirlo: appunto, un agguato - per ritenere che, in quel frangente, i due fantini si trovavano casualmente nella stessa zona (in realtà, le sommarie informazioni riportate indicano che quel ristorante era un luogo di ritrovo dei fantini della varie scuderie e che era l'ora dell'aperitivo, cosicché, in quel mondo così ristretto che viene descritto, non era affatto strano che, a quell'ora, i due si trovassero nella stessa zona) e che Tarascio, avendo saputo al telefono da Nowotka dove questi si trovava e che stava per imboccare la strada che portava al suo alloggio e avendolo visto uscire dal locale e allontanarsi sul ciclomotore, aveva d'istinto deciso di inseguirlo con l'autovettura per investirlo. 8 del ristorante dove si trovava la vittima"; quindi "Tarascio non ha inseguito il Un altro elemento che la difesa del ricorrente utilizza per contestare la qualificazione della condotta come tentato omicidio è costituito dalla telefonata che, subito dopo l'investimento e la fuga, Tarascio aveva fatto all'amico Manuele perché andasse a vedere le condizioni di Nowotka. La Corte accredita la versione di un Tarascio "impaurito e piangente" e la utilizza per la concessione delle attenuanti generiche (negate dal primo giudice), in quanto "rivelatrice di apprezzabile pentimento ovvero di rischiarata coscienza"; secondo il ricorrente, invece, si tratterebbe di prova che Tarascio non Si tratta di due interpretazioni entrambe possibili: ma è certo che il ricorrente non dimostra affatto la manifesta illogicità di quella adottata dalla Corte, che fa leva sulla rapidità della decisione di Tarascio di inseguire e travolgere Nowotka, approfittando dell'occasione che gli si era presentata, e che quindi rende verosimile che, solo dopo avere visto il danno provocato ed essersi dato alla fuga, l'imputato avesse compreso ciò che aveva fatto e se ne fosse immediatamente pentito. 3. Anche il secondo motivo di ricorso - concernente il diniego dell'attenuante della provocazione - è infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato che non può essere invocata l'attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l'agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni (Sez. 5, n. 42826 del 16/07/2014 - dep. 13/10/2014, P, Rv. 261037; Sez. 1, n. 26847 del 01/07/2010 - dep. 13/07/2010, Rabita e altro, Rv. 247720). In effetti, il quadro che la sentenza disegna è quello di reciproche provocazioni, con Tarascio che, per primo, aveva picchiato l'amico di Nowotka, questi che aveva violentemente reagito e Tarascio che andava in giro a dire che ce l'aveva con Nowotka: quindi un sentimento di rivalsa, di rancore, di risentimento nell'ottica della sfida finale; non un sentimento d'ira direttamente discendente dal pestaggio subito qualche giorno prima. Si tratta di un quadro niente affatto irragionevole, rafforzato dalla descrizione degli usi della comunità ristretta dei fantini e delle modalità "cavalleresche" adottate per risolvere le controversie; in effetti, a ben vedere, se davvero - secondo le parole dello stesso imputato - il tamponamento del ciclomotore poste in essere allo scopo di far cadere a terra Nowotka era il 9 voleva assolutamente provocare la morte di Nowotka. corrispondente "tecnologico" al disarcionamento dell'avversario ritualmente realizzato nelle corse, è difficile sostenere che Tarascio sia stato mosso esclusivamente dall'ira: la motivazione della sentenza, pertanto, è coerente con quanto emerso dal processo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese Così deciso il 6 aprile 2016 Il Consigliere estensore Il Presidente processuali.

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